CAPITOLO OTTAVO

Ci volle un’ora di appostamento prima che Leo riuscisse a trovare Silver da sola, in un angolo non coperto dalle telecamere del corridoio che conduceva alla palestra a gravità zero.

— C’è un posto dove possiamo parlare in privato? — le chiese. — Voglio dire in privato sul serio.

Lei gettò uno sguardo cauto tutt’attorno, confermando così di aver capito perfettamente la sua richiesta. Ma esitò ugualmente. — È importante?

— Vitale. Si tratta di vita o di morte per tutti i quad. È abbastanza importante?

— Be’… aspetta un minuto o due e poi seguimi.

Camminò a debita distanza, lentamente e con aria casuale, seguendo il lampo dei suoi capelli lucenti e l’azzurro della maglietta, a questo o a quell’incrocio dell’Habitat. Poi, lungo un corridoio, all’improvviso la perse di vista. — Silver…?

— Ssst! — gli sibilò lei all’orecchio. Dal pannello di una parete che pendeva verso l’interno lei protese una delle robuste mani inferiori per trascinarlo dentro, come un pesce sulla lenza.

Per un attimo, l’ambiente dietro la parete gli parve scuro e angusto, poi le porte stagne si aprirono con un sibilo, rivelando una stanza dalla forma strana larga circa tre metri, dentro la quale scivolarono.

— Che luogo è questo? — chiese Leo stordito.

— Il Circolo. Noi lo chiamiamo così. L’abbiamo costruito in questa piccola sacca cieca. Dall’esterno non si nota, a meno che non la si stia cercando con la giusta angolazione. Tony e Pramod hanno costruito le pareti esterne. Siggy si è occupato di tutte le condutture, altri hanno stabilito i collegamenti elettrici… le porte stagne le abbiamo costruite usando pezzi di ricambio.

— E nessuno si è accorto della loro scomparsa?

Il sorriso di lei non fu affatto innocente. — Sono i quad ad occuparsi della registrazione dei dati nei computer. È come se le parti avessero semplicemente cessato di esistere nell’inventario. Abbiamo lavorato in gruppo… l’abbiamo finito appena due mesi fa. Ero certa che la dottoressa Yei e il signor Van Atta ne avrebbero scoperto l’esistenza quando mi hanno interrogata — il sorriso si trasformò in una smorfia al ricordo, — ma non mi hanno mai fatto la domanda giusta. Adesso gli unici video che ci sono rimasti sono quelli che per caso erano stati portati qui, e Darla non ha ancora collegato l’impianto.

Leo seguì la direzione dello sguardo di Silver che si era posato su di un’apparecchiatura olovideo inattiva, chiaramente in corso di riparazione, fissata alla parete. C’erano altre comodità: luci, appigli per le mani, un armadietto a muro che era pieno di sacchetti di cibo disidratato sottratti all’Alimentazione, uva passa, noccioline e simili. Leo fece lentamente il giro della stanza, esaminando nervosamente il lavoro: era solido. — L’idea di questo posto è stata tua?

— Più o meno. Ma comunque non avrei potuto realizzarlo da sola. Renditi conto che è assolutamente contro le regole averti portato qui — aggiunse Silver con una certa aggressività, — per cui è meglio che tu abbia una ragione valida, Leo.

— Silver — disse lui, — è questo tuo modo pragmatico, anzi assolutamente unico, di interpretare le regole, che in questo momento fa di te la quad più preziosa di tutto l’Habitat. Ho bisogno di te, del tuo coraggio e di tutte quelle altre qualità che indubbiamente la dottoressa Yei definirebbe antisociali. Anch’io ho un lavoro che non posso fare da solo — trasse un profondo respiro. — Cosa ne pensereste, voi quad, di avere una vostra cintura degli asteroidi?

— Che cosa? — chiese lei, spalancando gli occhi.

— Bruce sta cercando di tenere la cosa sotto silenzio, ma è stata appena decretata la fine del Progetto Cay… e intendo nel significato più sinistro della parola.

Le riferì nei particolari le voci riguardanti il sistema antigravità e i piani segreti di Van Atta per disfarsi dei quad. Cercando di non lasciarsi trascinare dalla foga le descrisse la sua visione della fuga. Non ebbe bisogno di ripetere nulla due volte.

— Quanto tempo ci resta? — chiese, quando lui ebbe finito.

— Non molto, al massimo qualche settimana. Mancano solo sei giorni per la mia licenza di gravità sul pianeta. Devo trovare un modo per evitarla, perché ho paura che non riuscirei più a tornare qui. Noi… voi quad, dovete scegliere ora. E io non posso farlo per voi, posso solo aiutarvi in alcune parti. Se non riuscirete a salvare voi stessi, sarete perduti, questo è certo.

Silver emise un fischio sommesso, con espressione molto preoccupata. — Per quanto riguarda Tony e Claire, ho pensato… ho pensato che lo stessero facendo nel modo sbagliato. Tony parlava di trovare lavoro, ma lo sai che non aveva pensato di portarsi una tuta da lavoro? Io non voglio fare gli stessi errori. Non siamo fatti per viaggiare da soli, Leo. Forse è una necessità dovuta al modo in cui ci hanno creati.

— Ma puoi convincere gli altri? — chiese Leo ansiosamente. — In segreto? La fine più rapida che riesco ad immaginare per questa piccola rivoluzione è qualche quad che si fa prendere dal panico e spiattella tutto, per fare bella figura. Questa è una cospirazione vera e propria, tutte le regole sono abolite. Io sacrifico il mio lavoro, rischio un processo, ma voi rischiate molto di più.

— Ci sono alcuni che, ehm, dovranno saperlo per ultimi — disse Silver riflettendo. — Ma credo che riuscirò a convincere quelli che contano. Abbiamo dei sistemi per non far sapere le cose ai terricoli.

Leo guardò la stanza, sentendosi stranamente rassicurato.

— Leo… — Gli occhi azzurri di Silver lo fissarono intensamente. — Come ci libereremo dei terricoli?

— Be’, non potremo certo traghettarli su Rodeo, questo è sicuro. Nel momento stesso in cui verranno a saperlo, puoi star certa che all’Habitat verrano tagliati i rifornimenti. — Assediati, fu la parola che gli suggerì la sua mente. — Il sistema a cui aveva pensato era di radunare tutti gli umani in uno stesso modulo, pompando all’interno dell’ossigeno di emergenza, staccarlo dal resto dell’Habitat e usare uno dei rimorchiatori dei razzi trasporto per inserirlo nell’orbita della Stazione di Trasferimento. A quel punto diventeranno un problema della GalacTech, non più nostro. E c’è anche la speranza che il loro arrivo agiti parecchio le acque alla Stazione, permettendoci di guadagnare un po’ più di tempo.

— Come pensi di riuscire a farli entrare tutti nello stesso modulo?

Leo si agitò a disagio. — Be’, è questo il punto di non ritorno, Silver. Qui, intorno a noi, ci sono delle armi, solo che non le riconosciamo perché le chiamiamo «attrezzi». Una saldatrice laser con la sicura disinnescata vale quanto un fucile, e nel laboratorio ce ne sono un paio di dozzine. Puntalo contro i terricoli e grida: «Muovetevi!» e quelli si muoveranno.

— E se non lo fanno?

— Allora devi sparare. O scegliere di non farlo, e così essere portata a terra in attesa di una morte sterile e lenta. E quando farai quella scelta, scegli per tutti, non solo per te stessa.

Silver stava scuotendo il capo. — Non credo che sia poi una grande idea, Leo. E se qualcuno si lascia prendere dal panico e spara davvero? Il terricolo verrebbe orrendamente bruciato.

— Be’… sì, l’idea è questa.

Il viso di Silver ebbe una smorfia di costernazione. — Se devo sparare a Mamma Nilla, preferisco andare sul pianeta a morire!

Leo ricordò vagamente che Mamma Nilla era una delle madri del nido più amate dai quad, una donna grassoccia e piuttosto anziana che lui aveva appena intravisto, poiché le sue classi non erano frequentate dai quad più giovani. — Io stavo pensando più alla possibilità di sparare a Bruce — confessò Leo.

— Non sono sicura che potrei fare una cosa simile neppure al signor Van Atta — disse piano Silver. — Hai mai visto una brutta ustione, Leo?

— Sì.

— Anch’io.

Seguì un breve silenzio.

— Non possiamo ingannare con le minacce i nostri insegnanti — aggiunse Silver. — È sufficiente che Mamma Nilla dica: «Siggy! Dammi quell’affare» con quel suo particolare tono, e lui lo farebbe. Non è… non è un piano molto furbo, Leo.

Leo strinse i pugni esasperato. — Ma dobbiamo mandare via i terricoli dall’Habitat, o non potremo fare il resto! Se non ci riusciamo, non faranno altro che impadronirsene di nuovo e vi ritroverete in condizioni peggiori di prima.

— Va bene! Va bene! Dobbiamo liberarci di loro. Ma non è quello il modo. — Si interruppe, guardandolo dubbiosa. — Tu riusciresti a sparare contro Mamma Nilla? Pensi davvero che… diciamo Pramod, riuscirebbe a sparare contro di te?

Leo sospirò. — Probabilmente no, non a sangue freddo. Anche i soldati in battaglia devono raggiungere uno speciale stato di eccitazione mentale per essere indotti a sparare contro un perfetto sconosciuto.

Silver sembrò sollevata. — Va bene, allora che altro si dovrebbe fare, ammettendo che riusciamo ad impadronirci dell’Habitat?

— La ristrutturazione dell’Habitat si può effettuare con attrezzi e forniture che si trovano già qui, anche se tutto dovrà essere attentamente razionato. L’Habitat dovrà essere difeso da ogni tentativo della GalacTech di impadronirsene di nuovo, mentre i lavori saranno in svolgimento. I saldatori ad alta densità di energia potrebbero essere molto efficaci per scoraggiare eventuali tentativi di abbordarci con i traghetti… ammesso che si riesca a indurre qualcuno ad usarli — aggiunse con una punta di rimprovero. — Nella flotta della Compagnia fortunatamente non sono incluse astronavi corazzate da guerra, che ci possano attaccare. Una vera forza militare non impiegherebbe molto a porre fine a questa piccola rivoluzione, capisci. — La sua immaginazione gli fornì dettagli non richiesti, e sentì una forte contrazione allo stomaco. — La nostra unica e vera difesa è andarcene prima che la GalacTech possa farne arrivare una fin qui. Per questo avremo bisogno di un pilota di balzo.

La studiò con un’espressione strana. — E qui entri in gioco tu, Silver. So di un pilota che molto presto dovrà passare dalla Stazione di Trasferimento, e che potrebbe, ehm, essere più facile da sequestrare di altri. Soprattutto se tu verrai con noi per compiere una personale opera di persuasione.

— Ti.

— Ti — confermò Leo.

Lei si fece dubbiosa. — Può darsi.

Leo combatté un’altra forte ondata emotiva. Ti e Silver avevano una relazione che risaliva a prima del suo arrivo, e quindi non era come se stesse facendo il mezzano. Era un passo dettato dalla logica. Ma di colpo si rese conto che ciò che voleva veramente era di tenerla il più lontano possibile dal pilota. Per fare cosa? Tenerla per te? Sii serio, sei troppo vecchio per lei. Ti aveva… quanto? Venticinque anni, forse. E probabilmente era anche un tipo gelosissimo, per quello che ne sapeva lui. Silver non poteva non preferirlo. Molto virtuosamente, Leo cercò di sentirsi vecchio. Non era difficile: la maggior parte dei quad lo facevano sentire come se avesse ottant’anni. Si costrinse a riportare la mente agli affari più urgenti.

— La terza cosa che deve essere fatta subito — Leo pensò a come aveva strutturato la frase e concluse che purtroppo era corretto, — è impadronirci di un’astronave da carico a balzo. Se aspettiamo di farlo dopo aver spinto l’Habitat fino al corridoio, la GalacTech avrà il tempo di trovare un sistema per difenderla. Ad esempio, facendo compiere a tutte il balzo dalla parte di Orient IV, lasciandoci con un palmo di naso e aspettando che ci arrendiamo. Questo significa — rifletté costernato sul logico passo successivo, — che dovremo inviare qualcuno al corridoio per rubarne una. E io non potrò accompagnarli ed essere al tempo stesso qui a difendere e ristrutturare l’Habitat… dovranno andarci i quad. Non so… — proseguì sconfortato, — forse non è una grande idea, dopotutto.

— Manda Ti con loro — fu il suggerimento di Silver. — Delle astronavi da carico lui ne sa più di tutti noi.

— Mmm — disse Leo, ritrovando una punta di ottimismo. Se si doveva preoccupare delle probabilità di riuscita di quella fuga, allora poteva cedere le armi fin da adesso, evitando il problema. Al diavolo le probabilità. Doveva credere in Ti. Se era necessario, avrebbe creduto negli elfi, negli angeli e anche nella fata del dentino.

— Questo significa che convincere Ti passa al primo posto nel nostro piano d’azione — disse Leo, riflettendo ad alta voce. — E dal momento in cui si accorgeranno della sua scomparsa, saremo allo scoperto, e ci troveremo a correre contro il tempo. Questo significa che tutti i piani per spostare l’Habitat vanno programmati… in anticipo. E… Oh, cielo! — Gli occhi di Leo si illuminarono.

— Che cosa?

— Ho appena avuto un’idea brillante per procurarci un vantaggio…


Leo scelse con molta cura il momento del suo ingresso, aspettando che Van Atta fosse stato rinchiuso almeno due ore nel suo ufficio dell’Habitat. Il capo del progetto a quel punto avrebbe cominciato a pensare alla sua pausa per il caffè, dopo avere raggiunto quel punto di stanchezza che subentra quando ci si dedica ad un nuovo problema, in quel caso lo smantellamento dell’Habitat. Leo era in grado di raffigurarsi con precisione lo stadio di confusione della programmazione: ci era passato lui stesso circa otto ore prima, quando nel suo alloggio aveva lavorato febbrilmente alla consolle del computer. Il codice militare di sicurezza di cui egli era in possesso dai tempi del progetto dell’incrociatore Argus aveva fatto miracoli. Leo era certissimo che nessuno nell’Habitat, né Van Atta né, men che meno, la dottoressa Yei, possedevano una chiave d’accesso più alta della sua.

Van Atta sollevò lo sguardo imbronciato da dietro un ammasso di carte, mentre lo schermo del suo computer lampeggiava con diagrammi di ogni genere dell’Habitat. — Che cosa c’è, Leo? Sono occupato. Chi può, agisca, e chi non può, insegni.

E quelli che non sanno insegnare, terminò silenziosamente Leo, passino in amministrazione. Mantenne il solito sorriso neutro, evitando di far trasparire i suoi pensieri anche solo con uno scintillio degli occhi. — Ho pensato molto, Bruce — gli disse con voce mielata. — Voglio offrirmi volontario per il lavoro di smantellamento dell’Habitat.

— Davvero? — Van Atta sollevò un sopracciglio, sconcertato, e poi lo riabbassò, sospettoso. — Perché?

Se gli avesse detto che lo faceva per bontà di cuore, di certo non gli avrebbe creduto, ma Leo aveva una risposta pronta. — Perché, per quanto mi dispiaccia doverlo ammettere, ancora una volta aveva ragione lei. Ho pensato a quello che ricaverò da questo incarico: contando il tempo passato in viaggio, ho sprecato quattro mesi della mia vita, anzi, di più. Quando tutto sarà finito non mi resterà altro che qualche nota di demerito sul curriculum.

— Se le è volute lei — e al ricordo Van Atta si sfregò la guancia sulla quale l’ecchimosi stava assumendo una colorazione verdognola.

— Ho perduto un po’ il senso della prospettiva — ammise Leo. — Ma adesso l’ho riacquistato.

— Un po’ tardi — disse acido Van Atta.

— Ma potrei fare un buon lavoro — ribatté Leo, chiedendosi come si potesse ottenere, in assenza di peso, l’effetto di un cane che scondinzola. Meglio non esagerare. — Ho bisogno di una nota di merito, qualcosa che faccia da contrappeso a quelle note di biasimo. Ho avuto delle idee che potrebbero portare a un’alta percentuale di recupero materiali, riducendo di parecchio le perdite. Questo le toglierebbe dalle mani tutto il lavoro fastidioso, lasciandola libera di pensare ai problemi amministrativi.

— Uhm — disse Van Atta, visibilmente allettato dalla prospettiva di veder tornare il suo ufficio all’antica e incontaminata serenità. Studiò Leo, socchiudendo le palpebre. — Molto bene… lo prenda. Qui ci sono i miei appunti, sono tutti suoi. Ah, solo si ricordi di mandare i progetti e i rapporti tramite il mio ufficio, mi incaricherò io di inoltrarli. Dopo tutto, quello è il mio vero lavoro: amministrazione.

— Certamente — Leo raccolse il fascio di carte. Sì, inviarli tramite te… così potrai mettere il tuo nome al posto del mio. Leo riusciva quasi a vedere le rotelline che giravano, riflesse nello sguardo calcolatore di Van Atta. Leo fa tutto il lavoro e Van Atta gli soffia il merito. Oh, certo che ti prenderai il merito per come finirà questo progetto, piccolo Bruce, te lo prenderai tutto.

— Mi servirebbe qualche altra cosa — chiese in tono umile. — Vorrei che tutti gli equipaggi quad dei rimorchiatori che possono essere allontanati dai turni normali venissero aggiunti alle mie classi. Quegli inutili ragazzini impareranno a lavorare come non hanno mai fatto prima. Equipaggiamento, provviste, autorizzazione a richiedere rimorchiatori e carburante… devo iniziare dei controlli in loco… e devo poter essere in grado di reclutare altra mano d’opera quad all’occorrenza. D’accordo?

— Oh, sta offrendosi volontario anche per il lavoro manuale? — Il viso di Van Atta venne attraversato da una vendicativa cupidigia, seguita poi dal dubbio. — Ricordi che la cosa deve restare segreta fino all’ultimo istante.

— Posso far passare la programmazione preliminare come un compito in classe di teoria. Guadagneremo una settimana o due. Ma alla fine bisognerà dirglielo, lo sa.

— Non troppo presto. La responsabilità di tenere sotto controllo quelle scimmiette è sua, capito?

— Capito. Ho l’autorizzazione? Oh… ho anche bisogno di ottenere un rinvio della mia licenza sul pianeta.

— Il Quartier Generale non ama queste cose: responsabilità.

— Qui si tratta di lei o di me, Bruce.

— Vero… — Van Atta agitò una mano, già pronto a crogiolarsi nell’usuale languore dopo la frenetica attività — Va bene, avrà tutto ciò che chiede.

Un assegno in bianco. Leo mascherò un sogghigno da lupo con un sorriso servile. — Se ne ricorderà, vero Bruce… dopo?

Van Atta scoprì i denti. — Glielo garantisco, Leo. Io mi ricordo tutto.

Leo uscì inchinandosi, mormorando parole di gratitudine.


Silver infilò la testa dentro la porta del cubicolo privato della madre del nido: — Mamma Nilla?

— Ssst! — Mamma Nilla si mise un dito sulle labbra, accennando con il capo in direzione di Andy, addormentato nel sacco appeso alla parete, da cui spuntava solo il viso. Sussurrò: — Per amor del cielo, non svegliare il bambino. È stato così nervoso… credo che il latte artificiale non gli piaccia. Vorrei che tornasse il dottor Minchenko. Aspetta, esco io nel corridoio.

Le porte stagne si chiusero dietro di lei con un sibilo. Preparandosi per la notte, Mamma Nilla aveva sostituito la tuta rosa da lavoro con un pigiama a fiori che metteva in risalto l’ampio seno. Silver represse il desiderio di stringersi sul suo morbido petto come faceva da bambina nei momenti di disperazione; era troppo grande ora, per le coccole, si disse con decisione. — Come va Andy? — chiese invece, accennando verso le porte chiuse.

— Uhm, bene — disse Mamma Nilla. — Anche se spero di riuscire a risolvere presto questo problema del latte artificiale. E… be’… non mi azzarderei a chiamarla depressione, ma sembra che la sua capacità di attenzione sia diminuita, ed è agitato. Ma non dirlo a Claire, povera cara, ha già abbastanza guai. Dille che sta bene.

Silver annuì. — Capisco.

Mamma Nilla aggrottò la fronte, pensierosa. — Ho inoltrato una protesta scritta, ma il mio supervisore l’ha bloccata. Cattiva scelta di tempo, mi ha detto. Bah. È più probabile che il signor Van Atta le abbia messo paura. Potrei proprio… ehm. Comunque, ho continuato a presentare note di straordinari e ho anche richiesto l’assegnazione di un’assistente extra al mio nido. Forse, quando si renderanno conto che questa follia costa del denaro, la smetteranno. Credo che questo tu possa dirlo a Claire.

— Sì — rispose Silver, — ha bisogno di una speranza.

Mamma Nilla sospirò. — Tutta questa faccenda mi ha molto scossa. Ma cosa è venuto in mente a quei ragazzi di cercare di fuggire? Avrei voglia di dare una scrollata a Tony. E in quanto a quella stupida guardia di sicurezza, avrei voglia… be’… — scosse il capo.

— Hai qualche altra notizia di Tony che io possa riferire a Claire?

— Ah, sì. — Mamma Nilla guardò in su e in giù nel corridoio, per assicurarsi che nessuno le sentisse. — Il dottor Minchenko mi ha chiamata ieri sera sul canale riservato. Mi ha assicurato che Tony è fuori pericolo, sono riusciti a fermare l’infezione. Ma è ancora molto debole. Il dottor Minchenko pensa di riportarlo all’Habitat al suo rientro dalla licenza di gravità. Pensa che quassù Tony si riprenderà più in fretta. Ecco una buona notizia che puoi riferire a Claire.

Silver fece dei rapidi calcoli, contando sulle dita inferiori, fuori dalla portata visiva di Mamma Nilla, e respirò sollevata. Poteva riferire a Leo che uno dei loro grossi problemi era risolto. Tony sarebbe tornato prima dello scoppio della rivolta. E il suo ritorno poteva anche diventare il segnale dell’inizio della sommossa. Un sorriso le illuminò il volto. — Grazie, Mamma Nilla. Questa è una buona notizia.


Rivoluzione 101 per i Disorientati, decise cupo Leo, avrebbe dovuto essere il titolo del suo corso. O, peggio ancora, 050: Rivoluzione Correttiva.

Al cerchio di quad in attesa, che era sospeso attorno a lui nel modulo, si erano aggiunti gli equipaggi fuori servizio dei rimorchiatori e tutti i quad più grandi non di turno che Silver era riuscita a contattare di nascosto. Sessanta o settanta, in tutto. Il modulo dove si svolgeva la lezione era affollatissimo, e questo fece balzare la mente di Leo ai problemi di consumo di ossigeno e ai piani di riciclaggio per l’Habitat ristrutturato. L’aria era satura di tensione e ricca di anidride carbonica. Leo si rese conto che le voci si erano già sparse, e Dio solo sapeva in quale forma distorta. Era arrivato il momento di sostituire le voci con i fatti.

Silver diede il segnale di via libera, voltando tutti e quattro i pollici verso l’alto e sorridendo a Leo, mentre un ultimo quad in maglietta si affrettava a entrare. Le porte stagne si chiusero, e lei rimase fuori per fare da guardia nel corridoio.

Leo assunse la sua posizione di insegnante nel centro. Il centro, il mozzo della ruota, dove si concentrano tutte le tensioni. Dopo qualche gomitata, spinta e sussurro, tutti tacquero, ascoltandolo in un silenzio che quasi spaventava tanto era carico di attenzione. Si udiva persino il loro respiro. Avremmo bisogno di te, anche se tu non fossi un ingegnere, Leo gli aveva fatto notare Silver. Siamo troppo abituati a prendere ordini dalle persone con le gambe.

Stai dicendo che vi serve un uomo di paglia? aveva chiesto lui divertito.

Si chiama così? Lo sguardo di lei era freddamente pragmatico.

Stava diventando troppo vecchio, il suo cervello andava in corto circuito al ritmo di qualche lontana musica rock, e ritornava ai ritmi più rumorosi della sua adolescenza. Lascia che sia il tuo uomo di paglia, tesoro. Chiamami Leo. Chiamami in ogni momento, di giorno e di notte. Lascia che ti aiuti. Gettò un’occhiata alle porte stagne chiuse. L’uomo che agitava il bastone in prima fila, nella parata, guidava il corteo… o veniva spinto davanti ad esso? Ebbe la spiacevole premonizione che presto avrebbe avuto la risposta. Trasse un gran respiro e riportò la propria attenzione sui suoi studenti.

— Come alcuni di voi avranno già sentito — esordì, e le parole caddero come sassi in uno stagno ammutolito, — una nuova tecnologia per la gravità è stata sviluppata sui pianeti esterni. Pare che sia basata su una variazione delle equazioni di Necklin dei tensori di campo, le stesse che sono alla base della tecnologia che usiamo per attraversare quelle pieghe dello spazio-tempo che chiamiamo corridoi. Non sono ancora riuscito ad avere le specifiche tecniche, ma pare che sia già stata sviluppata fino allo stadio della commerciabilità. Strettamente parlando, la possibilità teorica non era certo nuova, tuttavia non mi sarei aspettato di vederne le applicazioni pratiche durante il corso della mia vita. Evidentemente non se lo aspettavano neppure coloro che hanno creato voi quad.

«C’è una strana simmetria in tutto ciò. Il balzo in avanti nell’ingegneria genetica che ha reso possibile la vostra creazione era basato sul perfezionamento di una nuova tecnologia: il simulatore uterino, sviluppato sulla Colonia Beta. Ora, solo una generazione più tardi, la nuova tecnologia che vi rende obsoleti arriva dalla stessa fonte. Perché è questo che siete diventati, ancor prima di entrare in servizio… tecnologicamente sorpassati. Almeno dal punto di vista della GalacTech. — Leo prese fiato, osservando le loro reazioni.

— Ora, quando una macchina diventa obsoleta, la scartiamo. Quando l’addestramento di un uomo è superato, lo rimandiamo a scuola. Ma la vostra obsolescenza è connaturata in voi. Si tratta di un errore crudele, o… - e si interruppe, per dare enfasi alle sue parole, — della più grande opportunità per diventare un popolo libero.

— Non… non prenderei appunti — disse con voce soffocata, quando le teste si chinarono automaticamemte sulle lavagnette, evidenziando le sue parole con le penne luminose a mano a mano che scorrevano sullo schermo. — Questa non è una lezione, è vita vera. — Dovette interrompersi un attimo per ricomporsi. Era certo che qualcuno di loro, nelle ultime file, stesse ancora sottolineando «niente appunti… vita vera» a causa di un riflesso condizionato.

Pramod, che galleggiava lì vicino, sollevò lo sguardo, con gli occhi scuri carichi di agitazione. — Leo? Circola la voce che ci porteranno tutti sul pianeta, per poi spararci addosso, come a Tony.

Leo fece un sorriso acido. — Questa è l’eventualità meno probabile. Vi porteranno sul pianeta, certo, ma per rinchiudervi in una specie di campo di concentramento. Ma è così che si perpetra un genocidio mantenendo la coscienza pulita. Un amministratore vi passerà all’altro, e così via. Diventerete una spesa di routine nell’inventario; e le spese aumenteranno, come fanno sempre. Come contromisura, gli impiegati a terra assegnati come appoggio verranno gradualmente ritirati, perché la Compagnia vi avrà definito autosufficienti. L’equipaggiamento vitale si deteriorerà con il tempo. I guasti si faranno sempre più frequenti, la manutenzione e i rifornimenti sempre più saltuari.

«Poi, una notte, senza che nessuno dia un ordine o prema un grilletto, si verificherà un guasto critico. Allora invierete una richiesta di aiuto. Nessuno però saprà chi siete. Nessuno saprà cosa fare. Quelli che vi avevano sistemati laggiù se ne saranno andati ormai da un pezzo. Nessun eroe prenderà l’iniziativa, perché lo spirito d’iniziativa sarà stato nel frattempo prosciugato da lagnanze amministrative e allusioni scoraggianti. L’ispettore incaricato delle indagini, dopo aver contato i corpi, scoprirà con sollievo che siete solo delle giacenze di magazzino. Senza rumore, si chiuderanno i libri del Progetto Cay. Finis. Chiuso. Ci vorranno vent’anni, forse solo dieci o anche cinque. Semplicemente, verrete dimenticati fino alla vostra morte.

Pramod si portò una mano alla gola, come se già sentisse gli effetti dell’aria tossica di Rodeo. — Penso che preferirei farmi sparare.

Oppure - Leo alzò la voce, — potete prendere in mano le vostre vite. Venite con me e rischiate il tutto per tutto. Una grande scommessa per una grande ricompensa. Lasciate che vi parli — e deglutì, cercando di trovare il coraggio, facendo appello alla megalomania, perché di certo solo un maniaco avrebbe potuto portare al successo quell’impresa, — lasciate che vi parli della Terra Promessa…

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