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«Via dalla macchina» disse l’uomo con la pistola. La faccia era grigia e implacabile.

«Volentieri.» Vicky era morta: Hutchman lo sapeva benissimo, eppure si sentiva indifferente. Il suo braccio ferito stava riacquistando la sensibilità, e ora sentiva il sangue scorrere lungo le dita. «Volete proprio che mi allontani dalla macchina?»

«Non scherzare. Sta’ lontano!»

Hutchman tornò a sorridere, con le labbra screpolate.

«Va bene, ma avete notato dove ho il dito?»

«Ti caccio una pallottola nello stomaco prima che tu riesca a muovere il dito» lo assicurò l’altro. «Così non riuscirai più a premere il pulsante.»

«Fate pure» Hutchman alzò le spalle. L’unico effetto della morte di Vicky era stato di dare alla sua mente una calma gelida. I suoi processi mentali avevano una rapidità incredibile. «Però, non avete ancora capito. Osservate con attenzione il mio dito e vedrete…»

«Ma ha già premuto il pulsante!» L’uomo che aveva spezzato il collo a Vicky aprì la bocca per la prima volta. «Presto, andiamocene. Saranno qui da un momento all’altro!»

«Un attimo.» L’uomo grosso era perplesso, davanti alla calma di Hutchman, e lo affrontò personalmente. Puntò la pistola dritta nello stomaco di Hutchman. «E che cosa succederà se la faccio finita con una pallottola?»

«Rendereste un pessimo servizio ai vostri padroni.» Hutchman quasi rideva: quell’uomo cercava di fargli paura con la minaccia di un’arma, e non sapeva che, adesso che Vicky era morta, parole come paura, odio, amore, non avevano più senso.

«Vedete, io sono un debole, e mentre costruivo la macchina ho dovuto tener conto dei difetti del mio carattere. Avevo previsto una scena di questo genere, così ho disegnato i circuiti in modo che entrino in azione appena toglierò il dito dal pulsante.»

L’uomo lo guardava sbalordito, mentre un muscolo gli ballava all’angolo della bocca. «Ma potrei distruggere la macchina.»

Hutchman tossì penosamente, tanto che credeva di sentire il sangue in bocca. «In tre secondi? Non ci vogliono che tre secondi perché la radiazione raggiunga la luna e ritorni, a parte il fatto che dovreste costringermi a tenere premuto il pulsante. E vi assicuro che lo lascerò andare subito, se fate un solo passo nella camera.»

«Lascia perdere» disse l’altro individuo. «Andiamo, per l’amore del cielo! Mi sembra di sentire qualcuno.»

La porta d’ingresso fu spalancata di scatto, e il battente urtò violentemente contro la parete. L’uomo grosso si voltò, alzando la pistola. Hutchman, per un tempo che gli parve lunghissimo, non riuscì a percepire più niente, quando i mitragliatori entrarono in azione in quello spazio limitato. I due uomini scomparvero in una grande nuvola di fumo, di polvere, di pezzi di calcinaccio: poi tutto fu silenzio. Pochi secondi dopo, sul pianerottolo, apparvero delle divise kaki, mentre due soldati in tenuta di guerra entrarono nella stanza. Muti presero posizione ai due lati della porta, e coprirono Hutchman con le armi ancora fumanti.

Lucas rimase seduto, immobile, mentre il locale si riempiva di uomini, quasi tutti in abito civile. Tutti lo guardavano con reverenza, e i loro occhi scrutavano ogni particolare del suo aspetto e della macchina su cui aveva la mano: nessuno parlava. In strada, una sirena lanciò un breve ululato, che subito si spense in un gemito deluso. Hutchman guardava gli sconosciuti, rendendosi vagamente conto che la situazione aveva un suo lato comico. Adesso, però, il braccio gli faceva molto male, e lui doveva concentrarsi per non perdere conoscenza. Guardò l’orologio: mancavano tre minuti a mezzogiorno.

Manca poco, pensò. Tre minuti non fanno molta differenza, però…. Il guaio era che non poteva ancora cedere per abbandonarsi, finalmente, al riposo. Aveva dato un ultimatum ben preciso, e un punto fisso doveva pur rimanere: altrimenti niente di quello che aveva fatto avrebbe mantenuto il suo significato.

Un uomo tarchiato, dai capelli grigi, entrò nella stanza e qualcuno chiuse la porta dietro di lui. L’ultimo arrivato indossava un abito elegantissimo, in contrasto con la faccia dura, olivastra, che avrebbe potuto appartenere a un bandito messicano. Hutchman lo riconobbe e annuì stancamente, in segno di saluto.

«Mi riconoscete, Hutchman?» disse l’altro, senza preamboli. «Sono Morton Baptiste, ministro della Difesa di Sua Maestà.»

«Sì, lo so.»

«Bene. Vi rendete conto, allora, che ho l’autorità per farvi giustiziare subito, in questo preciso istante, se non vi allontanate dalla macchina?»

Hutchman guardò l’orologio. Due minuti. «Non è necessario che mi facciate fuori, ministro. Se volete mi allontanerò immediatamente.»

«E allora fatelo.»

«Non volete sapere perché i due uomini che sono entrati qua dentro prima di voi non mi hanno ucciso?»

«Ma…» Baptiste guardò il dito di Hutchman premuto sul pulsante, e i suoi occhi neri persero ogni espressione. «Intendete dire…?»

«Sì.» Hutchman fu colpito dalla rapidità con cui la mente di Baptiste aveva afferrato la situazione. «È un sistema che entra in funzione appena tolgo il dito dal bottone.»

«La linea elettrica» scattò Baptiste, guardandosi attorno nella stanza. Uno degli uomini entrati con lui scosse leggermente la testa.

«Autosufficiente» disse Hutchman. «L’unica cosa che mi può fermare è un’altra potenza che, entro i prossimi novanta secondi, sganci un’atomica su Hastings.»

Quello che prima aveva scosso la testa alla domanda di Baptiste sulla linea elettrica si fece avanti e sussurrò qualcosa all’orecchio del ministro. Baptiste annuì e fece un segno a qualcuno, che aprì la porta.

«Se vi hanno dato il consiglio scientifico di spostare la macchina, magari facendo fuoco con le mitragliatrici, vi suggerisco di non seguirlo» chiarì Hutchman. «Il consiglio è buono perché, spostandolo, il raggio-guida non raggiunge più la luna: ma se solo qualcuno si arrischia a lasciare la stanza o a spostarsi dalla linea di fuoco, tolgo il dito dal pulsante.»

Ricontrollò l’ora. Un minuto. Baptiste si avvicinò. «Ha senso fare appello alla vostra fedeltà?»

«Fedeltà a che cosa?»

«Al vostro…» Baptiste esitò. «Non ci avete dato abbastanza tempo. In questo momento i vostri concittadini cercano disperatamente di smantellare in tempo le testate nucleari. E se voi azionate la macchina…»

«Bravo!» commentò Hutchman. Ma Vicky è già morta.

«Pazzo!» Baptiste colpì Hutchman sulla bocca. «Siete un accademico, Hutchman! Un teorico chiuso in una torre d’avorio. Ma non vedete che non approdate a niente? Non vedete che…?»

«Troppo tardi» rispose. Alzò la mano, in un gesto di assoluzione. «È fatto.»

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