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L’Osservatorio si era preparato a un assedio di cui non prevedeva la durata. Nell’insieme, non era un’esperienza avvilente, come ci si sarebbe potuti aspettare. Sebbene i principali programmi in corso fossero stati sospesi, c’era ugualmente moltissimo lavoro: dedurre risultati, controllare teorie, scrivere saggi che finora erano stati rinviati per mancanza di tempo. Molti astronomi furono quasi contenti del riposo forzato che permise di fare progressi fondamentali nella cosmologia.

Il lato peggiore della faccenda, a detta di tutti, era l’incertezza e la mancanza di notizie. Che cosa stava succedendo? Si doveva credere ai bollettini terrestri che parevano intesi a tenere calma l’opinione pubblica, pur preparandola contemporaneamente al peggio?

A quanto si poteva giudicare, ci si aspettava un attacco, ed era una vera sfortuna che l’Osservatorio si trovasse in prossimità del luogo dove si presumeva che fosse diretto. Forse sulla Terra sapevano che genere di attacco avrebbe avuto luogo e sicuramente facevano i preparativi per fronteggiarlo.

I due grandi antagonisti si annusavano a vicenda, rifiutandosi di lanciare il primo colpo e sperando di spaventare l’altro tanto da indurlo a capitolare. Ma erano andati troppo oltre e non avrebbero potuto ritirarsi senza danneggiare irreparabilmente il loro prestigio.

Sadler temeva che avessero ormai oltrepassato da un pezzo i limiti e ne ebbe la certezza quando giunse la notizia, via radio, che il ministro della Federazione aveva mandato un vero e proprio ultimatum alla Terra. In esso si accusava la Terra di essersi rifiutata di corrispondere le quote stabilite di metalli pesanti, di aver decurtato i rifornimenti per motivi politici e di aver tenuta nascosta l’esistenza di nuove risorse. Ora, se la Terra si fosse rifiutata di dichiarare dove si trovavano queste risorse, avrebbe scoperto ben presto che le sarebbe stato impossibile utilizzarle.

L’ultimatum fu seguito, a sei ore di distanza, da una trasmissione generale, diretta alla Terra e diramata da una potentissima stazione di Marte. In essa si assicurava la popolazione che non le sarebbe stato arrecato alcun male, che, se avesse sofferto dei danni, sarebbe stato solo per un disgraziato incidente bellico la cui colpa era da imputarsi al governo terrestre. La Federazione avrebbe fatto di tutto per evitare di danneggiare le zone abitate e aveva fiducia che il suo esempio sarebbe stato seguito.

All’Osservatorio, questa trasmissione fu ascoltata con diversi stati d’animo. Il suo significato era indubbio, e altrettanto indubbio era che, a norma di legge, la zona del Mare Imbrium fosse da considerarsi deserta. Uno degli effetti prodotti dalla trasmissione fu quello di intensificare le simpatie per la Federazione, anche tra coloro che ne avrebbero potuto ricevere danno. Specialmente Jamieson divenne più esplicito nelle sue dichiarazioni. Ben presto si verificò una netta scissione tra il personale dell’Osservatorio. Da una parte c’erano quelli che la pensavano pressappoco come Jamieson (ed erano, in genere, i più giovani), che giudicavano la Terra reazionaria e intollerante. Dall’altro lato c’erano i tipi solidi, conservatori, pronti sempre a sostenere automaticamente il governo senza stare troppo a preoccuparsi delle astrazioni morali.

Sadler assisteva con grande interesse alle discussioni, pur essendo sicuro che il successo o il fallimento della sua missione erano ormai cosa fatta. Tuttavia sperava sempre che il mitico signor X si tradisse o cercasse di lasciare l’Osservatorio. Sadler aveva preso le sue precauzioni in merito, con l’aiuto del direttore. Nessuno, senza autorizzazione, poteva prendere una tuta o un trattore, e del resto la zona era ermeticamente chiusa. Sotto un certo punto di vista c’erano dei vantaggi a trovarsi nel vuoto.

Lo stato d’assedio aveva concesso a Sadler un piccolo trionfo, del tutto trascurabile e che non gli fu di alcuna utilità, tanto che parve un ironico commento ai suoi sforzi: Jenkins, il magazziniere su cui si nutrivano dei sospetti, era stato arrestato a Central City. Quando il servizio ferroviario era stato sospeso, Jenkins si trovava in città per motivi privati ed era stato pizzicato dagli agenti che gli erano stati messi alle calcagna dietro suggerimento di Sadler. Fu anche riconosciuto colpevole, ma di una colpa comune a molti magazzinieri: vendita di materiale di proprietà del governo.

Pur avendo in tal modo eliminato un nome dalla sua lista, Sadler ricavò ben poche soddisfazioni da quella vittoria.

Le ore si trascinavano lente, e gli umori si facevano sempre più irritabili. All’esterno, intanto, il Sole saliva nel cielo mattutino. Quel senso iniziale di novità era svanito per lasciare il posto all’avvilimento. Si fece un tentativo di organizzare un concerto, ma fallì in modo tanto solenne da lasciare tutti più depressi di prima.

Poiché sembrava che non stesse accadendo niente, qualcuno riprese a salire in superficie, se non altro per dare un’occhiata al cielo e rassicurarsi che non ci fosse niente d’insolito. Qualcuna di queste spedizioni clandestine mise in sospetto Sadler, che però ebbe poi modo di convincersi della loro innocenza. Il direttore era al corrente di tutto e avallava l’iniziativa concedendo alcuni permessi per recarsi nelle cupole.

L’attesa durò esattamente cinque giorni dopo l’allarme. Fuori, il mezzogiorno era prossimo, e la Terra si era assottigliata fino a ridursi a una falce, così vicina al Sole da non poterla guardare. Ma secondo gli orologi dell’Osservatorio era mezzanotte, e Sadler stava dormendo quando, senza tante cerimonie, Wagnall entrò nella sua cameretta.

— Sveglia! — esclamò mentre Sadler si sfregava gli occhi insonnoliti. — Il direttore ha bisogno di vedervi! — Wagnall pareva seccato di dover sbrigare le mansioni del fattorino. — Sta succedendo qualcosa — disse, lanciando un’occhiata sospettosa a Sadler — e non mi ha voluto dire di che cosa si tratta.

— Ma neppure io lo so — ribatté Sadler infilandosi la vestaglia. Diceva la verità, e mentre si recava nell’ufficio del direttore si chiedeva che cosa poteva essere successo.

Vedendo il direttore ebbe l’impressione che fosse molto invecchiato in quegli ultimi giorni. Non era più il piccolo uomo vivace ed energico che era sempre stato, capace di dirigere con mano di ferro l’Osservatorio. Sul piano della scrivania, non più immacolata, c’era un gran disordine di fogli.

Non appena Wagnall se ne fu andato, palesemente controvoglia, Maclaurin chiese di punto in bianco:

— Che cosa ci fa, sulla Luna, Carl Steffanson?

Sadler sbatté due o tre volte le palpebre, non era ancora completamente sveglio, infatti, poi disse, in tono lamentoso: — Ma se non so neanche chi è! Dovrei conoscerlo?

Maclaurin parve sorpreso e deluso.

— Credevo — disse — che vi avrebbero avvisato del suo arrivo. È uno dei nostri migliori fisici. Hanno telefonato poco fa da Central City dicendo che è appena arrivato e che dobbiamo accompagnarlo nel Mare Imbrium al più presto possibile, in quella installazione che pare si chiami Progetto Thor.

— Perché non lo mandano fin là in volo? Che cosa c’entriamo noi?

— Ci sarebbe dovuto infatti andare con il suo razzo, ma l’apparecchio ha avuto un guasto, e ci vogliono almeno sei ore per ripararlo. Così Steffanson verrà fin qui in monorotaia, e poi farà l’ultimo pezzo in trattore. Mi hanno detto di incaricare Jamieson di accompagnarlo. Tutti sanno che è il miglior conducente di trattori che ci sia sulla Luna, ed è anche l’unico che sia mai arrivato al Progetto Thor, qualunque cosa esso sia.

— Avanti — lo incitò Sadler.

— Non mi fido di Jamieson. Non credo che sia sicuro mandarlo in una missione così importante come pare questa.

— Non c’è nessuno che potrebbe sostituirlo?

— No, col poco tempo che abbiamo a disposizione. Ci vuole molta abilità, e non avete idea di come sia facile perdere la strada.

— Dunque deve proprio andare Jamieson, a quanto pare. Perché non vi fidate di lui?

— Ho sentito i discorsi che fa nella Sala Comune, e li avrete sentiti anche voi! Non nasconde certo le sue simpatie per la Federazione.

Mentre Maclaurin parlava, Sadler lo guardava attentamente, e l’indignazione, l’ira quasi, che trapelava dal suo tono lo stupì. L’ombra di un sospetto gli sfiorò per un istante la mente: che Maclaurin stesse cercando di sviare da sé l’attenzione?

Ma quel vago sospetto durò solo un istante. Sadler capì che era mutile cercare motivi reconditi: Maclaurin era stanco, esaurito e, come Sadler aveva sempre sospettato, nonostante le grandi arie che si dava, era meschino anche nello spirito, oltre che nella statura. Per questo reagiva in modo puerile alla delusione: aveva visto i suoi piani sovvertiti, il suo programma interrotto bruscamente, il suo prezioso equipaggiamento messo in pericolo, e tutto per colpa della Federazione! Chiunque non era del suo parere diventava automaticamente un nemico potenziale della Terra.

Era impossibile non provare compassione per il direttore. Sadler sospettava che fosse sull’orlo di un esaurimento nervoso e che bisognasse stare bene attenti a come gli si parlava.

— Che cosa volete che faccia? — gli domandò col tono più disinvolto che poté.

— Vorrei sapere se siete del mio parere nei riguardi di Jamieson. Dovete averlo studiato attentamente.

— Non ho il permesso di esporre le mie deduzioni — disse Sadler. — Spesso, infatti, sono fondate su appigli assai labili. Ma ho l’impressione che la franchezza di Jamieson sia un punto a suo favore. Fra dissentire e tradire c’è una bella differenza, sapete.

Maclaurin tacque per un po’, poi scosse la testa.

— È un rischio troppo grande. Non voglio assumermene le responsabilità.

Sadler pensò che le cose cominciavano a mettersi male. Lui non aveva nessuna autorità, lì, e non avrebbe certo potuto opporsi al volere del direttore. Nessuno gli aveva dato istruzioni in merito: coloro che avevano deciso che Steffanson partisse dall’Osservatorio ignoravano probabilmente che ci si trovava anche lui. Fra il ministero della Difesa e il Central Intelligence i rapporti non erano così stretti come avrebbero dovuto.

Ma anche se non aveva avuto istruzioni, era ugualmente chiaro qual era il suo dovere.

— Ecco qual è la mia proposta — disse con vivacità. — Chiamate Jamieson e raccontategli l’accaduto per sommi capi. Chiedetegli poi se sarebbe disposto ad accompagnare Steffanson. Io ascolterò il vostro colloquio dalla stanza vicina e vi saprò dire se dovrete o no accettare. Per conto mio, sono convinto che se si dichiara disposto ad accettarlo, porterà a termine l’incarico. Altrimenti vi dirà senz’altro che intende rifiutare. Non mi sembra tipo da fare il doppio gioco. E se mi è permesso darvi un consiglio — concluse — al vostro posto terrei nascosti i miei sospetti. Comunque la pensiate, dimostratevi spontaneo e cordiale come sempre.

Maclaurin ci meditò un po’ sopra, poi alzò le spalle rassegnato. — Wagnall — disse nel microfono, dopo aver girato l’interruttore — chiamatemi subito Jamieson.

A Sadler, in attesa nella stanza vicina, parve che passassero ore e ore prima che accadesse qualcosa. Poi, finalmente, sentì attraverso l’altoparlante che Jamieson era arrivato, e la voce di Maclaurin che diceva: — Mi spiace di avervi interrotto il sonno, Jamieson, ma abbiamo un incarico urgente da affidarvi. Quanto tempo vi ci vorrebbe per portare un trattore a Prospect Pass?

Sadler sorrise sentendo l’esclamazione di incredulità che giunse distinta attraverso l’altoparlante. Prospect era il passo che valicava la parete meridionale di Platone e dominava il Mare Imbrium. I trattori lo evitavano, preferendo una via più lunga ma più agevole che si snodava a qualche chilometro di distanza, verso ovest. Le monoauto lo valicavano invece senza difficoltà, e quando c’era la luce adatta, di lassù si godeva uno dei più famosi panorami lunari.

— Andando a rotta di collo ci metterei un’ora. Sono solo quaranta chilometri, ma il terreno è pessimo.

— Bene — rispose la voce di Maclaurin. — Mi hanno appena inviato un messaggio da Central City per dirmi di mandarvici. Sanno che siete il miglior guidatore di cui disponiamo e siete già stato laggiù.

— Laggiù dove? — fece Jamieson.

— Al Progetto Thor. Si chiama così, casomai non ne sapeste il nome. È il posto dove siete andato qualche giorno fa.

— Continuate, vi ascolto — rispose Jamieson, nella cui voce Sadler percepì una forte tensione.

— Ecco di che si tratta. A Central City c’è un tale che deve recarsi immediatamente a Thor. Doveva andarci con un razzo, ma è impossibile. Così lo mandano fin qui in monorotaia e, per risparmiare tempo, voi gli andrete incontro al Passo e lo preleverete. Da lì andrete direttamente al Progetto Thor. Capito?

— Non proprio. Perché non lo mandano a prendere da Thor con uno dei loro cat?

“Jamieson vuole prendere tempo?” si domandò Sadler. No, la sua era stata una domanda perfettamente logica.

— Se date un’occhiata alla carta — spiegava Maclaurin — vedrete che Prospect è l’unico punto dove un trattore può incontrarsi con il treno monorotaia, e inoltre, a quel che pare, a Thor non hanno guidatori esperti.

Seguì una lunga pausa. Evidentemente Jamieson stava esaminando la mappa.

— Sono disposto a tentare — disse poi — ma mi piacerebbe sapere cosa bolle in pentola.

“Ci siamo” pensò Sadler. “Speriamo che Maclaurin segua i miei suggerimenti.”

— Benissimo — disse la voce del direttore — credo che abbiate il diritto di sapere. L’uomo che deve recarsi a Thor è il dottor Carl Steffanson. E la missione che gli è stata affidata è di importanza vitale per la salvezza della Terra. Io non so altro, tuttavia non credo che occorra dire di più.

Sadler attese ansioso mentre i secondi si trascinavano lenti. Sapeva che Jamieson stava ponderando prima di decidere. Il giovane astronomo stava scoprendo a sue spese che una cosa era criticare la Terra e condannare la sua politica in sede teorica, e un’altra dover scegliere quando si trattava di un’azione di importanza vitale per la sua vittoria o la sua sconfitta. Jamieson sapeva adesso da che parte doveva stare, seguendo l’impulso della lealtà, se non proprio quello della logica.

— Andrò — disse alla fine, così piano che Sadler lo udì appena.

— Ricordatevi che siete libero di accettare o no — insistette il direttore.

— Davvero? — ribatté Jamieson, e nella sua voce non c’era la minima .sfumatura di sarcasmo. Pensava a voce alta, parlando a se stesso, più che al direttore.

Sadler udì Maclaurin sfogliare delle carte. — Chi porterete come aiutante per la guida? — disse poi la voce del direttore.

— Wheeler. È venuto con me anche l’altra volta.

— Benissimo. Andate ad avvertirlo mentre io avviserò la sezione Trasporti. E… auguri.

— Grazie.

Sadler attese di sentire il rumore della porta che si richiudeva, poi andò a raggiungere il direttore. Maclaurin alzò gli occhi stanchi su di lui. — Ebbene? — domandò.

— È andata meglio di quanto sperassi. Siete stato molto abile.

Non lo diceva per adularlo. Era infatti sinceramente stupito di come Maclaurin fosse riuscito a tenere nascosti i propri sentimenti. Anche se non era stato cordiale, non aveva però lasciato minimamente trapelare la sua avversione.

— Mi sento molto più sollevato perché lo accompagna Wheeler — confessò Maclaurin. — Di lui ci si può fidare.

Nonostante la sua preoccupazione, Sadler faticò a soffocare un sorriso. Era certo che la fiducia di Maclaurin nei riguardi di Conrad Wheeler fosse dovuta soprattutto alla scoperta della Nova Draconis da parte del giovane, scoperta che aveva indirettamente contribuito al trionfo dell’Integratore di Grandezza Maclaurin.

Ma non aveva bisogno di altre prove per convincersi che anche gli scienziati, come tutti gli altri, erano inclini a giudicare più col sentimento che con la logica.

— Il trattore è pronto — disse una voce all’altoparlante. — Le porte esterne si stanno aprendo.

Maclaurin alzò automaticamente gli occhi sull’orologio appeso al muro. — Hanno fatto in fretta — osservò. Poi guardò Sadler con aria preoccupata. — Signor Sadler, ormai è troppo tardi per fare marcia indietro. Auguriamoci solo che abbiate ragione.


Ci si accorge troppo di rado che guidare un veicolo di giorno, sulla Luna, è molto meno divertente, e anche meno sicuro, che di notte. Il bagliore implacabile esige che si adoperino grosse lenti a filtro, e le nere pozze d’ombra, sempre presenti salvo che nei punti in cui il Sole si trova sulla verticale, possono rivelarsi molto pericolose. Infatti nascondono sovente crepacci che un trattore in moto riuscirebbe difficilmente a evitare. Invece guidare alla luce della Terra non esige altrettanta tensione; la luce tenue rende meno aspri i contrasti.

Per colmo di difficoltà, Jamieson doveva dirigersi a sud, il che significava avere il Sole in faccia. In certi punti le condizioni erano talmente cattive che doveva seguire dei bruschi zigzag al fine di evitare l’accecante bagliore riflesso da qualche roccia antistante. Le difficoltà si attenuavano nelle zone ricoperte di polvere, che però si facevano sempre più rare man mano che il terreno si elevava verso gli ultimi contrafforti della parete montagnosa.

Wheeler si guardava bene dal parlare all’amico; sapeva che quel tratto di strada richiedeva tutta la sua attenzione. Poi cominciarono a salire verso il passo, e il trattore procedeva a sobbalzi sulle asperità dei dirupi che sovrastavano la pianura. Simili a fragili giocattoli sull’orizzonte lontano i sostegni dei telescopi giganti indicavano il punto in cui si trovava l’Osservatorio. “Laggiù” pensava Wheeler “ci sono milioni e milioni investiti in fatica e intelligenza. E adesso non servono a niente! Speriamo che questi splendidi strumenti possano riprendere al più presto le loro ricerche nei più remoti angoli dell’universo!”

Una rupe scoscesa nascose la vista della pianura sottostante, e Jamieson svoltò a destra, attraverso una valle angusta. Sui dirupi sovrastanti si vedeva la rotaia del treno inerpicarsi sul fianco della montagna. Il trattore non sarebbe potuto arrivare fin là. Però, una volta superato il passo, non sarebbe stato troppo difficile avvicinarsi fino a una distanza di qualche metro.

Il terreno era estremamente accidentato, ma i conducenti che avevano già compiuto quel percorso avevano lasciato una traccia ben visibile per coloro che li avrebbero seguiti. In quel punto, la strada era quasi tutta in ombra, e Jamieson fece largo uso dei fanali. La completa invisibilità di raggi, lì nei vuoto assoluto, conferì un effetto magico sulla scena. Pareva infatti che la luce scaturisse dal nulla e che non avesse il minimo rapporto col trattore. Arrivarono a Prospect cinquanta minuti dopo aver lasciato l’Osservatorio e radiotrasmisero la loro posizione. Da quel punto dovevano compiere alcuni chilometri in discesa per arrivare al luogo dell’appuntamento. La monorotaia convergeva verso la loro strada e dopo averla attraversata si allontanava verso sud, oltre Pico, simile a un filo d’argento che corresse a perdita d’occhio sulla superficie della Luna.

— Ecco — disse Whecler soddisfatto — non li abbiamo fatti aspettare. Sarei proprio curioso di sapere che cosa bolle in pentola.

— Non è chiaro? — replicò Jamieson. — Steffanson è il nostro maggior esperto in materia di radiazioni fisiche. Se ci sarà una guerra, puoi immaginarti quali saranno le armi con cui si combatterà.

— Non ci ho mai pensato molto in quanto non ho mai preso troppo sul serio questa ipotesi. Ma suppongo che si combatterà con missili teleguidati.

— Anche, però non basta. Sono centinaia d’anni che si parla di radiazioni mortali.

— Non mi dirai che credi nella loro esistenza!

— Come no? Se ricordi quello che c’era scritto nei libri di storia, a Hiroshima migliaia di persone sono state uccise da radiazioni mortali. E questo è successo circa duecento anni fa.

— Sì, ma è facile proteggersi da raggi di quel genere. Davvero credi che ci siano raggi capaci di produrre gravi danni fisici?

— Dipende dalla portata. Entro un ambito di qualche chilometro credo di sì. In fin dei conti abbiamo la possibilità di fabbricare enormi quantità di energia che, volendo, si potrebbe concentrare in un’unica direzione. Fino a oggi non c’è stato bisogno di farlo, ma adesso come possiamo sapere quello che sta succedendo nei laboratori segreti del Sistema Solare?

Prima che Wheeler avesse il tempo di rispondere, si vide il puntolino luminoso che avanzava a velocità incredibile attraverso la pianura, salendo come una meteora sull’orizzonte. Dopo pochi istanti si trasformò nel cilindro schiacciato del vagone, accucciato sulla sua unica rotaia.

— Sarà meglio scendere a dargli una mano — propose Jamieson — forse non avrà mai indossato una tuta spaziale, prima d’oggi, e poi avrà anche un bagaglio.

Wheeler si mise al posto di guida, mentre Jamieson si arrampicava sulle rocce verso il treno. La porta d’emergenza della vettura si aprì e ne uscì un uomo. Si muoveva incerto. Dal modo come camminava, Wheeler capì che non si era mai trovato in un campo gravitazionale così basso.

Steffanson reggeva con la massima cura una pesante cartella e una grossa scatola di legno. Jamieson si offrì di aiutarlo, ma lo scienziato si rifiutò di lasciargliele portare, gli diede invece una leggera valigetta che doveva contenere i suoi effetti personali.

Le due figure scesero il pendio roccioso, e Wheeler aprì il portello stagno per lasciarle entrare, mentre il treno si rimetteva in moto nella direzione da cui era venuto e in breve scompariva all’orizzonte. Wheeler ebbe l’impressione che il conducente avesse una gran premura di tornarsene a casa. Non aveva mai visto infatti un treno di quel tipo correre così veloce, ed ebbe per la prima volta l’idea della bufera che stava addensandosi su quel paesaggio assolato. Sospettò inoltre che non fossero loro i soli a essere attesi al Progetto Thor.

E aveva ragione. Nello spazio lontano, il comandante delle Forze Federali guidava la sua minuscola flotta. Come un falco che gira in ampio cerchio sulla sua preda prima di scendere fulmineo, il commodoro Brennan, fino a pochissimo tempo prima professore di elettrotecnica all’Università di Espero, incombeva con i suoi apparecchi sopra la Luna, in attesa del segnale che sperava di non ricevere mai.

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