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Sadler, sdraiato nel suo stanzino, cercava di ricordare gli eventi della settimana precedente. Non riusciva quasi a capacitarsi di essere arrivato dalla Terra solo otto giorni prima, ma l’orologio calendario appeso alla parete parlava chiaro.

Nel Mare Imbrium era mezzanotte, ma il paesaggio lunare abbagliava di luce. La Nova Draconis sfidava in lucentezza anche la Terra. Perfino Sadler, ai cui occhi gli avvenimenti astronomici erano troppo remoti e impersonali perché potessero emozionarlo, saliva di tanto in tanto a dare un’occhiata a quel nuovo invasore del cielo settentrionale. Stava forse osservando la pira funebre di mondi più vecchi e più saggi della Terra? Era davvero strano che un avvenimento così sensazionale si fosse verificato in un momento tanto delicato della storia dell’umanità. Naturalmente era solo una coincidenza. Bisognava essere non solo superstiziosi, ma anche molto egocentrici per immaginare che quell’avvenimento fosse stato inteso al solo scopo di ammonire la Terra.

Sadler pose un freno ai suoi pensieri e si concentrò sul lavoro. Che cosa gli restava ancora da fare? Aveva visitato ogni sezione dell’Osservatorio, fatto la conoscenza di chiunque valesse la pena conoscere, eccettuato il direttore. Al ritorno del principale, tutti lo avevano concordemente avvertito, la vita non sarebbe più stata così semplice e facile, e tutto avrebbe dovuto svolgersi secondo le regole. Sadler ci era abituato, ma non gli piaceva molto.

Sì udì un educato ronzio nell’altoparlante inserito entro la parete sopra il letto, e Sadler alzò un piede e fece scattare l’interruttore con la punta del sandalo. Ormai ci riusciva al primo colpo, ma alcune graffiature sulla parete erano un ricordo visibile dei suoi primi tentativi.

— Sì — rispose. — Chi e?

— Qui Sezione Trasporti. La lista per domani è già quasi completa. Ci sono ancora un paio di posti liberi. Devo segnare il vostro nome?

— Sì, se c’è posto — rispose Sadler. — Non voglio che altri rinuncino per causa mia.

— Va bene… vi metto in nota — ribatté pronta la voce, e la comunicazione fu tolta.

Sadler aveva pensato che dopo una settimana di lavoro intenso poteva ben concedersi qualche ora a Central City. Non era ancora venuto il momento di incontrare la persona con cui avrebbe dovuto mettersi in contatto, e finora i suoi rapporti erano partiti per posta, sotto una veste tale che anche se qualcuno li avesse letti non avrebbe sospettato niente. Ma era ormai venuta l’ora di fare un giro in città, e sarebbe parso strano se non si fosse preso quella vacanza. Tuttavia lo scopo principale del suo viaggio era strettamente privato. Desiderava impostare una lettera e sapeva che la posta dell’Osservatorio veniva sottoposta a censura da parte dei suoi colleghi del Central Intelligence.


Central City distava venti chilometri dallo spazioporto, e Sadler, al suo arrivo sulla Luna, non aveva visto niente della metropoli. Mentre il treno monorotaia, più pieno stavolta che non nel suo viaggio d’andata, attraversava il Sinus Medii, non si sentiva più proprio uno straniero. Conosceva per lo meno di vista quasi tutti gli occupanti della vettura, cioè metà del personale dell’Osservatorio. L’altra metà avrebbe preso le ferie la settimana seguente. Neppure alla Nova Draconis era concesso interferire nel solito andamento, basato sul buon senso e su solide cognizioni psicologiche.

Il gruppo delle grandi cupole cominciò a profilarsi all’orizzonte. Una luce rosea ne illuminava la sommità, ma per il resto erano tutte immerse nelle tenebre e non vi si notava alcun segno di vita. Sadler sapeva che alcune potevano diventare trasparenti, ma adesso erano tutte opache, per preservare il calore interno dai rigori della notte lunare.

La vettura imboccò una lunga galleria alla base di una delle cupole, e Sadler scorse un’infilata di grandi porte che si richiudevano dopo il loro passaggio. “Non vogliono correre rischi” pensò, approvando la precauzione. Intorno si udiva l’inconfondibile rombo dell’aria. Poi si aprì l’ultima porta e il veicolo si fermò con un rollio accanto a una banchina che sembrava quella di una qualunque stazione terrestre. A Sadler fece un certo effetto guardare dal finestrino e vedere gente che andava avanti e indietro senza tuta spaziale.

— Dovete andare in qualche posto particolare? — gli domandò Wagnall mentre aspettavano di scendere.

— No — rispose Sadler scuotendo la testa. — Ho soltanto intenzione di fare un giretto per dare un’occhiata al posto. Sono proprio curioso di vedere come voialtri riuscite a spendere tutti i vostri quattrini.

Wagnall non capì se scherzava o no, e con gran sollievo di Sadler non si offrì di fargli da guida. Era un’occasione, quella, in cui Sadler era ben felice di essere solo.

Uscì dalla stazione e si ritrovò sulla sommità di una larga rampa che scendeva dolcemente nel cuore della piccola città, venti metri più in basso.

Solo quando fu a metà discesa, Sadler si accorse che lo sovrastava un cielo azzurro, che il Sole brillava alle sue spalle e che alti cirri fluttuavano nell’aria.

L’illusione era talmente perfetta che a tutta prima il giovane non dubitò della realtà di quanto vedeva, dimenticando per un attimo che sulla Luna era mezzanotte. Tenne a lungo lo sguardo fisso nelle vertiginose profondità di quel cielo sintetico senza trovare una pecca nella sua perfezione. Capiva, ora, perché le città lunari avevano insistito a volere quelle cupole costose, mentre sarebbero potute benissimo essere tutte sotterranee come l’Osservatorio.

Non c’era rischio di perdersi, a Central City. Tutte le sette cupole connesse tra loro erano formate da strade a cerchio concentrico da cui si dipartivano viali radianti. Tutte, tranne la Cupola 5, principale centro produttivo e industriale che, virtualmente, era un’unica grossissima fabbrica, e che Sadler decise di trascurare.

L’uomo del Central Intelligence vagabondò a casaccio per un poco, andando dove lo spingeva il capriccio. Voleva riuscire ad afferrare “l’atmosfera” della città, dal momento che non poteva umanamente visitarla a fondo nel poco tempo a disposizione. Una cosa lo colpì subito: Central City aveva personalità, carattere. Nessuno può dire perché certe città l’abbiano e altre no, e Sadler fu un po’ stupito che un posto artificiale come quello l’avesse. Ma poi gli venne in mente che tutte le città, sia sulla Terra sia sulla Luna, erano artificiali…

I tre nitidi squilli che parevano di campanello, lo colsero di sorpresa. Si guardò intorno, ma non riuscì a scoprire da dove provenissero. Dapprima gli parve che nessuno facesse caso al segnale, qualunque cosa esso volesse dire. Poi notò che le strade andavano lentamente vuotandosi e che il cielo si faceva più oscuro.

Le nuvole avevano coperto il Sole, nere e minacciose, con gli orli frangiati di fiamma. Una volta di più Sadler si stupì per l’abilità con cui le immagini — altro non potevano essere — venivano proiettate sulla cupola. Un temporale vero non sarebbe potuto essere più realistico; e quando il primo rombo rotolò in cielo, Sadler si affrettò a cercare un riparo. Anche se le strade non si fossero già vuotate, era chiarissimo che gli organizzatori della bufera non avrebbero trascurato alcun particolare.

Il piccolo caffè nel quale entrò era affollato di altri passanti. Caddero le prime gocce, e la prima lingua di un lampo lambì il cielo. Tutte le volte che vedeva un lampo, Sadler non poteva fare a meno di contare i secondi finché non scoppiava il tuono. Il rombo giunse quando era arrivato a “sei”, indizio, questo, che la scarica elettrica era avvenuta a circa due chilometri di distanza. La si sarebbe dunque dovuta localizzare fuori della cupola, nel vuoto dello spazio… Be’, qualche licenza artistica andava pur concessa, e non stava bene fare i pignoli su particolari del genere!

Voltandosi al vicino che osservava il temporale con palese ammirazione, Sadler disse: — Scusatemi, ma succede spesso?

— Circa due volte al giorno… parlo di giorni lunari, beninteso — fu la risposta. — E viene sempre preannunciato con qualche ora d’anticipo, perché non intralci le nostre attività.

— Non per essere curioso — continuò Sadler, convinto invece di esserlo — ma mi stupisce che vi prendiate tanto disturbo. Questo realismo è proprio necessario?

— Forse no… ma ci piace. Non dimenticate che occorre un po’ di pioggia per levare la polvere e mantenere la pulizia. Così abbiamo provato e l’abbiamo fabbricata a puntino.

Se Sadler nutriva ancora qualche dubbio in proposito, quei dubbi vennero dissipati quando un doppio arcobaleno trionfante si inarcò sulle nuvole. Le ultime gocce caddero sul marciapiede, e il tuono si smorzò in distanza con un brontolio sordo. Lo spettacolo era finito, e le strade ancora bagnate di Central City tornarono a riempirsi di vita.

Sadler si fermò a mangiare nel caffè e dopo qualche difficoltosa contrattazione riuscì a cambiare un po’ di valuta terrestre poco al di sotto della quotazione ufficiale. Con una certa sorpresa, trovò che il cibo era eccellente. Doveva, beninteso, trattarsi di roba sintetica o cresciuta nei serbatoi di clorella, però era preparata e servita con grande abilità. Sulla Terra, pensava Sadler, il cibo era una cosa talmente naturale che era impossibile prestargli l’attenzione che si meritava. Qui invece non si poteva far conto sulla natura, e lo si doveva fabbricare briciola per briciola, ragione per cui, dal momento che lo si doveva creare, c’era chi badava affinché fosse fatto nel miglior modo possibile. Proprio come il tempo…

Ma era ora di muoversi. L’ultima levata della posta per la Terra sarebbe avvenuta fra due ore, e se non avesse fatto in tempo, Jeanette non avrebbe ricevuto la sua lettera prima di una settimana terrestre. Ed era già abbastanza in pena.

Si tolse di tasca la lettera aperta e la rilesse per vedere se aveva bisogno di un ritocco finale.


«Mia carissima Jeanette,

vorrei poterti dire dove mi trovo, ma non posso. Contro la mia volontà, sono stato scelto per un incarico speciale e ho dovuto far buon viso a cattivo gioco. Sto bene e, per quanto non possa mantenermi in contatto diretto con te, ti assicuro che potrò ricevere entro breve tempo le lettere che tu indirizzerai alla Cassetta N. 1.

«Mi è immensamente dispiaciuto essere via il giorno del nostro anniversario, ma non ci potevo fare proprio niente. Spero che il regalo ti sia giunto sano e salvo… e che ti sia piaciuto.

«Senti la mia mancanza? Quanto vorrei poter tornare a casa! So che quando sono partito, eri addolorata e sconvolta, ma devi credermi, e capire che non potevo metterti al corrente degli avvenimenti. Certo capisci quanto desideri anch’io Jonathan Peter. Ti prego di avere fiducia in me e di non pensare che sia stato per egoismo o perché non ti amo, che ho agito così. Ho delle ottime ragioni, che ti spiegherò poi, un giorno.

«Soprattutto non preoccuparti e non essere impaziente. Sai che tornerò non appena mi sarà possibile. E ti prometto una cosa: quando sarò tornato a casa, andremo avanti… Vorrei solo poter essere sicuro che questo avverrà prestissimo!

«Ti amo, mia cara, non dubitarne mai. È un incarico ingrato, questo che mi hanno affidato, e la tua fede in me è una delle cose che mi aiutano a tirare avanti…»


Lesse con grande attenzione, sforzandosi per un momento di scordare ciò che quella lettura significava per lui e di considerarla invece un messaggio scritto da un estraneo. Aveva detto troppo? Non gli pareva. E non conteneva niente che rivelasse dove si trovava o la natura del suo incarico. Chiuse la busta, ma non scrisse né nome né indirizzo. Poi fece un’altra cosa che, strettamente parlando, costituiva una violazione al suo giuramento. Mise la lettera in una seconda busta che indirizzò al suo avvocato di Washington, dopo avervi incluso un biglietto d’accompagnamento.

George avrebbe intuito la verità, ma sarebbe stato capace di mantenere il segreto come qualunque dipendente del Central Intelligence. Sadler non era riuscito a escogitare un altro sistema sicuro per far giungere la sua lettera a Jeanette ed era pronto a correre quel piccolo rischio per la sua pace, e per quella di lei.

Chiese dove fosse la più vicina buca delle lettere (non erano facili a trovarsi, a Central City) e fece scivolare la busta nella fessura.

Accanto alla cassetta c’era un’edicola, e Sadler comprò una copia del “Central News”. Aveva dinanzi a sé ancora parecchie ore prima che il treno partisse per l’Osservatorio, e se era in corso qualcosa di interessante, il giornale locale l’avrebbe senza dubbio messo al corrente.

Le notizie politiche erano concentrate in uno spazio tanto esiguo che Sadler si chiese se non fosse in funzione la censura. Leggendo i titoli nessuno si sarebbe potuto rendere conto che era in atto una grave crisi; era necessario scorrere tutto il giornale per trovare qualche accenno alla situazione. In basso, in seconda pagina, per esempio, era detto che un’astronave della Terra era stata trattenuta in quarantena al largo di Marte e non le era stato permesso di atterrare, mentre un’altra non aveva avuto il permesso di decollare da Venere. Sadler era sicurissimo che si trattava di motivi politici, e non sanitari: la Federazione cominciava a mostrare i denti.

In quarta pagina c’era una notizia ancora più significativa. Una squadra di esploratori era stata arrestata su un remoto asteroide vicino a Giove, con l’accusa di avere violato il regolamento di sicurezza spaziale. Sadler sospettava che l’accusa fosse falsa… quanto gli esploratori. Era più plausibile pensare che il Central Intelligence avesse perso alcuni agenti.

Nelle pagine di centro, un editoriale alquanto ingenuo, scritto per illuminare la situazione, esprimeva la fiduciosa speranza nella vittoria del buonsenso. Sadler, che non nutriva illusioni sul buonsenso degli uomini, restò scettico e passò a leggere la cronaca locale.

Tutte le comunità umane, dovunque si trovino, seguono gli stessi schemi. La gente nasceva, veniva cremata (conservando con cura fosforo e nitriti), si sposava e divorziava, andava di qua e di là, dava feste, teneva comizi di protesta, veniva coinvolta in incidenti, scriveva Lettere al Direttore, cambiava lavoro… proprio come sulla Terra. Perché mai l’uomo si era preso la briga di lasciare il suo mondo, se nonostante tutto la sua natura fondamentale restava pressoché invariata? Tanto valeva che se ne fosse rimasto a casa, invece di esportare se stesso e le proprie debolezze, con grande spesa, su un altro mondo.

“È il lavoro che fai, a renderti cinico” pensò Sadler. “Vediamo un po’ quali divertimenti offre Central City.”

Aveva perso un torneo di tennis che valeva la pena di vedere, nella Cupola 4. Lassù, così gli avevano detto, le palle da tennis avevano lo stesso peso e la stessa massa, ma erano tutte bucherellate in modo da offrire maggior resistenza all’aria, e perciò i tiri effettuati erano all’incirca eguali a quelli che si facevano sulla Terra.

Nella Cupola 3 c’era un ciclorama che prometteva un giro nel Bacino delle Amazzoni (punture di zanzara a volontà), giro che aveva inizio ogni due ore. Dal momento che era arrivato da poco dalla Terra, Sadler non provava alcun desiderio di tornarci subito.

Si lasciò attrarre, alla fine, dalla palestra-piscina della Cupola 2, che costituiva la principale attrazione del campo sportivo di Central City ed era molto frequentata dal personale dell’Osservatorio.

La Cupola 2 era dalla parte opposta della città, e Sadler prese la metropolitana. Quando entrò nel campo sportivo ebbe l’impressione che tutto il personale dell’Osservatorio si fosse dato convegno in palestra. Il dottor Molton era impegnato con un vogatore e teneva l’occhio fisso sull’indice che misurava le remate. L’ingegnere capo, tenendo gli occhi semichiusi secondo le istruzioni, stava coricato al centro di un cerchio di tubi ultravioletti alla cui luce la sua abbronzatura assumeva sfumature spettrali. Uno dei medici di Chirurgia era indaffarato a colpire con tal foga un punching-ball, che Sadler sperò di non dover avere mai bisogno delle sue cure. Un tipo scontroso che doveva appartenere al Reparto Sussistenza cercava di sollevare un peso da una tonnellata, il che, anche tenendo conto della minor gravità, era pur sempre cosa da fargli tanto di cappello.

Gli altri erano in piscina, e Sadler si unì a loro. Non sapeva bene che cosa si fosse aspettato, tuttavia aveva creduto che nuotare sulla Luna gli avrebbe fatto un’impressione diversa che sulla Terra. Invece era lo stesso, e l’unica differenza, dovuta all’effetto gravitazionale, era il peso anormale dell’acqua e la lentezza con cui si muoveva.

I tuffi riuscirono bene, finché non cercò di strafare. Era bellissimo tuffarsi e scendere così lentamente da avere il tempo di guardarsi intorno. Ma poi, audacia delle audacie, Sadler rischiò un salto da cinque metri… il che, dopo tutto, corrispondeva a un metro scarso sulla Terra.

Peccato che non calcolò bene il tempo della caduta, e fece un mezzo giro in più, o in meno. Cadde così di spalla, e si ricordò troppo tardi dei colpo che era possibile prendere anche da un’altezza così bassa, sbagliando lo slancio. Si arrampicò sul bordo della piscina zoppicando e con la sensazione che lo avessero scorticato vivo. Quando uscì dal campo sportivo, si unì a Molton e agli altri. Stanco ma soddisfatto e con la sensazione di aver acquistato molte nozioni utili sul modo di vivere lunare, Sadler si appoggiò allo schienale del sedile mentre il treno monorotaia usciva dalla stazione e le grandi porte si richiudevano ermeticamente alle loro spalle. Il cielo azzurro picchiettato di nubi cedette il posto all’aspra realtà della notte lunare. La Terra era immutata, così come l’aveva vista qualche ora prima. Cercò l’abbagliante Nova Draconis, poi si ricordò che a quella latitudine restava coperta dall’orlo settentrionale della Luna.

Guardando le cupole di Central City, Sadler fu colpito da un pensiero triste e improvviso. Quelle protezioni erano state costruite per reggere alle forze che la natura poteva scatenare contro di esse… ma come sarebbero state pietosamente fragili se avessero dovuto affrontare la furia dell’uomo!

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