CAPITOLO TREDICESIMO

Gli altri profughi fecero largo per lasciar passare Bruce Van Atta che uscì a spron battuto dal tunnel di attracco per entrare nella saletta di sbarco del Porto Navette Tre di Rodeo. Fu costretto a fermarsi un attimo e a stringersi le ginocchia con le mani per superare l’ondata di stordimento causata dall’improvviso ritorno alla gravità. Di stordimento e di furore.

Per parecchie ore, mentre il modulo ormai staccato orbitava intorno a Rodeo, Van Atta aveva avuto la certezza che Graf volesse ucciderli tutti, anche se la presenza delle maschere a ossigeno indicava chiaramente il contrario. Se questa era una guerra, Graf non sarebbe mai stato un buon soldato. Persino io so che non si deve umilare in questo modo una persona e poi lasciarla vivere. Ti pentirai di aver fatto il doppio gioco con me, Graf, e ti pentirai ancor di più di non avermi ucciso quando ne avevi l’occasione. Con uno sforzo, controllò il proprio furore.

Dalla Stazione di Trasferimento sovraccarica per l’arrivo a sorpresa di circa trecento persone inattese, Van Atta aveva requisito d’autorità un posto per sé sul primo traghetto disponibile in partenza per il pianeta. Nelle venti ore che erano trascorse prima che il modulo, fra continui ritardi e un’agonizzante lentezza, riuscisse ad agganciarsi a uno dei trasporti per il personale della Stazione, non aveva chiuso occhio. Poi anch’egli insieme al resto del personale dell’Habitat Cay, era sbarcato in un gruppo disordinato da quella stretta e scomoda prigione mobile ed era stato trasportato alla Stazione di Trasferimento, dove era stato sprecato altro tempo.

Informazioni. Era passato quasi un giorno intero da quando erano stati tagliati fuori dall’Habitat. Doveva assolutamente raccogliere informazioni. Salì su di un tubo mobile e si diresse agli uffici dell’amministrazione del Porto Navette Tre, dov’era situato il centro comunicazioni. La dottoressa Yei arrancava dietro di lui, gemendo, ma Van Atta non le prestava attenzione.

Mentre veniva trasportato sopra la pista d’atterraggio, colse la propria immagine tremolante riflessa nelle pareti di plexiplastica del tunnel. Aveva un aspetto orribile. Raddrizzò la schiena e tirò in dentro la pancia. Non doveva presentarsi davanti agli altri amministratori con un aspetto stanco e rassegnato: i deboli venivano facilmente sopraffatti.

Guardò al di là della propria immagine, verso la zona di atterraggio che si stendeva sotto di lui. All’estremità più lontana della pista, nel punto di arrivo della monorotaia, si stavano ammucchiando le capsule di carico. Ah, sì, anche i maledetti quad erano un anello di quella catena. Un anello debole, un anello spezzato, che presto sarebbe stato sostituito.

Arrivò al centro comunicazioni contemporanemente all’Amministratore del Porto Tre, Chalopin, che era seguita dal capitano della Sicurezza, quel… come si chiamava? Oh, sì, quell’idiota di Bannerji.

— Che cosa diavolo sta succedendo, qui? — sbottò Chalopin senza preamboli. — Un incidente? Perché mai avete richiesto assistenza? Ci hanno detto di sospendere tutti i voli… e abbiamo un enorme carico che si sta ammassando fino alla raffineria.

— Allora continuate a bloccarli. O chiamate la Stazione di Trasferimento. Il movimento delle vostre navi mercantili non rientra nel mio dipartimento.

— Oh, sì che rientra! Da anni l’assemblamento orbitale dei carichi è sotto l’egida del Progetto Cay.

— In via sperimentale — e si accigliò, indispettito. — Potrà anche far parte del mio dipartimento, ma in questo momento non è certo la mia maggiore preoccupazione. Senta, signora, ho tra le mani una crisi in piena regola. — Si rivolse a uno degli addetti alle comunicazioni. — Può in qualche modo collegarmi con l’Habitat Cay?

— Non rispondono alle nostre chiamate — osservò dubbioso il controllore. — Tutta la normale telemetria è stata interrotta.

— In un modo qualsiasi. Con un rilevamento telescopico, qualunque cosa.

— Forse riesco ad ottenere un’immagine da uno dei satelliti di comunicazione — disse l’addetto, e borbottando concentrò di nuovo la propria attenzione sul pannello. Dopo alcuni minuti, lo schermo inquadrò un’immagine piatta e lontana dell’Habitat Cay, come veniva osservata da un’orbita sincrona. L’operatore la ingrandì.

Van Atta la fissò a bocca aperta. Che folle vandalismo era mai quello? L’Habitat sembrava un complesso puzzle tridimensionale smembrato per gioco da un bambino. Moduli staccati galleggiavano sparsi ovunque nello spazio e minuscole figure argentee sfrecciavano dall’uno all’altro. I pannelli solari erano ridotti a un quarto dell’estensione normale. Graf si era forse imbarcato in qualche folle piano per fortificare l’Habitat in caso di un contrattacco? Be’, giurò tra sé Van Atta, non gli sarebbe servito a nulla.

— Stanno… stanno forse preparandosi a un assedio o a qualcosa di simile? — domandò la dottoressa Yei, che aveva evidentemente seguito lo stesso ragionamento. — Si rendono certamente conto di quanto sia futile…

— Chi lo sa che cosa pensa quel maledetto imbecille di Graf? — ruggì Van Atta. — Quell’uomo è uscito di senno. Ci sono una dozzina di modi in cui, mantenendoci a distanza, possiamo fare a pezzi quell’installazione anche senza aiuto militare. O possiamo semplicemente aspettare che muoiano di fame. Si sono messi in trappola da soli. Non è solo pazzo, è anche stupido.

— Forse — disse la dottoressa in tono dubbioso, — intendono solo continuare a vivere tranquilli lassù, in orbita. Perché no?

— Al diavolo! Li stanerò di lì, e immediatamente, anche. A qualunque costo… nessun branco di miserabili mutanti potrà passarla liscia con un sabotaggio di queste dimensioni. Sabotaggio, furto, terrorismo…

— Non sono mutanti — soggiunse Yei, — sono bambini, il prodotto di ingegneria genet…

— Signor Van Atta? — si intromise un altro operatore, — ho un messaggio urgente per lei registrato su tutti i canali. Lo vuole ricevere qui? — La dottoressa, interrotta a metà, allargò le mani in un gesto di frustrazione.

— Che c’è, adesso? — mormorò Van Atta sedendosi davanti al pannello di comunicazioni.

— È un messaggio registrato del direttore della stazione assemblaggio capsule al Punto di Balzo. Glielo trasmetto — disse l’operatore.

Il viso vagamente familiare del direttore della stazione del Punto di Balzo tremolò e poi si stabilizzò sullo schermo di fronte a lui. Van Atta lo aveva incontrato una volta, all’inizio del suo incarico. La piccola stazione del Punto di Balzo era gestita da personale di Orient IV e rientrava nella divisione operativa di quella base, non di Rodeo. Gli impiegati erano terrestri iscritti al sindacato e, normalmente, non avevano contatti con Rodeo o con i quad che una volta erano stati destinati a rimpiazzarli.

Il direttore della stazione appariva sconvolto. Farfugliò le procedure di identificazione e passò senza mezzi termini al nocciolo della faccenda. — Che cosa diavolo sta succendendo alla sua gente? Un equipaggio composto da quegli scherzi di natura… insomma, da quei mutanti, è spuntato dal nulla, ha rapito un pilota, ha sparato a un altro, e infine si è impadronito di una supernave mercantile della GalacTech. Ma invece di compiere un balzo all’esterno, sono ritornati con la nave verso Rodeo. Quando abbiamo avvertito la Sicurezza di Rodeo, quelli ci hanno risposto che probabilmente i mutanti appartenevano a lei. Sono per caso impazziti, o cosa? Voglio delle spiegazioni, maledizione! Ho un pilota in infermeria, un tecnico terrorizzato e tutto il personale sull’orlo del panico. — Dall’espressione del viso del direttore della stazione, il panico non aveva risparmiato neppure lui. — Stazione Punto di Balzo, chiudo!

— A quando risale questo messaggio? — chiese Van Atta in tono neutro.

— A circa… — il tecnico controllò il proprio monitor, — circa dodici ore fa, signore.

— Lui pensa che i pirati siano quad? Perché non sono stato informato? — Il suo sguardo si posò su Bannerji, in piedi sugli attenti accanto a Chalopin: — Perché la Sicurezza non mi ha informato immediatamente?

— Quando abbiamo ricevuto il primo rapporto dell’incidente lei non era reperibile — rispose il capitano con voce priva di espressione. — Da quel momento abbiamo localizzato il D-620, che continuava a dirigersi dritto verso Rodeo, senza rispondere alle nostre chiamate.

— E che cosa state facendo in proposito?

— Stiamo tenendo sotto controllo la situazione. Non ho ancora ricevuto ordini di intraprendere qualche azione.

— Perché no? Dov’è Norris? — Norris era il Direttore delle Operazioni per tutta l’area dello spazio locale di Rodeo: avrebbe dovuto essere presente. In effetti, il Progetto Cay non rientrava direttamente sotto il suo comando, in quanto Van Atta doveva rispondere direttamente alla Compagnia.

— Il dottor Norris — disse Chalopin, — sta partecipando ad un convegno sullo sviluppo dei materiali, sulla Terra. In sua assenza, ho assunto personalmente le funzioni di Direttore delle Operazioni. Il capitano Bannerji ed io abbiamo discusso la possibilità che egli prendesse i suoi uomini e la navetta di salvataggio della Sicurezza del Porto Tre per tentare di salire a bordo della nave rubata. Non sappiamo ancora con certezza chi siano e che cosa vogliano quelle persone, ma sembra che abbiano preso un ostaggio e questo ci obbliga ad essere cauti. Così abbiamo lasciato che continuassero ad avvicinarsi, e nel frattempo tentiamo di ottenere altre informazioni. E questo — Chalopin lo trapassò con lo sguardo, — ci porta a lei, signor Van Atta. Questo incidente è in qualche modo collegato alla sua crisi sull’Habitat Cay?

— Non vedo come… — cominciò Van Atta e poi si interruppe di colpo, perché improvvisamente aveva capito «come». — Figlio di puttana… — bisbigliò.

— Per Krishna — esclamò la dottoressa Yei e si voltò a guardare l’immagine dell’Habitat smembrato che orbitava sopra di loro. — Non può essere…

— Graf è pazzo. È un pazzo megalomane. Non può fare questo… — Inesorabilmente, i parametri tecnici sfilarono nella mente di Van Atta. Massa, energia, distanza… sì, un Habitat ridotto, una volta abbandonata una parte delle componenti non essenziali, avrebbe potuto essere lanciato da una supernave attraverso lo spazio del corridoio, se fossero riusciti a portarlo in posizione verso il lontano punto di balzo. Tutto l’intero maledetto Habitat… — Si stanno portando via tutto quel maledetto Habitat! — esclamò Van Atta ad alta voce.

Yei si strinse nervosamente le mani, girando intorno all’immagine olografica. — Non ce la faranno mai! Sono poco più che ragazzi! Li porterà alla morte! È un atto criminale!

Il capitano Bannerji e l’amministratore del porto si scambiarono un’occhiata. Bannerji protese le labbra e allargò le mani, come se volesse dire prima le signore.

— Allora lei pensa che i due incidenti siano collegati? — insistette Chalopin.

Van Atta si era messo a passeggiare avanti e indietro, come se in quel modo sperasse di ottenere una visuale migliore dell’immagine dell’Habitat. — … tutto intero, maledizione!

Fu la dottoressa a rispondere per lui: — Sì, lo pensiamo anche noi.

Van Atta continuò a camminare. — Maledizione, e lo hanno già smontato! Non avremo tempo di aspettare che muoiano di fame. Dobbiamo fermarli in un altro modo.

— Gli operai del Progetto Cay erano rimasti molto turbati dalla brusca fine del Progetto — spiegò Yei. — Ne sono venuti a conoscenza troppo presto. Non essendo abituati alla gravità, temevano di essere confinati a terra. Non ho avuto la possibilità di far in modo che assimilassero gradualmente l’idea. Penso che cerchino effettivamente di… fuggire in qualche modo.

Il capitano Bannerji spalancò gli occhi e si appoggiò con una mano alla consolle, fissando l’olovideo. — Pensate alla piccola lumaca — mormorò, — che si porta la casa sulla schiena. Quando se ne va in giro nei freddi giorni piovosi, non è mai costretta a tornare indietro…

Van Atta si scostò di un altro mezzo metro dal capitano della Sicurezza, che di colpo si era trasformato in un poeta.

— Armi — disse, — che genere di armi ha in dotazione la Sicurezza?

— Storditori — rispose Bannerji, raddrizzandosi e fissandosi l’unghia del pollice destro: c’era forse una scintilla di ironia nel suo sguardo? No, non avrebbe osato.

— Voglio dire sulla vostra navetta — replicò Van Atta irritato. — Armi montate sulla nave. Strumenti di forza. Non si può minacciare se non si hanno gli strumenti per farlo.

— Ci sono due unità laser di media potenza. L’ultima volta che le abbiamo usate è stato, vediamo… per bruciare un pezzo di tronco che stava trattenendo un torrente in piena, minacciando un accampamento di esplorazione.

— Sì, bene, è più di quello che hanno a disposizione loro, in ogni caso — disse eccitato Van Atta. — Possiamo attaccare l’Habitat o la supernave, anzi, magari tutti e due. La cosa importante è impedire che si uniscano. Sì, bisogna prendere subito la nave. La sua navetta è rifornita di carburante e pronta a partire, capitano?

La dottoressa Yei era impallidita. — Aspetti un attimo! Chi ha parlato di attaccare? Non siamo neppure riusciti a stabilire un contatto verbale. Se i pirati sono davvero dei quad, sono certa che riuscirei a ricondurli alla ragione…

— È troppo tardi per ragionare. Questa situazione richiede un’azione immediata — L’umiliazione bruciava le viscere di Van Atta, rinfocolata dalla paura. Se gli alti papaveri della Compagnia avessero scoperto che il controllo gli era completamente sfuggito di mano… Be’, era meglio che per ora riacquistasse il controllo in pieno, e fermamente.

— Sì, ma… — la dottoressa si umettò le labbra, — le minacce vanno benissimo, ma usare veramente la forza è pericoloso… forse distruttivo. Non farebbe meglio a procurarsi qualche tipo di autorizzazione, prima? Se qualcosa va male, non penso che voglia ritrovarsi nei guai.

Van Atta tacque. — Ci vorrebbe troppo tempo — replicò alla fine. — Forse più di un giorno, per raggiungere il Quartier Generale del Distretto su Orient IV e ritorno. E se per caso decidessero che la cosa scotta troppo, passando la patata bollente ad Apmad sulla Terra potrebbero trascorrere parecchi giorni prima di ricevere una risposta.

— Ma ci vorranno lo stesso parecchi giorni, no? — disse Yei, guardandolo fisso. — Anche se riuscissero ad adattare l’Habitat alla supernave, non potranno certo imprimergli la spinta di un caccia: non reggerebbe alla sollecitazione, ci vorrebbe troppo carburante… abbiamo ancora un mucchio di tempo. Non sarebbe meglio ottenere un’autorizzazione, per andare sul sicuro? Così, se qualcosa va storto, non sarebbe colpa sua.

— Be’… — Van Atta esitò ancora. Com’era tipico della dottoressa essere tanto titubante e indecisa. Poteva quasi sentirla: adesso sediamoci e discutiamone da persone ragionevoli… Detestava lasciarsi convincere da lei, ma in effetti su di un punto aveva ragione: coprirsi le spalle era una regola fondamentale di sopravvivenza, anche per i più forti.

— Be’… no, maledizione! Una cosa su cui posso giurare è che la GalacTech vorrà che tutto questo fiasco passi sotto silenzio. L’ultima cosa che si augurerebbero è il diffondersi di voci incontrollate sui loro pupilli improvvisamente impazziti. È meglio per tutti noi se la cosa viene trattata nello spazio locale di Rodeo. — Si rivolse a Bannerji. — Allora questo ha priorità assoluta: lei e i suoi uomini dovrete riportare indietro quella supernave, o almeno metterla in condizioni di non funzionare.

— Questo — fece notare Bannerji, — sarebbe un atto di vandalismo. E inoltre, come è già stato sottolineato prima, la Sicurezza del Porto Tre non è alle sue dipendenze, signor Van Atta. — E lanciò uno sguardo significativo al suo capo, che era rimasta ad ascoltare in silenzio, giocherellando con una ciocca di capelli sfuggita alla sua impeccabile pettinatura.

— È vero — confermò Chalopin. — L’Habitat può essere un problema suo, signor Van Atta, ma il furto della supernave rientra chiaramente nella mia giurisdizione. E c’è ancora uno dei miei trasporti mercantili ancorato lassù, anche se la stazione di trasferimento ha riferito di aver tratto in salvo l’equipaggio da una capsula di emergenza.

Van Atta ribolliva di rabbia: era stato bloccato. Bloccato da due maledette donne. La dottoressa Yei aveva parlato a beneficio di Chalopin, si rese conto all’improvviso, e aveva fatto centro. — Allora così sia — disse alla fine a denti stretti, — passeremo la palla al Quartier Generale. E allora vedremo chi comanda qui.

La dottoressa Yei chiuse gli occhi un istante, in un gesto di sollievo. A un ordine di Chalopin, un operatore predispose i sistemi per l’invio di un messaggio di emergenza al Distretto. Trasmesso via radio alla velocità della luce verso la stazione vicina al corridoio, sarebbe stato registrato sulla prima nave disponibile pronta al balzo, e poi di nuovo trasmesso via radio a destinazione.

— Nel frattempo — chiese Van Atta a Chalopin, — cosa pensa di fare per la sua - e sottolineò con sarcasmo l’aggettivo, — nave rubata?

— Procedere con cautela — rispose lei in tono controllato. — Dopo tutto, abbiamo ragione di pensare che vi sia coinvolto un ostaggio.

— Non siamo sicuri che tutto il personale della GalacTech sia stato allontanato dall’Habitat — si intromise la dottoressa.

Van Atta grugnì, non potendo contraddirla. Ma se davvero c’erano ancora dei terrestri sull’Habitat, le alte sfere si sarebbero certamente rese conto della necessità di una risposta rapida e decisa. Doveva chiamare la Stazione di Trasferimento e accertare il numero definitivo degli scampati. Se tutti quegli idioti lo avessero obbligato a starsene con le mani in mano per i giorni seguenti, almeno poteva fare i suoi piani per quando avrebbe avuto via libera.

E presto o tardi avrebbe avuto via libera. Non gli era sfuggito l’orrore malcelato che Apmad nutriva nei confronti dei mutanti quad. Quando fosse venuta a conoscenza di questo pasticcio, sarebbe schizzata in aria con una tale pelle d’oca, ostaggi o non ostaggi… Van Atta socchiuse gli occhi. — Ehi — esclamò ad un tratto, — non siamo così inermi come pensavamo. Questo gioco possiamo affrontarlo ad armi pari… anch’io ho un ostaggio!

— Sì? — domandò perplessa la dottoressa, e poi si portò una mano alla gola.

— Può starne certa. E pensare che me ne ero quasi dimenticato. Quel furfante a quattro mani di Tony è qui!

Tony era il cocco di Graf… e lo stallone favorito di quella puttanella di Claire, e lei di sicuro era tra i caporioni… per Dio, egli avrebbe sfruttato la cosa a suo vantaggio! Girò sui tacchi. — Avanti, Yei! Quei piccoli bastardi risponderanno alle nostre chiamate, adesso!


I piloti del balzo potevano anche ritenere che le loro navi fossero meravigliose, pensò Leo, mentre la D-620 virava silenziosa entrando nel suo campo visivo, ma in verità non sembrava altro che un mostruoso calamaro meccanico. All’estremità anteriore c’era una sezione a forma di capsula, contenente la camera di guida e gli alloggi dell’equipaggio, protetta dai rischi materiali dell’accelerazione tramite uno schermo laminato schiacciato alle estremità, mentre un invisibile cono magnetico la riparava dalle radiazioni. Dietro di essa si incurvavano quattro lunghissimi bracci collegati fra loro. Due contenevano i motori a propulsione normale, mentre negli altri due era alloggiato il nucleo centrale che costituiva lo scopo della nave, le barre dei generatori di campo Necklin che spingevano la nave nello spazio dei corridoi durante il balzo. Tra le quattro braccia c’era un enorme spazio vuoto che normalmente veniva occupato dalle capsule di carico. La strana nave avrebbe assunto un aspetto meno bizzarro quando quello spazio fosse stato riempito dai moduli dell’Habitat, decise Leo, e a quel punto forse anch’egli non avrebbe più esitato a definirla meravigliosa.

Muovendo la mascella, Leo richiamò sullo schermo inserito all’interno della visiera del casco i livelli di energia e di carburante della propria tuta: aveva giusto il tempo di assistere alla sistemazione del primo gruppo di moduli prima di essere costretto a rientrare per riposarsi e rimettere in efficienza la tuta. Tuttavia, non avrebbe disdegnato un periodo di meritato riposo anche parecchie ore prima. Sbatté le palpebre, cercando di strofinarsi gli occhi affaticati e senza dubbio iniettati di sangue, succhiando un’altra sorsata di caffè caldo dal tubo. Voleva anche del caffè fresco. Quella roba che stava bevendo adesso era rimasta là fuori almeno quanto lui, e stava assumendo un sapore cattivo e un colore verdastro.

Il D-620 si affiancò all’Habitat, adeguando la velocità, e spense i motori. Le luci di volo si spensero mentre quelle di parcheggio, che segnalavano che ci si poteva avvicinare senza pericolo, cominciarono a lampeggiare. Immensi fasci di luce illuminarono il grande spazio di carico, quasi volessero annunciare: benvenuti a bordo.

Lo sguardo di Leo si concentrò sulla sezione dell’equipaggio, minuscola a confronto dei bracci arcuati. Con la coda dell’occhio vide una caspula passeggeri staccarsi dal fianco di dritta della supernave e avviarsi verso l’Habitat. Qualcuno che era diretto a casa… Silver, forse? Ti? Doveva parlare con Ti il più presto possibile. Un nodo di cui finora non si era accorto si sciolse nel suo stomaco. Silver era tornata sana e salva. Si corresse: tutti erano tornati. Ma non erano ancora in salvo. Attivò i razzi della tuta e raggiunse la sua squadra di quad.

Trenta minuti più tardi, Leo vide con immenso sollievo il primo grappolo di moduli scivolare senza problemi nell’abbraccio del D-620. Nei suoi incubi, che nemmeno i ripetuti controlli dei dati avevano potuto dissipare, si era raffigurato qualche contrattempo, seguito da interminabili ritardi per apportare le necessarie correzioni. Il fatto di non aver ancora saputo nulla da terra, a parte i ripetuti inviti a comunicare, non lo rassicurava granché. I dirigenti della GalacTech su Rodeo alla fine avrebbero dovuto compiere qualche mossa e non c’era nulla che lui potesse fare per controbattere, finché non sapeva che forma avrebbe assunto. L’apparente paralisi di Rodeo non sarebbe durata a lungo.

Ma adesso era giunto il momento di staccare. Forse sarebbe riuscito a persuadere il dottor Minchenko a rifilargli qualcosa per il suo mal di testa che sostituisse le otto ore di sonno che non si sarebbe concesso. Leo si inserì nel canale di comunicazione riservato ai capisquadra.

— Bobbi, prendi tu il comando, io rientro. Pramod, porta dentro la tua squadra appena avete imbullonato le ultime cinghie. Bobbi, assicurati che il secondo gruppo di moduli sia assicurato a dovere prima di procedere ai collegamenti dei portelli stagni, d’accordo?

— Sì, Leo, non preoccuparti — Bobbi, all’estremità più distante del gruppo di moduli, segnalò di aver ricevuto il messaggio agitando una delle mani inferiori.

Mentre Leo si voltava, uno dei rimorchiatori monoposto che aveva contribuito a sistemare i moduli si staccò e ruotò su se stesso, preparandosi ad allontanarsi per scortare il successivo gruppo di moduli che veniva allineato proprio in quel momento dietro la supernave. Uno dei razzi direzionali sbuffò e poi, proprio mentre Leo lo guardava, emise un improvviso e intenso fiotto azzurro. Il movimento rotatorio accelerò.

È senza controllo! pensò Leo, guardandolo con gli occhi sbarrati. Nella frazione di secondo necessaria per aprire il canale giusto nell’unità di comunicazione della tuta, la rotazione si trasformò in un avvitamento. Il rimorchiatore sfrecciò a tutta velocità, mancando per un soffio un quad in tuta da lavoro. Mentre Leo lo osservava inorridito, il rimorchiatore rimbalzò su una delle gondole dei bracci della supernave che contenevano le barre Necklin e continuò la sua corsa nello spazio.

Dal canale radio sintonizzato con il rimorchiatore uscì un grido inarticolato. Leo schiacciò un altro pulsante. — Vatel! — gridò al quad che manovrava il più vicino degli altri rimorchiatori monoposto. — Inseguilo!

Il secondo rimorchiatore ruotò su se stesso e partì a tutta velocità: attraverso il largo oblò anteriore del rimorchiatore, Leo intravide il lampo di una delle mani guantate di Vatel che segnalava di aver ricevuto l’ordine. Trattenne l’impulso irresistibile di lanciarsi direttamente all’inseguimento: c’era maledettamente poco che potesse fare con una tuta in riserva di energia. Era tutto nelle mani di Vatel.

Era stato un errore umano, o quad, o un difetto meccanico a causare l’incidente? Be’, sarebbe stato in grado di scoprirlo molto in fretta, una volta recuperato il rimorchiatore. Se il rimorchiatore veniva recuperato… Scacciò con forza quel pensiero e accese i razzi, dirigendosi verso la gondola della barra Necklin.

Il rivestimento aveva una profonda intaccatura nel punto in cui era entrato in collisione con il rimorchiatore. Leo cercò di rassicurarsi. Si tratta solo del rivestimento esterno. Esiste proprio per proteggere il nucleo interno da incidenti del genere, giusto? Sibilando costernato, si girò per illuminare con la luce della tuta la buia apertura grande quanto un uomo che si trovava ad un’estremità della copertura.

Oh, Dio!

Il riflettore di vortice era incrinato. Largo più di tre metri, di forma ellittica, modellato e rifinito con precisione matematica nell’ordine degli angstrom, era una superficie di controllo integrale per il sistema di balzo, che rifletteva, diffondeva o amplificava il campo Necklin generato dalle barre principali secondo la volontà del pilota. Non solo era incrinato, ma la brillante superficie di freddo titanio era addirittura squarciata e deformata al di là di ogni limite. Leo gemette.

Un’altra luce brillò nell’apertura. Leo volse lo sguardo e vide Pramod alle sue spalle.

— È proprio brutto come sembra? — disse la voce di Pramod, soffocata dalla radio.

— Sì — sospirò Leo.

— Non… non si può fare una riparazione con una saldatura, vero? — La voce di Pramod si stava alzando di tono. — Che faremo ora?

Sfinimento e paura, la peggior combinazione possibile… Leo diede alla sua voce stanca un tono neutro. — I livelli di energia della mia tuta dicono che adesso ce ne torneremo dentro e ci prenderemo un po’ di riposo. Poi si vedrà.

Con grande sollievo di Leo, quando si tolse la tuta venne informato che Vatel aveva già recuperato il rimorchiatore vagante riportandolo all’attracco del suo modulo dell’Habitat. Il pilota quad che scese dal veicolo era terrorizzato e presentava numerose escoriazioni.

— Si è bloccato, non sono riuscita a manovrarlo — pianse la ragazza. — Che cosa ho colpito? Ho colpito qualcuno? Non volevo liberarmi del carburante, ma è stato l’unico sistema che mi è venuto in mente per spegnere i razzi. Mi spiace averlo sprecato. Non sono riuscita a spegnere…

Non aveva più di quattordici anni, giudicò Leo. — Da quanto sei assegnata a questo turno di lavoro? — le chiese.

— Da quando abbiamo cominciato — rispose lei, tirando su con il naso. Era sospesa in aria a testa in giù accanto a lui e tremava visibilmente… le tremavano tutte e quattro le mani. Leo resistette all’impulso di rimetterla in posizione «ritta».

— Buon Dio, bambina, ma sono più di ventisei ore filate. Fai una sosta. Mangia qualcosa e vai a dormire.

Lei lo guardò sbalordita. — Ma le unità dormitorio sono tutte staccate e legate insieme ai nidi. Non posso andarci da qui.

— È per questo che…? Senti, tre quarti dell’Habitat sono inaccessibili in questo momento. Ancorati in un angolo dello spogliatoio o da qualunque altra parte. — E osservando perplesso le sue lacrime, aggiunse: — È permesso. - Era chiaro che lei voleva la sua amaca, che certo Leo in quel momento non poteva darle.

— Tutta sola? — chiese con una vocina sottile.

Probabilmente non aveva mai dormito in tutta la sua vita in una stanza con meno di sette persone, rifletté Leo. Trasse un profondo respiro per controllarsi… non si sarebbe messo a urlare, anche se quel gesto sarebbe servito magnificamente per dare sfogo ai suoi sentimenti… come aveva fatto a lasciarsi invischiare in quella crociata di ragazzini? Al momento non riusciva a ricordarselo.

— Vieni con me — la prese per mano portandola nello spogliatoio, trovò un sacco per la biancheria da agganciare a una parete, la aiutò ad infilarcisi dentro, e le allungò un panino imbottito. Il suo visetto faceva capolino dall’apertura e per un attimo Leo si sentì come qualcuno sul punto di affogare dei gattini.

— Ecco — disse con un sorriso teso. — Va meglio, eh?

— Grazie, Leo — singhiozzò lei. — Mi spiace per il rimorchiatore e per il carburante.

— Ce ne occuperemo noi. — E le strizzò eroicamente un occhio. — Cerca di dormire, va bene? Ci sarà ancora un mucchio di lavoro da fare quando ti sveglierai, non ti perderai niente. Uh… buona notte.

— ’notte.

Nel corridoio, si sfregò il viso con le mani. — Grr…

Tre quarti dell’Habitat inaccessibili? Era più probabile che a quel punto fossero i nove decimi. E tutti i grappoli di moduli pronti per essere caricati sulla supernave stavano funzionando con le batterie di emergenza, in attesa di essere ricollegati con il generatore centrale. Era vitale per la salvezza e la sopravvivenza di quelli che erano rinchiusi a bordo delle varie sottounità che l’Habitat venisse totalmente riconfigurato e reso operativo il più presto possibile.

Senza contare il fatto che tutti avrebbero dovuto imparare ad orientarsi nel nuovo labirinto. Il disegno era frutto di una serie di compromessi: le unità dei nidi, per esempio, potevano essere ospitate in un grappolo interno, mentre gli attracchi e i portelli esterni dovevano essere rivolti verso lo spazio; era inevitabile che certi scarichi dei rifiuti fossero abbandonati; i moduli dei generatori dovevano venire sistemati solo in quel modo, mentre le unità alimentari, che in quel momento servivano qualcosa come tremila pasti al giorno, richiedevano l’accesso ai magazzini… Per un po’, sarebbe stato uno spaventoso pasticcio per tutti quanti riadattarsi alla routine, anche ammettendo che tutti i moduli venissero caricati dalla parte giusta e collegati correttamente senza la personale supervisione di Leo… o anche quando lui era presente, ammise con se stesso. Si sentiva intontito.

E adesso la domanda cruciale: valeva la pena che continuassero a caricare una supernave che con ogni probabilità non era più in grado di funzionare? Il riflettore di vortice! Perché non era andata a sbattere contro uno dei bracci della normale propulsione spaziale? Perché non era andata addosso a Leo?

— Leo! — chiamò una voce maschile piuttosto familiare.

Galleggiando lungo il corridoio, con le braccia conserte in un atteggiamento indispettito, si avvicinava il pilota del balzo, Ti Gulik. Silver si spostava da un appiglio all’altro dietro di lui, seguita da Pramod. Gulik afferrò una maniglia e si fermò accanto a Leo. Questi incrociò lo sguardo di Silver per un saluto silenzioso e troppo breve, prima che il pilota lo inchiodasse alla parete.

— Che cosa hanno fatto i tuoi maledetti quad alle mie barre Necklin? — sbottò Ti. — Ci diamo tanta pena per andare a prendere questa nave, la portiamo qui, e la prima cosa che fate è di ridurla in pezzi… avevo a mala pena finito di parcheggiarla! — Gli mancò la voce. — Ti prego… dimmi che quel piccolo mutante — e indicò Pramod, — ha capito male…

Leo si schiarì la voce. — Uno dei razzi direzionali è rimasto bloccato nella posizione di «acceso», lanciando il rimorchiatore in una vite incontrollabile. Il termine «incidente imprevedibile» non rientra nel mio vocabolario, ma certamente non è stata colpa della quad.

— Oh — disse Ti. — Almeno non stai cercando di dare la colpa al pilota… ma qual è realmente il danno?

— La barra non è stata danneggiata…

Ti emise un sospiro di sollievo.

— … ma il riflettore di titanio sul lato sinistro si è rotto.

Il respiro di Ti si trasformò in un basso ululato. — Ma è peggio che mai!

— Calmati! Forse non è così brutto. Ho già un paio di idee. E comunque dovevo parlarti. Quando ci siamo impadroniti dell’Habitat, c’era un traghetto da carico all’attracco.

Ti gli lanciò un’occhiata carica di sospetto. — Buon per voi. E allora?

— Non è stato un colpo di fortuna, era programmato. Qualcosa che Silver non sa ancora… — Leo colse il suo sguardo, e vide che ascoltava intenta ogni sua parola, — … non siamo riusciti a ricuperare Tony prima di impadronirci dell’Habitat. È ancora in ospedale su Rodeo.

— Oh, no — mormorò Silver. — Non c’è un modo…

Leo si sfregò la fronte dolorante. — Forse. Non sono sicuro che sia una buona strategia militare, il precedente ha a che fare con delle pecore, credo, ma non sarei capace di vivere in pace con me stesso se non facessimo almeno un tentativo per riportarlo tra noi. Anche il dottor Minchenko ha promesso di venire con noi se riusciamo a portar su la signora. Anche lei si trova sul pianeta.

— Il dottor Minchenko è rimasto? — Silver batté le mani, visibilmente eccitata. — Oh, bene.

— Resta solo se riusciamo a recuperare la moglie — la ammonì Leo. — E quindi abbiamo due ragioni per rischiare un’incursione a terra. Abbiamo una navetta, abbiamo un pilota…

— Oh, no — cominciò Ti, — aspetta un minuto…

— Ed abbiamo disperatamente bisogno di un pezzo di ricambio. Se riusciamo a localizzare un riflettore di vortice in uno dei magazzini di Rodeo…

— Non ci riuscirete — lo interruppe Ti in tono sicuro. — Le riparazioni di una nave a balzo vengono effettuate esclusivamente ai cantieri orbitali del Distretto, a Orient IV. Tutto è immagazzinato da quella parte. Lo so perché una volta abbiamo avuto un problema e siamo stati costretti ad aspettare quattro giorni prima che una squadra per le riparazioni arrivasse da lì. Rodeo non ha nulla a che fare con le supernavi, nulla. — E incrociò le braccia.

— Lo temevo — disse Leo a voce bassa. — Be’, c’è anche un’altra possibilità: possiamo tentare di fabbricarne uno qui sul posto.

Ti aveva l’espressione di chi ha ingoiato un limone acerbo. — Graf, quegli aggeggi non si saldano insieme utilizzando dei rottami di ferro. So maledettamente bene che vengono fusi in un pezzo solo, pare che le giunture interferiscano con il flusso del campo… e quel maledetto affare ha un diametro di tre metri nel punto più largo! Lo stampo da cui lo ricavano pesa parecchie tonnellate. E la previsione che richiede… ti ci vorrebbero sei mesi per sviluppare un progetto del genere!

Leo deglutì e protese entrambe le mani allargando le dita. Se fosse stato un quad, avrebbe potuto avere la tentazione di raddoppiare la stima: — Dieci ore — esclamò. — Certo, vorrei avere sei mesi. Su di un pianeta. In una fonderia. Con una pressa stampante in lega d’acciaio tarata al millimicron, proprio come quella che possiedono loro. E il raffreddamento ad acqua, una squadra di assistenti, e fondi illimitati… potrei farne migliaia di unità. Ma non ce ne servono migliaia. C’è un altro modo. Un unico tentativo raffazzonato, ma avremo tempo solo per quello. Ma io non posso essere quassù, a fabbricare di nuovo un riflettore di vortice, e laggiù a salvare Tony allo stesso tempo. I quad non possono andare. Ho bisogno di te, Ti. Avrei avuto bisogno di te in ogni caso, per pilotare la navetta. Adesso ho solo bisogno che tu faccia qualcosa di più.

— Senti — cominciò Ti, — la teoria era che sarei uscito da questa faccenda tutto d’un pezzo perché la GalacTech avrebbe pensato che ero stato rapito e vi avrei fatto compiere il balzo perché avevo una pistola puntata alla tempia. Un copione bello, pulito, credibile. Qui la cosa si fa maledettamente troppo complicata. Anche se mi riuscisse un colpo del genere, non crederebbero mai che l’ho fatto sotto coercizione. Che cosa mi impedirebbe di volare su Rodeo… consegnarmi? Questo è il genere di domande che loro si porranno, ci puoi scommettere la testa. No, maledizione, né per amore, né per denaro.

— Lo so — borbottò Leo. — Te li abbiamo offerti tutti e due. — Ti gli rivolse un’occhiata di fuoco, ma abbassò la testa per evitare di incontrare lo sguardo di Silver.

Una voce giovane e spaventata echeggiò per il corridoio. — Leo? Leo!…

— Sono qui — rispose. Che cosa c’era, adesso?

Uno dei quad più giovani comparve saettando verso di loro. — Leo! Ti abbiamo cercato dappertutto! Vieni, presto!

— Che cosa c’è?

— Un messaggio urgente. Da terra.

— Non rispondiamo ai loro messaggi. Blackout totale, ricordi? Meno informazioni diamo e più tempo impiegheranno a decidere cosa farne di noi.

— Ma è Tony!

Leo avvertì una fitta allo stomaco e si gettò dietro il messaggero. Silver, pallida in volto, lo imitò, seguita dagli altri.


L’immagine sull’olovideo si materializzò, mostrando un letto d’ospedale. Tony, sostenuto dallo schienale rialzato, guardava dritto nel video. Indossava maglietta e pantaloncini, aveva una vistosa fasciatura attorno al bicipite inferiore sinistro e la rigidità della sua posizione lasciava capire che anche il torace era bendato. Aveva il viso segnato, pallido sotto un velo di rossore. Gli occhi azzurri, orlati di bianco come quelli di un pony spaventato, guardarono nervosamente alla destra del letto, accanto al quale, in piedi, c’era Bruce Van Atta.

— Ci ha messo un bel po’ a rispondere, Graf — disse con una smorfia odiosa.

Leo deglutì. — Salve, Tony. Non ci siamo dimenticati di te, quassù. Claire e Andy stanno bene e sono di nuovo insieme…

— Lei è qui per ascoltare, Graf, non per parlare — lo interruppe Van Atta. — Ecco, ho tolto l’audio, così può risparmiarsi il fiato. Va bene, Tony — Van Atta pungolò il quad con una bacchetta color argento (Che cos’era? si chiese Leo con un brivido di paura), — fai la tua parte.

Lo sguardo di Tony si spostò di nuovo verso la silenziosa immagine dell’olovideo e spalancò gli occhi, in un’espressione di urgenza. Trasse un profondo respiro e parlò a raffica: — Qualunque cosa stiate facendo, Leo, continuate a farla. Non preoccupatevi di me. Porta via Claire, porta via Andy…

L’olovideo si oscurò di colpo, ma il canale audio rimase aperto per qualche istante ancora e da esso giunse uno strano suono, poi un grido e l’imprecazione di Van Atta: — Stai fermo, stronzetto! — prima che anche l’audio svanisse.

Leo si trovò a stringere una delle mani di Silver.

— Claire stava venendo qui — disse lei a bassa voce, — per assistere alla chiamata.

Leo incontrò il suo sguardo. — Penso che sia meglio che tu vada a fermarla.

Cupamente, lei accennò di sì. — Bene — e se ne andò.

L’olovideo riprese vita. Tony era rannicchiato nell’angolo più lontano del letto, a testa bassa e con le mani sul viso. Van Atta era in piedi, furibondo, e si dondolava sui tacchi.

— Il ragazzo è un po’ duro di comprendonio, pare — ringhiò rivolto a Leo. — Sarò breve e chiaro, Graf. Lei può anche avere degli ostaggi, ma se prova a toccarli, sarà perseguibile in ogni tribunale della Galassia. Io ho un ostaggio di cui posso disporre come voglio, legalmente. E se pensa che non lo farò, mi metta alla prova. Adesso ascolti: stiamo per inviare una navetta della Sicurezza a ristabilire l’ordine. E lei collaborerà. - Sollevò la bacchetta argentata, premette qualcosa e dalla punta scaturì una scintilla elettrica. — Questo è un congegno molto semplice, ma, se mi costringe, posso usarlo in modo molto creativo. Non mi costringa, Leo.

— Nessuno la sta costringendo — cominciò Leo.

— Ah! — Van Atta lo interruppe, — aspetti un attimo — toccò un controllo sul proprio olovideo, — adesso la sento, parli. Ma è meglio che dica qualcosa che voglio sentire.

— Nessuno qui può costringerla a fare qualcosa — disse Leo con voce rauca. — Qualunque cosa faccia, agisce di sua spontanea volontà. Noi non abbiamo alcun ostaggio. Tutto quello che abbiamo sono tre volontari che hanno scelto di restare secondo… la loro coscienza, immagino.

— Se uno di loro è Minchenko, è meglio che si guardi alle spalle, Leo. Coscienza un cavolo, non vuole perdere il suo piccolo impero. Lei è uno sciocco, Graf. Ecco… — fece un gesto a qualcuno fuori campo, — gli parli nella sua lingua, Yei.

La dottoressa Yei avanzò con passi rigidi, incontrò lo sguardo di Leo e si umettò le labbra. — Signor Graf, la prego, metta fine a questa follia. Quello che sta cercando di fare è incredibilmente pericoloso per tutti quelli che sono coinvolti… — Van Atta sottolineò l’affermazione agitando lo stimolatore elettrico sulla sua testa con un sorrisetto acido; la dottoressa gli lanciò uno sguardo irritato, ma non disse nulla e continuò in tono cupo: — Si arrenda adesso, e almeno i danni saranno limitati al minimo. La prego, per il bene di tutti. Lei ha il potere di fermare tutto questo.

Per un momento Leo non disse nulla, poi si sporse in avanti. — Dottoressa Yei, sono a quarantacinquemila chilometri di distanza. Lei è nella stessa stanza… lo fermi lei. - Spense l’olovideo e rimase a fluttuare confuso e intontito.

— È stata una mossa saggia? — chiese Ti in tono incerto.

Leo scosse il capo. — Non lo so, ma certo, senza un pubblico, non c’è ragione di proseguire uno spettacolo.

— Era tutta una messinscena? Fino a che punto può spingersi quel tipo?

— Nel passato lo conoscevo come un individuo che facilmente perdeva le staffe, quando era messo alle strette. Appellarsi ai suoi interessi personali generalmente lo induceva a fare marcia indietro. Ma come avrai capito tu stesso, in questo pasticcio gli… gli avanzamenti di carriera sono limitati. Non so fino a che punto si spingerà. E penso che non lo sappia neppure lui.

Dopo una lunga pausa, Ti chiese: — Ti… ah… ti serve ancora un pilota di navetta, Leo?

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