CAPITOLO SEDICESIMO

— Non avete ancora finito, là fuori? — gracchiò la voce tesa di Ti nell’interfono.

— Un’ultima saldatura, Ti — rispose Leo. — Tony, controlla ancora quell’allineamento.

Tony agitò una mano guantata in cenno d’assenso e fece scorrere il laser ottico lungo la linea che il saldatore a elettroni avrebbe di lì a poco seguito. — Puoi andare, Pramod — gridò, e si spostò di lato.

Il saldatore avanzò sulle rotaie, sistemando una flangia per l’ultima ganascia che doveva fissare il nuovo riflettore di vortice nel suo alloggiamento. Dalla punta della saldatrice scaturì un lampo prima rosso e poi verde, infine si spense e Pramod si avvicinò per staccarlo. Bobbi galleggiò subito dietro di lui per controllare la saldatura con un rilevatore sonico. — È buona, Leo. Resisterà.

— Bene. Levate di mezzo tutta la roba e portate dentro il riflettore.

I quad si mossero rapidamente. Dopo pochi minuti, il riflettore di vortice era stato inserito nelle ganasce ricoperte di materiale ìsolante e l’allineamento controllato. — Bene, ragazzi. Spostiamoci e lasciamo che Ti faccia la prova del fumo.

— La prova del fumo? — ripeté la voce di Ti nella radio. — E che cos’è? Pensavo che volessi una potenza del dieci per cento.

— È un termine di vecchia data per definire l’ultimo collaudo in ogni progetto tecnico — spiegò Leo. — Accendilo e vedi se fuma.

— Avrei dovuto indovinarlo — ridacchiò Ti. — Suona molto scientifico.

— La prova finale è sempre l’uso. Ma sta attento a dare energia molto lentamente, eh? Con dolcezza. Abbiamo una signora molto delicata, qui.

— L’hai già detto almeno otto o dieci volte, Leo. Quell’aggeggio è nei parametri o no?

— Nei parametri. Almeno sulla superficie. Ma la struttura cristallina interna del titanio… be’, non è stata controllata proprio come in una fabbricazione normale.

— È nei parametri oppure fuori? Non ho nessuna intenzione di far compiere un balzo a mille persone verso una morte sicura, dannazione. Soprattutto se fra di esse vi sono anch’io.

— Nei parametri, nei parametri — disse Leo a denti stretti. — Solo… non fare troppi giochetti, eh? Per rispetto alla mia pressione, se non altro.

Ti borbottò qualcosa, che avrebbe potuto essere all’inferno la tua pressione, ma Leo non ne era sicuro e non gli chiese di ripetere.

Leo e la sua squadra raccolsero le apparecchiature e si allontanarono a distanza di sicurezza dal braccio della barra Necklin. La luce del sole di Rodeo era pallida e sottile, là, a un’ora di distanza dal punto di balzo del corridoio; più luminosa di una stella, ma certo non la fornace nucleare che aveva riscaldato l’Habitat nell’orbita di Rodeo.

Leo colse l’opportunità di osservare la loro nave-colonia da quell’angolazione vantaggiosa. Più di cento moduli erano stati uniti insieme lungo l’asse della nave, tutti ancora adibiti, più o meno, alle loro funzioni originarie. Che gli venisse un colpo se la disposizione non sembrava quasi voluta, in una sorta di funzionalità un po’ folle. A Leo faceva venire in mente l’eccitante bruttezza delle prime sonde spaziali del ventesimo e ventunesimo secolo.

Miracolosamente, aveva retto brillantemente durante quei due giorni di accelerazione e decelerazione costante. Si era scoperto, inevitabilmente, che qualche dettaglio qua e là era stato trascurato. Con molto impegno, i quad più giovani avevano fatto un buon lavoro rimettendo in ordine tutto quanto; il reparto Alimentazione era riuscito a nutrire tutti, anche se il menù era un tantino improvvisato; grazie ai coraggiosi sforzi di quel giovane sovrintendente della Manutenzione Sistemi di Aerazione che era rimasto con loro e della sua squadra di quad, non avevano più dovuto interrompere l’accelerazione per permettere il funzionamento degli impianti idraulici. Per un po’ Leo aveva avuto la certezza che quelle fermate, per quanto brevi, sarebbero state fatali a tutti loro, anche se non aveva certo mancato di approfittare della cosa per dare gli ultimi ritocchi al riflettore di vortice.

— Vedi del fumo? — chiese la voce di Ti.

— No.

— Allora ci siamo. È meglio che portiate dentro i vostri sederini al sicuro. E appena avrai sistemato tutto, Leo, apprezzerei una tua visita qui, nella cabina di pilotaggio.

Qualcosa, nel tono della voce di Ti gli procurò un brivido. — Oh? Che succede?

— C’è una navetta della Sicurezza in avvicinamento da Rodeo. Il tuo vecchio amicone Van Atta è a bordo e ci ordina di fermarci e desistere. Non credo che ci resti molto tempo.

— Continuate a mantenere il silenzio radio, spero?

— Oh, certo, naturalmente. Ma questo non mi impedisce di ascoltare, no? Arrivano un sacco di chiacchiere dalla Stazione di Balzo… ma non mi preoccupano come quelle che sento arrivare alle nostre spalle. Io credo che… uhm, Van Atta non sopporti molto bene il senso di frustrazione.

— È al limite, eh?

— Oltre, credo. Quelle navette della Sicurezza sono armate, sai, e nello spazio normale sono molto più veloci di questo mostro. Il fatto che i loro laser siano classificati come «armamento leggero» non significa che sia proprio salubre finirci davanti. Preferirei compiere il balzo prima che arrivino a distanza di tiro.

— Ho capito. — Leo diresse la sua squadra verso il portello del modulo-spogliatoio.

Così, erano arrivati alla resa dei conti. Leo aveva pensato a una dozzina di piani di difesa, come mine esplosive e saldatori a raggi, per l’atteso scontro fisico con il personale della GalacTech che avrebbe cercato di riprendersi l’Habitat. Ma tutto il suo tempo era stato assorbito dal riflettore di vortice e quindi in quel momento, le uniche armi pronte e disponibili erano le saldatrici e anche queste non sarebbero servite a molto in una battaglia che si svolgesse all’interno. Non faceva fatica ad immaginare qualcuno che mancava il bersaglio mentre il raggio perforava la parete penetrando nel modulo-nido là accanto. In assenza di peso, i quad potevano essere avvantaggiati in un corpo a corpo, ma le armi annullavano quel vantaggio, perché erano molto più pericolose per i difensori che per gli attaccanti. Tutto dipendeva dal tipo di attacco che Van Atta avrebbe lanciato. E Leo odiava dipendere da Van Atta.


Van Atta imprecò un’ultima volta nel microfono e poi rifilò un colpo rabbioso al pulsante di accensione. Da ore ormai aveva terminato il suo repertorio di improperi e sapeva di ripetersi. Volse le spalle alla consolle delle comunicazioni e lanciò un’occhiata infuriata alla cabina di controllo della navetta della Sicurezza.

Nella parte anteriore, il pilota e il copilota erano immersi nel loro lavoro. Bannerji, al comando delle forze di attacco e la dottoressa Yei (ma come aveva fatto a infiltrarsi in quella spedizione?), erano legati nelle cuccette di accelerazione, Yei in quella del tecnico e Bannerji in quella della postazione armamenti dall’altra parte della corsia, davanti a Van Atta.

— Allora ci siamo — sbottò Van Atta. — Siamo già a distanza per il laser?

Bannerji controllò uno strumento: — Non proprio.

— La prego — disse la dottoressa, — mi lasci parlare con loro ancora una volta…

— Se sono nauseati dal suono della sua voce solo la metà di quanto lo sono io, allora non risponderanno — ringhiò Van Atta. — Gli ha parlato per ore, cerchi di rendersene conto: non la ascoltano più, Yei. Ecco dove va a finire la psicologia.

Fors, il sergente della Sicurezza, sporse la testa dallo scompartimento in cui viaggiava con le altre ventisei guardie della GalacTech. — Quali sono gli ordini, capitano Bannerji? Dobbiamo infilarci le tute per l’attacco?

Bannerji sollevò un sopracciglio in direzione di Van Atta. — Be’, signor Van Atta? Qual è il piano? Mi sembra che dobbiamo cancellare tutti quelli che prevedevano la loro resa.

— L’ha detto. — Van Atta guardò cupo lo schermo comunicazioni che restava grigio e vuoto. — Appena sono a tiro, aprite il fuoco su di loro. Per prima cosa mettete fuori uso le barre Necklin, poi, se ci riuscite, i propulsori normali. Poi spariamo, apriamo un varco, entriamo e iniziamo il rastrellamento.

Il sergente Fors si schiarì la gola. — Lei ha detto che c’erano mille di quei mutanti a bordo, vero signor Van Atta? Che ne direbbe di lasciar perdere la parte relativa all’abbordaggio e limitarci a prendere a rimorchio l’intera nave, riportandola dove vuole lei? Le probabilità di riuscita di un abbordaggio non sono un tantino… uhm, sproporzionate?

— Se la prenda con Chalopin. È stata lei a rifiutarsi di reclutare gente al di fuori della Sicurezza. Ma le proporzioni non sono quelle che sembrano. I quad sono degli smidollati. Per l’amor del cielo, la metà di loro sono bambini al di sotto dei dodici anni. Entrate e stordite tutto quello che si muove. Quante ragazze di cinque anni pensa di riuscire a tenere a bada, lei, Fors?

— Non lo so, signore — rispose Fors sbattendo le palpebre. — Non mi sono mai immaginato a combattere contro delle bambine di cinque anni.

Bannerji tamburellò sulla consolle e guardò la dottoressa Yei. — Quella ragazza con il bambino, quella a cui per poco non sparavo quel giorno nel magazzino, è a bordo, dottoressa Yei?

— Claire? Sì — rispose la dottoressa in tono neutro.

— Ah! — Bannerji distolse lo sguardo dagli occhi penetranti della donna e si agitò sul sedile.

— Speriamo che la sua mira sia migliore questa volta, Bannerji — disse Van Atta.

Bannerji fece ruotare sul video i disegni di una supernave, facendo dei brevi calcoli. — Lei si rende conto — disse lentamente, — che nella realtà ci saranno un certo numero di fattori imponderabili… ci sono buone probabilità che finiremo con fare dei buchi anche nei moduli abitati mentre cerchiamo di centrare le barre Necklin.

— Non importa — disse Van Atta. Bannerji fece una smorfia dubbiosa. — Senta, capitano — aggiunse Van Atta in tono impaziente, — I quad sono… si sono resi sacrificabili, trasformandosi in criminali. Non è diverso da sparare a un ladro in fuga o a qualunque altro scassinatore. E poi non si può fare una frittata senza rompere le uova.

La dottoressa Yei si passò le mani sul viso. — Per Krishna! — gemette, rivolgendo un sorriso tirato e molto particolare a Van Atta. — Mi chiedevo quando lo avrebbe detto. Avrei potuto scommetterci…

Van Atta assunse un atteggiamento difensivo. — Se lei avesse fatto bene il suo lavoro — ribatté sullo stesso tono, — adesso non saremmo qui a rompere le uova. Ci saremmo potuti limitare a farle bollire con tutto il guscio giù a Rodeo. E non mancherò di farlo notare all’amministrazione, quando sarà il momento, mi creda. Ma non devo più discutere con lei. Per tutto quello che intendo fare, ho l’autorizzazione necessaria.

— Che non mi ha mostrato.

— Chalopin e il capitano Bannerji l’hanno vista. Se potessi fare a modo mio, lei da questo ne uscirebbe con un licenziamento, Yei.

La dottoressa tacque, ma riconobbe la minaccia con un ironico cenno del capo. Si appoggiò allo schienale incrociando le braccia, apparentemente ammutolita, finalmente. Grazie a Dio, aggiunse tra sé Van Atta.

— Indossate le tute, Fors — ordinò al sergente.


La cabina di pilotaggio del D-620 era una stanza affollata. Ti, sulla poltrona di comando, troneggiava sotto il suo casco sospeso in aria; Silver era alle comunicazioni, e Leo… be’, forse occupava il posto del tecnico-capo di bordo. A quel punto la catena di comando si faceva un tantino confusa. Forse il suo grado doveva essere quello di Pessimista Ufficiale della Nave. Ora che tutte le sue azioni erano confluite nel punto di non ritorno, aveva lo stomaco sottosopra e la gola chiusa.

— La navetta ha smesso di trasmettere — riferì Silver.

— È un sollievo — rispose Ti. — Puoi alzare il volume, adesso.

— Non è un sollievo — disse Leo. — Se hanno smesso di parlare, forse sono pronti ad aprire il fuoco. — Ed era troppo tardi, erano troppo vicini al punto di balzo per far uscire una squadra con le saldatrici laser per rispondere al fuoco.

Ti accennò a una smorfia, sconfortato, e chiuse gli occhi: il D-620 sembrò inclinarsi sotto la spinta dell’accelerazione. — Siamo quasi al punto di balzo — disse.

Leo controllò un monitor. — E loro sono quasi a distanza di tiro… — tacque, e poi aggiunse: — sono a distanza di tiro.

Ti emise un suono acuto e si infilò il casco. — Accendo il campo Necklin…

Dolcemente - esclamò Leo. — Il mio riflettore di vortice…

La mano di Silver cercò quella di Leo, il quale venne sopraffatto dal desiderio di chiedere scusa a Silver, ai quad, a Dio, a non sapeva chi altro. Sono stato io a trascinarvi in questo… mi spiace.

— Se apri una frequenza, Silver — disse disperatamente, con la testa annebbiata dal panico… tutti quei bambini… — possiamo ancora arrenderci.

— Mai — disse Silver e gli strinse con forza la mano, mentre i suoi occhi azzurri cercavano quelli di Leo. — E io scelgo per tutti, non solo per me stessa. Noi andiamo.

Leo digrignò i denti e annuì brevemente. I secondi rimbombarono nella sua mente, scandendo i battiti del suo cuore. Nel monitor, la navetta della Sicurezza ingrandiva rapidamente.

— Perché non fanno fuoco ora? — chiese Silver.


— Fuoco — ordinò Van Atta.

Le immagini schematizzate e luminose sul computer di Bannerji si avvicinarono all’allineamento, i numeri lampeggiarono, le luci cominciarono a convergere. Van Atta notò che la dottoressa Yei non era più al suo posto. Probabilmente si era nascosta nel gabinetto. Quella dose massiccia di vita reale e di conseguenze altrettanto reali erano state troppo per lei. Proprio come uno di quei politici codardi, pensò Van Atta con disprezzo, che con le loro parole portano la gente verso il disastro e poi scompaiono quando si comincia a sparare…

— Fuoco ora - ripeté, rivolto a Bannerji, quando il computer lampeggiò, pronto sul bersaglio.

La mano del capitano si mosse verso il pulsante di fuoco e poi esitò. – Ha un’autorizzazione per questo? – chiese all’improvviso.

— Se ho cosa? – disse van Atta.

— Un’autorizzazione. Mi è venuto in mente che, tecnicamente, questo potrebbe essere considerato uno spreco di risorse. Ci vuole un documento firmato da chi ne fa richiesta, cioè lei, dal mio supervisore, cioè l’amministratore Chalopin, e dal Dirigente dell’Amministrazione Sprechi Inutili.

— Chalopin l’ha messa a mia disposizione. E questo rende la cosa ufficiale, caro mio!

— Ma non completa. Il Dirigente dell’Amministrazione Sprechi Inutili è Laurie Gompf, e lei si trova su Rodeo. La sua autorizzazione non ce l’ho. L’autorizzazione è incompleta. Mi spiace, signore. – Bannerji lasciò la consolle degli armamenti e si sistemò nel sedile del tecnico, incrociando le braccia. – Non rischio il mio lavoro per portare a termine un inutile spreco di risorse senza un ordine specifico. Ed è necessario anche un Accertamento dell’Impatto Ambientale.

— Questo è ammutinamento! – urlò Van Atta.

— No, non lo è – lo contraddisse Bannerji in tono cordiale. – Qui non siamo nell’esercito.

Van Atta, paonazzo in viso, fissò Bannerji, che si stava guardando le unghie e con un’imprecazione si tuffò nel sedile degli armamenti e riaggiustò la mira. Avrebbe dovuto saperlo: se vuoi che sia fatta qualcosa, pensaci da solo; esitò, mentre i parametri ingegneristici di una supernave di classe D gli scorrevano nella mente. In quale parte di quella complessa struttura poteva piazzare un colpo che non solo disattivasse le barre, ma facesse saltare in aria i propulsori principali?

Cremazione, davvero. E le morti dei quattro o cinque terrestri a bordo, potevano, eventualmente, essere imputate a Bannerji… Io ho fatto del mio meglio, signora… se lui avesse fatto il suo lavoro come gli avevo chiesto fin dall’inizio…

Le schematiche ruotarono nell’olovideo. Ci doveva essere un punto nelle strutture… sì, eccolo! Se fosse riuscito a mettere fuori uso sia quel ganglio di controllo che quelle linee di raffreddamento, avrebbe dato il via ad una reazione incontrollata che avrebbe portato… alla promozione, probabilmente, dopo che il polverone si fosse dissipato. Apmad lo avrebbe abbracciato e baciato, come un eroico dottore che da solo aveva impedito a un’abominazione genetica di diffondersi nella Galassia…

Di nuovo le linee degli schemi cominciarono a convergere, centrando il bersaglio. Il palmo sudato di Van Atta si strinse sul bottone di sparo. Tra un momento, solo un momento…

— Che cosa fa con quello, dottoressa Yei? – chiese Bannerji con voce sorpresa.

— Psicologia applicata.

La nuca di Van Atta sembrò esplodere con un nauseante scricchiolio. Cadde in avanti, tagliandosi una guancia sulla consolle, sbattendo contro le leve, e trasformando il programma di tiro in una pioggia di scintille colorate. Vide le stelle dentro la navetta, confuse macchie verdi e rosse… boccheggiando, si rialzò.

— Dottoressa Yei – obiettò Bannerji, – se vuole mettere fuori combattimento un uomo, deve picchiare molto più forte di così.

La dottoressa indietreggiò spaventata mentre Van Atta si alzava dal sedile. – Non volevo correre il rischio di ucciderlo…

— E perché no? – mormorò sotto voce Bannerji.

Come una furia, Van Atta strinse le mani attorno al polso della dottoressa, strappandole la chiave di metallo. – Non riesce a fare niente per il verso giusto, vero? – ringhiò.

Lei piangeva e boccheggiava. Fors, già in tuta, ma senza il casco, cacciò di nuovo dentro la testa. – Che cosa diavolo sta succedendo, qui?

Van Atta spinse la dottoressa verso di lui. Su Bannerji, che si agitava a disagio sul sedile, non si poteva certo contare. – Tenga ferma questa pazza. Ha appena cercato di uccidermi con la chiave inglese.

— Oh? A me aveva detto che le serviva per correggere la posizione di un sedile – commentò Fors, – o forse non ha detto sedile? – Ma afferrò la dottoressa e la tenne stretta. Gli sforzi della donna, come al solito, furono deboli e futili.

Con un sibilo furioso, Van Atta si mise nuovamente a sedere alla consolle degli armamenti e richiamò il programma di assetto e mira. Lo sistemò e accese i rilevatori esterni. La configurazione D-620-Habitat balzò nitida sullo schermo, resa argentea dalla luce distante del sole che illuminava le strutture. Gli schemi la intrappolarono sullo schermo, convergendo implacabilmente.

Il D-620 tremolò, ruotò e scomparve.

I laser spararono, fiammate di luce che colpirono il vuoto dello spazio.

Van Atta batté i pugni sulla consolle, urlando, mentre del sangue gli usciva dalla ferita sulla guancia. – Ce l’hanno fatta. Ce l’hanno fatta. Ce l’hanno fatta…

La dottoressa Yei ridacchiò.


Leo era accasciato sul sedile, sorretto dalle cinture, con una risata che gli gorgogliava in gola. – Ce l’abbiamo fatta!

Ti sollevò il casco, rimanendo seduto, ma non meno stravolto di lui, anzi con il viso pallido e tirato: il balzo prosciugava i piloti. Leo si sentiva come se fosse stato appena rivoltato come un guanto, ed era tutto dolorante, ma la nausea passò in fretta.

— Il tuo riflettore era nei parametri, Leo – disse Ti debolmente.

– Sì. Temevo che potesse esplodere, durante la tensione del balzo.

Ti gli lanciò uno sguardo indignato. – Non è quello che avevi detto. Pensavo che tu fossi il genio degli ingegneri collaudatori.

– Senti, non avevo mai fatto una di quelle cose, prima d’ora – protestò Leo. – Non si sa mai. Si fanno solo le migliori congetture possibili. – Si raddrizzò, cercando di riordinare le idee. – Siamo qui, ce l’abbiamo fatta. Ma che succede all’esterno? Ci sono stati danni all’Habitat? Silver, vedi cosa riesci a sapere all’interfono.

Anche lei era pallida. – Cielo – disse, sbattendo le palpebre. – Così questo è un balzo. Come sei ore del siero della verità della dottoressa Yei concentrate in un solo secondo. Accidenti, ne dovremo fare molti altri?

– Spero proprio di sì. – Leo sganciò le cinghie e galleggiò verso di lei per aiutarla.

Lo spazio intorno al punto di uscita era vuoto e rassicurante: la sua visione segreta e paranoica di balzare dritto in mezzo a navi militari pronte ad aprire il fuoco non si era avverata, notò con sollievo. Ma, un momento… una nave stava avvicinandosi… non un velivolo commerciale, ma qualcosa di minaccioso e dall’apparenza ufficiale…

– È una nave di polizia proveniente da Orient IV – la identificò Silver, – siamo nei guai?

– Senza dubbio – intervenne la voce del dottor Minchenko, che entrava in quel momento nella cabina di pilotaggio. – La GalacTech non sarà certo disposta a lasciar correre. Farà un favore a tutti, Graf, se adesso lascerà parlare me. – Spostò di lato Silver e Leo e si insediò alle comunicazioni. – Si dà il caso che il ministro della Sanità di Orient IV sia un mio collega medico. Anche se la sua posizione non gli conferisce un gran potere politico, è sempre un canale di comunicazione con gli alti gradi governativi. Se riesco ad arrivare a lui ci troveremo in una posizione certo migliore che non in quella di dover trattare con qualche sergente di polizia o, peggio ancora, qualche militare. – Negli occhi di Minchenko balenò un lampo. – Non corre buon sangue tra la GalacTech e Orient IV, in questo momento. A tutte le accuse di reato della GalacTech, possiamo ribattere… frode valutaria… oh, quante possibilità.

– Cosa facciamo mentre lei parla? – chiese Ti.

– Continuate a stare all’erta – consigliò Minchenko.

– Non è ancora finita, vero? – domandò tranquilla Silver, mentre lei e Leo si allontanavano da Minchenko. – Chissà perché avevo pensato che sarebbe bastato allontanarsi da Van Atta per mettere fine ai nostri guai.

Leo scosse il capo mentre un sorriso di trionfo indugiava agli angoli della bocca. Tenendola per mano, le disse: – I nostri guai sarebbero finiti se Bruce avesse fatto centro. O se il riflettore di vortice fosse scoppiato durante il balzo, o se… non temere i guai, Silver. Sono un segno di vita. Ce ne occuperemo insieme… domani.

Silver trasse un profondo sospiro, mentre la tensione svaniva dal suo viso, dalle braccia, dal corpo. Alla fine, un sorriso di reazione si accese nei suoi occhi, facendoli brillare come stelle. Piegò il viso verso Leo, e attese.

Lui si ritrovò a sorridere piuttosto scioccamente, per un uomo che si avvicinava ai quaranta. Cercò di assumere un’espressione più dignitosa. Seguì una pausa.

– Leo – disse Silver nel tono di chi ha appena avuto una folgorazione, – sei per caso timido?

– Chi, io?

Dalle stelle azzurre scaturirono lampi predatori. Lei lo baciò. Offeso da quell’accusa, Leo a sua volta la baciò ancor più appassionatamente. E allora fu il turno di Silver a sorridere scioccamente. Una vita intera con i quad, rifletté Leo, poteva essere affascinante…

Si voltarono entrambi verso il nuovo sole.

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