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Nonostante gli sforzi dello Psicoprop, e i molti rappor­ti contrastanti secondo i quali Markham era già stato catturato, ucciso, o analizzato, la notizia che il Sopravvissuto avesse accettato il comando dell’esercito ribel­le creava una reazione psicologica a catena nella men­te dei londinesi.

Per la prima volta dopo molte decadi, i cittadini di Londra cominciarono a riunirsi per quelle che in età precedenti sarebbero state definite discussioni politi­che. Il problema se fosse meglio accettare i vantaggi, e sopportare gli svantaggi inerenti, di una cultura e di un’economia basata sulla amministrazione degli an­droidi, o se fosse preferibile abbandonare una media sostanzialmente alta di vita per un’astrazione della li­bertà, occupava la mente di coloro che in precedenza avevano respinto tutte le forme di ragionamento.

Tutti erano confusi. Tutti erano timorosi. La stessa propaganda continuamente emessa dallo Psicoprop, sebbene destinata a screditare gli ideali della Libera­zione, serviva puramente a sottolineare il fatto che gli androidi stavano sistematicamente estendendo il loro controllo sugli esseri umani.

Finalmente, si cominciò ad affermare che in fondo le idee fantastiche del Sopravvissuto potevano avere un fondamento di verità, e che gli androidi non sareb­bero stati soddisfatti finché non avessero dominato in­teramente il genere umano.

Poi, due giorni prima di Natale, il Presidente Ber­trand apparve sugli schermi tri-di della Repubblica. Si lanciò in un attacco contro Markham, violento e in contrasto con il suo solito stile. Sottolineò i suoi pun­ti di vista con un linguaggio e con gesti che, per chiun­que conosceva personalmente Clement Bertrand, par­vero curiosamente estranei ai modi del Presidente.

Osservando la trasmissione dal suo quartier genera­le mobile di base momentaneamente in New Forest, Markham rimase allibito. Sapeva bene che, quali fos­sero i sentimenti privati del Presidente, lui non pote­va scostarsi dalla politica ufficiale. Non poteva fare al­tro, infatti, dato che il potere risiedeva completamente nelle mani di Solomon. Ma avendo conosciuto di persona Bertrand, stentava a credere che potesse scen­dere a un livello tale. Pur senza riuscire a capire il per­ché, Markham era turbato dal discorso del Presidente. Sentiva che, in un certo senso, qualcosa non andava.

Nel primo pomeriggio aveva ricevuto un messaggio cifrato da Vivain. Da quando aveva lasciato Londra, il sistema della quercia era stato abbandonato. Aveva disposto che i messaggi riguardanti l’Esercito gli venis­sero trasmessi a mezzo radio delle onde corte, e dopo qualche indecisione aveva detto a Vivain che se mai avesse avuto bisogno di servirsi di quel sistema, si met­tesse in contatto con un certo numero chiedendo di Napoleone e facendosi riconoscere. Allora un corriere sarebbe passato da De Havilland Lodge a prendere il messaggio da trasmettere. Naturalmente, Vivain era stata avvertita di usare quel sistema solo in caso di emergenza.

Mentre guardava il pezzo di carta che aveva in ma­no, Markham pensava che quello doveva essere sen­z’altro un caso urgentissimo. Devo vederti. Qualcosa di orribile dev’essere successo a Clement. Ricordi dove abbiamo fatto il bagno sulla costa? Ti aspetto là. Vie­ni subito, ti prego, Vivain.

Ricordava benissimo dove avevano fatto il bagno. Era subito fuori di un villaggio, vicino ad Hastings, c’erano stati il giorno dopo essersi conosciuti. Tre me­si prima... e sembravano anni.

«Mi occorre un autogetto» disse a Hyggens, che gli aveva portato il messaggio.

«Ti occorre anche un esame del cervello» disse il professore, accendendo la pipa. «Potrebbe essere un’imboscata, John. Anche Solomon ha voglia di ve­derti, sai?»

«Non è niente di personale» disse Markham. «Le ho detto che per ora non ho tempo. E Vivain non è tipo da lasciarsi intimorire da Solomon. Del resto, prenderò le mie precauzioni.»

«Prenderai anche dieci fucilieri scelti e un elipullman» disse Hyggens. «Altrimenti non ti lascerò an­dare.»

«Davvero? Chi è il cane più grosso, qui?»

«Tu. Ma posso abbaiare anch’io, se voglio.»

Markham e la scorta impiegarono meno di un’ora per raggiungere il luogo dell’incontro. Sorvolarono due volte l’area a bassa quota senza scoprire niente di sospetto. L’autogetto di Vivain era parcheggiato quasi sulla spiaggia. Vivain, figura solitaria avvolta in un pesante mantello, passeggiava lentamente lungo la ri­va. Markham lasciò la sua scorta nell’elipullman e scese a incontrarla.

Lei gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo. Markham le lesse in faccia la tensione, ma soprattutto il terrore.

«Tesoro» disse, aggrappandosi a lui. «Temevo che non venissi più.»

«Cosa c’è?» chiese lui senza preamboli. «Scusa, cara, ma il tempo è prezioso. Sono travolto dalle cose da fare.»

Vivain raccontò in fretta.

«Ieri sono andata da Clement» disse. «Ero preoc­cupata per te. Volevo sapere se Solomon aveva sco­perto qualcosa, o se aveva confidato a Clement i suoi piani. Ma quando sono arrivata, ho trovato Solomon con lui. Almeno...» rabbrividì da capo a piedi.

«Continua» disse dolcemente Markham.

«Almeno, ho pensato che ci fosse Clement seduto alla scrivania. Ma guardandolo meglio, ho capito che non era lui. La somiglianza era fantastica. Ma c’era qualcosa di... di strano.» Faceva uno sforzo tremendo per controllarsi.

«Stai calma» disse Markham, abbracciandola per rassicurarla.

«John,» bisbigliò lei, «era un androide!»

«Questo è... Che cosa hai fatto?»

«Solomon mi osservava. Mi scrutava per vedere le mie reazioni. Sai, nei momenti critici, a volte i pen­sieri vengono rapidi. Ho capito che se avessi fatto il minimo errore non sarei più uscita dal palazzo. Ho cercato di ricompormi e mi sono comportata come se non avessi notato niente. Non so dove ho trovato la forza, ma sono riuscita perfino a scherzare. Dopo cin­que minuti ho inventato una scusa e me ne sono an­data. Di più non avrei potuto resistere. Avrei voluto urlare. Era identico a Clement. Lo stesso sorriso, gli stessi modi, eppure... John, cosa gli sarà successo? Co­sa devo fare?»

«Non ho idea di cosa gli può essere successo» ri­spose Markham che pure aveva già un’opinione pre­cisa sui probabili metodi di Solomon per sbarazzarsi di qualcuno. «Però so cosa devi fare tu. Verrai con me, e resterai con me finché tutto sarà finito.»

«Caro nemico» mormorò lei, tra il riso e il pianto. «Speravo che mi dicessi questo. Non potrei più tor­nare indietro, ormai.»

«Hai idea del perché Solomon abbia voluto sosti­tuire tuo padre?»

Lei annuì. «Credo di sì. Avevo riferito a Clement ciò che mi avevi detto sulla programmazione dei tremila androidi assassini. Era furibondo. Mi ha detto che for­se avevi ragione tu riguardo alla lotta da fare alla svelta. Mi ha detto che quando si raggiunge il punto in cui gli androidi vengono programmati per distrug­gere gli esseri umani, è tempo di correre ai ripari.»

«Evidentemente ha tentato di correre ai ripari, ma era troppo tardi» disse Markham. «Mi dispiace... e adesso sarà meglio tornare al quartier generale, altri­menti ci prenderebbero. L’assurdità è che io sono in­dispensabile.»

Vivain lo guardò molto seria.

«Se è un’assurdità» disse «non voglio che nessuno me lo dica.»


Di ritorno al quartier generale di New Forest, Markham lasciò Vivain alle cure di Marion-A. Sapeva d’es­sere troppo preso dai preparativi dell’operazione di Capodanno per dedicare tempo a Vivain.

Aveva detto ben poco a Vivain circa la riprogram­mazione di Marion-A. Glien’era mancata l’occasione. Ma durante il viaggio di ritorno verso New Forest ave­va cominciato a prepararla per l’incontro con l’unico androide Fuggiasco esistente.

Vivain lo ascoltò senza far commenti. Lui aveva spe­rato di distrarla dalla disgrazia toccata al padre, ma non c’era riuscito. E quando l’elipullman si posò sul­la colonia di villette estive, attuale base del quartier generale, il trattamento che Vivain riservò a Marion-A indicava l’atteggiamento convenzionale del ventiduesi­mo secolo verso un androide programmato. Per Vivain, Marion-A era soltanto una macchina molto complessa.

Markham provò uno strano disappunto, e si sorpre­se della sua reazione. Aveva sperato... Ma a pensarci bene, non sapeva cosa avesse sperato. E non poteva sciupare tempo prezioso per meditare su faccende per­sonali.

Il mattino di Natale, mentre la neve scendeva lenta e pittoresca su New Forest, Markham poté riposarsi un poco. Tutto era stato provato e riprovato: gli uo­mini erano a punto con l’addestramento, e ora dove­vano pensare a distendere i nervi il più possibile fino al momento fissato per l’ora zero.

Le trenta e più casette portatili che il professor Hyggens era riuscito a racimolare nottetempo dalle varie località mondane della costa, davano un aspetto as­surdamente gaio al quartier generale dell’Esercito di Liberazione, facendolo assomigliare più che altro a un accampamento di qualche confraternita religiosa. Vivain e Marion-A dividevano una delle casette più pic­cole che, con le sue pareti di plastica a strisce bianche e rosa, sembrava a Markham un’immensa cappelliera.

Entrando nella loro casetta, ebbe la sorpresa di ve­dere che Vivain indossava l’abito verde bottiglia di Marion-A, mentre questa era tornata alla camicetta e alla gonna-pantalone nera.

«Ciao, tesoro» disse Vivain. «Dunque il grande Comandante militare ha trovato qualche momento da dedicare alla sua vita privata? Che te ne pare del mio abbigliamento? Sembro più Fuggiasca così, vero?»

«Non avevo pensato che non avevi niente da met­terti oltre l’abito che indossavi» disse Markham. «Avevi freddo con quello?»

Vivain rise. «No, ma non era un abbigliamento fun­zionale. Non certo l’abito che ci vuole per lanciare granate. Mi sarei sentita ridicola.»

«Tu non lancerai niente, qualunque cosa ti metta addosso» disse serio Markham.

Vivain scosse la testa. «Io sarò dove sarai tu, e farò quello che farai tu. Non dimenticare che adesso faccio parte del tuo Esercito di Liberazione.»

«E quindi sei soggetta alla disciplina» disse Mar­kham sorridendo.

«Androidi vivi!» scattò Vivain. «Non è possibile che la mia vita sia completamente regolata da te, caro.»

Markham si rivolse a Marion-A, che aveva osservato il battibecco con un leggero sorriso.

«Marion» disse, «conto su di te per tenere Vivain fuori dai guai.»

«Sì, John.»

La reazione di Vivain fu violenta. «Questa è bella! Credevo che volessi distruggere gli androidi, John. E invece ti servi di un androide come cane da guardia!»

Markham la guardò freddamente. «Marion è una personalità per la quale nutro il massimo rispetto. So­no fiero della sua amicizia e della sua lealtà. Per me conta di più di molti esseri umani. E vorrei che voi due foste amiche.»

«Amiche!» urlò Vivain. «Con quell’affare!»

«John» disse gentilmente Marion-A, «ci sono momenti in cui sei notevolmente cieco. Non sono pro­grammata con le emozioni umane, ma penso che for­se capisco gli umani meglio di te. Baderò a Vivain per te, ma non puoi pretendere che lei ne sia felice.»

«Tu che ne sai della felicità?» chiese Vivain.

«Niente, come fatto personale» ammise Marion-A. «Ma penso di avere imparato a interpretare la felicità a modo mio... e vorrei che John fosse felice. L’ho aiu­tato non perché io pensi che l’Esercito di Liberazione vinca, ma perché crederlo lo rende felice.»

Improvvisamente Vivain scoppiò a ridere. «Ma è addirittura fantastico! È innamorata di te, John! Un androide innamorato di te! Ora sono certa che siamo impazziti tutti.»

Marion-A non disse niente, ma Vivain la guardava con derisione e, parve a Markham, col disprezzo di chi, confidando nella propria femminilità, se ne serve istin­tivamente come di un’arma. Quella sensazione gli fece perdere il lume degli occhi.

«Che diavolo ne sai tu dell’amore?» esclamò con violenza. «Per te è soltanto un’attrazione fisica, un’u­briacatura dei sensi, oggi per questo e domani per quel­lo. Questa è la tua programmazione, Vivain! Ma forse la mia è diversa. Forse assomiglia in parte a quella di Marion. Forse noi possiamo rispettarci a vicenda in un modo che tu non potresti mai capire.»

Vivain lo guardò come se non capisse quello che lui stava dicendole.

«Ripetilo, John!» La sua voce era stranamente tranquilla.

«John!» La voce di Marion-A suonò acuta e auto­ritaria. «Tu sei stanco e teso per questa impresa da compiere. I tuoi pensieri non sono coerenti, non ti rendi conto di quello che dici. Faresti meglio a ripo­sare, per essere completamente calmo quando verrà il momento di agire.»

L’ira di Markham si calmò con la stessa rapidità con cui era esplosa. «Hai ragione, Marion, come sem­pre» disse.

Guardò supplichevole Vivain. «Scusami, cara. Sono un imbecille. Ma anche tu devi avere i nervi a pezzi. Mi perdoni?»

Vivain non parlò. Lo guardava: e nei suoi occhi c’e­ra una mancanza assoluta di comprensione. In silen­zio, Marion-A andò alla porta e uscì all’aperto.

Cominciava a gelare e l’aria era freddissima, ma lei non era programmata per patire il freddo.

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