CAPITOLO VENTESIMO

Era caduta la notte. Jill aveva cenato ed ora dormiva; Vorneen, più agile che mai, stava saggiando la gamba ormai in via di guarigione; Kathryn aveva programmato la lavastoviglie e stava completando le ultime incombenze domestiche. La serata era tutta loro. Aveva cominciato a sentirsi di nuovo sposata, in un certo senso, e quel sentimento le piaceva. Adesso che erano cadute tutte le barriere tra lei e Vorneen, incluse quelle fisiche, Kathryn aveva smesso di temerlo e non poteva più negare di essere innamorata di lui.

Le sembrava terribilmente strano, certo, e così le sarebbe sempre sembrato, ogni volta che si fosse soffermata a pensare alla sua stranezza. Si rese conto che non c’era nessun modo di dimenticare che Vorneen era umano solo in apparenza, o che era nato prima di George Washington, o che aveva visto altri soli, altri mondi. Eppure si poteva passar sopra a quelle cose. Vorneen era lì, bello, troppo bello, tenero, affascinante, enormemente interessato a lei, un dio dell’amore disceso dalle stelle.

Si era sempre domandata se avrebbe provato un senso di colpa nei riguardi di Ted, la prima volta che si fosse innamorata di nuovo. Adesso aveva la risposta: non si sentiva in colpa. Amava ancora la memoria di Ted, e l’avrebbe sempre amata; ma la mano del suo defunto marito non la stringeva in una morsa gelida, come lei aveva temuto. Ted se n’era andato. Vorneen era con lei. Il solo pensare alla notte che l’attendeva trasmise un caldo fremito di eccitazione attraverso tutti i recessi della sua pelle.

L’aveva stupita il fatto che Vorneen potesse fare l’amore con lei; che quell’imitazione di corpo fosse in grado di agire e reagire come se fosse reale. Eppure era così. Oh, c’erano delle differenze, e mancavano dei particolari, sarebbero sempre mancati, ma non aveva molta importanza. Vorneen veniva fuori con una vitalità erotica prorompente. Kathryn sospettò che sul suo mondo d’origine dovesse essere un vero e proprio diavolo con le donne… se là avevano qualcosa che corrispondeva alle «donne».

In ogni caso, Kathryn era felice.

Non tentò di chiedersi quanto sarebbe durato. Sarebbe venuto il tempo in cui non avrebbe più potuto nascondere Vorneen a casa sua. Lui avrebbe dovuto adattarsi alla normale vita all’esterno, in qualche modo, se aveva intenzione di restare lì. E se non voleva restare…

La bocca di Kathryn si serrò in una linea sottile. Era assurdo pensare che sarebbe rimasto per sempre con lei. Ma adesso era lì, ed era ciò che contava. Vorneen era lì con lei.

Quando ebbe finito le sue faccende, Kathryn udì provenire dall’esterno il rumore di uno sportello di una macchina che si apriva e si richiudeva. Poi un suono di passi, ed infine il trillo del campanello.

L’analizzatore le mostrò il volto di una giovane donna bionda.

— Chi è? — domandò Kathryn.

— La signora Mason? Mi chiamo Glair. Sono un’amica di Vorneen. Posso entrare?

Glair. Un’amica di Vorneen.

Lui aveva pronunciato quel nome, quando era in preda al delirio. Kathryn udì il silenzioso sgretolarsi del suo mondo dentro la sua testa. Meccanicamente aprì la porta.

Glair era una bella ragazza dai seni pieni, non troppo alta. Sembrava una stella del cinema… una specie di equivalente femminile di Vorneen, a dire la verità, con lo stesso fascino radioso ed impeccabile. Aveva gli occhi caldi e dolci, e la carnagione bianca come il latte, e priva di imperfezioni. Kathryn sapeva che se avesse posato la mano sulla pelle di Glair l’avrebbe trovata morbida, gelida e disumana come quella di Vorneen.

Per un lungo momento le due donne si fronteggiarono. Poi Vorneen emerse dalla stanza da letto, sorreggendosi al suo bastone, e disse: — Kathryn, ho sentito suonare…

— Ciao, Vorneen.

— Glair. Sei tu.

Non corsero uno verso l’altra, come Kathryn aveva temuto. Si mantennero alla distanza di cinque metri e, seppure passò qualcosa tra di loro, fu qualcosa di tacito, di cui lei rimase inconsapevole. Per la prima volta Kathryn si rese conto che Glair si sosteneva ad un paio di bastoni di alluminio. In quel silenzio agghiacciante Kathryn disse, cercando di non gridare: — Immagino che sia venuta per portarlo via.

— Mi dispiace, signora Mason. Kathryn. So esattamente che cosa significa per lei — replicò Glair con voce dolce.

— Come può saperlo?

— Lo so. Mi creda. — Glair guardò Vorneen. — Anche Mirtin è vivo. L’hanno già preso e portato fuori dal pianeta. Lei…

— Sa? Sì. Lei sa abbastanza.

— Allora posso parlare liberamente. C’è una nave che ci aspetta, Vorneen. Sono venuti a prendermi stamattina. Io vivevo ad Albuquerque. Qualcuno è stato così gentile da accogliermi nella sua casa e da prendersi cura di me finché non sono stata meglio.

— Hai un bell’aspetto, Glair — le disse Vorneen.

— Anche tu. Evidentemente sei stato curato bene.

— Nel miglior modo. — Poi, guardando Kathryn: — Sono stato curato in modo meraviglioso.

— Mi fa piacere sentirlo — replicò Glair. — Vorneen, ti dispiace andare nell’altra stanza? Vorrei parlare a Kathryn per qualche minuto. Poi vi lascerò un po’ soli. Per il tempo che vorrete. Non ho intenzione di mettervi fretta. Anch’io sono passata attraverso questa situazione.

Vorneen fece cenno di sì. Senza dire una parola, si girò e ritornò in camera da letto, richiudendo la porta.

Glair fissò con decisione Kathryn. — Mi odia molto? — le chiese.

Le labbra di Kathryn tremarono. — Odiarla? Perché dovrei odiarla?

— Sto per portarle via Vorneen.

— Appartiene alla sua gente — replicò Kathryn. — Non ho alcun diritto su di lui.

— Se non il diritto dell’amore.

— Come fa a sapere che lo amo?

Glair sorrise. — Ho certe capacità, Kathryn. Posso vedere ciò che lei prova. E vedo che anche lui la ama. — Si mise a sedere con una certa fatica e posò a lato i bastoni; poi protese le mani verso quelle di Kathryn e le strinse. Kathryn notò che la pelle di Glair non le sembrava fredda, il che significava che allora era la sua ad esser così gelida. Delicatamente, Glair le disse: — A parte ciò che vedo, Kathryn, ho altri modi per sapere. Gliel’ho detto, anch’io sono passata attraverso tutto questo. Un uomo mi ha presa con sé. Ho vissuto con lui. L’ho… l’ho amato, se è possibile ad uno di noi amare uno di voi, ed io credo che lo sia. Poi è giunta la mia gente, e hanno detto che mi avevano trovato, e che era tempo di andare. Perciò so che cosa si prova.

Kathryn ebbe l’impressione che le stessero avvolgendo il cervello con strati e strati di lana spessa. Non aveva praticamente nessuna reazione. Tutto questo era avvenuto tanto rapidamente che la rottura del suo legame con Vorneen non era ancora diventata reale per lei.

— Vorneen ed io siamo stati molto felici insieme — disse. — Ma lui… lui è suo, non è vero? Lei è la sua compagna?

— Sono uno dei suoi compagni. Siamo in due. Non gliene ha parlato?

— Un po’. Non troppo chiaramente.

— Lo rivoglio indietro — disse Glair. — Può capirlo. Lo sa, perché lo conosce. Mi perdonerà, perché glielo porto via?

Kathryn si strinse nelle spalle. — Farà male. Appena… appena mi renderò conto che sta succedendo. Andrà via stasera?

— È meglio così.

— Quando?

— Tra poche ore. Mi sembra una cosa giusta. C’è il tempo per un degno addio. Poi una rottura decisa, Kathryn. Vorneen non appartiene a questo mondo. Non potrà mai più farvi ritorno. Le ha parlato degli accordi?

— Sì.

— Dunque afferra la situazione.

— L’afferro. Ma non voglio afferrarla. Ho cercato di convincermi che sarebbe rimasto per sempre con me. Volevo continuare a prendermi cura di lui, ad amarlo, a tenerlo con me.

— Le piace prendersi cura della gente? — le chiese Glair.

Kathryn sorrise. — Non è evidente?

— Allora perché non si prende cura di qualcun altro? Per me? C’è un uomo ad Albuquerque… l’uomo che mi ha assistito. Adesso è solo. Ha bisogno di qualcuno che gli dia calore, che lo aiuti. Gli ho accennato di lei. Fra un giorno o due, Kathryn, lo vada a trovare. Gli parli. Voi due avete molto in comune.

— Questo è tutto ciò che vuole da me? Che io gli parli?

— Non posso chiederle di più — replicò Glair. — Cerchi di farlo felice, comunque. E forse, facendolo felice, farà felice se stessa. O forse no. Chi può prevederlo? Però vada da lui. Lo farà?

— Va bene — rispose Kathryn. — Sì.

— Ecco il suo nome ed indirizzo.

Porse a Kathryn un pezzo di carta. Kathryn gli diede un’occhiata e lo mise via. Tom Falkner… quel nome non le diceva nulla. Si sarebbero incontrati, comunque; ed avrebbero parlato.

Glair stava cercando di alzarsi senza usare i suoi bastoni. Kathryn lesse lo sforzo sul suo volto, e si diresse verso di lei; prese per i gomiti la ragazza bionda e l’aiutò con delicatezza a rimettersi in piedi. Glair, ancora senza bastoni, ondeggiò un poco, apparentemente in cerca dell’equilibrio. Le sue braccia mulinarono intorno a Kathryn, ed alla fine le due ragazze si abbracciarono. Kathryn chiuse gli occhi e pensò allo strano essere alieno nascosto all’interno della morbida carne di Glair.

— Voglio… voglio ringraziarla, Kathryn — disse ad un certo punto quest’ultima. — Per essersi presa cura di lui. Per averlo accolto. Non riesco a dirle di più. Solo grazie.

— Immagino di doverle essere grata anch’io. Per aver avuto Vorneen con me, sia pure per un tempo così breve.

Glair la lasciò. — Adesso parlerò con lui. Poi vi lascerò soli.

Prese di nuovo i bastoni e si diresse a piccoli passi verso la stanza da letto. Non richiuse la porta dietro di sé. Quando parlarono, si espressero in inglese, e Kathryn capì che la cosa era voluta, per consentirle di udire ciò che in effetti udì.

Glair disse: — Sei stato fortunato, Vorneen. Ti ha trovato proprio la persona giusta.

— Sì. È vero.

— Adesso non vuoi lasciarla?

— Mi sono affezionato a lei, Glair. Più di quanto non riesca ad esprimere a parole in questo momento. Ma non posso restare, vero?

— No.

— Gli accordi…

— Gli accordi, sì.

— Come hai fatto a trovarmi?

— Adesso non importa molto. Sartak ti ha trovato, comunque. Ed ha trovato me. Più tardi ti racconterò tutto. Stai bene, Vorneen?

— Un po’ arrugginito. Niente di serio. E tu?

— Lo stesso. Dov’è la tua tuta?

— Nascosta.

— Non dimenticarla quando verrai via. Porta con te tutto ciò che avevi quando sei atterrato.

— Naturalmente.

— E cerca di spiegarle che tutto questo è… necessario. Che per te è impossibile rimanere qui più a lungo. Che gli osservatori non dovrebbero avvicinarsi troppo agli osservati. Le solite stupide frasi, Vorneen. Ci sono appena passata, con Tom. Con l’uomo che mi ha ospitata.

— Ti ha fatto male lasciarlo, vero, Glair?

— Sai bene che è così. Ma l’ho lasciato. E tu lascerai Kathryn. E dopo un po’ il dolore cesserà.

— Per noi o per loro?

— Per tutti — rispose Glair. — Ci vediamo più tardi. Accendi la luce del portico quando sarai pronto per partire. La nostra macchina è parcheggiata in fondo alla strada. Non c’è fretta.

Glair uscì dalla stanza da letto. Kathryn rimase impietrita accanto alla porta. La realtà della sua perdita stava cominciando a filtrare attraverso la sua coscienza. Kathryn cercò di consolarsi dicendosi che non aveva perduto nulla, perché in definitiva Vorneen non era mai stato suo. Un ospite. Un visitatore. Tra loro c’era stato solamente il calore di un attimo, un breve amore ucciso dalla prima raffica dell’inverno.

Glair l’abbracciò di nuovo. Fece per dirle qualcosa, ma poi soffocò le parole prima che potessero giungere alle labbra. Kathryn represse a fatica le lacrime.

— Non lo tratterrò a lungo — mormorò poi.

Aprì la porta e fece uscire la ragazza Dirnana. Quindi si voltò e si diresse verso la camera da letto. Vorneen era in piedi accanto alla finestra. Senza nemmeno rendersi conto di essersi mossa, Kathryn si ritrovò vicina a lui. I loro corpi si mossero all’unisono.

Avevano tante cose da dirsi… e così poco tempo per dirsele.

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