EPILOGO

La felicità, come tante altre cose, è una questione di relatività, un compromesso ragionevole tra ambizioni e capacità. E, in un certo senso, tre di noi hanno raggiunto l’appagamento.

Ho appena finito di fare il bagno a Vicky e di metterla a letto. No, quel giorno ad Hastings non è rimasta uccisa, benché abbia avuto il collo fratturato e i medici mi abbiano detto che è un miracolo se non è morta. La paralisi è permanente, così mi dicono, ma non mi importa se devo darle da mangiare e badare a lei in tutto e per tutto, come se fosse una neonata. E Vicky, anche se non vuole ammetterlo, prova uno strano appagamento per il fatto che, legittimamente, occupa, in pratica, ogni momento di tutte le mie giornate. In questo clima di buona fede, devo ammetterlo, mentre darei la terra per vederla riprendere a camminare, una parte di me riposa più facilmente nelle lunghe notti fresche, accanto a questa nuova Vicky così… trattabile. Non ci sono più fra noi quelle discussioni spaventose su argomenti che solo l’antica Vicky sapeva immaginare. Per esempio quali erano le ragioni profonde che mi inducevano a parlare di un vestito con la cerniera lampo chiusa sulla schiena come se invece l’avesse avuta aperta.

Le autorità sono state comprensive. Questa istituzione è esattamente il tipo di posto che prevedevo. È nel cuore degli Avengers, però non molto distante c’è un paese dove David frequenta la scuola. Fa molto più progressi che a Crymchurch, benché Vicky assicuri che è perché gli dedico molto più tempo. Forse è vero. Le autorità mi hanno dato una certa quantità di lavoro nel mio campo specifico, ma si tratta in fondo di una ergoterapia, e non sono tenuto a impegnarmi troppo.

Per conto mio, non sono infelice. Ho la mia stanza col caminetto acceso e, solo di tanto in tanto, ripenso agli avvenimenti di quei mesi di ottobre e novembre. La domanda più importante riguardante quel periodo è questa: Avrei tolto il dito dal pulsante se Baptiste avesse citato prima il suo ultimo argomento?

Io ero, non c’è dubbio, tutto quello che ha detto: un pazzo, un accademico, un teorico. E, come mi ha spiegato dopo, quando era troppo tardi, il risultato dei miei sforzi è stata una revisione temporanea ma incredibilmente dispendiosa, della corsa agli armamenti. Le armi nucleari non sono state messe in disparte come mi ero illuso. Semplicemente sono state ridisegnate in modo da tener conto dell’esistenza eventuale di un Detonatore Hutchman. Al posto del classico sistema nucleare a due masse, ora abbiamo una dozzina di masse sub-critiche collegate da servomeccanismi quando il missile è sopra il bersaglio. Se queste nuove armi venissero usate e se una delle mie adorate macchine entrasse in funzione in qualche punto del mondo, le testate nucleari, molto semplicemente, esploderebbero qualche secondo prima del previsto. Tutto qui.

Questo, dunque, è stato il risultato complessivo della mia impresa: ha fatto in modo che una quantità imprecisata di milioni siano stati impegnati in un giro vizioso, perfettamente inutile, della corsa agli armamenti. Quante vite umane rappresenta questa cifra in termini di ospedali non costruiti, di programmi di aiuti annullati, rifornimenti in medicine e viveri mai spediti? Quanti bambini, per causa mia, sono stati sepolti, chiusi in scatole da scarpe?

Non lo so.

E, soprattutto, non mi sono mai preoccupato di saperlo, come avrei fatto ai vecchi tempi. Ho imparato molte cose durante la discesa al piano zero, ma soprattutto una: che Vicky aveva sempre avuto ragione. La natura non ha mai prodotto un sistema nervoso capace di sopportare il peso della colpa che facciamo ricadere su noi stessi quando ci sentiamo responsabili delle azioni altrui. Una specie in piena floridezza e numerosa, per la ragione che la morte prematura di una parte dei suoi membri non influenza il benessere della maggioranza. È per obbedire a un principio cosmico che una quaglia che vola verso sud, verso il sole, gode della sua piccola vita, anche se certe sue compagne di migrazione sono finite nelle reti dei contadini.

Ogni tanto, una piccola parte ostinata della mia anima mi sussurra un’obiezione inquietante, ma io non mi lascio distrarre. Ho fatto tutto il viaggio fino al piano zero, andata e ritorno, e sono in grado di ribattere, facilmente e definitivamente.

Provare? chiedo alle pareti della mia piccola stanza col camino acceso. E a cosa serve, provare?


FINE
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