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Il mese di ottobre, dedicato interamente alla costruzione della macchina, fu, per Hutchman, un periodo difficile. Una via segnata da pietre miliari bifronti che gli indicavano, con una faccia, la distanza sempre minore verso la realizzazione del progetto e, con l’altra, l’abisso sempre più profondo che lo divideva da Vicky.

Una delle prime pietre miliari fu rappresentata dal giorno in cui acquistò il cristallo praseodimio e una quantità sufficiente di isotopo verde che gli consentivano di produrre, entro un periodo di tempo ragionevole, i cinquanta milligrammi di cestron. Quel giorno, era passato direttamente dal lavoro alla mensa del Jeavons per mangiare due panini alla svelta, evitando di attaccare discorso con gli altri, anche se aveva l’impressione di conoscere la donna bruna seduta a qualche tavolo dal suo. Quella sera lavorò più del solito, per mettere a punto il sistema di raccolta del gas, e, tornato a casa, si trovò chiuso fuori.

Ma è impossibile! Hutchman scosse la testa, incredulo, ma la chiave girava a vuoto nella serratura della porta d’ingresso, e anche l’entrata secondaria era bloccata. Smise di provare, e intanto guardava la sua ombra, sul viottolo illuminato dalla luna, mentre una parte della sua mente si abbandonava a pensieri futili, chiedendosi perché l’ombra della sua testa proiettata dalla luna sembrava più piccola della stessa ombra prodotta da un fanale. La casa era buia, silenziosa, estranea. A un tratto gli venne in mente che colpo sarebbe stato se lui, Lucas Hutchman, fosse stato costretto rimanere fuori per tutta la notte. Ed era forse ancora più impressionante scoprire che l’infantilismo di un adulto può avere la meglio sulla ragionevolezza di un altro. Provò, senza risultato, a tutte le finestre e alla fine tornò a quella della camera da letto dove cominciò a picchiare ai vetri. Via via che i minuti passavano senza che ottenesse risposta, cominciò a perdere il controllo e a battere coi pugni, sempre più forte, sperando di rompere il vetro.

«Vicky!» chiamava sottovoce. «Vicky! Vicky!»

La serratura, alla porta d’ingresso, scattò. Corse, pensando quasi con spavento, che cosa poteva fare a Vicky con quei suoi pugni, ma si trovò davanti David che lo guardava con l’aria di un fantasma.

«Mi dispiace, ma sono rimasto chiuso fuori.» Hutchman prese per un braccio il ragazzino in pigiama e lo portò in casa, chiudendo la porta col piede. Lo rimise a letto, poi andò nella camera dove Vicky, assolutamente immobile, fingeva di dormire. All’idea di potere allungare il corpo infreddolito e affaticato accanto al suo, anziché restarsene fuori nella vecchia Inghilterra dei maghi e dei briganti, la rabbia di Lucas finì all’istante. Si svestì in fretta, s’infilò tra le lenzuola e tentò di abbracciare la moglie. Lei, di scatto, saltò giù dal letto e corse a rifugiarsi in fondo alla camera, dove il suo corpo nudo era illuminato dalla luna.

«Non toccarmi.» La voce era spezzata, come di ghiaccio.

Lui si alzò a sedere nel letto. «Vicky, ma che cosa ti prende?»

«Non toccarmi, ti dico. Vado a dormire nell’altra stanza.»

«Ma perché fai così?» Hutchman parlava con tranquillità, sapendo perfettamente cosa c’era in gioco in quel momento. «Tu non andrai a dormire nell’altra stanza» disse, con fermezza.

«Non voglio dormire in quel letto. Per lo meno, non adesso.»

Non adesso, perché forse è contaminato da una brutta malattia, interpretò Hutchman. Riuscì ad evitare il tranello, mantenendo il silenzio. Però scese dal letto e andò verso di lei. Vicky uscì, scomparendo alla vista ma lui capì subito che aveva girato a destra, dirigendosi verso la porta d’ingresso. La seguì nel corridoio e, in quel momento, la porta si aprì e una ventata di aria notturna lo avvolse. Vicky era fuori, ritta in mezzo al prato.

«Non toccarmi» gridò. «Preferisco restare qui tutta la notte.»

«Oh, santo cielo!» disse forte Hutchman, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «E adesso cosa faccio?»

Lei correva svelta e non era facile raggiungerla, col rischio di attirare l’attenzione dei vicini. Lucas tornò dentro, lasciando la porta aperta e, a passi lenti, si diresse verso la camera degli ospiti. Qualche minuto dopo, sentì chiudersi la porta d’ingresso e, per un secondo, sperò intensamente che Vicky, tutta gelata, venisse da lui a cercare un po’ di calore. Ma lei andò nell’altra stanza, lasciandolo solo con la sua amarezza.


Tentare un discorso sarebbe stato certamente un disastro, sia che Vicky prestasse fede alle sue parole, o meno. In qualunque altro modo, però, lei avrebbe parlato ai genitori, agli amici, ai vicini, ai colleghi di Lucas, e questo sarebbe stato pericoloso: la gente avrebbe ricordato quello che lei avrebbe detto. La sua mente era tesa alla meta, ormai vicina, di portare a termine la macchina, e già si stavano delineando le prime linee di un piano. Ancora molto vago, un elemento era già chiaro: il pericolo tremendo che la macchina rappresentava per sé, per sua moglie e anche per David. Sarebbe stata costruita di nascosto, ma prima che potesse essere impiegata, era necessario infrangere il segreto, deliberatamente, sistematicamente, in un processo che Hutchman era in grado di avviare ma che, difficilmente, sarebbe riuscito a controllare.

In compenso, Vicky, che lui non sapeva dominare, andava tenuta all’oscuro di tutto, anche quando incrinature via via più profonde s’insinuavano nella struttura del loro matrimonio, concentrandosi nei punti critici. Per esempio intorno alla seconda pietra miliare.

Una centrifuga a gas, in condizioni perfette e a un prezzo raggiungibile, era disponibile a Manchester. Hutchman andò a ritirarla con la macchina, proponendosi di tornare a Crymchurch in serata, ma purtroppo le Midlands erano immerse in una coltre di nebbia. Era appena arrivato a Derby quando, sentito di un grave incidente accaduto nei pressi di Belper, si decise a cercare un motel. Era mezzanotte quando, finalmente, chiamò Vicky per avvertirla che quella sera non sarebbe rientrato. Il telefono suonò piano, come se il nebbione attutisse i congegni elettronici e meccanici, ma dall’altra parte nessuno rispose. Hutchman non rimase molto sorpreso. Vicky, con ogni probabilità, aveva immaginato chi telefonava e perché: e adesso, non rispondendo, lo metteva in posizione di svantaggio.

Posò il ricevitore e si allungò, tutto vestito, sul letto dello chalet. Quel mattino aveva detto a sua moglie la verità pura e semplice sul motivo della sua corsa a Manchester, sapendo che la mente di lei evitava ogni dato tecnico. Le aveva perfino chiesto di accompagnarlo. Lei aveva risposto che lui sapeva perfettamente che non lasciava mai a casa da scuola David, neppure per un giorno, e il tono implicava che, se non l’avesse saputo, non le avrebbe chiesto di andare con lui. Un punto per Vicky. Maledetta macchina, pensò Lucas. Mi costa davvero troppo. Chi credo di essere, comunque? Erano passati sedici giorni da quando la bomba era esplosa a Damasco, e fino a quel momento nessuno si era preso la responsabilità dell’accaduto o, per dirla in altro modo, era stato in grado di esercitare sulla struttura della moralità politica una violenza sufficiente a rendere l’azione accettabile, o per lo meno, di giustificarla come un espediente. La situazione del Medio Oriente risultava paradossalmente più stabile di quello che era stata da due anni a quella parte, ossia dopo il ritiro improvviso della Siria dalla Lega Araba: spesso Hutchman si trovava a pensare che la sua macchina non avrebbe riportato in vita nessun ragazzino indomabile di sette anni. E quel pensiero gli appariva degno di essere preso in considerazione.

Arrivò a Crymchurch in mattinata: la casa era deserta e chiusa. C’erano le bottiglie del latte all’ingresso e la posta era sparpagliata sul pavimento. Capì al volo che Vicky e David se n’erano andati il giorno prima. Dominando un sentimento di autocommiserazione, staccò il telefono per chiamare i genitori di lei, poi cambiò idea. Vicky, evidentemente, era corsa dai suoi e, come la notte in cui era uscita sul prato, il modo migliore per riportarla a casa era di lasciare la porta aperta e di aspettare.

Ci vollero tre giorni prima che Vicky ritornasse, in un mattino piovoso di sabato, con l’aria contrita e leggermente imbarazzata, accompagnata dai genitori. Suo padre, Alderman James Morris, un uomo dai capelli bianchi e il naso color fragola, intrattenne a lungo e molto seriamente Hutchman sul costo dell’elettricità e sull’andamento incerto della borsa delle valute. Non accennò mai al matrimonio della figlia, non alluse mai a qualcosa che non andasse, ma la serietà del tono implicava un messaggio che andava oltre gli argomenti trattati. Hutchman rispose con lo stesso tono. Quando i genitori di Vicky se ne andarono, Hutchman chiamò la moglie in camera da letto. Lei sorrise tra le lacrime appoggiando le mani sulle cosce. Sembrava una ragazzina che vuol essere perdonata, dopo una scappata. Il gesto fece risaltare le spalle abbronzate, nella camicia beige.

«E David?» chiese lui.

«Era ancora a letto, quando sono partita. Oggi papà lo porta al planetario, dopo, tornerà qui.»

«Capisco.» Hutchman avvertiva, nell’aria, un richiamo sessuale. Erano tre settimane che non facevano più l’amore.

«Per lui è stata una vacanza, Lucas.»

«E per te?»

«Io…» Corse da lui, a bocca aperta, avida, e, nelle ore che seguirono, si dimostrò piena di tenerezza. Finché ogni sensazione di pena sparì dal corpo di lui. Hutchman era sdraiato sul letto ascoltando il rumore della pioggia contro i vetri e intanto si chiedeva, con un po’ di rimorso, come avrebbe reagito Vicky, scoprendo che questa volta le cose sarebbero andate in un altro modo. Finora, nel grafico accidentato dei loro rapporti, a una scena di riconciliazione seguiva sempre un periodo idilliaco di armonia: però non c’era ancora la Macchina.


«Si tratta di un progetto segreto che riguarda certe proprietà della radiazione a micro-onde.» La spiegazione lasciò Vicky perplessa, come lui aveva previsto. E più la ripeteva, più lei si confondeva. Vicky era costretta ad accettare la realtà del progetto ma, non immaginando la verità incredibile della faccenda, era ridotta esclusivamente a fare congetture sul ruolo di Hutchman. Però c’erano altre persone che, nonostante tutti i suoi forzi, si erano accorte dei cambiamenti in atto. Hutchman era rimasto indietro nel lavoro, fatto che appariva sempre più evidente nel corso delle riunioni settimanali riguardo l’andamento del Jack-and-Jill. Muriel Burnley sbrigava le mansioni di segretaria con diffidenza chiarissima, dimostrando il suo risentimento in cento modi, tutti irritanti. Don Spain appariva eccitato e insieme esultante davanti alla certezza che Hutchman fosse impegolato fino al collo in un affare pericoloso.

Hutchman lavorava accanitamente al progetto, a volte senza capire fino a che punto ne fosse coinvolto, passando tutto il tempo disponibile all’Istituto Jeavons, e cercando, nello stesso tempo, di non sciupare il più piccolo miglioramento sopravvenuto nelle sue relazioni con Vicky. Alla fine del mese disponeva di un nuovo laser, e contemporaneamente, aveva raggiunto un’altra pietra miliare.

«Cosa significa?» Vicky gli lanciò la lettera sul tavolo.

Hutchman, prima ancora di afferrarla, riconobbe l’intestazione nitida, uniforme, della sua banca. «La lettera era indirizzata a me» disse piano, cercando di guadagnare tempo per riflettere.

«E chi se ne frega? Cosa significa?»

Lucas diede un’occhiata al contenuto della lettera, estremamente chiaro e professionale, in cui lo informavano che il suo conto era allo scoperto di quasi quattrocento sterline e che, avendo chiuso il libretto dei risparmi, la banca lo pregava di fare subito un versamento o, in caso contrario, di passare a discutere la faccenda con il direttore.

«Significa esattamente quello che dice» commentò. «Dobbiamo una certa somma alla banca.»

«Ma com’è possibile che siamo fuori di una cifra così alta?» La faccia di Vicky s’era sbiancata agli angoli della bocca.

«È quello che vorrei sapere anch’io.» Era stato un errore, si rese conto Hutchman, lasciare uno scoperto così forte, ed uno sbaglio ancora più grave far sì che gli mandassero una lettera di quel genere.

«Ma perché non hanno trasferito un po’ di liquidi dal libretto di risparmi, come fanno sempre?» Vicky acciuffò la lettera per rileggerla. «Ah, già! Hai liquidato il libretto! E dov’è il denaro?»

Hutchman cercò di restare calmo. «Ho dovuto usarlo per il progetto.»

«Come!» Lei scoppiò in una risata nervosa, e intanto guardò David che, pieno di curiosità, aveva alzato gli occhi dal piatto. «Ma tu scherzi, Lucas. Avevo più di duemila sterline, su quel conto.»

Hutchman registrò l’uso del verbo al singolare. Vicky faceva parte del consiglio di amministrazione in un’impresa del padre. Finora aveva depositato le sue entrate nel conto risparmi e, di solito, volutamente, parlava dei nostri risparmi, tranne quando era sdegnata.

«Ma non sto scherzando» disse Hutchman. «Ne avevo bisogno per comperare l’attrezzatura.»

«Non ti credo. Che tipo di attrezzatura? Fammi vedere le ricevute.»

«Vedrò di rintracciarle.» Aveva comperato tutto servendosi di nome e indirizzo falsi, poi le aveva bruciate, le ricevute. Ma fare il maestro di ballo dei neutroni richiede una disciplina strana. «Non ho molte speranze.» In crisi, guardò Vicky: la sua faccia era piena di lacrime.

«Lo so perché non puoi farmi vedere le ricevute» diceva lei. «So perfettamente che tipo di apparecchiatura ti sei comperato.»

Ci risiamo!, pensò Hutchman, spaventato. Interpretate nel contesto di tutti gli anni passati con Vicky, quelle parole lo accusavano apertamente di aver fatto fuori il denaro con una o più donne, e addirittura di avere comperato un appartamento per i suoi incontri amorosi. Sapevano tutti e due cosa voleva dire lei, però, e questa era la tecnica favorita di Vicky, se lui negava l’accusa, significava che, implicitamente, l’ammetteva.

«Ti prego, Vicky, ti prego» disse Lucas, indicando David.

«Non ho mai fatto niente che possa danneggiarlo» gli assicurò Vicky. «Ma a te farò del male, Lucas Hutchman. Te la farò pagare.»


La consapevolezza che non avrebbe usato la macchina anti-bombe si cristallizzò in Hutchman lentamente, via via che procedeva nella messa a punto conclusiva. Sospettò, per un momento, di aver sempre avuto quella consapevolezza, ma occultata dall’ossessione del progetto in quanto progetto. Adesso che la macchina era una realtà, Hutchman si trovava di fronte a verità molteplici, scoraggianti.

Tanto per cominciare non era possibile far funzionare la macchina su scala limitata. Era un apparecchio tutto o niente, destinato a personaggi tutto o niente, categoria a cui Hutchman non si sentiva di appartenere. In secondo luogo, la situazione internazionale era migliorata. Secondo alcuni osservatori, l’atmosfera si era rasserenata e ci si era sbarazzati di una tendenza inconscia, ma diffusa nel mondo, di usare la bomba. Strettamente collegata con quel fatto c’era, da parte di Hutchman, la riluttanza a procedere lungo il cammino che conduceva inesorabilmente al fallimento del suo matrimonio. Gli era difficile accettare il sacrificio, sull’altare della salvezza di milioni di vite umane, della propria felicità personale, se così si poteva chiamare la sua vita con Vicky. Però la macchina era un dato di fatto reale, più reale di qualsiasi altra cosa. S’imponeva con la sua presenza tridimensionale, non lasciava spazio per illusioni né ripensamenti. E qual era la verità che Lucas doveva accettare? In fin dei conti sono un egoista, un codardo, un mediocre, come tutti gli altri!

Hutchman posò il micrometro con un senso crescente di sollievo, aiutato dalla soddisfazione che si prova quando ci si ridimensiona. Gli bastavano due ore di lavoro per mettere a punto e completare la macchina, ma non era il momento di farlo. Fu tentato di smantellare immediatamente le apparecchiature, ma ormai aveva rotto le dighe della prudenza che, da un mese, aveva innalzato dentro di sé. Guardò la macchina per qualche secondo, rifacendo pace con lei, poi uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Più di una volta, durante il ritorno a Crymchurch, mise in difficoltà gli altri guidatori con rallentamenti improvvisi e non giustificati, ma ormai non aveva più fretta. Voleva fare il piccolo cabotaggio, immergersi nel flusso caldo della vita da cui, per un certo tempo, era stato penosamente distolto. Da un pezzo il quadro dei corpi dilaniati non compariva più nelle sue visioni, ed era di nuovo un uomo, come tutti gli altri. Di tanto in tanto, mentre guidava nel buio, sospirava profondamente e gli pareva di trovarsi a una svolta importante della sua vita.

Hutchman fu molto deluso vedendo una macchina sconosciuta parcheggiata davanti a casa. Era una coupé a due posti: sembrava marrone, ma era difficile stabilirlo nel riverbero che veniva dalla casa. Lucas notò che la macchina aveva il muso puntato contro il cancello. Forse il guidatore voleva andarsene rapidamente. Certo, se in casa c’era un estraneo, non poteva dire a Vicky le cose che intendeva spiegarle. Accigliato, infilò la chiave nella serratura: non si mosse. Era chiusa dall’interno, a doppia mandata.

Hutchman uscì dal porticato, esaminò la casa e notò che l’unica luce era un debole riflesso che proveniva dalla finestra della camera di David. C’erano visite in casa, e le luci non erano accese! L’enorme sospetto che gli balenò alla mente lo fece dirigere piano verso l’ingresso laterale. Doveva entrare! Anche quella porta era chiusa. A questo punto ritornò di corsa alla porta principale. Stavolta le luci del soggiorno erano accese. Bussò finché la serratura scattò. In piedi nell’ingresso c’era Vicky, con indosso un chimono di seta azzurra.

«Ma cosa fai?» domandò, fredda. «David sta dormendo.»

«Come mai la luce era spenta e la porta chiusa?»

«Chi ha detto che la luce era spenta?» Vicky rimaneva sull’ingresso, come per impedirgli di entrare. «E perché sei tornato così presto?»

Lui andò dritto verso sua moglie e, senza badare al suo respiro strozzato, spalancò la porta del soggiorno. Un tipo sulla quarantina, bruno e abbronzato, in cui Hutchman riconobbe vagamente il proprietario della stazione di servizio locale, era in piedi in mezzo alla stanza. In quel momento, stava infilandosi i pantaloni su un paio di mutande di raso nero.

«Voi!» sbottò Hutchman, mentre il suo cervello lavorava febbrilmente, con una lucidità inaspettata. «Rivestitevi immediatamente e uscite.» Lo osservò mentre indossava la camicia, notando che, anche in quel momento critico, l’uomo si vestiva come un seduttore, le gambe leggermente tese e i muscoli addominali contratti, mostrandosi nella posizione per lui più lusinghiera.

«È imperdonabile» ansimò Vicky. «Come osi spiarmi, o parlare con quel tono a un mio ospite!»

«Il tuo ospite, comunque, non ha niente in contrario. O ha qualcosa da obiettare?»

L’uomo s’infilò le scarpe e raccolse la giacca dalla sedia, senza dire una parola.

«Questa è casa mia, Forest» gli diceva Vicky. «E non è il caso che te ne vada. Anzi, ti chiedo di non andartene.»

«Be’…» Forest diede un’occhiata a Hutchman, mentre nei suoi occhi la mortificazione lasciava il posto a una certa bellicosità. Rilassò i muscoli delle spalle, come un cobra che allarga il cappuccio.

«Oh, povero me!» disse Hutchman, con finto spavento. Tornò in anticamera, staccò dal muro un lungo machete e tornò in soggiorno. «Ascoltami bene, Forest. Non ce l’ho con te per cosa è capitato prima qui dentro. Ma adesso invadi la mia intimità, e se non te ne vai immediatamente ti ammazzo.»

«Non credergli!» Vicky ridacchiò e si strinse a Forest.

Hutchman si guardò attorno, afferrò una sedia Hepplewhite che suo suocero aveva regalato a Vicky l’anno prima e, con un colpo di machete, spaccò in due lo schienale. Vicky gridò, l’atto di vandalismo fece effetto su Forest che marciò, dritto, verso la porta. Lei fece qualche passo per seguirlo, poi, di colpo, si fermò.

«Non è stata un’idea geniale, rovinare quella seggiola» disse, con distacco. «Valeva un mucchio di soldi.»

Hutchman aspettò che la macchina, di fuori, se ne andasse: allora parlò. «Dimmi una cosa. Era la prima volta che il tuo… ospite veniva qui?»

«No, Lucas.» La voce di Vicky era assurdamente tenera. «No, non era la prima volta.»

«Quindi…» Adesso che non c’erano più estranei davanti a cui fingere, Hutchman si trovava, per la seconda volta in un’ora, a confronto diretto con la realtà. Decise di prenderla di petto. «Allora sono arrivato tardi.»

«Troppo tardi!» Di nuovo la tenerezza crudele.

«Vorrei farti capire come ti sei sbagliata, Vicky. Io non ti sono mai stato infedele. Io…» Hutchman s’interruppe, perché aveva il petto stretto in una morsa di dolore. Tutti questi anni, pensava. Tutti gli anni belli, gettati via. E per che cosa?

«È stata colpa tua, Lucas. Sii abbastanza uomo per affrontare tutto questo senza piangere.» Vicky, mentre parlava, accese una sigaretta e, dietro il fumo, aveva gli occhi duri e trionfanti.

«Va bene» riuscì a dire lui e, per un secondo, gli parve di vedere, tra loro due, la macchina anti-bomba. «Ti prometto che lo supererò.»

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