15

Era ancora giorno, quando Hutchman si svegliò, nella camera fredda. Allungato sul dorso, con le mani strette attorno alle lenzuola come per non cadere, cercava inutilmente di farsi venire in mente qualche frammento dell’incubo di prima. Hutchman, però, non ricordava mai i sogni.

Scappa! Ferma! Scappa! Ferma!

Si alzò, con un brivido, e andò ad accendere il gas.

Scappa! Ferma!

Forse avrebbe dovuto andarsene appena si era accorto che gli avevano rubato la macchina.

Avrebbe fatto meglio ad allontanarsi immediatamente, senza neanche tornare in pensione. Ma quella sera, però, era ubriaco, stava male, e aveva pensato che il ladro, in fondo, aveva fatto un buon lavoro togliendo di mezzo un elemento compromettente. Adesso aveva dei dubbi, e un impulso che si sentiva dentro lo spingeva a fuggire. Uscì dalla camera e scese le scale adagio, fermandosi a ogni pianerottolo come per decidere se doveva partire orizzontalmente nell’aria a ciascun piano. Una voce di donna salì lungo la tromba delle scale. Era la signora Atwood, che parlava con qualcuno al telefono, allegra, lieta di chiacchierare. Hutchman risentì la fitta della solitudine e decise di telefonare a Vicky. Sì, è possibile, pensò con stupore. Posso alzare il ricevitore e parlare. Mettermi in linea con il passato. Scese nell’ingresso, mentre la signora Atwood riappendeva il telefono.

«Era George» disse, incuriosita. «È venuto un uomo in negozio a chiedere di voi. Era per la macchina.»

«Davvero?» Hutchman si afferrò al legno della ringhiera.

«Vi hanno rubato la macchina, signor Rattray? Avevate detto che s’era bloccata, quando eravate…»

«Non so, potrebbero averla rubata dopo» Hutchman si voltò e corse su per le scale, terrorizzato. Appena in camera s’infilò il giubbotto e ridiscese. La signora Atwood era sparita da qualche parte. Lucas aprì la porta d’ingresso, guardò lungo la via per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi si allontanò rapidamente, dirigendosi dalla parte opposta alla strada principale. Quando fu quasi in fondo vide una Jaguar blu scuro voltare l’angolo. Al volante c’era un individuo corpulento, con i capelli grigi, che non sembrò notare Hutchman. Però la macchina rallentò immediatamente e scivolò piano lungo la strada, frusciando sulle foglie morte. Il guidatore stava guardando i numeri delle case.

Hutchman continuò a camminare normalmente fino a quando ebbe girato l’angolo e sbucò in una strada più larga e deserta. A questo punto si mise a correre. Correva senza sforzo, respirando senza difficoltà, come se si fosse liberato da bende che gli stringevano il petto. Corse lungo una fila di alberi, senza neanche accorgersi di toccare con i piedi il terreno, muovendosi tanto silenziosamente che per due volte avvertì il rumore sordo delle castagne che cadevano, schiacciandosi sul marciapiede. Arrivato quasi in fondo alla strada, ebbe un presentimento. Allora smise di correre e si guardò dietro. La Jaguar blu spuntava dalla fila di piante e sbandava leggermente nella curva. Veniva nella sua direzione e passava tra gli alberi, in un alternarsi di luce e di ombra.

Hutchman riprese a correre. Sbucò in un lungo cañon di casette terrazzate, a tre piani, vide sulla destra un viottolo e l’infilò. La via era lunga e anonima, e s’inerpicava sul fianco della collina fino a perdersi nella nebbia. Hutchman non aveva tempo per voltarsi indietro. Balzò attraverso una fila irregolare di macchine ferme, correndo a zig zag per evitare i gruppi di bambini che giocavano. Ma adesso correre era diventato più arduo. Ormai Hutchman sentiva una schiuma salata agli angoli della bocca e, di tanto in tanto, le caviglie gli mancavano. Si voltò a guardare e vide la Jaguar che lo seguiva, silenziosamente.

A un certo punto Hutchman notò, tra due file di case, un passaggio dissestato. Si lanciò da quella parte e si ritrovò in uno spiazzo desolato, costruito evidentemente da qualche programma di risanamento e di sviluppo delle aree fabbricate. La superficie dello slargo era ingombra di detriti, di pezzi di mattoni e di cemento, con un gruppo di bambini che si muovevano in mezzo a una nebbia bassa, come membri di una razza non terrestre formata da nani. Hutchman si gettò verso il limite opposto della radura, dove c’era un’altra fila di case dietro le quali, nel tramonto, cominciavano a brillare le luci bianco-azzurre di una strada molto frequentata. La Jaguar dietro di lui, si fermò. La portiera sbatté, ma Hutchman non aveva tempo di guardare perché correre su quel terreno accidentato era pericoloso. A ogni momento, quando doveva saltare oltre un blocco di cemento o uno spuntone di ferro arrugginito che si levava dal terreno come un trabocchetto, le caviglie minacciavano di non reggerlo. Si diresse verso quello che pareva un passaggio aperto fra le case, ma scoprì presto di avere sprecato inutilmente le forze. L’impresario del piano di sviluppo aveva cintato lo spiazzo con una rete di ferro, e Hutchman era in trappola.

Si voltò con l’intento di confondersi nella banda dei ragazzini, ma loro, fondandosi sull’istinto sviluppatissimo proprio della loro razza, se l’erano già squagliata. L’uomo dai capelli grigi era a una cinquantina di passi da lui, e correva veloce nonostante la mole, con un’aria stranamente buffa con quel bellissimo cappotto di tweed addosso. Dal modo in cui impugnava un coltello a serramanico, si capiva che sapeva usarlo con mortale competenza.

Hutchman si spostò di lato. L’inseguitore cambiò direzione per intercettarlo. Hutchman afferrò un mattone e glielo scagliò addosso, ma la mira era troppo bassa e il proiettile colpì senza danni il terreno. L’uomo dai capelli grigi inciampò nel mattone, si sbilanciò in avanti e la sua faccia finì contro un fascio di tondini di ferro che spuntavano da una base di cemento. Uno dei tondini si conficcò nell’orbita dell’occhio destro. L’uomo lanciò un urlo.

Hutchman vide con orrore una sfera incredibilmente grossa, venata di rosso, sgusciare dall’occhio e rotolare sul terreno.

«Il mio occhio! Il mio occhio!» L’uomo era chino nella polvere, e le sue mani cercavano alla cieca.

«State lontano da me» mormorò Hutchman.

«Ma è il mio occhio!» L’uomo si rialzò e teneva in mano l’oggetto orrendo. Lo tendeva a Hutchman, supplicando. Gocce di sangue nero gli rigavano la faccia e sgocciolavano sugli abiti.

«State lontano!» Hutchman s’impose di agire. Corse per un breve tratto parallelo al filo spinato, poi si girò verso l’apertura da cui era entrato nello spiazzo. I ragazzini schizzavano via davanti a lui, come tanti fagiani spauriti. Arrivò alla Jaguar blu e vi salì, ma nel cruscotto non c’erano le chiavi. Il suo inseguitore, evidentemente, non aveva voluto correre rischi. Hutchman scese dall’auto mentre gruppi di monelli riaffioravano tra una casa e l’altra. Tornavano verso lo spiazzo, ma stavolta avevano un’aria di autorità che faceva pensare che avessero l’appoggio degli adulti. Hutchman corse da quella parte e incontrò due uomini di mezz’età, uno dei quali era in pantofole e in maniche di camicia.

«C’è stato un incidente» gli disse, additando l’area squallida dove un’ombra barcollava nella nebbia color ardesia. «Dov’è un telefono?»

Uno degli uomini indicò qualcosa a sinistra, ai piedi della collina. Hutchman corse da quella parte, scendendo per la via da cui era arrivato, finché si ritrovò nel viale alberato. A questo punto rallentò il passo, sia per non farsi notare sia perché ormai non ne poteva più. Adesso che andava più adagio, riusciva anche a pensare. Aveva l’impressione che il suo inseguitore non fosse un poliziotto inglese, e neanche un agente dello spionaggio: si sarebbero comportati diversamente. Ma qualunque cosa avessero saputo da Audrey Knight, come avevano fatto a scoprirlo così in fretta? C’era, s’intende, la macchina, ma in quel caso si sarebbe mossa la polizia e non un individuo anonimo, armato di coltello. A parte quello che era successo, pensò Lucas, Bolton non faceva più per lui.

Mentre il respiro gli tornava, si ritrovò sulla strada principale, dove prese un autobus che portava in centro. Quando raggiunse la piazza principale della città s’era fatto buio. Le vetrine erano illuminate e i marciapiedi erano gremiti di gente che tornava a casa dal lavoro. L’atmosfera prenatalizia, piena di animazione, gli portò un altro attacco di nostalgia. Ricominciò a pensare a Vicky e a David. Guarda come mi hai ridotto, Vicky. Chiese a un giornalaio dov’era la stazione e decise di andarci a piedi, ma subito si rese conto che non poteva correre il rischio di entrare in una stazione né in altri posti analoghi, e che anche solo pensarci era già stato un errore. Volevo tornarmene a casa comodamente, seduto nel posto vicino al finestrino, pensava stupito. Ma io sono l’uomo al piano zero. Non tornerò mai più a casa.

Camminò per un certo tempo senza meta, girando per due volte in una strada laterale perché aveva notato alcuni poliziotti. Il problema di lasciare Bolton, ormai, si faceva due volte urgente. Non solo doveva sottrarsi a una rete che si stringeva sempre di più, ma il termine ultimo che aveva dato alle autorità stava avvicinandosi. Era assolutamente necessario che si dirigesse a sud, e che arrivasse ad Hastings prima del Giorno Anti bomba.

In una delle viuzze laterali notò l’insegna gialla dei taxi e, nella vetrina dell’ufficio, vide un cartello: CERCANSI AUTISTI AUTO PUBBLICHE DI SICUREZZA — NON È RICHIESTA LA LICENZA.

Cominciò a battergli il cuore mentre leggeva l’avviso scritto a mano. Un tassista passava del tutto inosservato, e in più aveva a disposizione un veicolo! Entrò nel garage male illuminato, di fianco all’ufficio. Nella penombra aspettava una fila di taxi color senape, e l’unico segno di vita era la finestra illuminata di un bugigattolo, che funzionava da ufficio, in un angolo. Lucas bussò alla porta ed entrò. Dentro, in mezzo a un gran disordine, c’erano un tavolo e una panca dov’erano seduti due uomini, con addosso la tuta da meccanico. Uno dei due stava bevendo una tazza di tè.

«Mi spiace disturbare» disse Hutchman, sfoderando il suo miglior sorriso. «Dove devo andare per farmi assumere come autista?»

«È semplicissimo.» Il meccanico si rivolse al compagno, che stava svolgendo un panino dalla carta. «Chi è di turno stasera?»

«Oliver.»

«Aspettate qui, che ve lo cerco» disse il meccanico con tono cordiale, e uscì dalla porta che dava sul retro del locale. Hutchman, più sollevato e soddisfatto, mentre aspettava esaminò la stanza. Le pareti erano coperte di avvisi fissati con puntine da disegno e nastro giallo. Gli autisti che hanno avuto un incidente frontale saranno licenziati immediatamente, diceva uno dei cartelli. I seguenti individui si trovano in cattive acque e non vanno presi in considerazione per viaggi con carte di credito, diceva un altro, in cima a una lista di nomi. Per Hutchman, che era proprio solo, quei foglietti erano altrettanti segni di una calda normalità, intensamente umana. Avrebbe desiderato lavorare per il resto della sua vita, tranquillamente, in un posto come quello, ammesso che riuscisse a fuggire da Hastings sano e salvo. Avere quel lavoro, essere accettato nella vita spensierata, ricca di imprevisti di un tassista, assumeva per lui un’importanza illogica, puramente emotiva, che non aveva niente a che vedere con la sua fuga a sud.

«Che freddo, oggi» disse l’altro meccanico, con la bocca piena di pane.

«Veramente molto freddo.»

«Vi andrebbe un sorso di tè?»

«No, grazie.» Lucas aveva gli occhi che gli bruciavano di piacere, mentre rifiutava l’offerta. Si voltò quando la porta si aprì ed entrò l’altro meccanico, in compagnia di un uomo curvo, dai capelli bianchi, sulla sessantina. Il nuovo venuto aveva la faccia rosea e una bocca molle. Portava un impermeabile di vecchio modello, con cintura e un berretto.

«Buongiorno» azzardò Hutchman. «Ho sentito che cercate autisti.»

«Infatti» disse Oliver. «Venite che ne parliamo.» Uscì dal garage e chiuse la porta dell’ufficio, in modo che i meccanici non sentissero la conversazione. «Avete la licenza?»

«No, ma ho letto sul cartello che…»

«Lo so cosa c’è sul cartello» lo interruppe Oliver irritato. «Ma questo non significa che non vada meglio un buon autista di professione. Queste maledette macchine di sicurezza con i sedili rivolti all’indietro hanno buttato giù l’intero settore. Sono a buon mercato, ma sono anche brutte.»

«Ah.» Era chiaro che per quell’uomo guidare un taxi era una specie di missione. «Be’, io ho una patente normale.»

Oliver lo esaminò, dubbioso. «Orario ridotto?»

«Sì, o anche orario completo.» Hutchman temeva di sembrare troppo ansioso. «Avete bisogno di un autista, no?»

«Non paghiamo uno stipendio fisso. Vi tenete un terzo del guadagno, più le mance. Uno esperto se la cava bene con le mance! Però un principiante…»

«Va bene così. Posso cominciare subito.»

«Un momento» disse Oliver, severo. «Conoscete la città?»

«Sì.» Hutchman si sentì mancare. Come aveva potuto dimenticare uno dei requisiti basilari del mestiere?

«Come fate per andare in Crompton Avenue?»

«Ecco…» Lucas tentò di ricordare il nome della via che aveva percorso con Atwood, l’unica che conosceva. «Dritto verso Breighmet.»

Oliver annuì, con una certa riluttanza. «E per Bridgeworth Close?»

«Questo è difficile.» Hutchman cercò di sorridere. «Mi ci vorrà un po’ di tempo, prima che conosca tutte le strade.»

«Da che parte prendete per Mason Street?» Le labbra di Oliver si incresparono in segno di disapprovazione.

«È dalle parti di Salford? Sentite, vi ho detto…»

«Mi spiace, mio caro. Non avete abbastanza memoria per questo genere di lavoro.»

Hutchman lo fissò con rabbia, poi se ne andò. Una volta fuori, guardò con risentimento la sagome sconosciuta degli edifici. Non era stato accettato. La sua intelligenza aveva scoperto qualcosa che avrebbe cambiato l’intero corso della storia, ma quell’idiota l’aveva guardato dall’alto in basso perché non aveva familiarità con la struttura labirintica delle vie di una volgarissima… Una struttura! Non è necessario essere nato in una città per conoscerne la struttura, se si possiede la disciplina adatta.

Guardando l’orologio, Hutchman scoprì che erano le cinque e mezza appena passate. Si affrettò verso una strada importante, trovò una cartoleria e comperò due piante di Bolton e una matita tipografica bianca. Mentre pagava, chiese alla commessa dove poteva trovare un negozio per fare fotocopie. La ragazza lo indirizzò due isolati più in giù, lungo la stessa via. Lucas ringraziò, uscì e, fendendo la folla, arrivò al negozio di forniture per ufficio che eseguiva anche fotocopie: in quel momento preciso un orologio invisibile stava suonando le sei. Un giovanotto dai capelli biondi stava chiudendo la porta. Fece segno di no con la testa, quando Hutchman tentò la maniglia. A questo punto Lucas tirò fuori due biglietti da cinque sterline e lì infilò nella cassetta delle lettere. Il giovanotto li prese cautamente, esaminò Hutchman da dietro il vetro per un secondo, poi socchiuse la porta.

«Chiudiamo alle sei» e fece il gesto di restituirgli i biglietti.

«Sono per voi» gli disse Hutchman.

«Perché?»

«Paga straordinaria. Ho urgentemente bisogno di fare qualche fotocopia. Pagherò il lavoro, a parte, ma questi soldi sono per voi, se mi accontenterete.»

«Va bene, allora. Ma è meglio che entriate.» Il commesso fece un mezzo sorriso e stavolta aprì tutta la porta. «Mi sembra che quest’anno Natale sia venuto presto.»

Hutchman allargò una pianta. «Riuscite a farne la copia, anche se sono così grandi?»

«Nessuna difficoltà.» Il giovane mise in funzione una macchina grigia e osservò con aria perplessa Hutchman che con la matita da tipografo cancellava, lavorando con mano sveltissima, tutti i nomi delle vie. Finito gli diede la pianta. «Vorrei una dozzina di fotocopie.»

«Sì, signore.» Il ragazzo osservava gravemente Hutchman.

«Lavoro per la pubblicità» gli spiegò Lucas. «Mi serve per una ricerca di mercato.»

Dieci minuti dopo, era di nuovo in strada con un rotolo di carta ancora calda sotto il braccio. Adesso disponeva di tutta l’attrezzatura necessaria per quel tipo di memorizzazione che aveva perfezionato quand’era all’università. Ma c’era ancora il problema di trovare un posto tranquillo e sicuro dove poter lavorare. L’euforia di fare qualcosa di costruttivo calò parecchio quando gli venne in mente che si dava tutto quel da fare per uscire da Bolton, senza aver controllato che fosse necessario. Vide nella vetrina di un’agenzia dall’altra parte della strada, un avviso e attraversò per andare a leggerlo. Era ancora in mezzo alla strada quando decifrò il cartello appoggiato contro il davanzale di una finestra.

Diceva:


I CORDONI DI POLIZIA CHIUDONO IL CERCHIO ATTORNO A BOLTON!


Un certo numero di copie dei giornali della sera era appeso a un filo di ferro, alla porta del negozio. Hutchman si avvicinò e vide riprodotta in prima pagina una sua fotografia in grande formato, con titoli cubitali che dicevano:


BOLTON CIRCONDATA DALLE FORZE DI POLIZIA.

Il misterioso matematico è nella nostra città.


Hutchman preferì non correre il rischio di comperare il giornale e, d’altra parte, aveva saputo tutto quello che gli interessava. Mentre si allontanava, una Porsche bianca frenò accanto a lui e la portiera si aprì. Al volante c’era una ragazza dall’aspetto orientale, con un abito d’argento.

«Fa più caldo, qua dentro» gli disse senza dimostrare il minimo imbarazzo per il fatto che si comportava come una prostituta.

Hutchman, che stava per fuggire, scosse d’istinto la testa, poi mise il piede sul bordo dell’auto. «E io, forse, ho un po’ freddo.» Salì. La macchina, che sapeva di cuoio e di profumo, scivolò e ripartì silenziosamente nello sfavillio delle luci del centro.

Lucas si voltò a guardare la ragazza. «Dove andiamo?»

«Non molto lontano.»

Hutchman annuì, soddisfatto. Era tranquillo, finché la ragazza non tentava di portarlo fuori città passando attraverso un blocco stradale. «Hai qualcosa da mangiare, a casa?»

«No.»

«E non hai fame?»

«Una fame da lupi, però non gestisco una mensa.» La bella faccia era dura.

Hutchman sbuffò, tirò fuori un biglietto da cinque e glielo lasciò cadere in grembo. «Fermati a un distributore automatico e procurati qualcosa.»

«Io lavoro, signore» e gli restituì il biglietto. «C’è una tariffa per tenerti compagnia.»

«S’intende. Quanto per notte?»

«Venticinque!» La voce era insolente.

«E venticinque siano.» Hutchman prese altri sei biglietti, stupito nel vedere che per gli altri avevano ancora un valore. «Così sono trenta, più i viveri. Va bene?»

Per tutta risposta lei gli posò la mano sulla coscia. Lui sopportò la carezza, in silenzio. Ti ammazzerei, Vicky. Più tardi la ragazza si fermò a uno snack, vi entrò di corsa e ne riemerse carica di pacchetti che profumavano di pollo arrosto. Lo guidò a un piccolo appartamento, a dieci minuti dal centro. Hutchman teneva i pacchi, mentre lei apriva e gli faceva strada nel piccolo alloggio al primo piano. Era ammobiliato semplicemente, con le pareti bianche, un tappeto bianco e, nella stanza più grande, il soffitto nero.

«Prima si mangia?» chiese la ragazza.

«Prima si mangia.» Lucas posò i pacchi sul tavolo, li aprì e si mise a mangiare mentre la sua ospite preparava il caffè in una cucina lucida e bianca come una clinica. Hutchman era stanco e nervoso, e rivedeva ogni tanto le immagini di quell’occhio che rotolava a terra. Ma il calore lo aiutò a distendersi. Mangiarono in silenzio, poi la ragazza sparecchiò e portò gli avanzi in cucina. Tornata, sgusciò fuori con un movimento dal vestito rivelando di sotto un bikini rosso di seta che, insieme con le cosce muscolose, la faceva somigliare a un’artista del trapezio. Il suo corpo bruno era scattante e desiderabile. Hutchman divento di ghiaccio.

«Senti» disse alzando il suo rotolo di fogli che sapeva di ammoniaca. «Ho una faccenda molto urgente da sbrigare, e non posso rilassarmi se prima non ho finito. Perché, intanto, tu non guardi la televisione?»

«Non ho la televisione.»

Hutchman si rese conto che aveva fatto un errore a proporre la TV, dove la sua immagine sarebbe comparsa in tutti i telegiornali. «Allora metti un disco, o leggi. D’accordo?» La ragazza scrollò le spalle con indifferenza e, senza più rivestirsi, si allungò su un divano e rimase a guardarlo.

Hutchman allargò sulla tavola una pianta della città, dove erano ancora segnati i nomi delle vie, poi cominciò a imparare a memoria i vari nomi cominciando dalle arterie principali e facendoci entrare il maggior numero possibile di traverse. Lavorò un’ora, con la massima concentrazione, dopo di che prese una copia senza indicazioni e cercò di ricollocare i nomi al posto giusto. In questo modo riuscì a sapere con precisione quali zone conosceva bene e quali, invece, gli erano ancora sconosciute. Tornò a consultare la pianta coi nomi, ci dedicò un’altra ora, rifece un controllo su una carta bianca e ricominciò da capo. A un certo punto la ragazza si addormentò, mettendosi a russare leggermente. Si svegliò di soprassalto e, per un istante, guardò Hutchman senza riconoscerlo.

Lui le sorrise. «Ci ho messo più tempo del previsto. Perché non vai a letto?»

«Non vuoi un caffè?»

«No, grazie.»

Lei si alzò con un brivido, raccolse l’abito d’argento da terra e si diresse verso la camera da letto, dando un’occhiata al fascio di piante. Hutchman si rimise al lavoro. Erano le tre quando, finalmente, riuscì a compilare una pianta intera. Tremava di freddo perché il riscaldamento centrale era spento da ore. Si allungò sul divano per tentare di dormire, ma faceva molto freddo e la testa gli scoppiava, con centinaia di nomi di strade. Ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva un intrico di linee nere e, di tanto in tanto, un globo oculare striato di sangue che rotolava. Dopo mezz’ora si spostò in camera da letto. La ragazza era addormentata. Hutchman si svestì, si infilò vicino a lei, le passò una mano sui fianchi sentendo sotto le dita il calore del ventre. Nel buio avrebbe potuto scambiarla per Vicky.

Si addormentò all’istante.

Alle prime luci dell’alba si alzò senza svegliare la ragazza, si vestì rapidamente e tornò al tavolo nel soggiorno. Come aveva previsto, quando cercò di finire la carta scoprì che c’erano diverse zone di incertezza. Impiegò alcuni minuti a ripassarla, poi uscì senza far rumore. Era una mattina grigia, senza pioggia, stranamente mite per quell’epoca dell’anno. Si diresse verso il centro, divertendosi a farsi venire in mente i nomi delle strade man mano che vi arrivava. La sua conoscenza della struttura di una città era estremamente labile e, nel giro di una settimana, avrebbe dimenticato tutto. Comunque sarebbe durata quanto bastava per permettergli di affrontare qualunque quiz quel mattino. Arrivò alla sede dei taxi senza incontrare la polizia. Stavolta entrò nell’ufficio che dava sulla strada e parlò con una ragazza munita di occhiali che aveva davanti a sé, sul tavolo, una serie di telefoni e un microfono.

«Oliver è di turno?»

«No, questa settimana faceva il turno serale. Si tratta di faccende personali?»

Hutchman prese coraggio. «No, non è personale. Sono un buon autista e conosco Bolton come il palmo della mia mano.»

Quaranta minuti dopo, con la divisa, un distintivo metallico inciso e un berretto con visiera, attraversava la città a bordo di un taxi color senape. Per quasi un’ora lavorò normalmente, rispondendo a due chiamate trasmessegli per radio e individuando le località senza troppe difficoltà. Alla seconda si ritrovò nella zona meridionale della città e, invece di tornare al suo posteggio, chiamò l’ufficio per radio.

«Qui parla Walter Russel» disse, servendosi del nome con cui aveva firmato. «Ho preso a bordo in questo momento un signore per un giro turistico di una giornata nei dintorni di Bolton. Qual è la prassi?»

«La tariffa giornaliera è di dieci sterline e cinquanta» rispose la ragazza. «Pagabili in anticipo. Va bene per il vostro cliente?»

Hutchman aspettò un momento. «Sì, dice che va bene.»

«Allora richiamate quando siete di nuovo libero.»

«Va bene.» Hutchman posò il microfono. Dopo aver deciso che in taxi con limite di velocità sarebbe apparso fuori posto in autostrada si diresse a sud, verso Warrington, con l’intento di attraversare l’Inghilterra viaggiando sulle strade secondarie, più familiari. Un po’ più avanti c’erano tre ragazzine, ferme sul ciglio della strada, che chiedevano un passaggio. Si guardarono costernate, quando lui bloccò e aprì lo sportello.

«Dove siete dirette?» chiese sforzandosi di apparire benevolo nonostante la tensione che sentiva crescere all’idea del blocco stradale che non doveva essere molto lontano.

«A Birmingham» disse una di loro. «Ma non possiamo pagarci un taxi.»

«Non ce n’è bisogno, per questo.»

«Ma allora cosa volete?» chiese un’altra, mentre le compagne ridacchiavano.

Anche queste!, pensò Hutchman. «Devo andare all’aeroporto Ringway, a prendere un cliente. Vi offro un passaggio ma, se non volete, va bene lo stesso.» Fece il gesto di chiudere la porta e le ragazze strillarono e salirono in fretta nei sedili posteriori, rivolti all’indietro. Quando la macchina si rimise in moto le ragazze cominciarono a chiacchierare tra loro come se Hutchman non esistesse, e lui capì che andavano a partecipare a un corteo per Damasco. In quel momento scoprì, con stupore, che da giorni e giorni non pensava più a Damasco e che, in fondo, non gliene importava più della città distrutta e dei suoi indomabili ragazzini di sette anni che non avrebbero mai compiuto gli otto. Ormai era una faccenda personale. Un triangolo. Vicky, lui e la macchina anti-bomba.

C’era una lunga coda di macchine al blocco stradale, ma gli agenti diedero appena un’occhiata al taxi e ai suoi occupanti, facendo segno a Hutchman di proseguire.

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