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Il dottor Carl Steffanson non si soffermò a chiedersi se era o no un tipo coraggioso. Mai prima d’allora aveva dovuto ricorrere a una virtù così primitiva come il coraggio fisico e rimase gradevolmente sorpreso nel costatare quanto era calmo adesso che il momento critico era arrivato. Fra poche ore, con tutta probabilità, sarebbe morto, ma questo pensiero, più che spaventarlo, lo seccava: c’era ancora tanto lavoro da compiere, tante teorie da provare! Sarebbe stato magnifico poter riprendere le ricerche scientifiche dopo quei due anni di lavoro febbrile. Ma erano soltanto sogni, questi. Il massimo che poteva sperare, adesso, era di riuscire a sopravvivere.

Aprì la cartella e ne trasse un rotolo di diagrammi, notando divertito come Wheeler fissasse intento la dicitura: “Segreto” impressa su ogni foglio. Ormai quelle precauzioni erano fuori luogo, e del resto lo stesso Steffanson ne avrebbe capito ben poco, se non fosse stato lui ad averli inventati.

Lanciò un’occhiata per rassicurarsi che la cassetta di legno fosse ben chiusa. Lì dentro, con tutta probabilità, era racchiuso l’avvenire di più d’un mondo. Quanti altri uomini prima di lui avevano mai espletato una missione come la sua? Steffanson riusciva a ricordarne solo due, collegati a due episodi della seconda guerra mondiale. Si trattava di uno scienziato inglese che aveva attraversato l’Atlantico con una scatoletta il cui contenuto fu più tardi definito il pegno più prezioso che mai avesse raggiunto le coste degli Stati Uniti. Era il primo magnetron a cavità, l’invenzione che fece del radar l’arma chiave della guerra e distrusse la potenza di Hitler. Poi, alcuni anni dopo, c’era stato quell’aereo che, attraversando il Pacifico diretto all’isola di Tinian, aveva portato tutto l’uranio 235 allora esistente.

Ma nonostante la loro grande importanza né l’una né l’altra di quelle missioni aveva avuto il carattere d’urgenza a cui era improntata la sua.

Steffanson aveva solo scambiato qualche parola di saluto con Jamieson e Wheeler, e li aveva ringraziati per la loro collaborazione. Di loro sapeva soltanto che erano due astronomi dell’Osservatorio offertisi volontariamente per fare quel viaggio. Dal momento che erano scienziati, erano probabilmente curiosi di sapere che cosa fosse andato a fare lassù, e non fu quindi stupito quando Jamieson, ceduta la guida al collega, si rivolse dalla sua parte e gli disse: — D’ora in poi il terreno sarà migliore. Arriveremo al Progetto Thor tra una ventina di minuti. Va bene?

Steffanson annuì con un cenno, poi disse: — Più di quanto avessimo sperato quando quel maledetto razzo si è guastato. Riceverete una ricompensa al merito per il vostro atto.

— Non m’interessa — rispose freddamente Jamieson. — Desidero soltanto agire per il meglio. Siete certo di fare lo stesso anche voi?

Steffanson lo guardò stupito, ma gli bastò un attimo per afferrare la situazione. Aveva già incontrato tipi come Jamieson, fra i suoi allievi, idealisti che si torturavano dibattendosi fra la logica e il sentimento. Invecchiando, avrebbero superato quello stadio, e lui si era chiesto più d’una volta se fosse un male o un bene.

— Mi state chiedendo di predirvi il futuro — rispose con calma. — Nessuno ha la possibilità di sapere se, a lungo andare, i suoi atti avranno conseguenze buone o cattive. Ma io lavoro alla difesa della Terra, e se ci sarà un attacco, sarà la Federazione a portarlo e non noi. Dovreste mettervelo bene in mente.

— Ma noi non lo abbiamo provocato?

— Forse, ma fino a un certo punto, e qui ci sarebbero da dire ancora molte cose su entrambe le parti. Voi giudicate i Federali come pionieri tutto cuore, intenti a creare meravigliose civiltà lassù sui pianeti. Ricordatevi come ci hanno impedito l’accesso agli asteroidi, rifiutandosi di caricare le astronavi se non a tariffe proibitive. Tenete presente come ci hanno reso quasi impossibile mandare apparecchi oltre Giove, tagliandoci virtualmente fuori da tre quarti del Sistema Solare. Se adesso otterranno quello che pretendono, diventeranno insopportabili. Temo che si siano proprio cercata una bella lezione, e noi speriamo di potergliela dare. È triste essere arrivati a questo, ma non ci sono alternative. — Diede un’occhiata all’orologio e continuò: — Vi fa niente aprire la radio? È l’ora del notiziario, e vorrei essere al corrente degli ultimi sviluppi della situazione.

Jamieson sintonizzò l’apparecchio e fece ruotare l’antenna verso la Terra.

Dopo un buon minuto, l’annunciatore parlò cercando con uno sforzo disperato di conferire alla sua voce il tono impersonale di sempre.


«Qui parla la Terra.

«Leggiamo la seguente dichiarazione, appena giuntaci.

«La Federazione Triplanetaria ha informato il governo della Terra che ha intenzione di impadronirsi di talune zone della Luna e che qualunque tentativo di resistere a questa azione verrà fronteggiato con la forza.

«Il governo sta preparando tutte le misure necessarie per salvaguardare l’integrità della Luna. Trasmetteremo al più presto possibile ulteriori notizie. Per il momento si insiste nel far presente che il pericolo non è immediato, perché entro un raggio di venti ore dalla Terra non si segnala la presenza di apparecchi ostili.

«Qui la Terra. Rimanete in ascolto.»


Seguì un improvviso silenzio rotto solo dal segnale dell’onda portante e, di tanto in tanto, dal crepitio della statica solare. Wheeler aveva fatto fermare il trattore in modo da poter ascoltare il notiziario, e dal suo posto di guida si volse a guardare nella cabina retrostante. Steffanson studiava i diagrammi dei circuiti che aveva steso sul tavolino, ma appariva chiaro che la sua mente era altrove. Jamieson era immobile, con la mano appoggiata ancora sulla manopola del volume: non l’aveva mossa dall’inizio della trasmissione. Poi, senza aprir bocca, si arrampicò sulla cabina di guida e si fece cedere il posto da Wheeler.

A Steffanson parve che fossero passati dei secoli prima che Wheeler dicesse: — Ecco, a momenti ci siamo! Guardate, dritto davanti a voi! — Steffanson andò a guardare dal portello anteriore. Valeva proprio la pena di combattere, per un posto simile! Ma, naturalmente, quell’aspra sterilità fatta di lava e di meteoriti non era che una maschera: sotto di essa, la natura aveva celato tesori che gli uomini avevano impiegato duecento anni a trovare. E forse sarebbe stato meglio se non li avessero trovati mai…

A un paio di chilometri di distanza, in linea retta davanti a loro, l’enorme cupola metallica scintillava al Sole. Vista da quel punto pareva che fosse stata tagliata in due da un enorme coltello perché la parte in ombra era talmente scura da essere quasi invisibile. Tutto pareva deserto all’intorno, ma Steffanson sapeva che dentro alla cupola ferveva un’attività febbrile. Pregò in cuor suo che i suoi assistenti avessero completato i circuiti d’energia e sub-modulatori. Steffanson cominciò ad adattarsi il casco della tuta spaziale che si era tolto salendo a bordo del trattore. Poi si alzò reggendosi allo schienale del sedile per non perdere l’equilibrio e si mise dietro a Jamieson.

— Adesso che siamo qui — disse — il meno che posso fare è di darvi qualche spiegazione — e accennò alla cupola che si avvicinava rapidamente. — Questa installazione, originariamente, era una miniera, e lo è tuttora. Siamo riusciti a fare una cosa in cui prima avevamo sempre fallito: un foro profondo cento chilometri che dalla superficie della Luna scende ai suoi ricchissimi giacimenti metalliferi.

— Cento chilometri! — esclamò Wheeler. — Impossibile! Nessun foro potrebbe restare aperto con una simile pressione.

— Invece può starci benissimo, tanto è vero che ci sta — ribatté Steffanson. — Non ho tempo di starvi a spiegare la tecnica, che del resto anch’io ignoro nei particolari. Ma non dimenticate che si può scavare un foro sei volte più profondo sulla Luna che sulla Terra, prima che esso si riempia. Comunque, questo è un particolare trascurabile. Il vero segreto consiste in quelli che vengono chiamati scavi a pressione. Non appena il pozzo cede, viene immediatamente riempito con olio pesante di silicone, un olio che ha la stessa densità della roccia circostante. In tal modo si può perforare alla profondità che si vuole, perché la pressione interna è uguale a quella esterna, e il foro non tende a chiudersi. Come succede con quasi tutte le idee molto semplici, c’è voluto parecchio per attuarla.

«Nella Federazione sono venuti a sapere circa due anni fa quello che bolliva in pentola. Anzi, crediamo che anche loro abbiano tentato la stessa cosa, ma senza successo. Perciò sono giunti alla decisione che se loro non possono accedere a queste scorte, non potremo usufruirne neppure noi. Pare che il loro intento sia di costringerci a collaborare, ma non ci riusciranno.

«Questo è il sottofondo della storia, di cui costituisce la parte più trascurabile. Qui ci sono anche armi. Alcune completate e provate, altre che aspettano la messa a punto finale. Io porto con me i componenti chiave di quella che potrebbe rivelarsi l’arma decisiva. Per questo è probabile che la Terra abbia contratto con voi un debito così grande che le sarà impossibile pagarlo. Non interrompetemi, a momenti siamo arrivati e non è solo questo che vi volevo dire. La radio ha mentito a proposito delle venti ore. Questo è quanto la Federazione vuol farci credere, e auguriamoci che continui a essere convinta di averci ingannato. Ma noi abbiamo localizzato le sue astronavi, che si avvicinano a una velocità dieci volte maggiore di quanto si siano mai mosse finora nello spazio. Temo che abbiano scoperto un sistema di propulsione totalmente nuovo e spero che non abbiano anche inventato delle armi nuove. Abbiamo solo tre ore di margine prima che arrivino qui, posto che non abbiano la possibilità di accelerare ancora. Potrete fermarvi, se volete, ma per la vostra salvezza vi consiglio di tornare di corsa all’Osservatorio come se aveste il diavolo alle calcagna. Se dovesse succedere qualcosa mentre vi trovate ancora all’aperto, cercate di mettervi al riparo al più presto. E adesso addio e buona fortuna. Mi auguro che possiamo incontrarci ancora, quando tutto questo sarà finito.»

Coi suoi misteriosi bagagli saldamente stretti, Steffanson sparì nel compartimento stagno prima che i due giovani avessero il tempo di parlare. Stavano entrando nell’ombra della grande cupola, di cui Jamieson fece il giro, alla ricerca di qualche apertura. Poi, trovato che ebbe il punto in cui lui e Wheeler erano stati introdotti, fece fermare Ferdinando.

La porta esterna del trattore si chiuse con un colpo secco, e il segnale di “Compartimento Chiuso” si accese. Videro Steffanson correre verso la cupola, mentre, perfettamente a tempo, un’apertura circolare si apriva per permettergli di entrare e si richiudeva subito dopo.

Il trattore era solo, nell’ombra dell’enorme edificio. Non c’era intorno alcun segno di vita, ma d’improvviso la struttura metallica del veicolo cominciò a vibrare con intensità sempre maggiore. Gli indici sul quadro dei comandi ballavano come matti, le luci si offuscarono, poi tutto tornò come prima. Ma in quel breve intervallo un tremendo campo di energia si era diffuso dalla cupola e continuava ancora a espandersi nello spazio. Il suo passaggio lasciò nei due uomini l’impressione di forze che aspettavano solo un segnale per scatenarsi.


Il piccolo trattore simile a un insetto correva sulla pianura, dirigendosi verso le colline dove avrebbe trovato la salvezza.

Ma sarebbe davvero stato al sicuro, lassù? Jamieson aveva i suoi dubbi. Ricordava le armi create dalla scienza duecento anni prima, la base su cui si poteva costruire oggi l’arte della guerra. La terra silenziosa che lo circondava, infuocata sotto il Sole di mezzogiorno, poteva venire colpita da radiazioni ben più terribili.

Il trattore correva verso i contrafforti di Platone che troneggiavano contro il cielo come una fortezza gigantesca, ma la vera fortezza gli stava alle spalle e preparava le armi ignote per la prova che doveva venire.

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