CAPITOLO QUINDICESIMO

Il crepuscolo indugiava sul lago asciutto, mentre la luminosa volta del cielo sfumava dal turchese cupo all’indaco trapunto di stelle. I mutevoli colori dell’atmosfera distraevano l’attenzione di Silver dalle immagini trasmesse dal monitor. Di quante incredibili variazioni godevano i terricoli: strisce color porpora, arancio, limone, verde, azzurro, con sfumature color cobalto dovute al vapore acqueo che si diffondeva nel cielo occidentale. Fu con un po’ di rimpianto che sintonizzò il monitor sulla ricerca a infrarossi. I colori amplificati dal computer resero più chiara la sua visione, ma sembrarono crudi e vistosi in confronto alla realtà.

E finalmente quello che il suo cuore aspettava, comparve: un fuoristrada, che superava traballando il lontano passo fra le colline e scendeva sbandando dall’ultimo declivio roccioso per poi percorrere a tutta velocità la distesa pianeggiante del lago inaridito. Madame Minchenko si affrettò a uscire dalla cabina di pilotaggio per calare la scaletta, mentre con un ruggito il veicolo si fermava accanto alla navetta.

Silver batté tutte e quattro le mani per la gioia quando vide Ti salire traballando lungo la rampa, con il corpo di Tony caricato di traverso sulle spalle, nello stesso modo in cui Leo aveva trasportato lei alla Stazione di Trasferimento. L’avevano preso! L’avevano preso! Il dottor Minchenko li seguiva a breve distanza.

Vi fu una breve discussione davanti al portello, con le voci del dottore e della signora che giungevano soffocate, poi Minchenko ridiscese al trotto la scaletta per sistemare sul tetto del fuoristrada un razzo di segnalazione che emise una intensa fiammata verde. Bene, pensò Silver sollevata, le guardie appiedate non avrebbero avuto difficoltà a vedere quel segnale.

Si spostò sul sedile del secondo pilota, mentre Ti entrava traballando nella cabina di pilotaggio, mollava Tony nel sedile del tecnico e si insediava con un’abile piroetta nel suo. Con una mano si tolse la maschera, lasciandola penzolare dal collo mentre con l’altra premeva i pulsanti di guida. — Ehi, chi ha pasticciato con la mia nave?

Silver si sollevò in aria, voltandosi verso Tony, che nel frattempo si era liberato della maschera e stava armeggiando con le cinture. — Ce l’avete fatta! — esclamò con allegria.

Lui le sorrise di rimando — Pef un pefo. Fono pfofio dietfo di noi — Silver si accorse che i suoi occhi azzurri erano dilatati non solo per l’eccitazione, ma anche per il dolore mentre le labbra erano gonfie.

— Che cosa ti è successo? — Si rivolse a Ti. — Che cosa è successo a Tony?

— Quel miserabile di Van Atta gli ha bruciato la bocca con quell’arnese che teneva in mano — rispose cupo Ti, mentre le sue mani danzavano sui controlli. I motori si accesero, le luci presero a lampeggiare e la navetta cominciò a rollare. Ti schiacciò il bottone dell’interfono. — Dottor Minchenko? Voi due siete legati là dietro?

— Solo un attimo… — fu la risposta di Minchenko. — Ecco fatto. Sì, vada!

— Avete avuto problemi? — chiese Silver, rimettendosi a sedere e assicurandosi le cinghie mentre la navetta acquistava velocità.

— Al principio no. Siamo arrivati all’ospedale e siamo entrati senza problemi. Pensavo che le infermiere ci avrebbero fatto delle domande sul perché portavamo via Tony, ma evidentemente laggiù tutti pensano che il dottor Minchenko sia Dio. Abbiamo fatto tutto in un baleno e proprio mentre stavamo uscendo (e, detto fra noi, io facevo l’asino da soma… in fondo che altro sono, se non un semplice trasportatore?) quando chi incontriamo sulla porta, se non quel figlio di puttana di Van Atta che stava entrando proprio in quel momento?

Silver rimase senza fiato.

— Lo abbiamo fatto cadere con uno sgambetto: il dottor Minchenko voleva fermarsi a riempirlo di botte per quello che aveva fatto alla bocca di Tony, ma avrebbe dovuto delegare a me la maggior parte del compito… è un uomo anziano, per quanto non voglia ammetterlo, e così l’ho trascinato fuori verso il fuoristrada. L’ultima cosa che ho sentito era Van Atta che correva via urlando in cerca di un elijet. Di certo a quest’ora ne avrà trovato uno… — Ti controllò nervosamente i monitor. — Sì, maledizione, laggiù — e indicò una fiammata multicolore che stava scendendo dalle montagne, e che segnalava sullo schermo la posizione dell’elijet inseguitore. — Be’, adesso non possono prenderci.

La navetta compì un ampio circolo, poi si fermò: il rumore dei motori passò dal semplice ronzio, al gemito e poi all’urlo lacerante. Le bianche luci di atterraggio fendevano il buio davanti a loro. Ti mollò i freni e la nave balzò in avanti con un ruggito terrificante che cessò di colpo quando ruotarono in aria. L’accelerazione li spinse tutti contro lo schienale dei sedili.

— Che cosa diavolo crede di fare, quell’idiota? — borbottò Ti a denti stretti quando vide l’elijet che ingrandiva rapidamente nel monitor. — Stai cercando di fare il furbo con me?

Fu subito chiaro che era proprio quello l’intento del pilota. L’elijet si innalzò verso di loro, tuffandosi proprio nel momento in cui la navetta si era sollevata, evidentemente con l’idea di obbligarli a scendere. Le labbra di Ti si tesero in una sottile linea bianca, gli occhi fiammeggiarono, e i motori salirono di potenza. Silver strinse i denti, ma tenne gli occhi aperti.

Passarono abbastanza vicini per vedere dagli oblò l’elijet sfrecciare attraverso il loro cono di luce, simile a un lampo intermittente. In quell’istante, Silver vide i volti attraverso la calotta trasparente, bianche macchie confuse con buchi neri al posto degli occhi e della bocca, tranne uno di loro, forse il pilota, che teneva le mani sul viso.

Poi non ci fu più nulla tra loro e le stelle d’argento.


Fuoco e ghiaccio.

Leo ricontrollò personalmente la tenuta di ogni ganascia a C, poi si spostò di qualche metro con i razzi della tuta per avere una visuale d’insieme del suo lavoro. Galleggiavano nello spazio ad una distanza di sicurezza di un chilometro dal nuovo complesso D-620-Habitat, che adesso incombeva con la sua enorme struttura ormai completata sopra l’orizzonte di Rodeo. Dall’esterno pareva che tutto fosse a posto, bastava non sapere nulla degli isterici collegamenti dell’ultimo minuto che avevano luogo all’interno.

Lo stampo di ghiaccio, una volta costruito, era largo tre metri e spesso quasi due. La superficie esterna era irregolare: avrebbe potuto essere un frammento dell’anello ghiacciato di qualche gigante gassosa. Il lato interno riproduceva perfettamente la liscia superficie ricurva del riflettore di vortice che lo aveva modellato.

La camera interna, priva d’aria, era rivestita di vari strati. Prima, la lastra di titanio, poi uno strato di benzina pura, come distanziatore (un altro uso che Leo era riuscito a trovare), perché, diversamente da altri liquidi, non si sarebbe congelata alla attuale temperatura del ghiaccio; dopo di questa, il sottile cerchio divisorio di plastica e poi la preziosa miscela esplosiva TNM-benzina; uno strato di rivestimento dell’Habitat, e infine le barre e le ganasce: tutto sommato, proprio una bella torta di compleanno. Era arrivato il momento di accendere le candeline e far avverare il desiderio, prima che il ghiaccio cominciasse a sciogliersi per effetto del sole.

Leo si voltò per fare cenno ai suoi aiutanti quad di portarsi dietro la barriera protettiva costituita da uno dei moduli abbandonati dell’Habitat che galleggiava lì vicino. Vide che un altro quad stava arrivando a razzo dalla configurazione D-620-Habitat. Leo aspettò un momento perché avesse il tempo di raggiungere gli altri e potesse andare a ripararsi. Non si trattava certo di un messaggero, perché c’era la radio della tuta…

— Falve, Leo — disse la voce di Tony distorta dall’interfono. — Mi fpiace di effere in ritardo sul lavoro… me ne avete lasciato un po’?

— Tony!

Non era facile abbracciare qualcuno infagottato in una tuta, ma Leo fece del suo meglio. — Sei arrivato giusto in tempo per la parte migliore, ragazzo! — disse Leo eccitato. — Ho visto la navetta atterrare qualche istante fa. — Già, e aveva preso un bello spavento, pensando per un attimo che si trattasse della Sicurezza che Van Atta aveva minacciato di inviare, finché non aveva correttamente identificato il velivolo. — Pensavo che il dottor Minchenko ti permettesse di andare solo in infermeria. Silver sta bene? Tu non dovresti riposare?

— Fta bene. Il dottor Minchenko aveva un mucchio di cofe da fare; Claire e Andy dormono, fono andato a vederli, ma non ho voluto fvegliare il bambino.

— Sei sicuro di sentirti bene, figliolo? Hai una strana voce.

— Mi fa male la bocca, ma non importa.

— Ah! — Con poche parole, Leo lo mise al corrente di quello che stavano facendo. — Sei arrivato per il gran finale.

Leo sollevò la tuta quel tanto che bastava per vedere al di sopra del modulo abbandonato. — Quello che vedi in quella scatola lassù in cima, che sembra la ciliegina sulla glassa, è un condensatore di carica con una capacità di duemila volt. Conduce a un filamento piazzato nel liquido esplosivo: ho usato il filamento a incandescenza di una lampadina togliendogli il rivestimento di polivetro; quello che sporge è l’occhio elettronico tolto dal controllo di una porta. Quando lo colpiamo con una scarica di questo laser ottico, chiude l’interruttore…

— E l’elettricità fa faltare l’efplofivo?

— Non esattamente. L’alta tensione che si riversa nel filamento lo fa letteralmente esplodere, ed è l’onda d’urto che innesca la benzina e il TNM. Questo a sua volta fa esplodere la lastra di titanio, mandandola a colpire lo stampo di ghiaccio, dopo di che il titanio si blocca e il ghiaccio, be’, assorbe la spinta. Tutto sommato, è abbastanza spettacolare, ed è per questa ragione che ci siamo nascosti dietro il modulo… — si voltò per controllare la squadra. — Tutti pronti?

— Se tu puoi alzare la testa per guardare, perché noi non possiamo farlo? — si lamentò Pramod.

— Io devo prendere la mira per il laser — rispose Leo con sussiego.

Prese accuratamente la mira con il laser ottico, ma poi si fermò un attimo in preda all’ansia. Tante cose potevano andare male… aveva controllato e ricontrollato più volte, ma poi viene il momento in cui si devono abbandonare tutti i dubbi e passare all’azione. Si raccomandò a Dio e premette il bottone.

Un lampo muto e brillante, una nuvola di vapore ribollente, e la forma di ghiaccio esplose in mille frammenti che schizzarono in ogni direzione. L’effetto era davvero affascinante. Con uno sforzo, Leo distolse lo sguardo e abbassò in fretta la testa dietro il modulo. Sulla retina continuava a danzare l’immagine color verde e magenta. Le mani ricoperte dai guanti, che erano appoggiate sul rivestimento del modulo, percepirono delle forti vibrazioni quando dei cubi di ghiaccio lanciati a tutta velocità andarono a cozzare contro l’altro lato del modulo e rimbalzarono nello spazio.

Leo rimase piegato in due per qualche istante, fissando Rodeo, ma senza vederlo. — Adesso ho paura di guardare.

Pramod accese i jet e girò intorno al modulo. — È tutto d’un pezzo, comunque. Sta roteando, è difficile vedere quale forma abbia.

Leo inspirò. — Andiamo a prenderlo, ragazzi. E vediamo com’è.

Ci vollero pochi minuti per catturare il pezzo. Leo si rifiutava di chiamarlo «riflettore di vortice», perché infatti poteva ancora rivelarsi un pezzo di metallo inservibile. I quad fecero scorrere i vari rivelatori sulla superficie grigia ricurva.

— Non trovo fratture, Leo — disse Pramod ansimando. — In alcuni punti è troppo spesso di qualche millimetro, ma in nessun punto è troppo sottile.

— Lo spessore possiamo eliminarlo durante la lucidatura finale col laser. Se fosse troppo sottile, non potremmo porvi rimedio, preferisco che sia spesso — rispose Leo.

Bobbi passò e ripassò il laser ottico sulla superficie curva, controllando le letture che apparivano sul display. — È nei parametri! Leo, è nei parametri! Ce l’abbiamo fatta!

Lo stomaco di Leo sembrava un ammasso di cera sciolta. Esalò un lungo e stanchissimo sospiro di felicità. — Va bene, ragazzi, portiamolo dentro. Al… al… dannazione, non possiamo continuare a chiamarlo Riconfigurazione D-620-Habitat.

— Ah, no di certo.

— E allora che nome gli diamo? — Un ventaglio di possibili definizioni guizzò nella mente di Leo:… L’Arca… La Stella della Libertà… La Follia di Graf…

— Casa — disse Tony dopo un momento, — andiamo a casa, Leo.

— Casa. — Leo soppesò quel nome sulla punta della lingua: aveva un sapore gradevole, anzi un ottimo sapore. Pramod accennò di sì e Bobbi batté sul casco salutando la scelta.

Leo ammiccò. Senza dubbio era qualche irritante vapore infiltratosi nella tuta che gli faceva lacrimare gli occhi e gli opprimeva il petto. — Sì, ragazzi, portiamo a casa il nostro riflettore di vortice.


Bruce Van Atta si fermò nel corridoio antistante l’ufficio di Chalopin al Porto Tre, cercando di riprendere fiato e di controllare il tremito che lo scuoteva. Sentiva anche una fitta in un fianco. Non sarebbe stato per nulla sorpreso se tutto quel pasticcio gli avesse fatto venire un’ulcera. Il recente fiasco sul lago asciutto lo aveva mandato su tutte le furie. Preparare la strada per lasciare poi che dei subordinati combinassero pasticci e rovinassero tutto… era assolutamente esasperante.

Era stato un puro caso che, dopo essere ritornato nel suo alloggio a terra per una doccia e un meritato riposo, si fosse svegliato per andare in bagno e avesse chiamato il Porto Tre per avere notizie. Altrimenti non avrebbe neppure saputo dell’atterraggio della navetta! Anticipando la mossa seguente di Graf, si era vestito in gran fretta e si era precipitato all’ospedale; se fosse arrivato solo qualche istante prima avrebbe potuto intrappolare Minchenko.

Aveva già strapazzato a dovere il pilota dell’elijet, rivoltandolo come un calzino per la sua pavidità che gli aveva impedito di bloccare il decollo della navetta, e poi per essere arrivato in ritardo al lago. Il pilota, rosso in viso, aveva stretto la mascella e i pugni ma non aveva replicato, senza dubbio perché si vergognava profondamente di se stesso. Ma il vero fallimento era imputabile alle alte sfere… proprio dietro le porte di quell’ufficio. Picchiò sui comandi e le porte scivolarono di lato.

Chalopin, il capitano della Sicurezza Bannerji, e la dottoressa Yei erano chini sull’oloschermo del computer di Chalopin. Il capitano stava indicando qualcosa con un dito. — Possiamo entrare qui. Ma quanta resistenza incontreremo?

— Certo li spaventerete a morte — disse la dottoressa.

— Uhm. Non muoio dalla voglia di chiedere ai miei uomini di andare lassù armati di storditori e affrontare gente disperata munita di armi molto più letali. Qual è la situazione reale di quei cosiddetti ostaggi?

— Grazie a lei — ringhiò Van Atta, — il rapporto ostaggi è ora di cinque a zero. Sono riusciti a portarsi via Tony, maledizione a loro. Perché non ha predisposto una sorveglianza ventisette ore su ventisette a quel quad, come le avevo chiesto? Avremmo dovuto sorvegliare anche la signora Minchenko.

Chalopin sollevò la testa e gli rivolse uno sguardo privo di espressione. — Signor Van Atta, mi sembra che lei abbia le idee confuse sul numero delle mie forze di sicurezza, qui. Io ho solo dieci uomini per coprire tre turni, sette giorni la settimana.

— Più altri dieci provenienti da ciascuno degli altri due porti, che fanno trenta. Adeguatamente armati, sarebbero una consistente forza d’attacco.

— Ho già preso in prestito sei uomini dagli altri due porti per svolgere le nostre operazioni normali, mentre tutte le mie forze si dedicano a quest’operazione.

— Perché non li ha impiegati tutti?

— Signor Van Atta, la Rodeo Operazioni è una grossa compagnia, ma una città molto piccola. Ci sono non meno di diecimila impiegati della GalacTech più un ugual numero di impiegati che non sono alle dipendenze della GalacTech. La mia Sicurezza è una forza di polizia, ma non militare. Devono svolgere le loro normali funzioni, agire come squadre di emergenza, ricerca e salvataggio ed essere pronti ad assistere il Controllo Incendi.

— Maledizione… Con la faccenda di Tony vi avevo aperto uno spiraglio: perché non l’avete seguito attaccando subito l’Habitat?

— Avevo una forza di otto uomini pronta ad andare lassù — disse acida Chalopin, — dietro sua assicurazione che una parte dei suoi quad avrebbero collaborato. Ma non siamo stati in grado di aver conferma di questa collaborazione dall’Habitat. Sono immediatamente tornati al silenzio radio. Poi abbiamo individuato la nostra navetta trasporto che tornava, per cui abbiamo inviato una forza a catturarla… prima un veicolo e poi, come lei stesso ha chiesto a gran voce non più di due ore fa, un elijet.

— Bene, rimettetela insieme e speditela in orbita, maledizione!

— In primo luogo, lei ha lasciato tre di loro sul lago — fece notare Bannerji. — Il sergente Fors ha appena fatto rapporto, sostenendo che il loro veicolo era stato distrutto. Stanno tornando con il fuoristrada abbandonato della signora Minchenko. E in secondo luogo, come più volte ha fatto notare la dottoressa Yei, non abbiamo ancora ricevuto l’autorizzazione per un attacco armato.

— Avrete di certo qualche clausola riguardante la necessità di un inseguimento immediato — ribatté Van Atta. — Quello - e indicò verso l’alto, riferendosi agli avvenimenti in corso in orbita attorno a Rodeo, — è un furto su vasta scala, a dir poco. E non dimenticate che hanno già sparato a un dipendente della GalacTech!

— Non ho trascurato la cosa — mormorò Bannerji.

— Ma — intervenne la dottoressa Yei, — poiché abbiamo chiesto al Quartier Generale l’autorizzazione per usare la forza, ora siamo obbligati ad attendere una risposta. E se, dopo tutto, ci negassero l’autorizzazione?

Van Atta le rivolse uno sguardo infuriato, socchiudendo gli occhi. — Lo sapevo che non avremmo mai dovuto chiederla! È stata lei a raggirarci, maledizione! Avrebbero accettato il fatto compiuto, comunque avessimo agito, e ne sarebbero stati contenti. Adesso… — scosse il capo, frustrato. — Ma, in ogni caso, avete dimenticato altri rinforzi di personale. Lo stesso organico dell’Habitat può venir impiegato al seguito della forza di Sicurezza, una volta che questa è entrata nell’Habitat.

— A quest’ora saranno sparsi per tutto Rodeo — fece notare la dottoressa, — quasi tutti saranno tornati ai loro alloggi a terra.

Bannerji si agitò visibilmente. — Ha idea del tipo di responsabilità legale che una cosa del genere costituirebbe per la Sicurezza?

— E allora conferisca loro l’autorità…

Un trillo proveniente dalla consolle di Chalopin interruppe Van Atta: sul video apparve il viso di un operatore alle comunicazioni.

— Amministratore Chalopin? Qui il Centro Comunicazioni. Ci aveva chiesto di tenerla informata di ogni variazione relativa all’Habitat o al D-620. Sembra che… ehm, si stiano preparando a lasciare l’orbita.

— Me lo passi qui — ordinò Chalopin.

Ancora una volta l’operatore trasmise l’immagine presa dal satellite, la ingrandì, e la configurazione Habitat-D-620 riempì per metà il video. Ai due propulsori da spazio normale del D-620 erano state aggiunte quattro delle grandi unità che i quad usavano per portare fuori dall’orbita le capsule di carico. Mentre Van Atta guardava inorridito, quello spiegamento di motori si accese con una spaventosa fiammata. Lasciando un’abbagliante scia, il mostruoso veicolo cominciò a muoversi.

La dottoressa Yei lo fissò a bocca aperta, con le mani strette attorno al petto e una strana luce negli occhi. Van Atta era sul punto di piangere per la rabbia.

— Guardate… — disse indicando lo schermo mentre la voce gli si spezzava, — vedete dove ci hanno portato i vostri interminabili tentennamenti? Se ne stanno andando!

— Oh, no, non ancora — disse la dottoressa con voce suadente. — Ci vorranno almeno un paio di giorni prima che arrivino all’imbocco del corridoio. Non c’è ragione di farsi prendere dal panico. — Strizzò l’occhio a Van Atta e proseguì in tono quasi ipnotico. — Lei è troppo affaticato, certamente, come lo siamo tutti. E la fatica porta a commettere errori di giudizio. Dovrebbe riposare, dormire un po’…

Le mani di Van Atta ebbero un tremito e ardeva dal desiderio di strangolarla sul posto. L’amministratore e quell’idiota di Bannerji stavano annuendo, come a sostenere quel ragionevole parere. Un grido strozzato uscì dalla gola di Van Atta. — Ogni minuto che aspettiamo complicherà la nostra situazione logistica… la distanza aumenterà, aumenterà il rischio…

Sul viso di tutti e tre c’era la stessa espressione vacua. Van Atta non aveva bisogno di conferme, sapeva riconoscere perfettamente una non collaborazione concertata. Maledizione, maledizione, maledizione! Lanciò uno sguardo sospettoso e carico di fuoco alla dottoressa. Ma aveva le mani legate, la sua autorità era stata minata dai suoi cauti ragionamenti. Se la dottoressa Yei e tutti quelli come lei avessero avuto via libera, nessuno avrebbe mai sparato a nessuno, e sarebbe stato il caos a governare l’universo.

Emise un ringhio inarticolato, girò sui tacchi e uscì a grandi passi.


Claire si svegliò ma non aprì gli occhi, rimanendo rannicchiata nel sacco. Lo sfinimento che l’aveva colta alla fine dell’ultimo turno faticava ad abbandonare il suo corpo. Non sentiva ancora Andy muoversi; bene, un breve respiro prima del cambio dei pannolini. Tra dieci minuti lo avrebbe svegliato e si sarebbero scambiati i favori: Andy avrebbe succhiato il latte dai suoi seni dolenti, e così avrebbe riempito il suo pancino affamato… le mamme hanno bisogno dei bambini, tanto quanto i bambini hanno bisogno delle mamme, pensò assonnata, due pezzi che combaciavano, due individui che condividevano lo stesso sistema biologico… come i quad che partecipavano al sistema tecnologico dell’Habitat, ciascuno dipendente da tutti gli altri…

E dipendenti anche dal suo lavoro. Qual era la prossima cosa che doveva fare? Scatole di germinazione, tubi di crescita… no, oggi non poteva trasportare i tubi di crescita, oggi era il giorno dell’Accelerazione… aprì gli occhi di colpo e li spalancò per la gioia.

— Tony! — esclamò senza fiato. — Da quanto sei qui?

— Sono rimasto a guardarti per quasi un quarto d’ora. Sei bella quando dormi. Posso entrare? — Era sospeso in aria, con indosso di nuovo la maglietta e i pantaloncini rossi, e la fissava nella tenue luce della camera. — Devo comunque legarmi, l’accelerazione sta per cominciare.

— Di già? — Si spostò per fargli posto, si strinsero con tutte le braccia e lei sentì la fasciatura sotto la maglia. — Stai bene?

— Adesso sì — sospirò felice. — Stare là, in quell’ospedale… be’, non mi aspettavo che veniste a prendermi. Era un terribile rischio per voi, non ne valeva la pena! — Le sfiorò i capelli.

— Abbiamo parlato dei rischi, ma non potevamo lasciarti. Noi quad… dobbiamo stare uniti. — Era completamente sveglia, adesso, e godeva del contatto fisico, delle mani muscolose, degli occhi luminosi, dei capelli biondi e ricci. — Perderti ci avrebbe sminuiti, ha detto Leo, e non solo geneticamente. Ora dobbiamo essere un popolo, non più solo Claire e Tony e Silver e Siggy… e Andy… credo che sia quello che Leo chiama «sinergia». Adesso siamo qualcosa di sinergistico.

Una strana vibrazione si propagò attraverso le pareti della sua stanza. Lei si voltò, tolse Andy dal suo giaciglio e lo strinse tra le braccia superiori, mentre con quelle inferiori continuava ad abbracciare Tony sotto la coperta. Andy squittì, fece schioccare le labbra e si rimise a dormire. Dolcemente, lentamente, le spalle cominciarono a premere contro la parete.

— Siamo in viaggio — sussurrò. — È cominciata…

— E resiste — osservò meravigliato Tony. Si strinsero. — Volevo essere con te in questo momento…

Lei si abbandonò all’accelerazione, appoggiando la testa contro la parete e avvicinando Andy sul petto. Qualcosa nel suo armadietto fece clunk… avrebbe controllato più tardi.

— Questo è il modo di viaggiare — sospirò Tony, — meglio che nascosti in una stiva…

— Sarà strano, senza la GalacTech — disse Claire dopo un po’. — Solo noi quad. Chissà come sarà il mondo di Andy.

— Dipenderà da noi, penso — disse Tony con espressione seria. — È una cosa che mi spaventa assai di più di un terricolo con un’arma in mano, lo sai? Libertà. Uhm. — Scosse il capo. — Non è come me l’ero figurata.


Il riposo suggerito dalla dottoressa era fuori questione. Con espressione cupa, Van Atta si diresse non al suo alloggio, ma al suo ufficio a terra. Erano un paio di settimane che non lo controllava più. Era quasi mezzanotte, ora del Porto Tre; la sua segretaria non era al lavoro e starsene a rimuginare da solo si adattava al suo pessimo umore.

Dopo aver passato circa una ventina di minuti a mormorare tra sé, decise di dare una scorsa alla posta elettronica. La normale routine del suo ufficio era precipitata nel caos nelle ultime settimane e naturalmente gli avvenimenti dei giorni scorsi l’avevano definitivamente stravolta. Forse un po’ di noiosa routine lo avrebbe calmato abbastanza per fargli prendere in considerazione l’idea di andare a dormire.

Vecchi memorandum, richieste sorpassate di istruzioni, rapporti irrilevanti… le baracche dei quad, notò sbuffando, venivano segnalate come già pronte per essere occupate con il quindici per cento di spesa in più sul bilancio preventivo. Se fosse riuscito ad acciuffare qualche quad da metterci dentro. Istruzioni dal Quartier Generale per quel che riguardava la chiusura del Progetto Cay, consigli non richiesti per il recupero e l’utilizzo delle varie parti…

Van Atta si fermò di colpo, attratto dall’immagine comparsa su uno degli schermi. Che cosa diceva quello?

Soggetto: Colture sperimentali di tessuto post-fetale. Quantità: 1000. Disposizione: cremazione secondo le Regole Standard di Biolaboratorio.

Controllò la fonte dell’ordine. No, non era arrivato dall’ufficio di Apmad, come aveva pensato in un primo tempo. Veniva dal Controllo Inventario e Contabilità Generale, come parte di una lunga lista computerizzata che comprendeva un’ampia varietà di campioni di laboratorio. Ma l’ordine era firmato da un essere umano, qualche sconosciuto dirigente di CI CG, sulla Terra.

— Per la miseria — imprecò sottovoce Van Atta. — Non credo che quel tizio sappia che cosa sono i quad. — L’ordine era stato firmato alcune settimane prima.

Rilesse il paragrafo iniziale. Il capo del Progetto provvederà a chiudere il Progetto stesso con la dovuta sollecitudine. È auspicata l’immediata disponibilità del personale da assegnare ad altri incarichi. Siete quindi autorizzati ad effettuare qualunque requisizione temporanea di materiale o di personale da altre divisioni per completare la procedura di cessazione entro il 6/1.

Dopo qualche istante allargò le labbra in un sorriso furioso. Con cautela, estrasse il prezioso disco dalla macchina, se lo mise in tasca e andò a cercare Chalopin. Sperò di riuscire a tirarla giù dal letto.

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