La stiva di carico debolmente illuminata sembrava gemere intorno a Claire a causa della decelerazione a cui erano sottoposte le strutture. Le vibrazioni, unite a un sibilo acuto, facevano tremare il metallo della navetta.
— C’è qualcosa che non va — boccheggiò Claire. Tolse una delle mani che la ancoravano alla cassetta di plastica dietro cui si era nascosta e la passò intorno al corpo di Andy per tenerlo più stretto. — Abbiamo urtato qualcosa? Che cos’è questo strano rumore?
In fretta, Tony si leccò un dito e lo sollevò in alto. — Nessuna corrente. — Deglutì, per controllare le orecchie. — La cabina non si sta depressurizzando. — Eppure il sibilo aumentava.
Due schiocchi metallici, uno dopo l’altro, che non assomigliavano per nulla al rumore di un portello stagno che si chiudeva, fecero scorrere un brivido di terrore in Claire. La decelerazione continuò a un ritmo preoccupante, contrastata da una nuova strana spinta vettoriale che sembrava partire dal ventre della navetta. Quella parte della stiva a cui erano ancorate le casse sembrò venirle addosso: Claire si puntellò con la schiena e sistemò Andy davanti a sé, per ripararlo da eventuali urti.
Il bambino aveva gli occhi spalancati e la bocca aperta atteggiata a un’espressione di sbalordimento. No, ti prego, non cominciare a piangere! Lei stessa non osava emettere il grido che le serrava la gola, perché sapeva che così Andy sarebbe partito come una sirena. — Impasta la torta, impasta la torta, fornaio — canticchiò con voce strozzata. — Cuoci la torta a microonde più in fretta che puoi… — Gli accarezzò una guancia, rivolgendo uno sguardo implorante a Tony.
Il ragazzo era pallidissimo. — Claire… credo che questa navetta stia scendendo sul pianeta! Scommetto che quei colpi erano le superfici frenanti che si allargavano.
— Oh, no! Non può essere, Silver ha controllato gli orari…
— Sembra che Silver abbia fatto un grosso errore.
— Anch’io li ho controllati: questa navetta doveva andare alla Stazione di Trasferimento per prendere un carico e poi scendere sul pianeta.
— Allora avete sbagliato tutte e due — disse Tony con voce aspra e tremante, mascherando la paura con la rabbia.
Oh, ti prego, non urlare a quel modo; se non resto calma, anche Andy si agiterà… l’idea non è stata mia…
Tony si girò sullo stomaco, allontanando il corpo dalla superficie del… pavimento, così i terricoli chiamavano la direzione da cui proveniva il vettore di forza gravitazionale, e strisciò verso la finestra più vicina. La luce che da essa proveniva stava diminuendo e si faceva sempre più diffusa. — È tutto bianco: Claire, siamo proprio in mezzo a una nuvola!
Dalla stazione orbitante, Claire aveva passato ore ad osservare le nuvole che si gonfiavano nelle correnti convettive dell’atmosfera di Rodeo. Le erano sembrate massicce come lune e aveva sempre desiderato poterle vedere.
Andy si teneva saldamente afferrato alla sua maglietta azzurra. Lei si girò, come aveva fatto Tony, appoggiando il palmo delle mani sulla superficie e spingendo con forza. Andy, girando la testa verso il padre, sollevò le mani superiori e cercò di staccarsi da Claire con quelle inferiori. Il pavimento sembrò venirgli incontro.
Per un attimo fu troppo stordito per piangere. Poi la sua piccola bocca arrotondata si allargò a dismisura, emettendo un vibrante grido di dolore. Quel suono trapassò ogni nervo del corpo di Claire come una lama.
Tony sobbalzò udendo quel rumore, si allontanò dalla finestra e strisciò verso di loro. — Perché l’hai fatto cadere? Che cosa pensi di fare? Svelta, fallo stare zitto!
Claire si girò di nuovo sulla schiena, appoggiando Andy sul proprio addome morbido ed elastico, baciandolo e accarezzandolo freneticamente. Le grida cambiarono di tono, passando da un terrificante e acuto pianto di dolore a gemiti di indignazione meno penetranti, ma il volume era comunque lo stesso.
— Finiranno per sentirlo anche nella cabina di pilotaggio! — sibilò Tony angosciato. — Fai qualcosa!
— Sto provando! — sibilò Claire di rimando. Le tremavano le mani. Cercò di stringere Andy al seno, procedura standard di conforto, ma il marmocchio voltò la testa, gridando più forte. Per loro fortuna, il rumore prodotto dall’atmosfera che sfrecciava attorno al rivestimento della navetta si era fatto assordante. Quando il suono rombante, dopo aver raggiunto il suo massimo, si ridusse fino a spegnersi del tutto, il pianto di Andy si era trasformato in una serie di singhiozzi tremanti. Il bimbo sfregò la faccia bagnata e sporca di muco sulla maglietta di Claire. Il peso di Andy che le premeva sullo stomaco e sul diaframma quasi le impediva di respirare, ma lei non osava spostarlo.
Un’altra serie di colpi fece tremare la navetta. Le vibrazioni dei motori cambiarono, e Claire venne sballottata da una parte all’altra dai vettori di accelerazione, anche se la loro spinta non era paragonabile a quella che veniva dal pavimento. Liberò due delle mani con cui stava confortando Andy e le usò per aggrapparsi alle casse di plastica.
Tony era sdraiato accanto a loro e si mordeva le labbra, impotente. — Stiamo probabilmente per atterrare sulla superficie.
Claire annuì. — In uno dei porti per le navette. Ci sarà gente, terricoli, ma potremo sempre dire che siamo rimasti intrappolati a bordo di questa navetta per errore. E forse — aggiunse speranzosa, — ci rimanderanno subito a casa.
Tony strinse a pugno la mano superiore destra. — No! Non possiamo arrenderci proprio adesso! Non avremo mai più un’altra occasione!
— Ma che altro possiamo fare?
— Usciremo da qui senza farci vedere e ci nasconderemo, finché non riusciremo a salire su di un’altra nave, diretta alla Stazione di Trasferimento. — Claire si lasciò sfuggire un gemito di costernazione e Tony continuò in tono implorante. — L’abbiamo fatto una volta, possiamo farlo ancora.
Lei scosse il capo dubbiosa. Ma la discussione venne interrotta da una serie di tonfi che li colse di sorpresa e che scosse tutta la nave, trasformandosi in un rombo sommesso e continuo. Il raggio di luce che entrava dalla finestra dardeggiò sulle pareti della stiva quando la nave, atterrando, cominciò a rullare e a voltarsi su un fianco. Dopo un lampo improvviso la stiva cadde nella penombra, e con un gemito i motori si spensero lasciando un silenzio sconvolgente.
Con grande cautela, Claire lasciò gli appigli. Fra i vettori di accelerazione ne era rimasto uno solo: isolato dagli altri, diventava opprimente.
La gravità. Silenziosa, implacabile, le premeva contro la schiena: lottò contro la terrificante illusione che potesse improvvisamente cessare, e la spinta potesse mandarla a sbattere sul soffitto, schiacciando Andy nel mezzo. Quel pensiero venne accompagnato da un’illusione ottica e tutta la stiva sembrò mettersi a girare lentamente intorno a lei. Chiuse gli occhi per allontanare quella visione.
La mano di Tony le strinse il polso inferiore sinistro in un gesto di avvertimento. Claire aprì gli occhi e si irrigidì: la porta esterna della stiva all’altra estremità del compartimento stava aprendosi.
Entrarono due terricoli addetti alla manutenzione. La porta che dava accesso alla parte centrale della fusoliera della navetta scivolò di lato e Ti, il secondo pilota, infilò dentro la testa.
— Salve, ragazzi. Cos’è tutta questa fretta?
— Dobbiamo scaricare e ricaricare questo uccellino in un’ora, ecco tutto — rispose uno degli addetti. — Tu hai giusto il tempo di mangiare qualcosa e di fare pipì.
— In che cosa consiste il carico? Non vedevo tanta agitazione dall’ultima emergenza medica.
— Equipaggiamento e forniture per uno spettacolo che deve andare in scena sul vostro Habitat per il Vice Presidente delle Operazioni.
— Sarà solo la settimana prossima.
L’uomo della manutenzione sbuffò. — Così credevano tutti. Il Vice Presidente però ha preso il suo mezzo privato ed è arrivata con una settimana di anticipo, insieme ad un intero commando di ragionieri. Sembra che le piacciano le ispezioni a sorpresa. L’amministrazione, naturalmente, non sta più nella pelle dalla gioia.
— Aspetta a ridere — lo ammonì Ti. — L’amministrazione a volte si diletta a dividere la sua gioia con tutti noi.
— Come se non lo sapessi — gemette l’uomo. — Forza, levati, stai bloccando la porta… — I tre se ne andarono.
— Adesso - sussurrò Tony.
Claire rotolò su di un fianco e con delicatezza posò Andy a terra. Il viso del bimbo si contrasse, pronto a scoppiare in un pianto dirotto. Rapidamente, Claire si appoggiò sulle mani, cercando di mettersi in equilibrio. Con una mano raccolse Andy e lo tenne in braccio.
Schiacciata dalla tremenda gravità contro la parete della stiva rivolta verso il pianeta, iniziò a strisciare su tre mani verso la porta. Il peso di Andy le premeva sul braccio come se una gigantesca molla lo stesse spingendo verso il basso, e la testa del bimbo ballonzolava con un’angolazione allarmante. Claire spostò la mano sotto la nuca del bimbo, per poterla reggere meglio, operazione che risultò dolorosa per il suo braccio.
Accanto a lei, anche Tony procedeva a tre mani, mentre con quella libera stringeva la corda del sacco che conteneva tutto il necessario. Il sacco, inchiodato alla superficie come se questa lo stesse risucchiando, non si mosse di un millimetro.
— Merda — imprecò Tony sottovoce. Tornò verso il fagotto, lo afferrò e cercò di sollevarlo, ma era troppo ingombrante per portarlo sotto la pancia. — Merda.
— Perché non lasciamo perdere? — chiese Claire con voce implorante, pur conoscendo già la risposta.
— No! - Sollevò il pacco all’indietro sopra le spalle, afferrandolo con entrambe le mani superiori e barcollò violentemente in avanti. Riuscì a metterlo in precario equilibrio sulla schiena. Utilizzò la mano superiore sinistra per tenerlo fermo, ballonzolò in avanti reggendosi sull’altra e trascinando quelle inferiori. — Ce l’ho fatta! Andiamo, andiamo.
La navetta era parcheggiata in un enorme hangar, un immenso spazio con il soffitto sostenuto da travi di metallo. Le travi che erano disposte sopra l’impianto di illuminazione sarebbero state un eccellente nascondiglio, se solo fossero riusciti ad arrivarci con un balzo. Ma tutto quello che non veniva rigidamente ancorato, era condannato a rimanere sul pavimento finché non veniva rimosso di proposito. C’era un certo fascino asimmetrico, nella cosa…
— Oh… — Claire esitò. Dal portello della navetta al pavimento vi era una specie di rampa ondulata. Chiaramente era disegnata per suddividere l’eterna lotta contro l’onnipresente gravità in piccoli tentativi abbordabili. Scalini. Claire si fermò, rimanendo a testa china, e il sangue sembrò affluire tutto quanto al viso. Deglutì.
— Non fermarti - ansimò implorante Tony alle sue spalle, poi anche lui si trovò a deglutire.
— Oh… oh… — con un’ispirazione improvvisa, Claire si voltò di schiena e cominciò a scendere a saltelli, con le mani inferiori libere che battevano sul metallo ad ogni salto. Era scomodo, ma almeno fattibile. Tony la seguì.
— E adesso dove andiamo? — ansimò Claire senza fiato quando raggiunsero la superficie.
Tony indicò con il mento. — Nascondiamoci in quell’intrico di macchinari, per il momento. Preferisco non allontanarmi troppo dalle navette.
Scivolarono via lungo la superficie inferiore dell’hangar. Quasi subito, Claire si ritrovò con le mani imbrattate di olio e di sporcizia, un’irritazione psicologica fastidiosa quanto un prurito che non si poteva grattare; avrebbe volentieri rischiato la vita per avere la possibilità di lavarle. A Claire vennero in mente le goccioline di umidità che, finché lei non le faceva scomparire con uno straccio asciutto, scivolavano sulle lisce superfici dell’Habitat proprio come lei e Tony in quel momento.
Quando raggiunsero l’area in cui erano stivati i macchinari pesanti, un veicolo entrò nell’hangar e ne scesero una dozzina di uomini e donne in tuta che sciamarono verso la navetta in un ordine solo apparente. Claire fu lieta della confusione e del rumore, perché di tanto in tanto Andy emetteva ancora dei piccoli singhiozzi. Attraverso le braccia metalliche dei macchinari, osservò spaventata la squadra della manutenzione. Quando era troppo tardi per arrendersi?
Leo era nello spogliatoio, vestito a metà, e sollevò ansioso lo sguardo quando Pramod attraversò la stanza andando a fermarsi con grazia accanto a lui.
— Hai trovato Tony? — gli chiese. — Come caposquadra tocca a lui condurre questa buffonata. Io dovrei solo stare a guardare.
Pramod scosse il capo. — Non è in nessuno dei soliti posti, signore.
Leo emise un sibilo molto simile a un’imprecazione. — Avrebbe già dovuto rispondere alla chiamata… — galleggiò fino al portello di plexiglas.
Fuori, nel vuoto, un piccolo rimorchiatore stava depositando in quel momento l’ultima sezione del nuovo laboratorio idroponico, nel punto preciso in cui andava collocata. Sarebbe stato costruito dai quad sotto l’occhio vigile del Vice Presidente delle Operazioni. E questo vanificava tutte le speranze di Leo che eventuali ritardi e intoppi in altri dipartimenti potessero coprire i guai che aveva nel suo. Era giunto il momento che la sua squadra di saldatori facesse il suo debutto.
— Va bene, Pramod, metti la tuta. Prenderai tu il posto di Tony, mentre Bobbi della Squadra B prenderà il tuo. — Leo si affrettò a proseguire prima che lo sbalordimento negli occhi di Pramod si trasformasse in panico vero e proprio. — Sono cose che avete fatto dozzine di volte. E se avete anche il minimo dubbio sulla qualità o la sicurezza di una procedura, io sarò là. Cerchiamo di mantenere un po’ di sano realismo: voi dovrete vivere per molto tempo nella struttura che verrà costruita oggi, anche quando il Vice Presidente delle Operazioni e il suo circo ambulante se ne saranno andati. Ti garantisco che rispetterà molto di più un lavoro fatto bene, anche se lentamente, che non uno raffazzonato in gran fretta.
Per l’amor del cielo, faccia in modo che tutto vada liscio, erano state le pressanti raccomandazioni di Van Atta. Attenetevi alle tabelle stabilite, in qualunque caso, i problemi li aggiusteremo dopo, quando lei sarà ripartita. Il nostro compito è di dare l’impressione che queste scimmiette valgano il denaro speso.
— Non dovete sembrare diversi da quelli che siete — disse Leo a Pramod. — Voi siete efficienti e siete molto in gamba. Essere il vostro istruttore è stato uno dei piaceri più grandi e inaspettati della mia carriera. Andate, adesso, vi raggiungo subito.
Pramod schizzò via a cercare Bobbi. Leo corrugò la fronte e fluttuò lungo tutto lo spogliatoio fino alla parete di fronte, dove si trovava un terminale per le comunicazioni.
Batté il suo codice di identificazione. — Chiamata per la dottoressa Sondra Yei. — Nello stesso istante, un quadratino con il suo nome e numero cominciò a lampeggiare in un angolo del video. — Annullare la precedente richiesta.
Formò il numero e rimase sorpreso quando sullo schermo apparve il viso della dottoressa Yei. — Sondra! Stavo proprio per chiamarla. Sa dov’è Claire?
— Che strano. Io la chiamavo per chiederle dove avrei potuto raggiungere Tony.
— Davvero? — rispose Leo con voce volutamente neutra. — Perché?
— Perché non riesco a trovarla da nessuna parte e pensavo che Tony potesse sapere dov’è. Dovrebbe dare una dimostrazione di tecniche di puericultura a gravità zero per il Vice Presidente Apmad dopo pranzo.
— Uhm, Andy è… — Leo deglutì, — al nido o si trova con lei?
— Con Claire, naturalmente.
— Ah.
— Leo… — La dottoressa Yei protese le labbra, con espressione assorta. — Lei sa qualcosa che io non so?
— Be’… — la fissò incerto. — So che Tony è stato stranamente distratto sul lavoro in quest’ultima settimana. Direi persino depresso, se questo non fosse il suo campo. Certo non allegro come al solito. — Una sensazione di disagio alla bocca dello stomaco rese insolitamente taglienti le sue parole. — Ha qualche preoccupazione di cui per caso si è scordata di farmi partecipe, dottoressa?
Lei strinse le labbra ma ignorò la punzecchiatura. — Le tabelle di marcia sono state accelerate in tutti i dipartimenti, lo sa. Claire ha ricevuto il suo nuovo incarico di riproduzione. Tony non era incluso.
— Incarico di riproduzione? Intende fare un bambino? — Leo sentì che stava per arrossire. Da qualche parte, dentro di lui, una caldaia tenuta troppo a lungo sotto controllo, cominciò a ribollire. — Anche lei nasconde a se stessa con quelle parole mielate quello che state facendo realmente qui? Pensavo che la propaganda fosse solo per noi poveri operai. — Yei tentò di intervenire, ma Leo la prevenne. — Buon Dio! È già nata così disumana o lo è diventata per gradi? Laurea, specializzazione, master…
Il viso della dottoressa si incupì e il suo tono divenne tagliente. — Un ingegnere con l’anima di un romantico? Adesso ho proprio visto tutto. Non si lasci trasportare dalla sua immaginazione, signor Graf. Quando Tony e Claire sono stati assegnati l’uno all’altra, questo è avvenuto esattamente con lo stesso sistema, e se certa gente si fosse attenuta alla mia programmazione originale, questo problema avrebbe potuto essere evitato. Non vedo ragione di pagare un esperto per poi ignorare sconsideratamente i suoi consigli, proprio non capisco. Ingegneri…!
Ah, anche lei subisce l’effetto di Van Atta, proprio conte me, si rese conto Leo. E quella rivelazione smorzò un poco il suo impeto, senza però attenuare il ribollimento interno.
— Il Progetto Cay non l’ho inventato io, ma se toccasse a me gestirlo, lo farei in maniera diversa; però devo giocare con le carte che ho in mano, signor Graf. Maledetto… — si controllò con uno sforzo violento, riportando la conversazione sull’argomento originale. — Devo trovarla in fretta o non mi resterà altro che attendere che Van Atta dia inizio allo spettacolo cominciando dal fondo. Leo, è essenziale che il Vice Presidente Apmad come prima cosa visiti il nido d’infanzia, così non si farà venire strane idee… non ha nemmeno la più piccola idea di dove possano essere quei ragazzi?
Leo scosse il capo, ma un’ispirazione improvvisa trasformò quel gesto sincero in una bugia ancor prima che avesse finito di compierlo. — Mi chiamerà se li trova prima di me? — Il suo tono umile era un’offerta di tregua.
La rigidità della dottoressa sembrò vacillare. — Sì, certamente. — Scrollò le spalle in una sorta di gesto di scusa e interruppe la comunicazione.
Leo ritornò al suo armadietto, si tolse la tuta da lavoro, infilò quella solita e si affrettò a seguire quell’ispirazione prima che la dottoressa Yei ci arrivasse per conto suo. Era certo che non avrebbe perso tempo.
Silver controllò la sua tabella di lavoro sullo schermo: peperoni a campanula. Attraversò fluttuando la sezione idroponica fino all’armadio in cui erano contenuti i semi, trovò il cassetto con l’etichetta giusta e ne trasse un sacchetto di carta con i semi già contati. Lo agitò con un gesto assente e i semi frusciarono.
Raccolse una scatola di germinazione in plastica, aprì il pacchetto e introdusse i pallidi semini nel contenitore, dove questi rimbalzarono allegramente. Toccava adesso iniziare il processo di idratazione. Introdusse il tubo dell’acqua nell’apertura a sfintere posta su di un lato della scatola di germinazione, ne fece schizzare dentro la dose giusta, poi scrollò ancora la scatola per dissolvere il luccicante globulo di liquido che si era formato. Dopo aver introdotto la scatola di germinazione nella fessura dell’incubatrice, la regolò per la temperatura ottimale per peperoni, campanule, clone 297-X-P ibrido fototropico a differenziazione assiale non gravitazionale, e infine sospirò.
La luce che filtrava dalle finestre attirava insistentemente la sua attenzione, e per la quarta o la quinta volta durante quel turno, si interruppe e passò tra i cespugli per andare a vedere quella parte di Rodeo che la posizione del laboratorio le permetteva di osservare. Da qualche parte, laggiù sulla superficie, Claire e Tony strisciavano… sempre che non si fossero già arresi, o chissà, forse erano riusciti a salire su di un’altra navetta, oppure erano andati incontro a qualche terribile catastrofe… e suo malgrado l’immaginazione le fornì una vivida serie di possibili catastrofi.
Lei cercò di allontanarli dalla mente, con un quadro deciso di Claire, Tony e Andy che riuscivano a salire non visti su di una navetta diretta alla Stazione di Trasferimento, ma quel quadro si trasformò nell’immagine di Claire che cercava di saltare nel vuoto per infilarsi nel portello stagno di una navetta (quale vuoto? da dove, per amor del cielo?), dimenticando che tutte quelle tangenti venivano trasformate in parabole dalla forza di gravità… e mancando così il bersaglio. Silver pensò alla maniera molto particolare in cui le cose si muovevano in un campo gravitazionale denso. Il grido, coperto dal rumore del corpo che si sfracellava sul cemento sottostante, anzi dal duplice rumore di corpi che si sfracellavano, perché di certo Claire avrebbe avuto Andy in braccio… Silver si premette sulla fronte le nocche delle mani superiori, come se, così facendo, potesse fisicamente scacciare quella terrificante visione radicata nel suo cervello. Claire aveva visto i suoi stessi olovideo a proposito della vita sui pianeti, e certo se ne sarebbe ricordata.
Il sibilo delle porte stagne che si aprivano la strappò da quei pensieri. Era meglio che si fingesse affacendata: di che cosa avrebbe dovuto occuparsi, ora? Ah, sì, la pulizia dei tubi di crescita usati, preparandoli per la dimostrazione del loro funzionamento a beneficio del Vice Presidente delle Operazioni, che avrebbe avuto luogo tra due giorni. Al diavolo anche il Vice Presidente delle Operazioni. A lei interessava solo che non si notasse l’assenza di Tony e Claire per altri due o tre turni. Ora…
Il cuore ebbe un sussulto quando vide chi era entrato nel laboratorio di idroponica. Di tutte le persone…
In una situazione normale, Silver sarebbe stata contenta di vedere Leo. Aveva l’aspetto di un uomo forte, pulito… no, non massiccio, ma in qualche modo solido, pieno di una calma prosaica suggerita anche dal particolare odore che lui emanava, e che le ricordava oggetti di origine terrestre che lei aveva avuto la possibilità di tenere in mano, come legno, cuoio ed erbe essicate. Di fronte al suo timido sorriso, le immagini spaventose si confondevano nella nebbia. Forse, dopotutto, era contenta di poter parlare con Leo.
Ma lui non stava sorridendo in quel momento. — Silver? Sei qui?
Per un attimo, Silver pensò freneticamente di nascondersi in mezzo ai tubi di crescita, ma il fruscio del fogliame mentre si voltava la tradì. Fece capolino tra le foglie. — Oh, salve, Leo.
— Hai per caso visto Tony o Claire, ultimamente? — Leo era abituato ad andare subito al punto. Chiamami Leo, aveva detto la prima volta che lei lo aveva chiamato «signor Graf». È più spiccio. Lui galleggiò fino ai tubi di crescita e si trovarono a guardarsi divisi da una barriera di foglie di fagiolini.
— Non ho visto altri che il mio supervisore per tutta la durata del turno — disse Silver, sollevata di poter dare una risposta del tutto onesta.
— Quand’è stata l’ultima volta che hai visto uno di loro?
— Oh… il turno scorso, credo. — Silver mosse il capo con noncuranza.
— Dove?
— Uh… in giro. — Fece una risatina vaga. A quel punto il signor Van Atta avrebbe alzato le braccia al cielo disgustato, rinunciando a ottenere una risposta sensata da una testa vuota come la sua.
Leo la guardò corrucciato. — Sai, una delle cose affascinanti di voi ragazzi è la precisione con cui rispondete ad ogni domanda.
Quel commento restò sospeso in aria, quasi fosse in attesa, come del resto era lo stesso Leo. L’immagine di Tony, Claire e Andy che scivolavano attraverso la stiva di carico della navetta lampeggiò nella mente di Silver con sbalorditiva chiarezza. Frugò tra i ricordi del loro ultimo incontro, quando erano stati messi a punto gli ultimi piani, per riuscire a trovare una mezza verità. — Abbiamo consumato insieme il pasto di metà turno alla Stazione Alimentare Sette.
Leo torse la bocca. — Capisco — Piegò il capo di lato, studiandola attentamente come se fosse una specie di enigma, per esempio come se dovesse trovare il modo di unire due superfici metallurgicamente incompatibili.
— Sai, ho appena saputo del nuovo, ehm, incarico riproduttivo di Claire. Mi domando cosa preoccupasse Tony nelle ultime settimane. La cosa lo ha un po’ disturbato. Era piuttosto… sconvolto.
— Loro avevano dei progetti — cominciò Silver, poi si interruppe e scrollò le spalle con aria casuale. — Non so. Io sarei felicissima di ricevere qualunque incarico di riproduzione. Ma non c’è modo di accontentare certa gente.
Il viso di Leo si fece severo. — Silver… fino a che punto erano sconvolti? I ragazzi spesso scambiano un problema temporaneo con la fine del mondo, non hanno il senso della pienezza del tempo. Si lasciano prendere dall’eccitazione. Pensi che fossero abbastanza sconvolti da tentare un gesto… disperato?
— Disperato? — Lo stesso sorriso di Silver fu disperato.
— Come un patto suicida o qualcosa del genere?
— Oh, no! — rispose Silver sconvolta. — Non farebbero mai una cosa simile.
Era forse un lampo di sollievo quello che per un attimo balenò negli occhi castani di Leo? No, il suo viso si era fatto ancor più preoccupato.
— È proprio quello che temo possano aver fatto. Tony non si è presentato per il suo turno di lavoro, e questo non era mai capitato prima; anche Andy è scomparso. Non si riesce a trovarli. Se si sentivano tanto disperati, senza via di scampo, che cosa ci sarebbe stato di più facile che scivolare fuori da un portello? Una morsa di gelo, un attimo di dolore e poi… fuggiti per sempre. — Intrecciò convulsamente il suo unico paio di mani. — Ed è colpa mia: avrei dovuto essere più perspicace, dire qualcosa… — si interruppe, guardandola speranzoso.
— Oh no! Nulla di simile! — Inorridita, Silver si affrettò a rassicurarlo. — Che cosa terribile vai a pensare. Senti… — gettò un’occhiata al laboratorio idroponico e abbassò la voce. — Ascolta, non dovrei dirtelo, ma non posso permettere che tu continui a pensare… quelle cose terribili. — Lui la ascoltava attentissimo, con espressione grave e compunta. Poteva davvero arrischiarsi a dirgli qualcosa? Forse qualche rassicurazione appositamente formulata… — Tony e Claire…
— Silver! — gridò la voce della dottoressa Yei mentre si apriva la porta stagna. E subito le fece eco il ruggito di Van Atta. — Silver, cosa sai di tutta questa faccenda?
— Oh, merda — imprecò Leo sottovoce, e le mani che erano congiunte in un gesto implorante, si strinsero a pugno.
Indignata e ferita, Silver si ritrasse. — Tu…! — Quasi si mise a ridere: possibile che Leo fosse così sottile e subdolo? L’aveva sottovalutato. Allora, entrambi portavano una maschera, di fronte al mondo? Se era così, quali territori sconosciuti si celavano dietro quel viso neutro?
— Ti prego, Silver, parla prima che arrivino. Non posso aiutarli, se…
Era troppo tardi: Van Atta e la dottoressa irruppero nella stanza.
— Silver, sai dove sono andati Tony e Claire? — chiese la dottoressa Yei senza fiato. Leo si ritrasse in un silenzio riservato, apparentemente interessatissimo ad osservare la delicata struttura di un bocciolo bianco di fagiolino.
— Certo che lo sa — ringhiò Van Atta, prima che Silver potesse rispondere. — Quelle ragazze si tengono bordone, te lo dico io…
— Oh, lo so - mormorò la dottoressa.
Van Atta si rivolse di scatto a Silver. — Sputa l’osso, Silver, se davvero sai quello che ti conviene.
Silver chiuse la bocca, stringendo con fermezza le labbra, e sollevò il mento.
Alle spalle del suo superiore, la dottoressa Yei alzò lo sguardo al cielo. — Senti, Silver — disse in tono conciliante, — non è questo il momento di giocare. Se, come sospettiamo, Tony e Claire hanno cercato di lasciare l’Habitat, adesso potrebbero trovarsi in guai seri, anche in pericolo di vita. Mi fa piacere che tu senta il desiderio di essere leale con i tuoi amici, ma ti prego, fa che sia una lealtà responsabile… gli amici non lasciano che altri amici si facciano del male.
Il dubbio comparve nello sguardo di Silver e lei socchiuse le labbra, sul punto di parlare.
— Maledizione — gridò Van Atta, — io non ho tempo di stare a circuire questa piccola stronza con paroline dolci. Quella infida creatura che manda avanti le Operazioni, in questo preciso istante sta aspettando che abbia inizio lo spettacolo. Comincerà a fare delle domande e se non avrà immediatamente delle risposte, verrà a cercarsele da sola. Di tutti i momenti che si potevano scegliere per commettere un’idiozia, questo è certo il peggiore. Qualcuno deve averlo fatto apposta. Niente di così disastroso può essere avvenuto per caso.
Il suo viso paonazzo e congestionato dall’ira stava avendo il consueto effetto su Silver: sentiva una morsa allo stomaco, e le lacrime cominciarono ad appannarle la vista. Una volta avrebbe concesso qualunque cosa, e avrebbe fatto tutto il possibile, purché tornasse ad essere calmo, sorridente e scherzoso.
Ma non questa volta. La sua iniziale infatuazione se n’era andata un po’ alla volta, ed era sorprendente accorgersi di quanto poca ne fosse rimasta. Un guscio vuoto poteva essere resistente e forte… — Tu — sussurrò, — non puoi farmi dire nulla.
— Proprio come pensavo — ringhiò Van Atta. — Dov’è la sua socializzazione totale, dottoressa Yei?
— Se lei gentilmente si astenesse — rispose a denti stretti la dottoressa, — dall’insegnare ai miei soggetti un comportamento antisociale, non si troverebbe costretto ad affrontarne le conseguenze.
— Non capisco di che cosa stia lamentandosi. Io sono un funzionario: essere duro fa parte del mio compito. È per questa ragione che la GalacTech mi ha messo a capo di questo pozzo orbitante di quattrini. Il controllo del comportamento invece è responsabilità del suo dipartimento, o così lei afferma. Quindi faccia il suo lavoro.
— Formazione del comportamento — lo corresse gelida la dottoressa.
— E a che cosa serve se cade a pezzi proprio quando le cose si fanno più difficili? Io voglio qualcosa che funzioni sempre. Se lei fosse un ingegnere, non avrebbe mai superato le specifiche di affidabilità. Non è esatto, Leo?
Leo spezzò lo stelo di una foglia, sorridendo, mentre una luce gli brillava negli occhi. Stava probabilmente rimasticando una risposta: sicuramente, soffocò qualcosa dentro di sé.
Silver si affidò a un piano semplice, così semplice che di sicuro sarebbe riuscita a portarlo a termine. Tutto quello che doveva fare era di non fare nulla. Non fare nulla, non dire nulla: alla fine la crisi sarebbe passata. Dopo tutto, non potevano danneggiarla fisicamente, perché lei era una proprietà di valore della GalacTech. Il resto erano solo seccature. Si ritrasse nella sicurezza del silenzio totale e dell’inerzia.
Il silenzio si fece pesante e insostenibile, minacciando di soffocarla.
— Allora è così che intendi comportarti — sibilò Van Atta. — Molto bene, la scelta è tua. — Si rivolse alla dottoressa. — In infermeria ha qualcosa di simile al penthorapid, dottoressa?
Le labbra della dottoressa Yei tremarono. — Il penthorapid è legale solo per i dipartimenti di polizia, signor Van Atta.
— E anche loro hanno bisogno di un ordine del tribunale per poterlo usare, vero? — si informò Leo, senza alzare lo sguardo dalla foglia che rigirava tra le dita.
— Sui cittadini, Leo. Quella — Van Atta indicò Silver, — non è un cittadino. Allora, dottoressa?
— Per rispondere alla sua domanda, signor Van Atta, no, la nostra infermeria non tiene droghe illegali!
— Io non ho parlato di penthorapid, ho detto qualcosa di simile - replicò Van Atta irritato. — Qualche tipo di anestetico o roba del genere, da usare nei casi di emergenza.
— Ci troviamo in un caso di emergenza? — chiese Leo in tono blando, continuando a rigirare la foglia tra le dita. Ormai stava appassendo. — Pramod sostituisce Tony, e certamente una delle altre ragazze che ha un figlio può prendere il posto di Claire. Come potrebbe accorgersi della differenza il Vice Presidente delle Operazioni?
— Se ci ritroviamo a dover raccattare i pezzi di due nostri operai dalla superficie del pianeta… — Silver trasalì a quell’eco della sua stessa spaventosa fantasia, — … o li ritroviamo a galleggiare freddi e stecchiti da qualche parte qui fuori, sarà maledettamente difficile far finta di nulla. Lei non ha conosciuto quella donna, Leo. Annusa i guai come un cane da tartufi.
— Mmm… — disse Leo.
Van Atta tornò a rivolgersi alla dottoressa. — Allora? Cosa mi dice? Preferisce aspettare che qualcuno ci chiami chiedendo cosa deve fare dei corpi?
— La thalizina IV-5 è un po’ come il penthorapid — mormorò riluttante la dottoressa, — in certe dosi. Ma la farà star male almeno per un giorno.
— La scelta è di Silver. — Si rivolse alla ragazza. — È la tua ultima possibilità, Silver. Ne ho abbastanza, disprezzo chi è sleale. Dove sono andati? Dimmelo, o ti farò fare l’iniezione, subito.
Silver venne strappata dall’inerzia per affrontare un tipo di coraggio umano molto più attivo e doloroso. — Se mi farà questo — sussurrò, in un disperato tentativo di riaffermare la propria dignità, — tra noi sarà finita.
Van Atta si ritrasse oltraggiato e furente. — Finita? Tu e i tuoi amichetti cospirate per sabotarmi la carriera davanti agli alti papaveri e tu vieni a dire a me che per noi è finita? Hai proprio ragione, siamo finiti!
— Sicurezza, Porto delle Navette Tre, risponde il capitano Bannerji — scandì George Bannerji nel microfono. — Cosa posso fare per lei?
— È lei al comando? — chiese senza preamboli l’uomo ben vestito che comparve sullo schermo del suo video. Era chiaro che si trovava in preda ad una forte emozione e il suo respiro era affannoso. Un muscolo guizzò sulla mascella rigidamente serrata.
Bannerji levò i piedi dalla scrivania e si sporse in avanti. — Sì, signore?
— Sono Bruce Van Atta, Capo del Progetto all’Habitat. Controlli la mia impronta vocale o segue comunque la procedura.
Bannerji si raddrizzò, e batté il codice di controllo; la parola «positivo» lampeggiò per un istante riflessa sul volto di Van Atta. — Sissignore, prosegua.
Van Atta si interruppe, come se stesse cercando le parole, e poi iniziò a parlare con lentezza, nonostante il suo viso tradisse molta impazienza. — Qui abbiamo un problemino, capitano.
Luci rosse e sirene si accesero nella mente di Bannerji. Era in grado di riconoscere un tentativo di minimizzare eventuali guai. — Oh?
— Tre dei nostri… soggetti sperimentali sono fuggiti dall’Habitat. Abbiamo interrogato l’altro cospiratore e abbiamo ragione di credere che si siano nascosti nella stiva del veicolo B119 e che si trovino adesso da qualche parte al Porto Tre. È assolutamente urgente che vengano catturati e restituiti a noi al più presto possibile.
Bannerji spalancò gli occhi. Le informazioni riguardo all’Habitat erano coperte dal massimo segreto, ma nessuno poteva lavorare su Rodeo per un po’ senza venire a sapere che lassù, in un prudente isolamento, era in corso qualche tipo di esperimento genetico sugli esseri umani. Generalmente, i nuovi assunti scoprivano un po’ in ritardo che le strampalate storie di mostri che si raccontavano lassù erano solo una presa in giro. Bannerji era stato trasferito su Rodeo solo un mese prima.
Le parole del capo del progetto echeggiarono nel cervello di Bannerji. Fuggiti. CATTURATI. I criminali fuggivano. Gli animali pericolosi fuggivano dallo zoo quando i loro guardiani si distraevano, e allora il compito di catturarli ricadeva su qualche povero poliziotto. Ogni tanto, sfuggivano al controllo anche delle tremende armi biologiche. Con che diavolo aveva a che fare, lui?
— Come faremo a riconoscerli, signore? Hanno l’aspetto — Bannerji deglutì, — di esseri umani?
— No. — Van Atta dovette leggere lo sconcerto sul volto di Bannerji perché sbuffò ironicamente. — Le assicuro, capitano, che non avrà difficoltà a riconoscerli. E quando li avrà trovati, mi chiami subito sul mio codice privato. Non voglio che la cosa filtri sui canali ufficiali. Per amor del cielo, tenga la cosa riservata, mi ha capito?
Bannerji provò un attimo di panico. — Sissignore, capisco perfettamente.
Il suo panico era una faccenda privata. Non avrebbe ricevuto un pingue salario se il lavoro nella Sicurezza si fosse limitato a lunghe pause per il caffè e a piacevoli ronde notturne a guardia di proprietà assolutamente deserte. Aveva sempre saputo che un bel giorno avrebbe dovuto guadagnarsi la paga.
Van Atta interruppe la comunicazione con un secco cenno del capo. Bannerji inoltrò una chiamata per il suo subordinato e ordinò di rintracciare anche i due uomini che erano fuori servizio. Una faccenda che faceva sudare freddo i pezzi grossi non andava presa alla leggera da un addetto alla sicurezza di fresca nomina.
Aprì l’armadietto delle armi e firmò il registro di prelievo per sé e per i suoi uomini. Con aria pensosa, soppesò uno storditore nel palmo della mano. Era un aggeggio tanto piccolo e leggero, quasi un giocattolo; la GalacTech non rischiava certo azioni legali per i colpi fortuiti che potessero partire da armi come quelle.
Bannerji restò un attimo incerto, poi tornò alla sua scrivania e aprì il cassetto digitando il suo codice personale. La pistola fuori ordinanza riposava nella custodia, con la fondina avvolta intorno ad essa come un serpente addormentato. Quando Bannerji l’ebbe sistemata sotto la giacca si sentì molto meglio. Si voltò con piglio deciso a salutare i suoi uomini che prendevano servizio.