CAPITOLO DECIMO

La stazione per il carico dei traghetti mercantili era gelida. Claire si sfregò tutte le mani per scaldarle. Solo le mani erano fredde, perché il suo cuore batteva, ardente di aspettativa e timore. Gettò un’occhiata a Leo, che galleggiava apparentemente imperturbabile come sempre accanto al portello stagno.

— Grazie per avermi levata dal turno di lavoro e portata qui ad aspettare l’arrivo di Tony — disse Claire. — Sei sicuro che non avrai guai, quando lo scoprirà Van Atta?

— E chi dovrebbe dirglielo? — disse Leo. — E poi penso che Bruce si stia stufando di tormentarti. Tutto è così futile, il che va a nostro vantaggio. Comunque anch’io voglio parlare con Tony, e immagino che avrò più probabilità di ottenere la sua attenzione dopo che vi sarete scambiati baci e abbracci. — Le rivolse un sorriso rassicurante.

— Chissà in che condizioni si trova?

— Stai tranquilla che di certo si sente molto meglio, altrimenti il dottor Minchenko non lo avrebbe sottoposto al disagio del viaggio, anche solo per poterlo tenere d’occhio di persona.

Un tonfo e il ronzio stridente dei macchinari suggerirono a Claire che la navetta era attraccata, agganciandosi alle ganasce. Tese le mani e poi le ritrasse, con un gesto inconscio. Il quad nella cabina di controllo fece un cenno agli altri due che si trovavano nella stiva ed essi collegarono i tubi flessibili, sigillandoli. Il tubo riservato al personale fu il primo ad aprirsi, e il meccanico della navetta cacciò fuori la testa per controllare, poi rientrò, scomparendo alla vista. Claire aveva il cuore oppresso e la gola secca.

Alla fine comparve il dottor Minchenko, che rimase sospeso per un attimo, aggrappandosi a un appiglio accanto al portello. Un uomo vigoroso, con la pelle simile al cuoio, e i capelli bianchi come la divisa del servizio medico della GalacTech che indossava in quel momento. Era stato un uomo imponente, ma ora il suo corpo aveva un po’ l’aspetto di un frutto rinsecchito, per quanto fosse in ottima salute. Claire aveva l’impressione che sarebbe bastato reidratarlo per farlo tornare come prima.

Il dottor Minchenko si staccò dall’appiglio e attraversò la stiva, dirigendosi verso di loro e atterrando con molta precisione accanto alle maniglie disposte intorno alle porte stagne. — Oh, salve, Claire — disse in tono sorpreso. — E, ah… Graf — lo salutò con scarsa cordialità. — Giusto lei. Lasci che le dica che non mi piace per niente ricevere pressioni per autorizzare la violazione di precise disposizioni mediche. Per tutta la durata della proroga lei dovrà passare il doppio del tempo in palestra, mi ha capito?

— Sì, dottor Minchenko, grazie — rispose prontamente Leo, che per quello che ne sapeva Claire, in quei giorni non metteva neppure piede in palestra. — Dov’è Tony? Vuole che l’aiutiamo a portarlo in infermeria?

— Ah… capisco — disse guardando attentamente Claire. — Tony non è con me, cara, è ancora giù in ospedale.

Claire trattenne un moto di sorpresa. — Oh, no… è peggiorato?

— Niente affatto. Io avevo tutte le intenzioni di portarlo con me. A parer mio, gli serve l’assenza di peso per completare la guarigione. Il problema è… uhm… amministrativo, non medico. E sto proprio andando a risolverlo.

— È stato Bruce a ordinarle di tenerlo a terra? — chiese Leo.

— Esatto — e guardò Leo aggrottando la fronte. — Non mi piace che si interferisca con le mie responsabilità mediche. È meglio che mi dia una spiegazione molto convincente. Daryl Cay non avrebbe mai permesso un’interferenza del genere.

— Allora lei… uhm, non ha ancora sentito i nuovi ordini? — chiese cauto Leo, gettando un’occhiata ammonitrice a Claire… ssst…

— Quali nuovi ordini? Ho intenzione di andare direttamente da quel piccolo sciocco… ehm, da Bruce. Voglio andare in fondo alla faccenda… — Si rivolse a Claire, assumendo un tono più gentile. — Stai tranquilla, risolveremo tutto. Tutte le emorragie interne di Tony sono cessate e non ci sono più segni di infezione. Voi quad siete robusti. Vi mantenete in salute in presenza di gravità molto meglio di quanto non facciano i terricoli in assenza di peso. Be’, vi abbiamo progettati proprio per non sottoporvi a decondizionamento. Vorrei solo che l’esperimento di conferma non fosse avvenuto in circostanze così spiacevoli. Naturalmente… — sospirò, — anche la giovinezza ha il suo peso… Parlando di giovinezza, come sta Andy? Dorme meglio, ora?

Claire quasi scoppiò in lacrime. — Non lo so — disse con voce tremula, deglutendo.

— Cosa?

— Non me lo lasciano vedere.

Che cosa?

Leo, che si stava studiando le unghie con sguardo assente, intervenne. — Andy è stato sottratto alle cure di Claire. Con l’accusa che ella metteva in pericolo il bambino o qualcosa di simile. Bruce non le ha detto nemmeno questo?

Il viso del dottor Minchenko stava assumendo una tonalità color mattone. — Sottratto? A una madre che lo allattava ancora? È una vergogna! — Riportò lo sguardo su Claire.

— Mi hanno dato una medicina per togliermi il latte — spiegò Claire

— Be’, è già qualcosa… — Ma non era per niente raddolcito. — Chi te l’ha data?

— Il dottor Curry.

— Non me l’ha riferito.

— Lei era in licenza.

— «In licenza» non significa «segregato». Lei, Graf! Sputi fuori. Che cosa diavolo sta succedendo, qui? Quel caporale in sedicesima ha perso del tutto la testa?

— Allora lei non sa proprio niente. Be’, è meglio che lo chieda a Bruce. Ho ricevuto ordini espliciti di non discutere la cosa.

Minchenko rivolse a Leo un’occhiata di fuoco. — Lo farò. — Si staccò dalla maniglia della porta stagna ed entrò nel corridoio, borbottando tra sé.

Leo e Claire rimasero a guardarsi costernati.

— E adesso come faremo a riportare qui Tony? — esclamò Claire. — Mancano meno di ventiquattr’ore al segnale di Silver.

— Non lo so… ma non cedere adesso! Ricordati di Andy. Lui ha bisogno di te.

— Non ho intenzione di cedere — affermò con decisione Claire, traendo un profondo respiro per rinfrancarsi. — Mai più. Che cosa possiamo fare?

— Be’, vedrò cosa mi sarà possibile fare per cercare di riportare qui Tony… inventerò una balla per Bruce, gli dirò che ho bisogno di Tony per dirigere la squadra di saldatura, o qualcosa del genere, non lo so. Forse tra me e il dottor Minchenko riusciremo ad inventare qualcosa, anche se non voglio rischiare di destare i sospetti del dottore. Se non ci riesco, dovremo escogitare qualcosa d’altro.

— Non mentirmi, Leo — disse Claire in tono pericoloso.

— Non saltare alle conclusioni. Sì, certo… tu lo sai, c’è la possibilità di non riuscire a portarlo qui, va bene… l’ho detto ad alta voce. Ma per favore, renditi conto che un piano alternativo richiede che Ti piloti una navetta per noi, e dovrà aspettare finché non sarà tornata la squadra dei sequestratori. A quel punto avremo catturato una supernave e comincerò a credere che tutto sia possibile. — Inarcò le sopracciglia e poi le distese. — E se è possibile, ci proveremo, te lo prometto.

C’era una freddezza crescente nell’atteggiamento di Claire. Strinse le labbra perché non tremassero. — Non puoi rischiare tutto per una sola persona. Non è giusto.

— Be’… ci sono un migliaio di cose che possono andare male a partire da adesso fino a un… punto di non ritorno per Tony. Potrebbe rivelarsi una faccenda del tutto accademica. So perfettamente che dividere le nostre energie tra un migliaio di «se», invece di concentrarle tutte su un passo successivo sicuro, è una specie di autosabotaggio. Non è quello che faremo la settimana prossima che conta, ma quello che faremo come mossa seguente. Che cosa devi fare tu, adesso?

Claire deglutì, cercando di ricomporsi. — Tornare al lavoro… fingendo che non stia succedendo niente. Continuare l’inventario segreto di tutte le riserve di semi. Uh, terminare il progetto per mantenere le luci di crescita delle piante mentre l’Habitat si allontana dal sole. E appena l’Habitat sarà in mano nostra, iniziare le nuove talee e mettere in funzione i tubi di riserva, per provvedere alla crescita di scorte di cibo extra per i casi di emergenza. E, uh, preparare campioni criogenici di ogni variante genetica che abbiamo a bordo, per poter rifornire le scorte in caso di disastro…

— Basta così! — Leo sorrise incoraggiante. — Solo il prossimo passo! E tu sai che puoi farlo.

Lei annuì.

— Abbiamo bisogno di te, Claire — aggiunse. — Tutti noi, non solo Andy. La produzione di cibo è una delle cose fondamentali per la nostra sopravvivenza. Anche un solo paio… ehm, serie di braccia in più può essere prezioso. E dovrete cominciare a istruire i più giovani, impartendo loro quelle conoscenze che la biblioteca, per quanto completa tecnicamente, non è in grado di duplicare.

— Non cederò — ripeté Claire a denti stretti, rispondendo alla domanda implicita nel suo discorso.

— Mi hai spaventato a morte, quel giorno nel portello stagno — si scusò lui imbarazzato.

— Mi sono spaventata anch’io — ammise lei.

— Avevi il diritto di essere arrabbiata. Ricorda solo che il tuo vero bersaglio non è qui — e le sfiorò la maglietta, all’altezza del cuore, — è là fuori.

Così lui aveva capito che era stata la rabbia, una rabbia compressa e rivolta all’interno, non la disperazione, che l’aveva spinta nel portello stagno, quel giorno. In un certo senso, era un sollievo poter dare il nome giusto alla sua emozione. E in un altro senso non lo era.

— Leo… là fuori spaventa anche me.

Egli fece un sorriso enigmatico. — Benvenuta nel club degli esseri umani.

— Il prossimo passo — mormorò Claire; — giusto, la prossima meta. - Agitò la mano e si avviò nel corridoio.


Con un sospiro, Leo riportò lo sguardo verso la stiva merci. Parlare del prossimo passo era una bella cosa, tranne che quando la gente e il mutare delle condizioni non facevano altro che spostarti il sentiero nel momento in cui avevi un piede a mezz’aria. Il suo sguardo indugiò sulla squadra di quad della stiva, che aveva collegato il tubo flessibile al grande portello della navetta e stava ora sistemando il carico nella stiva con i sollevatori elettrici. Il carico consisteva in una serie di cilindri grigi alti quanto un uomo, che Leo a tutta prima non riconobbe.

Ma avrebbe dovuto invece essere riconoscibile, trattandosi di un ingente numero di barre di carburante per rimorchiatori. — Per smantellare l’Habitat — aveva detto Leo a Van Atta in tono mellifluo quando aveva inoltrato l’ordine. — Così non dovrò riordinarli. E se anche ce ne restano, potranno andare alla Stazione di Trasferimento con i rimorchiatori quando questi verranno nuovamente smistati. Li faremo passare come parte del recupero.

Innervosito, Leo si diresse verso la squadra di scarico. — Cos’è questo, ragazzi?

— Oh, signor Graf, salve. Be’, non lo so con precisione — disse il quad con la maglietta e i pantaloncini color giallo canarino della divisione Manutenzione Sistemi di Aerazione, di cui Stive e Portelli era una sottodivisione. — Non credo di averli mai visti prima. Comunque ce ne sono tanti. — Si interruppe per sganciare dal sollevatore un pannello di registrazione, che tese a Leo. — Ecco la bolla di carico.

— Avrebbero dovuto essere barre di carburante per rimorchiatori da carico… — I cilindri avevano quasi le dimensioni giuste, ma certo non potevano averli ridisegnati. Leo batté il codice della bolla… tipo di merce, una serie di numeri di codice, quantità, dati astronomici.

— Sento un gorgoglio all’interno — aggiunse il ragazzo con la maglietta gialla, per rendersi utile.

— Un gorgoglio? — Leo guardò più attentamente il numero di codice sul pannello di registrazione, guardò i cilindri grigi… combaciava. Il codice era quello delle barre per i rimorchiatori… o no? Inserì «Barre Carburante, rimorchiatori orbitali da carico Tipo II, riferimento incrociato, codice d’inventario». Il pannello ammiccò e comparve un numero. Sì, era lo stesso… no, per Dio! G77618PD contro il G77681PD stampato sui cilindri. Rapidamente batté G77681PD. Seguì una lunga pausa, non del pannello di registrazione, ma del cervello di Leo.

— Benzina? — gracchiò incredulo. — Benzina. Quegli imbecilli hanno spedito cento tonnellate di benzina su una stazione spaziale?…

— Che cos’è? — chiese il quad.

— Benzina. È un idrocarburo usato sui pianeti come carburante per i fuoristrada. È un sottoprodotto gratuito della pirolisi petrolchimica. L’ossigeno dell’atmosfera fornisce l’ossidante. E un liquido voluminoso, tossico, volatile, infiammabile… esplosivo!… a temperatura ambiente. Per l’amor del cielo, fate in modo che nessuno di quei barili si apra.

— Sissignore — promise il quad chiaramente impressionato dalla lista di rischi enunciata da Leo.

Il supervisore delle squadre di rimorchiatori orbitali entrò in quel momento nella stiva, seguito da una squadra di quad del suo dipartimento.

— Oh, salve, Graf. Senta, penso che sia stato un errore lasciarmi convincere da lei a ordinare questo carico… avremo dei problemi di immagazzinamento…

— Lei ha ordinato questo?

— Che cosa? — il supervisore ammiccò, poi i suoi occhi registrarono la scena. — Che… dove sono le mie barre di carburante? Mi hanno detto che erano qui.

— Voglio dire se l’ordine lo ha fatto lei personalmente, con i suoi ditini?

— Sì, me lo ha chiesto lei, ricorda?

— Be’ — Leo trasse un lungo respiro e gli tese il pannello di registrazione, — ha commesso un errore di battitura.

Il supervisore guardò il pannello e impallidì. — Oh, Dio.

— E loro hanno eseguito l’ordine alla lettera — balbettò Leo passandosi una mano fra i pochi capelli che gli restavano, — hanno spedito il carico… non riesco a crederci. Hanno riempito la navetta di tutta questa roba senza nemmeno porsi delle domande, hanno spedito un centinaio di tonnellate di benzina ad una stazione spaziale, senza che nessuno si fermasse a pensare che era completamente assurdo…

— Non riesco a crederci — sospirò il supervisore. — Oh, Dio. Oh, be’, non ci resta che rispedirlo indietro e rifare l’ordine. Ci vorrà una settimana, probabilmente. Le nostre scorte di barre non sono così basse, nonostante il ritmo con cui le usa per quel suo «progetto speciale» sul quale sta tanto abbottonato.

Io non ho una settimana pensò freneticamente Leo. Ho ventiquattr’ore al massimo.

— Non ho una settimana — si trovò ad esclamare infuriato. — Le voglio ora. Faccia un’ordinazione urgente. — Abbassò la voce, accorgendosi di attirare un po’ troppo l’attenzione su di sé.

Il supervisore si sentì offeso quanto bastava per superare il senso di colpa. — Non c’è bisogno di dare in escandescenze, Graf. L’errore è stato mio, e probabilmente ne subirò le conseguenze, ma è decisamente stupido addebitare al mio dipartimento un viaggio straordinario del traghetto oltre a questo, quando possiamo tranquillamente aspettare. È già un bel pasticcio anche così. — Fece un gesto indicando la benzina. — Ehi, ragazzi — proseguì, — smettete di scaricare! Quel carico è sbagliato, deve tornare a terra.

Il pilota del traghetto uscì in quel momento dal portello e lo udì. — Che cosa? — Si diresse verso di loro e Leo gli fece un breve resoconto dell’errore.

— Be’, non potete rispedirlo già con questo viaggio — disse deciso il pilota. — Non ho abbastanza carburante per prendere un carico completo. Dovrà aspettare. — E se ne andò, per godersi il suo obbligatorio intervallo di riposo al bar.

I quad che stavano scaricando assunsero un’espressione risentita, quando le direttive del lavoro vennero nuovamente cambiate, ma limitarono il loro implicito rimprovero a un blando: — Ne è sicuro, adesso, signore?

— Sì — sospirò Leo. — Ma fate il possibile per immagazzinare questa roba in un modulo distaccato, non potete lasciarla qui.

— Sì, signore.

Leo si rivolse di nuovo al supervisore. — Dobbiamo comunque avere quelle barre di carburante.

— Be’, dovrà aspettare. Io non lo farò. Van Atta mi spremerà già abbastanza sangue per questo errore.

— Può addebitarlo al mio progetto speciale. Firmerò io la richiesta.

Il supervisore inarcò le sopracciglia, leggermente sollevato. — Be’… va bene, ci proverò, ci proverò. Ma che ne sarà del suo sangue?

Già venduto, pensò Leo. — Sono affari miei, non crede?

Il supervisore scrollò le spalle. — Immagino di sì. — E se ne andò borbottando. Uno dei quad della squadra rimorchiatori che lo seguiva, lanciò un’occhiata significativa a Leo. Leo rispose scrollando severamente il capo e passandosi un dito davanti alla gola, come per tagliarsela, in un gesto che significava: silenzio!

Si voltò e quasi andò a sbattere contro Pramod, che attendeva paziente alle sue spalle. — Non farmi questi scherzi! — gridò, poi riprese il controllo dei propri nervi un po’ scossi. — Scusami, mi hai spaventato. Che cosa c’è?

— È saltato fuori un problema, Leo.

— Ma certo. Possibile che nessuno mi insegua mai per darmi una buona notizia? Non importa. Che c’è?

— Le morse.

— Le morse?

— Fuori ci sono moltissime connessioni a ganascia. Stavamo scorrendo il diagramma per lo smembramento dell’Habitat per, uh, domani, sai…

— Lo so, non dirlo.

— Abbiamo pensato che un po’ di pratica avrebbe accelerato le cose.

— Sì, bene…

— Quasi nessuna delle ganasce si apre, nemmeno con gli attrezzi elettrici.

— Uh… — Leo si interruppe, preso alla sprovvista, poi capì di che cosa si trattasse. — Ganasce di metallo?

— La maggior parte.

— E dal lato del sole è peggio?

— Molto peggio. Non siamo riusciti ad aprirne neanche una di quelle. Alcune erano visibilmente fuse. Qualche idiota deve averle saldate.

— Saldate, sì. Ma non è stato qualche idiota: è stato il sole.

— Leo, non diventa mai così caldo…

— Non direttamente. Quella che avete visto è una saldatura spontanea a diffusione nel vuoto. Le molecole di metallo evaporano dalla superficie del pezzo se questo si trova nel vuoto. Lentamente, certo, ma è un fenomeno misurabile. Dall’area delle morse emigrano sulle superfici vicine e alla fine stabiliscono un legame solido. Un po’ più in fretta per le parti calde esposte al sole e un po’ più lentamente per le parti in ombra… ma scommetto che alcune di quelle ganasce sono lì da vent’anni.

— Oh! Ma cosa possiamo fare?

— Devono essere recise.

Pramod strinse le labbra preoccupato. — Questo rallenterà le cose.

— Già. E dovremo anche avere un sistema di ripiego per riagganciare tutti i collegamenti nella nuova configurazione… ci serviranno altre ganasce o qualcosa che si possa usare allo scopo. Vai a radunare tutta la tua squadra fuori servizio. Faremo una riunione d’emergenza.

Leo si fermò, chiedendosi dapprima se sarebbe sopravvissuto alla Grande Ribellione, mentre poi cominciò a chiedersi se sarebbe sopravvissuto fino alla Grande Ribellione. Pregò con fervore perché almeno a Silver le cose andassero un po’ meglio.


Dal canto suo, Silver sperava ardentemente che le cose a Leo andassero meglio che a lei.

Si rigirò nella cuccetta di accelerazione, sempre più a disagio dopo le prime otto ore di volo, e appoggiò la guancia sull’imbottitura per osservare il suo equipaggio, ammassato nella cabina del rimorchiatore. Gli altri quad erano abbattuti e provati come lei; solo Ti sembrava a suo agio nell’accelerazione costante, con i piedi sollevati e la schiena appoggiata all’indietro nel sedile.

— Ho visto quel grandioso olovideo — Siggy agitò entusiasta un po’ di mani, — sì, quello con la scena d’abbordaggio. I marines usavano le mine magnetiche per bucare come un formaggio svizzero i fianchi dell’astronave madre e poi si precipitavano dentro. — Aggiunse un ululato micidiale a mo’ di colonna sonora. — Gli alieni scappavano da tutte le parti e poi oggetti di ogni tipo venivano risucchiati insieme all’aria nel vuoto…

— L’ho visto anch’io — disse Ti, — Distruzione nel Covo, giusto?

— Ce l’hai procurato tu — gli ricordò Silver.

— Lo sapevi che c’è un seguito? — disse Ti rivolto a Siggy: — La vendetta del Covo.

— No, davvero? Pensi…

— Prima di tutto — disse Silver, — nessuno ha ancora scoperto creature aliene intelligenti, ostili o no, e in secondo luogo, noi non abbiamo mine magnetiche, grazie al cielo, e, in terzo luogo, non credo che Ti voglia vedere bucherellati i fianchi della sua nave.

— Be’, no — ammise Ti.

— Entreremo attraverso il portello — proseguì Silver in tono fermo, — che è stato progettato proprio a questo scopo. Penso che l’equipaggio dell’astronave sarà già abbastanza spaventato quando li infileremo tutti quanti nella capsula di salvataggio e la lanceremo, senza bisogno di terrorizzarli a morte con urla selvagge. Anche se nell’olovideo il colonnello Wayne ha condotto le sue truppe in battaglia con il grido dei ribelli che risuonava negli auricolari, non credo che i marines veri facciano altrettanto. Interferirebbe con le comunicazioni. — E guardò Siggy con un cipiglio severo, costringendolo a rientrare nei ranghi.

— Faremo come ha suggerito Leo — proseguì Silver, — punteremo contro di loro le saldatrici laser. Non ci conoscono e non potranno sapere se spareremo o no. — E, dopo tutto, come potevano degli sconosciuti sapere quello che neppure lei stessa sapeva? — Il che mi fa venire in mente: come sapremo quale supernave… — annaspò in cerca del termine, — tagliar fuori dal gruppo? Dovrebbe essere più facile ottenere il permesso di salire a bordo se nell’equipaggio vi fosse qualcuno che conosce bene Ti. D’altra parte, potrebbe anche essere più difficile… — si interruppe, cercando di non pensare a quella possibilità, — soprattutto se cercheranno di resistere.

— Jon potrebbe costringerli a cedere — fu il commento di Ti. — Dopo tutto, è per questo che è venuto.

Il robusto Jon gli rivolse un’occhiata afflitta. — Pensavo di essere qui come pilota di riserva del rimorchiatore. Costringili tu, se vuoi, sono amici tuoi. Io impugnerò la saldatrice.

Ti si schiarì la gola. — In ogni caso, se c’è, preferirei prendere il D771. Ma non credo che avremo molta scelta. Probabilmente non ci saranno più di due navi alla volta da questa parte del corridoio. In linea di massima, prenderemo qualunque nave che abbia appena compiuto il balzo da Orient IV, che abbia inoltre sganciato le capsule vuote e non abbia ancora cominciato a caricare quelle piene. Questo ci darà una possibilità di fuga più rapida. Non ci sono da fare grandi piani, semplicemente ci dirigiamo su quella.

— I guai — disse Silver, — cominceranno quando avranno capito che cosa abbiamo in mente di fare in realtà, e allora cercheranno di riprendere il controllo della nave.

Seguì un silenzio tetro e, per una volta, nemmeno Siggy aveva dei suggerimenti.


Leo trovò Van Atta nella palestra per i terricoli, intento a camminare con determinazione sul nastro scorrevole. Il nastro scorrevole era un congegno medico simile ad una ruota di tortura, ma al contrario. Delle cinghie dotate di molle tiravano il soggetto verso la superficie dove i suoi piedi spingevano per un’ora o più al giorno, secondo la prescrizione medica: era un esercizio studiato per rallentare, se non proprio fermare, il decondizionamento della parte inferiore del corpo e la demineralizzazione delle ossa di coloro che vivevano in assenza di peso.

A giudicare dall’espressione del viso di Van Atta, quel giorno egli stava insistendo sull’attrezzo con una notevole dose di rancore personale. Rinfocolare l’irritazione era in effetti un modo per raccogliere le energie necessarie a portare a termine quel dovere noioso ma imprescindibile. Dopo una veloce riflessione, Leo decise che era meglio tentare un approccio obliquo e casuale. Si tolse la tuta e l’attaccò alla striscia di velcro sulla parete, tenendo solo la maglietta e i pantaloncini, poi si spostò, infilandosi nelle cinghie della macchina vuota vicina a quella di Van Atta.

— Hanno lubrificato questi aggeggi con la colla? — sbuffò, aggrappandosi alle maniglie e sforzandosi di mettere in moto il nastro.

Van Atta voltò la testa, con un sorriso sardonico. — Che cosa succede, Leo? Minchenko, il mini-dittatore medico, ha forse ordinato una piccola vendetta psicologica nei suoi confronti?

— Già, qualcosa del genere… — finalmente riuscì a metterla in moto, piegando le gambe per prendere il ritmo. Era davvero fuori esercizio, negli ultimi tempi. — Gli ha parlato da quando è risalito?

— Sì. — Le gambe di Van Atta spinsero contro la macchina e gli ingranaggi risposero con un sordo ronzio.

— Gli ha già detto che cosa ne sarà del Progetto?

— Purtroppo ho dovuto farlo. Avevo sperato di poterlo tenere all’oscuro fino all’ultimo, come gli altri. Minchenko è probabilmente il più arrogante fra quelli della Vecchia Guardia di Cay; non ha mai fatto mistero che sarebbe dovuto toccare a lui succedergli come responsabile del progetto, invece di nominare un estraneo, e cioè me. Se non andasse in pensione tra un anno, avrei già fatto dei passi per liberarmi di lui prima che accadesse questo.

— Ha per caso, ehm, sollevato obiezioni?

— Vuol dire se ha ululato come un maiale ferito? Può scommetterci. Si è comportato come se io fossi responsabile dell’invenzione di quella maledetta gravità artificiale. Non ho bisogno di questa cretinata. — Il nastro scorrevole di Van Atta gemette, come se stesse rispondendo alla sue parole.

— Se è nel Progetto fin dall’inizio, allora penso che i quad rappresentino il suo lavoro di tutta una vita — fu il ragionevole commento di Leo.

— Mmm — Van Atta riprese a marciare. — Non gli dà però il diritto di comportarsi in quel modo; persino lei, alla fine, ha dimostrato più buon senso. Se non dà segni di voler assumere un atteggiamento di maggior collaborazione dopo che avrà avuto la possibilità di calmarsi e riflettere sull’inutilità della cosa, allora sarebbe meglio prolungare il turno di Curry e rimandare a terra Minchenko.

— Ah — Leo si schiarì la voce. Questo non pareva certo lo spiraglio favorevole in cui aveva sperato. Ma c’era così poco tempo. — Le ha parlato di Tony?

— Tony! — La macchina di Van Atta ronzò come un calabrone per qualche istante. — Se non vedrò mai più in vita mia quel piccolo farabutto, sarà sempre troppo presto. Non è stato altro che una seccatura, una seccatura e una spesa.

— Speravo di poterlo utilizzare nel mio lavoro — azzardò Leo. — Anche se da un punto di vista medico non è ancora pronto a riprendere il lavoro all’esterno, ho un sacco di lavoro al computer e compiti di supervisione che potrei affidare a lui, se fosse qui. Se potessimo riportarlo quassù.

— Sciocchezze — scattò Van Atta, — sarebbe molto più semplice trasferire qualche altro caposquadra quad, Pramod, ad esempio, o sceglierne un altro qualsiasi. Non mi interessa chi, questa è l’unica autorizzazione che le fornisco. Cominceremo a trasferire giù a terra i piccoli storpi tra due settimane. Non avrebbe nessun senso farne risalire uno che Minchenko potrebbe trattenere in infermeria fino ad allora. Ed è quello che gli ho detto. — Lanciò a Leo uno sguardo di fuoco. — Non voglio più sentire una sola parola a proposito di Tony.

— Ah — disse Leo. Maledizione. Era chiaro che sarebbe stato meglio prendere in disparte Minchenko prima di intorbidare le acque con Van Atta. Adesso era troppo tardi. Non era solo lo sforzo fisico che aveva fatto diventare Van Atta rosso in viso. Leo si chiese che cosa avesse detto in realtà Minchenko… indubbiamente una scelta felice di parole, che sarebbe valsa la pena di ascoltare. Ma un piacere a prezzo troppo alto per i quad. Leo assunse un’espressione che, tra ansiti e sbuffi, sperò potesse sembrare di comprensione.

— Come procede il piano di recupero? — chiese Van Atta dopo un po’.

— Quasi completato.

— Davvero? — Van Atta si illuminò. — Be’, questa è finalmente una buona notizia.

— La stupirà vedere come sia possibile riciclare completamente l’Habitat — asserì in tutta sincerità Leo. — E lo saranno anche gli alti papaveri della Compagnia.

— E tra quanto?

— Appena ci daranno il via. L’ho preparato come un piano di battaglia — e strinse i denti per evitare eccessive allusioni. — Conta sempre di fare il Grande Annuncio al resto del personale domani alle 13.00? — chiese in tono discorsivo. — Nel modulo dell’aula magna? Voglio proprio esserci anch’io, perché ho delle immagini esplicative da mostrare quando lei avrà finito.

— No — disse Van Atta.

— Che cosa? — Leo boccheggiò, sbagliò un passo e le molle lo mandarono a sbattere con un ginocchio sul nastro scorrevole, imbottito proprio per quelle evenienze. Si rimise faticosamente in piedi.

— Si è fatto male? — chiese Van Atta. — Ha un aspetto strano…

— Tra un attimo starò bene. — Una volta rimessosi in piedi, costrinse i muscoli delle gambe a ricuperare l’equilibrio e il passo, a dispetto del dolore e del panico. — Pensavo… che quello fosse il modo che aveva escogitato per far scoppiare la bomba: metterli tutti insieme e spiegare i fatti in una volta sola.

— Dopo lo scontro con Minchenko, sono stufo di doverne discutere — disse Van Atta. — Ho pregato la dottoressa Yei di farlo. Può chiamarli nel proprio ufficio a piccoli gruppi, consegnando anche i piani di evacuazione individuale e dei dipartimenti. Molto più efficiente.

E così il bellissimo piano di Silver e Leo per disfarsi pacificamente dei terricoli, partorito dopo quattro riunioni segrete, scompariva in un soffio. Sprecate le adulazioni, i suggerimenti indiretti con i quali avevano convinto Van Atta dell’idea di riunire l’intero personale terricolo dell’Habitat, per dare l’annuncio con un discorso che li avrebbe persuasi a non sentirsi condannati… ma lodati…

Le cariche destinate a staccare il modulo dell’aula magna dall’Habitat semplicemente sfiorando un bottone erano già state piazzate. I respiratori di emergenza per fornire ossigeno ai quasi trecento corpi per le poche ore necessarie a spingere il modulo verso la Stazione di Trasferimento erano state accuratamente nascoste all’interno dell’aula. I due equipaggi dei rimorchiatori erano in stato di all’erta e i loro mezzi erano riforniti e pronti a entrare in azione.

Che sciocco era stato a predisporre dei piani che dipendevano dall’adesione di Van Atta… all’improvviso, Leo si sentì male.

Non restava altro che il piano di ripiego, quello di emergenza che avevano discusso e scartato come troppo pericoloso, con risultati potenzialmente incontrollabili. Con dita rigide, staccò le cinghie e l’imbracatura, e le riagganciò ai sostegni posti sul nastro scorrevole.

— Non ha fatto neppure un’ora — disse Van Atta.

— Credo di essermi fatto male al ginocchio — mentì Leo.

— Non mi sorprende. Crede che non sappia che ha saltato le sedute di ginnastica? Solo non cerchi di fare causa alla GalacTech, perché saremo in grado di provare che si tratta di negligenza personale. — Van Atta fece un sorrisetto e continuò a marciare.

Leo si fermò. — A proposito, sa che i Depositi di Rodeo hanno inviato per sbaglio un carico di cento tonnellate di benzina sull’habitat? E lo metteranno in conto a noi.

— Che cosa?

E mentre si voltava, Leo ebbe la piccola soddisfazione personale di sentire il nastro di Van Atta che si fermava e lo schiocco delle cinghie staccate troppo in fretta che frustavano l’uomo che le indossava. — Ehi! — esclamò Van Atta.

Leo non si voltò.


Il dottor Curry andò incontro a Claire quando arrivò all’appuntamento in infermeria. — Oh, bene, sei in orario.

Claire guardò lungo il corridoio e i suoi occhi scrutarono la stanza in cui il dottor Curry l’aveva fatta entrare. — Dov’è il dottor Minchenko? Pensavo che fosse qui.

Il dottor Curry arrossì leggermente. — Il dottor Minchenko è nel suo alloggio. Non prenderà servizio.

— Ma io volevo parlargli…

Curry si schiarì la gola. — Ti hanno spiegato le ragioni di questo appuntamento?

— No… ho pensato che si trattasse di altre medicine per il seno.

— Ah, capisco.

Claire attese, ma lui non aggiunse altro. Invece si diede da fare con un vassoio di strumenti, posandolo sulle strisce di velcro e infilando i ferri nello sterilizzatore, senza incontrare lo sguardo di Claire. — Be’, è una cosa assolutamente non dolorosa.

Una volta, lei non avrebbe fatto domande, ma si sarebbe sottomessa docilmente: aveva subito innumerevoli test medici a lei ignoti, che erano cominciati ancor prima che la estraessero dal simulatore uterino, il grembo artificiale nel quale era avvenuta la sua gestazione, in una sezione ormai chiusa di quella stessa infermeria. Una volta, lei era stata una persona diversa, prima del disastro sul pianeta con Tony. E dopo di allora per un po’ era stata sul punto di non essere più nulla. Ora si sentiva stranamente eccitata, come se si trovasse sull’orlo di una rinascita. La sua prima nascita era stata meccanica e indolore, e forse per questa ragione non era profondamente radicata nella sua mente…

— Che cosa… — cominciò con voce stridula… una voce troppo sommessa. Alzò il tono, che risultò troppo forte alle sue orecchie. — Qual è la ragione di questo appuntamento?

— Solo un semplice intervento locale a livello addominale — disse vago il dottor Curry. — Non ci metterò molto. Non devi neppure spogliarti, tira su la maglietta e cala un poco i calzoncini. Adesso ti preparo. Ti immobilizzerò sotto lo schermo di aria sterile, nel caso che scappasse qualche goccia di sangue.

Tu non mi immobilizzerai… - Di che intervento si tratta?

— Non sentirai nulla e non ti farà assolutamente male. Vieni, adesso. — Sorrise, schiacciando il pulsante dello schermo che apparve sulla parete.

— Che cos’è? — ripeté Claire senza muoversi.

— Non posso discuterne. È… un’informazione riservata. Mi spiace. Dovrai chiederlo… al signor Van Atta o alla dottoressa Yei o a qualcun altro. Facciamo così, subito dopo ti manderò dalla dottoressa Yei, così potrai parlarle, va bene? — Si umettò le labbra, mentre il suo sorriso si faceva sempre più nervoso.

— Non chiederei… — Claire annaspò in cerca di un’espressione che aveva udito una volta da un terricolo, — non chiederei nemmeno l’ora a Bruce Van Atta.

Il dottor Curry rimase letteralmente esterrefatto. — Oh — mormorò non proprio a bassa voce, — mi chiedevo perché tu fossi la seconda della lista.

— Chi era la prima? — chiese Claire.

— Silver, ma quell’ingegnere istruttore le ha affidato non so quale incarico. È un’amica tua, vero? Così potrai dirle che non fa male.

— Non mi importa… non me ne frega niente se fa male, voglio sapere che cos’è. — Socchiuse gli occhi, mentre finalmente i pezzi combaciavano. — Le sterilizzazioni! — ansimò. — Avete cominciato le sterilizzazioni!

— Come fai… tu non dovresti… voglio dire, cosa ti fa pensare una cosa simile? — balbettò il dottor Curry.

Claire indietreggiò verso la porta, ma il medico era più vicino e fu più rapido a chiuderla sotto il suo naso. Lei rimbalzò contro il pannello.

— Avanti, Claire, calmati! — ansimò Curry, zigzagando dietro di lei. — Ti farai male senza necessità. Potrei farti un’anestesia generale, ma è meglio per te se ci limitiamo ad una locale mentre te ne stai sdraiata tranquilla. Devo farlo, in un modo o nell’altro…

— Perché deve farlo? — esclamò Claire. — Il dottor Minchenko ha forse dovuto farlo… o è appunto per questa ragione che non è qui? Chi la sta obbligando e come, perché lei debba farlo?

— Se Minchenko fosse qui, non dovrei farlo — sbottò Curry infuriato. — Lui se n’è lavato le mani e ha lasciato a me la patata bollente. Adesso vieni qui, mettiti in posizione sotto lo schermo sterile e lascia che prepari le sonde, o sarò costretto ad essere… ad essere molto duro con te. — Trasse un profondo respiro, per infondersi coraggio.

— Devo — lo schernì Claire, — devo, devo! È sconvolgente pensare ad alcune delle cose che i terricoli pensano di dover fare. Ma quasi mai sono le stesse cose che essi pensano debbano fare i quad. Perché, secondo lei?

Curry sbuffò e strinse le labbra infuriato. Afferrò una siringa ipodermica dal vassoio degli strumenti.

Aveva preparato tutto in anticipo, pensò Claire. L’ha provata nella sua mente… ha deciso ancor prima che arrivassi…

Egli si slanciò contro di lei e le afferrò il braccio superiore sinistro, facendo compiere un rapido arco alla siringa. Claire gli afferrò il braccio destro, rallentando la mossa e bloccandolo; rimasero allacciati per un attimo, con i muscoli che tremavano, roteando lentamente in aria.

Poi lei alzò le mani inferiori, unendole alle superiori. Curry boccheggiò per la sorpresa e per la mancanza d’aria quando lei gli allargò le braccia, vincendo la resistenza dei suoi muscoli di uomo giovane e aitante. Il medico scalciò, colpendola con le ginocchia, ma non avendo un punto a cui appoggiarsi, i colpi non avevano la forza sufficiente per essere efficaci.

Claire sorrise, in preda ad una felicità selvaggia, aprendogli e chiudendogli le braccia, a suo piacimento. Sono più forte! Sono più forte! Sono più forte di lui e non me ne sono mai accorta…

Con cautela, rafforzò la presa delle mani inferiori sui polsi di Curry e staccò quelle superiori. Con entrambe le mani libere di muoversi, non ebbe difficoltà a staccare le dita chiuse intorno alla siringa. La sollevò e mormorò con voce suadente: — Non sentirai nulla.

— No, no…

Curry si contorceva troppo perché le sue mani inesperte cercassero di praticargli una rapida endovenosa, così la diresse verso il muscolo deltoide e continuò a tenerlo fermo finché non le parve sempre più debole e intontito, il che richiese parecchi minuti. Poi fu facile immobilizzarlo sotto lo schermo sterile.

Guardò il vassoio di strumenti chirurgici e li toccò meravigliata. — Fino a che punto pensa che dovrei spingere questa mia ribellione? — chiese ad alta voce.

Il medico gemette, intontito, e si agitò debolmente, con gli occhi pieni di panico. Lo sguardo di Claire si illuminò; gettò indietro la testa e rise, rise davvero per la prima volta da… da quanto tempo? Non riusciva a ricordarlo.

Accostò le labbra all’orecchio di Curry e scandì accuratamente le parole: — Io non devo farlo.

Rideva ancora piano quando sigillò la porta dell’infermeria dietro di sé, fuggendo poi lungo il corridoio verso la salvezza.

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