10. Jerry e le sue manie

Che cosa faceva Jerry in quella stanzetta misteriosa, fra la sala comune e quella da pranzo? Zoe si chiedeva perché mai Jerry, non appena aveva un momento libero (dopo mangiato, prima di andare a letto, la domenica mattina) voltava la sua sedia a rotelle con un debole ronzio e si ritirava nella stanza. Jerry si assentava per tutto il tempo che aveva a disposizione: quindici minuti, trenta, o anche un’ora. Ciò che aveva incuriosito Zoe, fu di vedere la sua chioma voluminosa e gli occhi tristi attraversare il corridoio illuminato verso mezzanotte e tornare nella camera comune dopo una di queste frequenti assenze.

Quella domenica notte (anzi, più propriamente lunedì mattina), dopo aver avuto rapporti, sia sociali che carnali, con Luther, la cosa si verificò di nuovo, e Zoe udì l’uomo paralizzato ritornare nella camera fischiettando: — Zippity-Doo-Dah — pareva dire. Poi se ne andò a letto.

Jerry si coricava la sera, pensò Zoe, e la brioche era al pomeriggio. Aveva la mente confusa, in pieno caos. Era qualcosa che riguardava Toodles. E Helen, Parthena e Luther. Solo Paul ne era escluso, per ora almeno. Ma tutti questi Phoenix stavano dormendo.

— Jerry? — chiamò, mettendosi a sedere e appoggiando i piedi sul pavimento.

— Chi è? — Non riusciva più ad intravedere i suoi occhi, ma il casco macrocefalico della sua figura si voltò verso di lei: — Zoe?

— Sì — rispose. — Sono io. Non riesco a dormire. — Si infilò la vestaglia (Sanders le aveva portato al ricovero quasi tutte le sue cose quel sabato pomeriggio, ma non era salito a vederla) e camminò a piedi nudi sul pavimento dell’angolo riservato a Jerry.

I Phoenix potevano continuare a russare. Non c’era pericolo che quelle seghe raschianti cessassero di lavorare; c’era abbastanza rumore da farti desiderare di essere sorda, benché ogni suono fosse diverso dall’altro e piuttosto interessante: un’orchestra variegata. Là un fischio metallico. Là un corno acustico. Laggiù un basso tuba. Quello, un paio di sonagli. E…

Jerry sogghignò sardonicamente e si grattò il naso con un dito. — Non riesci a dormire, eh? Ti va di andare in cucina a bere qualcosa? Magari del vino. Il vino è indicato per l’insonnia.

— Il vino fa bene per molte cose. — commentò Zoe. — Volevo chiederti che cosa fai quando ti comporti così antisocialmente nei nostri riguardi e ti chiudi nello sgabuzzino. — Indicò la porta.

— Sei simpatica. Allora ti farò un quiz con più risposte. A) Sto producendo un elisir dell’eterna giovinezza; B) Sto mettendo a punto un congegno antigravitazionale che spedirà l’intera Atlanta fra le stelle; C) Sto commettendo innominabili crimini passionali sulla custodia di un vecchio telescopio e sul preparato di una scatola di Petri; oppure D) Io… io… Sto diventando matto, mia cara. Scegli, ti prego.

— D — rispose Zoe.

— Come?

— Scelgo la D. Mi hai detto di scegliere, ed io scelgo quella.

Come colpito da una brillante intuizione (ad esempio, la chiave per realizzare un apparecchio antigravitazionale), Jerry batté le mani e borbottò: — Ah, anche a quest’ora, la tua intelligenza non ti tradisce. Mi dichiaro battuto.

— Non ancora. Non mi hai ancora dato una vera e propria risposta, e sono quasi due minuti che ti sto parlando.

— Oh, oh! In questo caso, cara Zoe, vieni con me. — Jerry Zitelman-Phoenix si girò per lasciarsi cadere nella ronzante sedia a rotelle e varcò la porta della stanza comune. Zoe lo seguì.

Jerry scivolò lungo il corridoio, ma Zoe avvertiva più il rumore dei suoi piedi scalzi che il ronzio piacevole della sedia. Ronzio che si interruppe quando lui raggiunse la misteriosa stanzetta. — Avrei preferito attendere domani, sai. Ma col passare degli anni ho imparato a soddisfare i capricci delle signore che soffrono d’insonnia. D’altra parte ho terminato quello che stavo facendo. Non ti disturberà dare un’occhiata al frutto delle mie fatiche. Disturberà me, comunque. E tu potresti semplicemente prolungare la tua insonnia.

Alle due del mattino, e forse anche più tardi, Jerry era unico, un flusso inarrestabile di trovate. Non molto diverso da quel giovedì notte quando, sul terrazzo, si era messo a parlare delle stelle invisibili e della paralisi che lo affliggeva da una vita. Sciocchezze! Zoe ora lo conosceva meglio: lui era lo stesso di giovedì notte, se ti riferivi alla sua parte inferiore; quell’apparente cambiamento era solo nel modo di rivelare la sua personalità. Una maschera che si era tolto per un istante, e che si era subito rimessa. Oh, non era difficile mettere a nudo l’anima di quest’uomo. Dovevi solamente stare attenta a non distruggerla lasciandogli capire che tu potevi vederla a nudo. No, tieni il tappo sulla bottiglia, avvolgi il tuo fascio di emozioni in un vecchia giarrettiera. E sorridi, sorridi, sorridi.

Perché Jerry era un tipo simpatico. Nonostante le sue manie.

Entrarono nella stanzetta e lui accese la luce. Dalla porta, Zoe vide un banco su cui vi erano delle fotocopiatrici, pile di fogli, una macchina da scrivere elettronica IBM (ne avevano una dello stesso tipo negli uffici della redazione del Journal/Constitution) e un mucchio di opuscoli di colore giallo-arancio. Al banco erano inoltre fissati dei piccoli adattatori (messi da Luther) in modo che Jerry potesse sistemare la sedia per poter lavorare più comodamente.

Opuscoli. Non si vedevano in giro molto spesso. E c’era una buona ragione: gli Editti di Soppressione del ’35 avevano bandito le fotocopiatrici private. Ciascuno possedeva una visiconsolle e poteva essere soddisfatto. I Phoenix ne avevano due nella sala comune, per quanto Zoe non li avesse mai visti usarle. Del resto lei stessa, da quando era entrata nel ricovero, non l’aveva mai usata. E adesso vedeva degli opuscoli: opuscoli!

— Mi sono sempre chiesta dove fossero finiti gli autori di pamphlet di Atlanta — disse Zoe. — Stai propugnando la distruzione della nostra Costituzione Urbana?

Jerry si portò una mano sul petto. — Cara Zoe, il mio nome è Zitelman e non Marx, e prima di tutto… no, non prima di tutto, ma come ultima cosa e per sempre, io sono un Phoenix. — Prese una copia dal mucchio e la porse a Zoe, la quale si era fatta più avanti in quel covo da cospiratori zeppo di roba. — Questo numero che ho realizzato in tre o quattro settimane, anzi di più, è dedicato a te. E non solo questa copia, bada bene. Ma l’intero numero.

Zoe osservò la copertina dell’opuscolo dove, sullo sfondo giallo-arancio, spiccava il disegno a china di una fenice stilizzata che rinasceva dalle sue stesse ceneri. Il titolo della pubblicazione era stampato nell’angolo in basso a sinistra, a caratteri piccoli e stretti: Jerry e le sue manie. E un po’ più sotto: Vol. VI, n. 1. — Che cos’è? — chiese Zoe.

— È la nostra famzine — rispose lui. — Tutte le unità settigame ne hanno una. Rivista di famiglia, di cui io sono editore e redattore. Si tratta della Vera Storia e Documentazione dell’unità settigama Phoenix, la quale racchiude gli sforzi creativi e gli utili consigli delle nostre varie mogli. Un giorno, cara Zoe, qui dentro si parlerà anche di te.

— Non dire quattro finché… — disse Zoe sfogliando l’opuscolo.

— Be’, come un intellettuale ormai sicuro delle proprie inclinazioni, ora voglio contare seriamente. — Puntò malignamente un dito deforme verso di lei. — Uno — disse con un comico accento della Transilvania. — Uno… — Lei rise, dandogli un buffetto sulla sua chioma ispida. Ma soltanto il giorno seguente, prima di colazione, Zoe ebbe la possibilità di leggere l’opuscolo, quella copia ancora inedita che Jerry le aveva dato. Vi trovò illustrazioni firmate da Parthena, Helen e Paul, nonché articoli e poesie di ciascun membro della famiglia. Parecchi erano omaggi, brevi elogi allo scomparso Yuichan Kurimoto. Il numero si concludeva con un poemetto in versi liberi che dava il benvenuto a Zoe Breedlove come candidata al matrimonio coi Phoenix. Un composizione un po’ retorica ma di buona fattura. Era firmato J.Z.-Ph., e quest’ultima pagina si concludeva col motto della famiglia, consistente in una sola parola:

Dignità.

Tutto era così ridicolmente sdolcinato. Come potevano avere la sfrontatezza di inserire lì quella parola? Zoe dovette asciugarsi gli occhi prima di andare in sala da pranzo per la colazione.

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