Nella loggia della sua astronave color ebano, il Console dell’Egemonia suonava, su uno Steinway antico ma ben conservato, il Preludio in Do diesis minore di Rachmaninoff; in basso, fra le paludi, enormi creature verdi simili a sauri si agitavano e mugghiavano. A nord s’addensava un temporale: nuvoloni d’un nero livido facevano da sfondo a una foresta di gimnosperme giganti; stratocumuli torreggiavano a nove chilometri d’altezza nel cielo violento. Più vicino alla nave, vaghe sagome a forma di rettile urtavano di tanto in tanto il campo d’interdizione, mandavano un grido e s’allontanavano rumorosamente nella nebbia color indaco. Il Console si concentrò su un difficile passaggio del Preludio, senza badare al temporale e alla notte in arrivo.
Il ricevitore astrotel emise uno scampanellio.
Il Console bloccò le dita a mezz’aria sopra la tastiera e tese l’orecchio. Un tuono brontolò nell’aria soffocante. Dalla foresta di gimnosperme salì l’ululato lamentoso d’un branco di carognidi. Da un punto imprecisato, nell’oscurità sottostante, una creatura dal cervello poco sviluppato rispose con un barrito di sfida e tacque. L’astrotel squillò di nuovo.
— Maledizione — esclamò il Console, e rientrò per rispondere.
Mentre il computer impiegava alcuni secondi per convertire e decodificare la raffica di tachioni in decadimento, il Console si versò un bicchiere di scotch e si accomodò sui cuscini della piazzuola di proiezione. Sul diskey palpitava già una luce verde. — Avanti — disse il Console.
— Lei è stato scelto per tornare su Hyperion — esordì una voce rauca, femminile. L’immagine non si era ancora formata completamente e nell’aria c’era soltanto lo schema dei codici di trasmissione, ma il Console sapeva che la chiamata astrotel proveniva dal pianeta amministrativo dell’Egemonia, Tau Ceti Centro. Non aveva bisogno delle coordinate di trasmissione, per saperlo: la voce invecchiata ma sempre bella di Meina Gladstone era inconfondibile. — È stato scelto per tornare su Hyperion e prendere parte al Pellegrinaggio allo Shrike — continuò la voce.
“Col cavolo” pensò il Console, e si alzò per lasciare la piazzuola.
— Lei, con altre sei persone, è stato scelto dalla Chiesa Shrike e approvato dalla Totalità — disse Meina Gladstone. — È nell’interesse dell’Egemonia che lei accetti.
Il Console restò immobile nella piazzuola, con le spalle allo sfarfallio dei codici di trasmissione. Senza girarsi, vuotò il bicchiere di scotch.
— La situazione è molto confusa — disse Meina Gladstone con voce stanca. — Tre settimane standard fa, il Consolato e il Consiglio Autonomo ci hanno trasmesso la notizia che le Tombe del Tempo davano segno d’aprirsi. I campi anti-entropici da cui sono circondate si espandono rapidamente e lo Shrike ha iniziato a muoversi a sud, fino alla Briglia.
Il Console si girò e si lasciò cadere sui cuscini. A mezz’aria si era formato un ologramma del viso vecchissimo di Meina Gladstone. Gli occhi sembravano stanchi quanto la voce.
— Da Parvati è subito partito un reparto operativo della FORCE: spazio per evacuare i cittadini dell’Egemonia residenti su Hyperion prima che le Tombe del Tempo si aprano. Il loro debito temporale supera di poco i tre anni di Hyperion. — Meina Gladstone esitò. Al Console sembrò che la donna, Primo Funzionario Esecutivo del Senato, non avesse mai avuto un’espressione così seria. — Non sappiamo se la flotta d’evacuazione arriverà in tempo — continuò il PFE. — Ma la situazione è ancora più complicata. È stato avvistato un gruppo di migrazione degli Espulsi, gli Ouster… almeno quattromila unità… in rotta d’avvicinamento al sistema di Hyperion. Il nostro reparto operativo d’evacuazione arriverà solo poco prima degli Ouster.
Il Console capì perché Gladstone aveva esitato. I gruppi di migrazione degli Ouster a volte comprendevano navi che andavano dalle vedette monoposto alle città bolla e alle fortezze cometa, che contenevano decine di migliaia di quei barbari interstellari.
— Il comando congiunto della FORCE ritiene che si tratti della grande spinta degli Ouster — riprese Meina Gladstone. Il computer della nave aveva posizionato l’ologramma della donna in modo tale che gli occhi tristi sembravano fissare il Console. — Resta da vedere se vogliono impadronirsi solo di Hyperion a causa delle Tombe del Tempo, o se intendono invece attaccare a fondo la Rete dei Mondi. Intanto un’intera flotta da guerra della FORCE:spazio, con un battaglione per il montaggio di un teleporter, è partita dal sistema di Camn per unirsi al reparto d’evacuazione; ma può essere richiamata, se le circostanze lo richiedono.
Il Console annuì. Con aria assente si portò alle labbra il bicchiere di scotch. Si accigliò, vedendolo vuoto, e lo lasciò cadere sul folto tappeto della piazzuola di proiezione. Lui non aveva addestramento militare, ma capiva quanto fosse difficile la decisione tattica che toccava a Gladstone e al comando congiunto. A meno che nel sistema di Hyperion non si costruisse in fretta e furia un teleporter militare — a costo di spese enormi — era impossibile resistere a un’invasione degli Ouster. Gli eventuali segreti delle Tombe del Tempo sarebbero passati al nemico dell’Egemonia. Anche ammesso che la flotta costruisse davvero, e in tempo, un teleporter e che l’Egemonia impegnasse tutte le risorse della FORCE nella difesa di un singolo pianeta coloniale — il remoto Hyperion — la Rete dei Mondi correva il terribile rischio di subire un attacco degli Ouster in un altro punto del perimetro o, nella peggiore delle ipotesi, che i barbari s’impadronissero del teleporter e penetrassero nella Rete stessa. Il Console provò a immaginarsi le truppe corazzate Ouster varcare i portali e invadere le città indifese di centinaia di mondi.
Attraversò l’ologramma di Meina Gladstone, raccolse il bicchiere e si versò un altro scotch.
— Lei è stato prescelto per unirsi al Pellegrinaggio allo Shrike — disse l’immagine dell’anziana PFE che la stampa si compiaceva di paragonare a Lincoln, a Churchill, ad Alvarez-Temp o a qualsiasi altro personaggio storico pre-Egira fosse di moda al momento. — I Templari inviano la loro nave-albero Yggdrasill - continuò Meina Gladstone. — Il comandante del reparto operativo d’evacuazione ha l’ordine di farli passare. Con un debito temporale di tre settimane, lei può recarsi all’appuntamento con la Yggdrasill prima che effettui il balzo quantico dal sistema di Parvati. Gli altri sei pellegrini scelti dalla Chiesa Shrike saranno a bordo della nave-albero. I rapporti del nostro servizio segreto indicano che almeno uno dei sette pellegrini è un agente degli Ouster. Al momento, non abbiamo modo di sapere di chi si tratti.
Il Console non riuscì a trattenere un sorriso. Oltre a tutti gli altri rischi che Gladstone correva, l’anziana donna doveva prendere in considerazione anche l’ipotesi che la spia fosse proprio lui e che in quel momento stesse quindi trasmettendo a un agente degli Ouster un’informazione d’importanza cruciale. Ma gli aveva rivelato davvero un’informazione cruciale? Era possibile individuare i movimenti della flotta nell’istante stesso in cui le astronavi mettevano in funzione i motori Hawking e, se il Console era davvero la spia, forse il PFE gli aveva rivelato la notizia solo per mettergli paura. Senza più sorridere, il Console bevve un sorso di scotch.
— Sol Weintraub e Fedmahn Kassad fanno parte dei sette pellegrini prescelti — disse Gladstone.
Il Console si accigliò maggiormente. Fissò i nugoli di cifre che tremolavano come granelli di polvere intorno all’immagine dell’anziana donna. Restavano ancora quindici secondi di trasmissione.
— Abbiamo bisogno del suo aiuto — disse Meina Gladstone. — Riteniamo essenziale scoprire i segreti delle Tombe del Tempo e dello Shrike. Il pellegrinaggio potrebbe essere la nostra ultima possibilità. Se gli Ouster conquistano Hyperion, bisogna a ogni costo eliminare il loro agente e sigillare le Tombe. Da questo potrebbe dipendere il destino dell’Egemonia.
Le trasmissione terminò e rimase solo la pulsazione delle coordinate d’appuntamento. «Risposta?» domandò il computer della nave. Nonostante l’enorme energia necessaria, l’astronave era in grado di inserire una breve raffica in codice nell’incessante borbottio di esplosioni più veloci della luce che collegava le zone della galassia occupate dagli esseri umani.
— No — rispose il Console; uscì e andò ad appoggiarsi alla ringhiera della loggia. La notte era scesa, le nuvole correvano basse. Non si vedeva nemmeno una stella. L’oscurità sarebbe stata totale, senza i lampi a nord e la lieve fosforescenza che si levava dalle paludi. Di colpo il Console ebbe la netta consapevolezza d’essere, in quel preciso secondo, l’unica creatura intelligente in un mondo disabitato dall’uomo. Ascoltò i rumori della notte antidiluviana che salivano dalle paludi, pensò al mattino, quando alle prime luci sarebbe partito nel VEM Vikken, al giorno che avrebbe trascorso in pieno sole, alla caccia grossa nella foresta di felci a sud e al ritorno alla nave, la sera, per consumare una buona bistecca e una birra gelata. Pensò all’acuto piacere della caccia e all’altrettanto acuta consolazione della solitudine: solitudine che si era guadagnato con il dolore e l’incubo patiti un tempo su Hyperion.
Hyperion.
Il Console rientrò, richiamò all’interno la loggia e sigillò la nave proprio mentre iniziavano a cadere i primi goccioloni. Salì la scala a chiocciola che portava alla cabina letto. La stanza circolare era buia, illuminata a tratti dalle silenziose esplosioni dei fulmini che mettevano in risalto i rivoli di pioggia che rigavano il lucernario. Il Console si spogliò, si distese sul materasso duro e accese l’impianto sonico e i microfoni esterni. Ascoltò la furia della tempesta mescolarsi alla Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Venti d’uragano schiaffeggiarono la nave. Il rombo dei tuoni riempì la stanza, mentre dal lucernario entravano lampi di luce biancastra che rimanevano impressi per qualche secondo nella retina.
“Wagner va bene solo per le tempeste” pensò. Chiuse gli occhi, ma dietro le palpebre continuò a scorgere i lampi. Ricordò il riflesso di cristalli di ghiaccio spinti dal vento fra le rovine diroccate sulle basse montagne nei pressi delle Tombe del Tempo, il balenio più gelido dell’acciaio in quell’impossibile albero di spine metalliche che era lo Shrike; ricordò urla nella notte e lo sguardo fisso, dalle molteplici sfaccettature, color rubino e sangue, dello Shrike stesso.
Hyperion.
Il Console ordinò mentalmente al computer di spegnere gli altoparlanti. Con i polsi si coprì gli occhi. Nel silenzio improvviso rimase disteso a meditare sulla follia d’un ritorno su Hyperion. Nel corso degli undici anni come Console su quel remoto, enigmatico mondo, la misteriosa Chiesa Shrike aveva concesso a una decina di chiatte di pellegrini giunti dai mondi esterni di partire per le terre desolate e battute dal vento intorno alle Tombe del Tempo, a nord delle montagne. Nessuno era tornato. E questo accadeva in tempi normali, quando lo Shrike era prigioniero delle maree temporali e di forze che nessuno capiva, quando i campi anti-entropici si estendevano solo a qualche decina di metri dalle Tombe. E non c’era la minaccia dell’invasione degli Ouster.
Il Console pensò allo Shrike, libero di vagabondare dovunque, su Hyperion; ai milioni d’indigeni e alle migliaia di cittadini dell’Egemonia, inermi di fronte a una creatura che sfidava le leggi fisiche e che comunicava solo tramite la morte, e rabbrividì nonostante il caldo della cabina.
Hyperion.
La notte trascorse, la tempesta passò. Un altro fronte tempestoso precedette nel cielo l’alba in arrivo. Gimnosperme alte due metri si piegarono e frustarono l’aria sotto l’acqua torrenziale. Alcuni minuti prima che spuntasse il giorno, la nave nera come l’ebano si alzò su una coda di plasma azzurrino e si lanciò nello spazio per presentarsi all’appuntamento.