CAPITOLO DICIASSETTESIMO

— Due razze aliene che ci osservano — disse Tom Falkner. — Be’, immagino che sia abbastanza comprensibile.

— E che si osservano l’un l’altra, per di più — aggiunse Glair. Stava in piedi accanto alla finestra opacizzata della camera da letto di Falkner, candidamente nuda, sorreggendosi a due bastoni. Fece un passo di prova, poi un altro, e un altro ancora. Le sue gambe acquistavano sempre più forza man mano che camminava, e Glair cominciava a manifestare un cauto ottimismo. — Come vado? — domandò.

— Meravigliosamente. Sei in ottima forma.

— Non mi riferivo al mio corpo. Intendevo come cammino.

— Bene lo stesso — rispose Falkner, mettendosi a ridere ed avvicinandosi a lei, e facendo scorrere le sue mani con gesto rapido ma possessivo sui decisi contorni del suo corpo. Le dita si soffermarono sui seni morbidi e flessuosi. — Quasi quasi incomincio a credere che sia tutta roba genuina! — esclamò.

— Adesso non perdere il senso della prospettiva.

— Ti amo, Glair.

— Io sono un essere dall’aspetto repellente giunto qui da un altro pianeta a bordo di un disco volante.

— Ti amo lo stesso.

— Sei pazzo.

— Molto probabilmente — rispose compiacente Falkner. — Ma non te ne preoccupare. Mi ami, Glair?

— Sì — bisbigliò lei.

Il fatto strano era che lei sapeva di essere sincera. Aveva iniziato quella relazione mossa dalla pietà per Falkner — il povero terrestre si era trovato invischiato in così tanti nodi psicologici — e, poiché lui l’aveva accolta in casa sua e l’aveva curata fino alla completa guarigione, provava della gratitudine nei suoi confronti, e voleva fare qualcosa per lui. Falkner sembrava così solo, così confuso, così pieno di problemi. Sembrava aver bisogno di un po’ di calore e di sicurezza, e in questo Glair era una specialista. La pietà e la gratitudine non sono mai basi molto solide per il vero amore, Glair lo sapeva bene, anche quando le persone coinvolte appartengono alla stessa razza. Non si aspettava che da ciò nascesse qualcosa. Eppure, mentre Falkner continuava a prolungare di giorno in giorno la sua licenza per malattia, lei si era sentita scivolare impercettibilmente in un sentimento di reale affetto per lui.

Sotto quella scorza di amarezza, c’era della vera forza. Da quando aveva fallito come astronauta, la sua vita aveva preso una brutta piega, e da allora nulla gli era andato più per il verso giusto, ma fondamentalmente Falkner non era quei debole che sembrava alla prima impressione. Il bere, quell’umiliante autocommiserazione, la deliberata creazione di ostacoli sulla sua strada… erano tutti effetti, e non cause. Quella tendenza si poteva invertire e, una volta fatto ciò, il risultato sarebbe stato un essere umano sano, felice e soddisfatto. Quando Glair se ne accorse, cessò di considerarlo come un oggetto rotto da riparare, e cominciò invece a vederlo sul piano di una relazione del tutto alla pari.

Naturalmente, non avrebbe mai potuto esserci qualcosa di duraturo. Quando Falkner era nato, lei aveva già cento anni terrestri, e sarebbe vissuta per altre centinaia di anni dopo la sua morte. Aveva un’esperienza di gran lunga più vasta di quanto lui potesse immaginare. Perfino un terrestre di mezza età diventava un ragazzino dall’animo candido, a paragone con il più innocente dei Dirnani, e Glair era tutt’altro che innocente.

Anche l’unione fisica, poi, era irreale. Glair provava piacere tra le sue braccia, sì, ma si trattava soprattutto del piacere di dare piacere, unito ad un debole, insignificante pulsare del suo sistema nervoso esterno. Quello che lei e Falkner facevano a letto era piacevole, ma non era certamente sesso, almeno non nel significato a lei accessibile come Dirnana. Naturalmente Glair si era ben guardata dal farglielo capire, benché lui forse avesse ugualmente intuito qualcosa. Aveva conosciuto molte donne che si baloccavano in quel modo con gli animali domestici.

Eppure Falkner era ben più che un animale domestico, per lei. Malgrado l’abisso che li separava in fatto di età e di maturità, malgrado l’estraneità delle loro nature, malgrado tutto, provava un affetto caldo e reale per quell’uomo. Ciò la stupiva, la rendeva felice e — poiché alla fine avrebbe dovuto lasciarlo — le creava non pochi problemi.

— Fai un altro giro della stanza e mettiti a sedere — le disse Falkner. — Non devi stancarti troppo, all’inizio.

Glair annuì, si afferrò ai bastoni e cominciò a muoversi per la camera da letto. A mezza strada fu colta da un’improvvisa debolezza, ma aspettò che le passasse e poi riprese la sua marcia verso il letto. Vi si abbandonò sopra, lasciando cadere a terra i due bastoni.

— Come ti senti le gambe, adesso?

— Sempre meglio.

Le massaggiò i polpacci e la parte interna delle ginocchia. Lei si lasciò andare sul letto, rilassandosi. I graffi e le contusioni che le avevano sfigurato il volto erano ormai tutti spariti. Glair era tornata ad essere bellissima, il che la solleticava non poco. Falkner la accarezzò in un modo stranamente casto, come se quel suo gesto non fosse affatto il preludio ad un rapporto sessuale.

— Due razze di osservatori? — le chiese. — Raccontami tutto.

— Ti ho già detto troppo.

— I Dirnani e i Kranazoi. Chi di voi ci ha scoperto per primi, comunque?

— Nessuno lo sa — rispose Glair. — Ciascuna razza afferma che i suoi esploratori sono stati i primi a scoprire la Terra. Sono trascorse tante migliaia di anni che onestamente non si può più affermarlo con certezza. Mi piace pensare che i primi siamo stati noi, e che i Kranazoi siano soltanto degli intrusi, ma forse non faccio che credere alla nostra stessa propaganda.

— Dunque i dischi volanti ci tengono d’occhio fin dai tempi del Cro-Magnon — borbottò Falkner. — Ciò spiega la ruota che vide Ezechiele, immagino, ed un mucchio di altre cose. Ma perché noi ci siamo accorti regolarmente di questi osservatori solo negli ultimi trenta o quarant’anni?

— Perché adesso siamo molti di più. Fino al vostro diciannovesimo secolo, la Terra era osservata soltanto da una nave Dirnana e da una Kranazoi; tutto lì. Coll’evolversi della vostra tecnologia, abbiamo dovuto aumentare il numero degli osservatori. Nel 1900 avevamo cinque navi a testa, nei vostri cieli. Dopo che avete inventato il telegrafo senza fili, ne aggiungemmo delle altre per controllare le vostre trasmissioni. Poi giunse l’energia atomica, e capimmo che avevamo fra le mani qualcosa di speciale. Credo che nel 1947 avessimo circa sessanta navi osservatrici in servizio.

— E i Kranazoi?

— Oh, si tengono sempre al passo con noi, e noi con loro. Nessuna delle due parti lascia che l’altra guadagni il sia pur minimo vantaggio.

— Reciproca «escalation» degli osservatori, eh?

Glair fece una smorfia. — Esattamente. Noi ne aggiungiamo uno, e loro fanno altrettanto. Qualcuno in più ogni anno, ed ora siamo arrivati a…

Si interruppe.

— Puoi dirmelo — intervenne Falkner. — Mi hai già detto tante cose.

— Centinaia di navi a testa — riprese Glair. — Onestamente non conosco il numero esatto, ma è molto probabile che ce ne siano un migliaio delle nostre ed un migliaio delle loro, sparpagliate per tutto il sistema solare. Dobbiamo farlo. Vi siete mossi con tale velocità! Quindi non c’è da stupirsi che voi riceviate rapporti di Oggetti Atmosferici. I vostri cieli pullulano delle nostre navi, e poi avete costruito strumenti di rilevazione sempre più sofisticati. Tu hai accesso agli schedari del SOA, Tom. Credevi sinceramente che si trattasse di semplici allucinazioni, sapendo tutto ciò che aveva osservato il tuo governo?

— Desideravo con tutto il cuore che fosse così. Non volevo crederci. Ma ormai non ho più scelta, no?

Ridendo, Glair rispose: — No. Non hai più scelta.

— Ma per quanto tempo voi ed i Kranazoi avete intenzione di tenerci ancora sotto osservazione?

— Non lo sappiamo, Tom. Davvero, proprio non sappiamo come comportarci, con voi. La vostra razza è unica nella storia galattica: il primo popolo che abbia imparato come si va nello spazio prima ancora di imparare a controllare la propria belligeranza. Non avevamo mai trovato prima una razza immatura che fosse capace di costruire veicoli spaziali ed armi a fusione. Di solito la maturità etica si manifesta un paio di migliaia di anni prima della maturità tecnologica. Ma non qui sulla Terra.

— Per voi, non siamo altro che un branco di bambini pericolosi, vero? — le chiese Falkner, arrossendo.

Glair cercò di assumere il tono più giocoso che le riuscì. — Temo che sia proprio così. Bambini adorabili, però, alcuni.

Falkner ignorò quella tenera allusione. — Dunque continuate ad osservarci. Ognuno di voi ha la sua sfera di influenza galattica e amerebbe indirizzarci nella sfera giusta; ma non osate farlo. E ciascuna delle due parti ha paura che l’altra si allei in qualche modo con noi. Perciò non è noi che state osservando. Vi tenete d’occhio tra voi.

— Entrambe le cose, C’è un accordo, comunque, tra noi, a proposito della Terra. Un patto. Né i Dirnani né i Kranazoi possono scendere sulla Terra, o prendere contatto dallo spazio con i terrestri. È rigorosamente proibito, mentre attendiamo che la Terra raggiunga quel grado di maturità che riteniamo indispensabile per consentirle di entrare a far parte della civiltà interstellare. Quando avrete raggiunto quella fase, gli ambasciatori incominceranno ad atterrare, srotoleranno il tappeto e si metteranno a parlare di affari. Fino ad allora gli accordi ci impediscono di avvicinarci a voi.

— E se non dovessimo mai raggiungere quel grado di maturità? — domandò Falkner.

— Continueremo ad attendere.

— E se ci distruggiamo prima con le nostre mani?

— Risolverà per noi un problema spinoso, Tom. Ti colpisce, se io ti dico che probabilmente saremmo felicissimi di un’eventualità del genere? Siete già fin troppo potenti. Quando partirete per l’esplorazione della galassia, potreste anche distruggere l’equilibrio tra Dirna e Kranaz, che regge da migliaia di anni. Noi vi temiamo. Ecco perché cercheremo di legarvi le mani con dei trattati, ma ci augureremo sempre di vedervi scomparire in una nuvola di fumo.

— Se è così che la pensate, perché non sbarcate un paio di dozzine di agitatori e non cercate di scatenare una guerra nucleare?

— Perché noi siamo un popolo civile, Tom — rispose Glair.

Falkner rimase un po’ in silenzio.

Poi domandò ancora: — Non hai infranto gli accordi, Glair, atterrando sul nostro pianeta?

— Ho fatto naufragio, non ricordi? Te lo garantisco, non ne avevo la minima intenzione.

— E permettendomi di scoprire ciò che eri veramente, allora?

— È stato necessario per poter sopravvivere. E, in base agli accordi, è molto meglio per me stare nascosta qui da te che essere esaminata in qualche ospedale governativo. In tal caso sarebbe davvero la fine.

— Ma tu mi hai raccontato ogni cosa, sulla guerra fredda galattica, sui Kranazoi e tutto il resto. Che cosa mi impedisce di preparare un rapporto completo per il SOA?

Gli occhi di Glair scintillarono. — A che ti servirebbe? Tu sai tutto sui rapporti di contatti, e sai anche come vengono ufficialmente considerati. Non passa giorno senza che qualcuno spunti fuori a raccontare di aver volato a bordo di un disco volante. Il rapporto va a finire al SOA, il SOA lo verifica, ed il risultato è zero. Non vi sono dati reali, a parte le segnalazioni degli strumenti rilevatori, le quali si limitano a dire che lassù c’è qualcosa.

— Ma se questo rapporto provenisse da un ufficiale del SOA?

— Pensaci, Tom! Non vi sono stati forse rapporti dalle persone più rispettabili? Senza dati concreti…

— Va bene, allora. Potrei portare te, insieme al mio rapporto. Ecco un Dirnano, potrei dire. Fategli qualche domanda sugli osservatori. O sui Kranazoi. Apritelo e guardate che cosa c’è sotto la sua pelle.

— Sì, potresti farlo — ammise Glair. — Solo che non lo farai. In realtà, non puoi farlo.

— No — riconobbe lui con calma. — Non posso. Se potessi, lo avrei già fatto all’inizio, invece di portarti a casa mia.

— Ed è per questo che ho avuto fiducia in te. Ed ancora ne ho. È per questo che ti ho raccontato tutti questi segreti, violando così gli accordi. Perché so che non mi tradirai, finché sarò con te. E dopo che me ne sarò andata, non avrà più importanza, poiché nessuno ti crederà. — Gli prese le mani e se le pose sui seni. — Ho ragione?

— Hai ragione, Glair. Solo… quando hai intenzione di andartene da me?

— Le mie gambe sono quasi guarite.

— Dove andrai?

— Devono esserci delle squadre di soccorso alla mia ricerca. Tenterò di mettermi in contatto con loro. O di trovare gli altri componenti del… — ebbe un attimo di esitazione — … del mio gruppo sessuale.

— Non vuoi restare, vero?

— Per sempre?

— Sì. Restare qui, e vivere con me.

Glair scosse dolcemente la testa. — Mi piacerebbe, Tom. Ma non sarebbe possibile. Io non appartengo a questo luogo, e le differenze tra di noi ucciderebbero chiunque.

— Ho bisogno di te, Glair. Ti voglio. Ti amo.

— Lo so, Tom. Ma cerca di essere realistico. Come ti sentirai, quando tu invecchierai ed io no?

— Tu non invecchierai?

— Tra cinquant’anni avrò lo stesso aspetto che ho oggi.

— Tra cinquant’anni io sarò morto — disse lui con un filo di voce.

— Vedi? E poi io ho la mia gente. I miei… amici.

— I tuoi compagni. Sì. Hai ragione, Glair. Navi che passano nella notte, ecco che cosa siamo. Non devo prendermi gioco di me stesso, illudendomi che tutto questo possa durare. Dovrei smetterla con questa mia licenza e tornare al SOA. E dovrei anche cominciare a dirti addio. — Le sue mani la afferrarono selvaggiamente. — Glair!

Lei lo abbracciò.

— Non voglio dirti addio. Non voglio restituirti alle stelle — le disse, e la strinse ancor più a sé. Glair sentì il tremito della disperazione che lo attraversava, e si aprì a lui, consolandolo nell’unico modo che conosceva.

Mentre ciò avveniva, lei pensò a Vorneen ed a Mirtin, e si domandò se erano ancora vivi. Pensò di lasciare quella casa e di andarli a cercare. Pensò a Dirna. Pensò alla nave che era andata distrutta, con il suo piccolo giardino e la sua piccola galleria di opere d’arte Dirnane.

Poi strinse con le mani l’ampia schiena di Falkner e cercò di scacciare quei pensieri dalla sua mente. Sul momento, almeno, ci riuscì. Sul momento.

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