5

John andò al cantiere del nuovo edificio che stava costruendo in prossimità della City. La gru si era guastata, e, come risultato, i lavori erano stati sospesi. La sua presenza non era strettamente necessaria, ma dato che era responsabile della scelta di quel macchinario, di un tipo che non avevano mai usato, aveva voluto essere presente.

Mentre si trovava nella cabina della gru e osservava le fondamenta dell’edificio, vide Roger che gli faceva dei cenni di saluto dal basso. Rispose agitando una mano, e subito Roger ricambiò con altri gesti, facendogli capire che gli voleva parlare con urgenza.

John chiese al meccanico che smanettava accanto a lui: — Come va adesso?

— Molto meglio. In mattinata sarà a posto.

— Tornerò più tardi.

Roger lo stava aspettando ai piedi della scaletta.

— Sei venuto a vedere come procedono i lavori?

Roger non rispose e si guardo rapidamente attorno.

— C’è un posto dove si possa parlare senza essere disturbati? — chiese.

John si strinse nelle spalle. — Potrei chiedere al capo cantiere di cedermi un momento il suo ufficio. Ma c’è un piccolo bar sull’altro lato della strada, che forse va meglio.

— Dove vuoi, ma andiamoci subito.

La faccia di Roger era calma e tranquilla come sempre, ma la sua voce aveva un tono secco e pressante. Attraversarono insieme la strada. Il Grapes aveva una piccola saletta di solito poco frequentata, che in quel momento, le undici e mezzo, era deserta.

John ordinò due doppi whisky e portò i bicchieri a un tavolo all’estremità della sala, dove Roger si era messo a sedere.

— Cattive notizie? — domandò.

— Ci siamo — disse Roger. Bevve un sorso di whisky. — Bisogna andarsene al più presto.

— Come hai detto?

— Quei bastardi! — riprese Roger. — Quei maledetti bastardi assassini. Noi non siamo come gli asiatici. Noi siamo degli autentici inglesi e giochiamo a cricket.

La sua collera, amara e violenta, assolutamente sincera, fece comprendere a John che era giunto il momento della crisi.

— Che c’è? — chiese bruscamente. — Cosa sta succedendo?

Roger finì il suo whisky. Poi vide passare la cameriera e ne ordinò altri due doppi. Quando furono serviti riprese a parlare. — Per prima cosa, la battaglia contro il Chung-Li è stata persa.

— E il contro-virus che lo doveva annientare?

— Strane bestie, i virus — disse Roger. — Agli occhi del tempo sono come delle superpotenze, solo su scala minore. Dominano per un intero secolo, oppure per tre o quattro mesi soltanto, e poi scompaiono. Non capita spesso una Roma che mantenga il potere per mezzo millennio.

— Cosa significa?

— Il Chung-Li è Roma. Se il contro-virus fosse stato la Francia o la Spagna, le cose sarebbero andate meglio. Ma era soltanto una Svezia: esiste ancora, ma in forma più debole e modificata. Non darà mai fastidio al Chung-Li.

— Quando è successo?

— Chi può saperlo! Qualche tempo fa. Hanno cercato di mantenere la cosa segreta, sperando nel frattempo di riuscire a riprodurre il virus originale.

— Non avranno abbandonato i tentativi, spero.

— Non so. Forse no. Ma non ha più importanza.

— Ne ha molta, invece.

— Nell’ultimo mese abbiamo vissuto con il razionamento normale, con alle spalle riserve per meno di una settimana. Facevamo affidamento assoluto sugli aiuti inviati dall’America e dagli Stati del Commonwealth. Io lo sapevo già, ma ho pensato che non avesse molta importanza. I soccorsi ci erano stati garantiti.

La cameriera tornò in sala e cominciò a pulire il bancone del bar. Canticchiava una canzone popolare. Roger abbassò la voce.

— Penso che il mio errore sia perdonabile. In circostanze normali le promesse sarebbero state mantenute. Già troppa parte del mondo è ricaduta nella barbarie, e la gente era disposta a fare qualche sacrificio per salvare il resto.

“Ma la carità comincia sempre in casa propria. Ecco perché ho detto che non conta che riescano a riprodurre il virus. Quelli che hanno buone scorte di viveri non lo credono più possibile, e di conseguenza non vogliono privarsi di riserve di cui possono aver bisogno loro l’inverno prossimo. L’ultima nave di soccorsi proveniente dall’America è giunta a Liverpool ieri. Possono essercene forse ancora un paio in viaggio dall’Australia, ma è probabile che vengano richiamate prima di arrivare da noi.”

— Capisco — disse John. — È questo che intendevi per bastardi assassini? In fondo anche loro devono pensare alla propria sicurezza.

— No. Non era per questo. Una volta ti ho detto di avere un informatore autorevole. Be’, si tratta di Haggerty, il segretario del primo ministro. Anni fa gli ho fatto un grande favore. Ora me ne sta rendendo uno molto più grosso, tenendomi informato esattamente di tutto.

“La partita si è giocata ai massimi livelli. I nostri amici sapevano già da una settimana cosa sarebbe successo. Hanno tentato di far cambiare idea alle nazioni che ci avevano promesso i soccorsi, e forse hanno sperato in un miracolo. Hanno ottenuto soltanto di mantenere segreta la situazione, in modo da non trovare ostacoli nell’attuazione delle misure necessarie al controllo interno. Cosa che sarebbe stata impossibile, se la stampa avesse divulgato le notizie. Comunque, mantenere il segreto andava bene per tutti. Anche oltreoceano avevano qualche misura da prendere prima di far sapere la verità. La loro situazione non è paragonabile alla nostra, naturalmente, ma è sempre meglio prepararsi nel massimo segreto.”

— E le nostre misure? — domandò John. — Quali sono?

— Il governo è caduto ieri. Welling è salito al potere, ma Lucas fa ancora parte del Gabinetto. È stata una specie di rivoluzione di palazzo. Lucas non si vuole sporcare le mani di sangue… ecco.

— Sangue?

— Queste isole sono abitate da circa cinquantaquattro milioni di persone. Quarantacinque milioni vivono nella sola Inghilterra. Se fosse possibile mantenere con le patate un terzo di questa gente, le cose andrebbero già bene. La sola difficoltà è questa: come scegliere quelli che dovranno sopravvivere?

— Direi che la risposta è ovvia — disse John con voce cupa. — La selezione avverrà automaticamente.

— Questo è un sistema dispersivo, che distruggerebbe l’ordine e la disciplina. In questo paese abbiamo sempre preso la disciplina alla leggera, ma ha radici molto profonde, e può sempre prendere il sopravvento, in tempi di crisi.

— Welling non mi è mai piaciuto — disse John.

— Sono stati i tempi a portarlo al potere. È una carogna, e neanche a me piace. Ma era inevitabile che le redini finissero nelle mani di qualcuno come lui. Lucas non è mai stato capace di prendere una decisione. — Roger guardò l’amico negli occhi. — Oggi l’esercito si schiera alla periferia di Londra e attorno a tutte le più grandi città. Dall’alba di domani tutte le strade saranno chiuse al traffico.

— È tutto quanto ha saputo pensare? — osservò John. — Nessun esercito può fermare l’impeto di una folla spinta dalla fame. Cosa pensa di ottenere?

— Spera di guadagnare tempo, e preparare con tutta comodità la seconda linea di azione.

— E quale sarebbe?

— Bombe atomiche per le città più piccole. Bombe all’idrogeno per le città come Liverpool, Birmingham, Glasgow, Leeds… Su Londra ne verrebbero lasciate cadere due o tre. Non importa lo spreco: nel futuro che possiamo prevedere, non saranno più necessarie.

John rimase a lungo in silenzio. Poi disse lento: — Non ci credo. Nessuno può avere il coraggio di fare una cosa simile.

— Lucas non l’avrebbe fatto. Lucas, da primo ministro, è sempre stato un uomo comune, con desideri, pregiudizi ed emozioni qualsiasi. Adesso Lucas è soltanto un membro del Gabinetto di Welling, e se ne lava apertamente le mani di tutto quanto sta per succedere. Cos’altro ti aspetti da un uomo comune?

— Non troveranno mai nessuno disposto a salire su quei bombardieri.

— Siamo in un’era nuova — disse Roger. — O molto vecchia. Lealtà e generosità sono un lusso delle epoche civili. Queste grandi virtù cominciano a scomparire, e la loro scomparsa andrà di pari passo con l’aumento della nostra nuova barbarie. Se fosse l’unico mezzo per salvare Olivia e Steve, ci salirei io su uno di quegli aerei.

John ebbe un sussulto. — No!

— Quando li ho definiti bastardi assassini — disse Roger — l’ho detto con ammirazione oltre che con disgusto. Da questo momento mi propongo di esserlo anch’io, ogni volta che sarà necessario, e spero che tu sia pronto a fare altrettanto…

— Lanciare bombe all’idrogeno sulle città… sulla nostra gente…

— Già, ecco perché Welling vuol guadagnare tempo. Gli saranno necessarie almeno ventiquattro ore, forse anche quarantotto. Non essere stupido, John! Non è poi passato molto tempo da quando “il nostro popolo” era formato solo da quelli che abitavano nello stesso villaggio. A pensarci bene, Welling può anche affermare che il suo sarà un atto di generosità.

— Generosità? Le bombe all’idrogeno?

— È tutta gente condannata a morire. In Inghilterra almeno trenta milioni di persone sono condannate a morire prima che gli altri possano riorganizzarsi in qualche modo una vita. Cos’è meglio: morire di fame, essere uccisi per venire mangiati, o le bombe all’idrogeno? È una morte rapida, se non altro. Con le bombe si possono eliminare trenta milioni di persone e salvare i campi, in modo che possano produrre il necessario per i superstiti. Ecco la sua teoria.

Dall’altra stanza del locale giunse il suono di una canzonetta. La cameriera aveva acceso una radio portatile. La vita normale continuava, identica, tranquilla.

— Non ci riuscirà — disse John.

— Sono quasi propenso a darti ragione — disse Roger. — Le notizie finiranno col trapelare, e le città si solleveranno prima che Welling abbia pronti i suoi bombardieri. Comunque non mi faccio illusioni. Le cose non andranno certo meglio. Secondo me, in questo modo ci saranno cinquanta milioni di morti, anziché trenta, e un ritorno alla barbarie peggiore per quelli che riusciranno a sopravvivere. Chi avrà la forza di proteggere i campi di patate da una turba affamata? Chi salverà i semi delle patate per il prossimo anno? Welling è una carogna, ma una carogna con le idee chiare. Il suo è un modo di salvare la nazione.

— Pensi che si verrà a saperlo?

Cercò di immaginare Londra in preda al panico, con lui e Ann travolti dalla folla, senza più la possibilità di raggiungere i ragazzi.

Roger sogghignò. — Preoccupante, vero? Sarà strano, ma ho la sensazione che non ci preoccuperemo più di Londra in rivolta quando ci troveremo lontani. E più presto ce ne andiamo, tanto meglio sarà.

— I ragazzi…

— Mary è a Beckenham, e Davey si trova in una località dell’Hertfordshire. Ci ho già pensato. Passiamo a prendere Davey durante il viaggio verso nord. Tu adesso devi andare a prendere Mary. Immediatamente. Io andrò a casa tua per avvisare Ann. Può preparare l’indispensabile da portar via. Olivia, Steve e io verremo da te, con la macchina già pronta. Quando arriverai con Mary ti daremo una mano a caricare i bagagli. Poi potremo partire. Se possibile, dovremmo andarcene da Londra molto prima di sera.

— Credo che tu abbia ragione — disse John.

Roger seguì lo sguardo dell’amico che si spostava per il bar. In un vaso di rame c’erano dei fiori, i fogli di un calendario svolazzavano mossi dal vento che entrava dalla porta, e il pavimento appena lavato era ancora umido.

— Diamo un addio a tutto questo — disse. — È il mondo di ieri. Da questo momento siamo dei contadini, e ben felici di esserlo.


Beckenham, gli aveva rivelato Roger, era compresa nell’area che sarebbe stata circondata dalle truppe. John venne fatto accomodare nell’ufficio della signorina Errington, la direttrice. La stanza era semplicissima eppure con un’impronta chiaramente femminile. Una combinazione (ricordava John) che aveva colpito Ann, quasi quanto la stessa signorina Errington, una donna esageratamente alta, molto gentile e affabile nonostante la serietà quasi eccessiva.

La donna entrò e inchinò leggermente la testa.

— Buona sera, signor Custance. — John osservò che era soltanto l’una. — Mi spiace di averla fatta aspettare.

— E io spero di non averla disturbata durante il pranzo. La donna sorrise. — È difficile, in questi giorni. È venuto per Mary?

— Sì. Vorrei portarla via con me.

— Si accomodi, prego — disse la signorina Errington. Poi lo guardò attentamente. — Desidera portarla via? Perché?

Quello fu il momento che gli fece capire tutto l’amaro peso del suo segreto. Non doveva lanciare l’allarme. Roger aveva molto insistito su questo punto, e lui si era trovato d’accordo. Per loro era molto importante, come lo era per il piano di sterminio studiato da Welling, che nessuno si allontanasse dalle città.

La necessità esigeva che quella donna alta e affabile restasse al suo posto, a morire.

— Si tratta di una questione di famiglia — disse John, impacciato. — C’è un parente di passaggio a Londra. Lei capisce…

— Vede, signor Custance, cerchiamo di ridurre queste interruzioni al minimo. Sarà d’accordo anche lei che possono turbare il buon andamento degli studi. Nel fine settimana sarebbe diverso.

— Sì, capisco. Ma si tratta di un suo… zio che questa sera partirà in aereo per andare oltreoceano.

— Davvero? Per molto tempo?

John cominciò a parlare con maggiore disinvoltura.

— Può restare lontano per qualche anno. E desiderava tanto poter salutare Mary.

— Poteva venire lui a trovarla — disse la signorina Errington, incerta. — Quando la riporterebbe indietro?

— Questa sera stessa.

— Be’, in questo caso… Mando qualcuno a chiamarla. — Andò alla porta e sporse la testa nel corridoio. — Helena! Vuoi dire a Mary Custance di venire da me? C’è qui suo padre. — Poi si rivolse a John. — Se è solo per oggi pomeriggio, non avrà bisogno di prendere niente, vero?

— Infatti — disse John — sarebbe inutile.

La signorina Errington tornò a sedersi alla scrivania.

— Le devo dire che sono molto soddisfatta di sua figlia, signor Custance. All’età di Mary le ragazze maturano, e cominciano a vedere con chiarezza ciò che vorranno fare. Ultimamente Mary ha studiato con molto profitto, e prevedo per lei una brillante carriera come insegnante, se vorrà continuare gli studi.

“Carriera come insegnante”, pensò John: avrebbe aiutato a mandare avanti la loro piccola oasi in un mondo deserto. — È una magnifica notizia.

La signorina Errington sorrise. — Comunque, le mie sono soltanto chiacchiere accademiche. Bisognerà vedere se i giovani che frequenterà le permetteranno di intraprendere una vita tanto arida.

— Non vedo niente di arido in una carriera del genere. La sua vita, signorina Errington, deve essere piena di soddisfazioni.

Lei rise. — È andata meglio di quanto prevedessi. Comincio a sognare la pensione!

Mary entrò, fece un cenno di saluto alla signorina Errington, poi corse ad abbracciare John.

— Papà! Cos’è successo?

— Tuo padre ti vuole portar via per qualche ora — spiegò la signorina Errington. — Tuo zio è a Londra di passaggio, diretto in America, e ti vuole salutare.

— Lo zio David? In America?

— Una decisione che nessuno si aspettava — disse John in fretta. — Ti spiegherò tutto per strada. Puoi venire via così?

— Sì, certo.

— Allora non vi trattengo oltre — disse la signorina Errington. — Potrebbe riportarla indietro per le otto, signor Custance?

— Farò il possibile.

La donna gli tese la lunga mano delicata. — Arrivederci.

John esitò. Ebbe un attimo di ribellione al pensiero di dover salutare quella donna senza dirle ciò che sarebbe successo. Ma non ebbe il coraggio di parlare. Tra l’altro, forse lei non gli avrebbe creduto.

— Se non dovessi riportare Mary per le otto — disse — vorrà dire che ho saputo che l’intera Londra sarà inghiottita da un terremoto. Se non mi vede entro sera, le consiglio di portare tutte le ragazze lontano dalla città. A qualsiasi costo.

La signorina Errington lo guardò stupita nel sentirgli dire quelle frasi assurde e di cattivo gusto. Anche Mary guardò perplessa il padre.

— D’accordo — disse la direttrice. — Comunque sono certa che farà ritorno per le otto.

— Sì, certo — assicurò John avvilito.


Mentre la macchina si allontanava dal collegio, Mary chiese: — Non si tratta dello zio David, vero?

— No.

— Cos’è successo?

— Non te lo posso ancora dire. Ma andiamo via da Londra.

— Oggi? Allora non mi riporti in collegio questa sera? — Il padre non rispose. — È una cosa grave?

— Piuttosto grave, sì. Andremo a vivere nella valle. Che ne pensi?

Mary sorrise. — Non direi che è una cosa spaventosa.

— La parte terribile — disse lui lentamente — toccherà agli altri.

Arrivarono a casa poco dopo le due. Mentre percorrevano il vialetto Ann si affacciò alla porta. Aveva la faccia tesa, sconvolta. John la strinse a sé.

— Il primo atto si è concluso senza difficoltà. E andrà bene anche il resto, cara. Non ti devi preoccupare. Roger e gli altri non sono ancora arrivati?

— È successo qualcosa alla sua macchina. Delle noie ai cilindri, o qualcosa del genere. Roger è in officina per farla riparare. Verranno non appena possibile.

— Ti ha detto fra quanto? — domandò John bruscamente.

— Non dovrebbero impiegare più di un’ora.

— Vengono con noi anche i Buckley? — domandò Mary. — Ma che cosa succede?

— Va’ in camera tua, tesoro — la interruppe Ann. — Ti ho preparato ciò che può essere necessario, ma nella valigia c’è ancora un po’ di spazio per altre cose che ritieni importanti. Cerca di prendere soltanto l’essenziale. Lo spazio è minimo.

— Per quanto tempo staremo via?

— Forse per parecchio — disse Ann. — Fa’ conto che si parta e non si torni mai più a Londra.

Mary guardò la madre in silenzio. Poi chiese: — E le cose di David? Devo pensare anche a lui?

— Sì, tesoro — disse Ann. — Guarda se ho dimenticato qualcosa a cui tiene in modo particolare.

Non appena Mary scomparve in cima alla scala, Ann si strinse al marito.

— John, non può essere vero!

— Roger ti ha raccontato tutto?

— Sì. Ma non possono farlo. Non è possibile.

— Lo credi davvero? Poco fa ho detto alla signorina Errington che avrei riportato Mary entro sera. Sapendo ciò che so, ho fatto male?

Ann non rispose. Poi disse: — Prima che tutto questo sia finito… dovremo arrivare a odiare noi stessi? O finiremo con l’abituarci alla situazione, tanto da non vedere in che cosa ci saremo trasformati?

— Non so — disse John. — Non so niente. Tranne che dobbiamo salvare noi e i nostri ragazzi.

— Salvarli per cosa?

— Ci penseremo in seguito. Oggi sembra mostruoso allontanarci senza dire a tutti gli altri cosa sta per succedere, ma non possiamo fare diversamente. Quando ci troveremo nella valle, tutto sarà diverso. Avremo di nuovo la possibilità di vivere in modo decente.

— Decente, dici?

— Sarà una vita dura, ma non impossibile. Dipenderà da noi. Se non altro saremo padroni di noi stessi. Non si tratterà più di vivere sopportando un governo che truffa, maltratta, sfrutta i cittadini, e che poi, quando sono diventati un peso, li uccide.

— No… non più…


— Stronzi! — imprecò Roger. — Li ho pagati il doppio per farli lavorare alla svelta, e poi hanno ballonzolato attorno per tre quarti d’ora in cerca degli attrezzi.

Erano le quattro. Ann chiese: — Facciamo in tempo a bere una tazza di tè? Stavo per mettere l’acqua sul fuoco.

— In teoria — disse Roger — abbiamo a disposizione tutto il tempo possibile. Comunque penso che sia meglio farne a meno. Viviamo ore di… incertezza. La notizia deve essere trapelata anche da altre parti, e mi domando in quanti siamo a sapere la verità. Mi sentirò più tranquillo soltanto quando saremo lontani da Londra.

Ann fece un cenno affermativo. — D’accordo — disse, e si avviò verso la cucina.

John la richiamò: — Hai bisogno di qualcosa?

Ann si voltò. — Ho lasciato la pentola piena d’acqua. Andavo a vuotarla.

— Ecco la nostra ultima speranza: l’equilibrio femminile — disse Roger. — Lascia la casa per sempre, ma vuol mettere a posto la pentola. Un uomo proverebbe l’impulso di prendere la pentola a calci, e poi dare fuoco alla casa.

Si allontanarono dalla casa dei Custance, la macchina di John davanti, e si diressero verso nord. Avrebbero percorso la grande arteria fino a una biforcazione poco dopo Welwyn. Poi avrebbero deviato per raggiungere la scuola di Davey.

Mentre attraversavano East Finchley sentirono alle spalle il clacson di Roger. Dopo un attimo la macchina dell’amico accelerò per andarsi a fermare davanti a loro. Mentre passavano accanto, Olivia sporse la testa dal finestrino e gridò: — La radio!

John accese l’apparecchio, e si fermò.

“… ha riconfermato energicamente che non esiste nessun fondamento alle voci messe in circolazione. L’intera situazione è sotto controllo, e il paese possiede ancora ampie riserve di viveri.”

Gli altri smontarono e si accostarono all’automobile di John. — Qualcuno comincia a preoccuparsi — disse Roger.

“Una qualità di grano resistente al virus è stata seminata in diverse parti dell’Inghilterra, del Galles e della Scozia” continuò lo speaker “e si prevede un ottimo raccolto autunnale.”

— Una semina a luglio! — esclamò John.

— Un colpo di genio — disse Roger. — Quando circolano brutte notizie, dichiarare che la Regina delle Fate sta scendendo dal camino! In tempi come questi la plausibilità ha poca importanza.

La voce dell’annunciatore cambiò leggermente di tono. “Secondo il governo, l’unico pericolo consisterebbe in una popolazione in preda al panico. Come misura preventiva sono stati promulgati alcuni regolamenti temporanei che verranno immediatamente messi in atto. La prima di queste misure riguarda la restrizione degli spostamenti. I viaggi da una città all’altra sono temporaneamente vietati. Si spera che per domani possa essere approntato un sistema di priorità per gli spostamenti essenziali. Il divieto preliminare rimane comunque assoluto…”

— Hanno imbracciato il fucile! — disse Roger. — Venite… cerchiamo di superare lo sbarramento. Forse non sono ancora pronti a fermarci.

Le due macchine ripresero la strada verso nord. La voce rassicurante dell’annunciatore continuò a elencare i nuovi regolamenti. Poi cominciò un programma di musiche da film. Le strade presentavano il traffico abituale, con gente che andava a far compere, o che semplicemente passeggiava. Niente scene di panico lì, all’estrema periferia. Se c’erano stati subbugli, dovevano essersi verificati al centro di Londra.

Incontrarono il primo posto di blocco poco dopo Wrotham Park. Al centro della strada avevano eretto uno sbarramento. Dietro si vedevano uomini in divisa. Le due macchine si fermarono. John e Roger raggiunsero a piedi l’estremità dell’isolato. C’erano già una mezza dozzina di macchine ferme, e alcune persone stavano discutendo con un ufficiale. Altri, visto inutile ogni tentativo, si preparavano a fare inversione di marcia per tornare in città.

— Per dieci maledetti minuti! — ringhiò Roger. — Non può essere molto di più. Ci sarebbe una fila di macchine più lunga.

L’ufficiale, un giovane dai grandi occhi, gioiva visibilmente di partecipare a quello che lui considerava un piacevole diversivo.

— Mi spiace — diceva — ma stiamo eseguendo gli ordini. Nessuno può lasciare Londra.

L’uomo che stava discutendo con l’ufficiale, un tale sui cinquant’anni, tarchiato, con lineamenti semitici, esclamò: — Ma io abito a Sheffield! Sono venuto a Londra ieri.

— Le consiglio di ascoltare i notiziari radio — disse l’ufficiale. — Stanno studiando delle disposizioni per far uscire da Londra tutti quelli che si trovano nella sua situazione.

— Niente da fare, Johnny — disse Roger con calma. — Non potremmo neanche tentare di corromperlo, con tutta quella gente che gli sta attorno.

L’ufficiale continuò: — Non la considerai una notizia ufficiale, ma mi hanno detto che si tratta soltanto di una manovra. Per essere pronti in caso di un’ondata di panico. Probabilmente domani mattina ci richiameranno in caserma.

L’uomo tarchiato cercò di insistere: — Se si tratta soltanto di manovre, può benissimo lasciarci passare.

Il giovane ufficiale sorrise. — Sono spiacente. È facile finire davanti alla Corte marziale per aver trasgredito a un ordine durante le manovre. È come se fossimo in guerra. Le consiglio di passare la notte in città e ritornare domani mattina.

Roger fece un cenno con la testa e si avviò verso le macchine. John lo seguì.

— Tattica intelligente. “Non ufficiale”, “soltanto una manovra”. Così evitano anche gli scrupoli delle truppe. Mi domando se verranno lasciate qui a morire con tutti gli altri. Penso di sì.

— E se dicessimo ai soldati cosa sta per succedere?

— Non si otterrebbe niente. E ci potrebbero arrestare per aver diffuso voci tendenziose e allarmistiche. È una delle nuove disposizioni. Non l’hai sentita?

Raggiunsero le macchine.

— Cosa facciamo? — domandò John. — Abbandoniamo le macchine in un fosso e tentiamo di fuggire a piedi, attraverso i campi?

— Che succede? — domandò Ann. — Non ci lasciano passare?

— Ci saranno delle pattuglie che controllano la campagna — disse Roger. — Probabilmente pattuglie di carri armati. Proseguire a piedi non servirebbe a niente.

— Cosa possiamo fare, allora? — balbettò Ann.

Roger la guardò e rise. — Coraggio, Annie. È tutto sotto controllo.

John gli fu grato per il modo in cui aveva riso. Era riuscito a infondere una certa sicurezza anche a lui.

— La prima cosa da fare — disse Roger — è andarcene di qui prima di trovarci imbottigliati in un ingorgo. — Le macchine cominciavano a formare una lunga fila dietro di loro. — Torniamo verso Chipping Barnet. C’è una strada che svolta a destra. Passiamo avanti noi. Seguiteci.

Era una strada tranquilla (come da definizione: urbs in rure). Le due macchine si fermarono in un punto isolato. Sull’altro lato della strada c’era una fila di villette moderne, distanziate una dall’altra, ma nel punto in cui si erano fermati la strada fiancheggiava un piccolo campo.

I Buckley smontarono e raggiunsero la macchina di John. Olivia e Steve si sedettero sul sedile posteriore accanto ad Ann.

— Punto primo — disse Roger — questa strada è parallela alla A1 e ci porta ad Hatfield, ma non credo che valga ancora la pena di raggiungere questa località. Devono esserci altri posti di blocco, e non ci lascerebbero passare, come non siamo passati sulla A1.

Una Vanguard passò, subito seguita da una Austin che John ricordava di aver visto ferma al blocco stradale. Roger le indicò con un cenno.

— Qualcuno ci prova, ma sarà inutile.

— Papà — disse Steve — potremmo lanciarci a tutta velocità contro lo sbarramento. L’ho visto al cinema.

— Questo non è un film — disse Roger. — Ben pochi riusciranno a superare i posti di blocco in serata. Durante la notte ci sarà più calma, e maggiori possibilità di andarcene. Lasciamo qui la vostra macchina. Io faccio un salto in città con la mia, voglio prendere qualcosa che ci può servire.

— Non vorrai tornare indietro! — esclamò Ann.

— È necessario. Spero di non stare via più d’un paio d’ore.

John conosceva Roger troppo bene per credere che avesse veramente dimenticato qualcosa. Doveva aver avuto una nuova idea. — Credi che ci sia pericolo a lasciare la macchina su questa strada?

Roger scosse la testa.

— In questo caso vengo con te. In due saremo più sicuri.

Roger rimase un attimo pensoso. Poi disse: — D’accordo. Andiamo.

— Ma non sapete cosa può essere successo a Londra — obiettò Ann. — Può essere scoppiata una rivolta. Niente è così importante da farvi correre un rischio del genere!

— Da questo momento — disse Roger — se vogliamo sopravvivere, è necessario rischiare. Se volete saperlo, vado a prendere delle armi. La situazione precipita più in fretta di quanto pensassi. Comunque, per questa sera, non ci sarà nessun pericolo.

— Vorrei che tu restassi con noi, John — disse la moglie.

— Senti, Ann…

Roger lo interruppe: — Se vogliamo morire perdendo il tempo in chiacchiere, questo è il sistema migliore. Il nostro gruppo deve avere un capo, e i suoi ordini devono essere eseguiti all’istante. Lancia una moneta, John.

— No. Lanciala tu.

Roger prese una mezza corona di tasca e la gettò in aria.

— Scegli.

Guardarono la moneta che roteava.

— Testa — disse John.

Il dischetto di metallo cadde sull’asfalto e rotolò nella cunetta. Roger si piegò sulle ginocchia per guardare.

— Hai vinto — disse. — Cosa facciamo?

John baciò Ann e smontò.

— Torneremo il più presto possibile — disse.

— Vuoi ricominciare con le chiacchiere? — domandò Ann secca.

Roger scoppiò a ridere. — “Secol si rinnova, torna giustizia e primo tempo umano…”


— Facciamo in tempo — disse Roger. — Chiude sempre alle sei. È un negozio piccolo, c’è soltanto il padrone e un fattorino, ma è ben fornito.

Stavano avanzando in mezzo al caos delle ore di punta nella Londra del centro. In quel caos l’ordine veniva ancora imposto dalle luci dei semafori e dagli agenti addetti al traffico. Non si notava niente di insolito. Non appena scattò il verde, il solito pedone indisciplinato attraversò di corsa la strada.

— Pecore da macello — borbottò John con amarezza.

Roger lo guardò. — Speriamo che le cose vadano per il meglio. Cerca di vedere la situazione con chiarezza, e la vedrai tutta intera. Molti milioni di persone devono morire. Noi ci dobbiamo preoccupare di non far parte di questo numero.

Poco dopo il semaforo, Roger svoltò in una strada laterale. Mancavano cinque minuti alle sei.

— Ci vorrà servire? — disse John.

Roger accostò al marciapiede di fronte a un piccolo negozio con la vetrina piena di fucili da caccia. Mise il cambio in folle, ma lasciò il motore acceso.

— Certo — assicurò Roger. — Con le buone o con le cattive.

Nella bottega c’era soltanto il proprietario, un ometto dalle spalle curve e l’espressione deferente, ma con gli occhi attenti. Doveva avere circa sessant’anni.

— Buona sera, signor Pirrie. Faccio ancora in tempo?

Il signor Pirrie rimase con le mani sul banco.

— Lei è il signor Buckley, vero? Tra poco avrei chiuso. In cosa posso esserle utile?

— Ecco — disse Roger — mi servono un paio di pistole a tamburo, un paio di buoni fucili con mirino telescopico, e le munizioni, naturalmente. Ha anche delle pistole automatiche?

Il signor Pirrie sorrise. — Possiede la licenza?

— È proprio necessario? Sa bene che non sono un assassino. Ho bisogno urgente di quelle armi, e le pagherei un extra.

Pirrie scosse lentamente la testa senza staccare gli occhi da Roger. — Non faccio questo genere di affari.

— Potrebbe darmi almeno quella calibro .22?

Roger indicò, e il signor Pirrie girò gli occhi in quella direzione. Di scatto Roger l’afferrò alla gola. In un primo momento John pensò che l’ometto avrebbe ceduto, ma un attimo dopo lo vide liberarsi dalla stretta e fare un balzo indietro. Nella mano destra era comparsa una pistola.

— Fermo, signor Buckley. E anche il suo amico. Il guaio, nel voler rubare armi, sta nel fatto che si può incontrare una persona abile nel maneggiarle. Non cercate di interrompermi mentre telefono.

Indietreggiò fino ad avere il telefono a portata di mano.

— Un momento — disse bruscamente Roger. — Abbiamo qualcosa da offrirle.

— Non credo proprio.

— Che ne dice… della sua vita?

La mano di Pirrie strinse il ricevitore, ma non lo sollevò.

— Sciocchezze — disse, sorridendo.

— Allora, perché l’avrei aggredita? Sa bene che non l’avrei fatto, se non fossi alla disperazione.

— Su questo sono disposto a crederle — disse Pirrie in tono cortese. — Non mi sarei lasciato avvicinare in quel modo da nessuno. Ma non mi aspettavo un gesto disperato da un funzionario del governo. Non così disperato, perlomeno.

— Abbiamo lasciato le nostre famiglie poco lontano in un’automobile — disse Roger. — C’è posto per un’altra persona, se accetta di unirsi a noi.

— Ho sentito dire che è temporaneamente proibito uscire da Londra — disse Pirrie.

Roger fece un cenno affermativo. — Ecco la ragione per cui abbiamo bisogno delle armi. Ce ne andiamo questa notte.

— Ma le armi non le avete.

— Per colpa sua, non mia — disse Roger.

Pirrie staccò la mano dal telefono.

— Mi vorrebbe fornire una breve spiegazione di questo urgente bisogno di armi per uscire da Londra? — disse.

Rimase ad ascoltare in silenzio, senza mai interrompere. Alla fine chiese: — Una fattoria in una valle? Una valle che può essere difesa?

— Mezza dozzina di persone bastano a respingere un esercito — precisò John.

Pirrie abbassò la pistola. — Oggi pomeriggio mi ha telefonato il comandante della polizia del quartiere. Mi ha chiesto se volevo una guardia al negozio. Sembrava molto preoccupato per la mia incolumità. Mi ha detto che circolavano delle voci stupide, e che temevano qualche subbuglio.

— Non ha insistito per mandare un uomo di guardia? — domandò Roger.

— No. Forse hanno anche pensato che degli agenti di fronte alle rivendite di armi avrebbero dato nell’occhio. Adesso capite perché ero preparato alle sorprese.

— E ora, che facciamo? — sollecitò John. — Crede a ciò che le abbiamo detto?

Pirrie sospirò. — Sono convinto della vostra buona fede. A parte questo, mi ero già chiesto quale sarebbe stato il modo migliore per uscire da Londra. Pur senza prendere per buono tutto ciò che avete detto, non mi va di essere costretto a rimanere qui per forza. Ma forse faccio male a non lasciarmi convincere del tutto: vivendo in mezzo alle armi, come faccio, si perde l’abitudine di cercare il lato buono della gente.

— Bene — fece Roger — quali armi prendiamo?

Pirrie si girò verso la parete e sollevò il ricevitore del telefono. Automaticamente Roger fece un passo avanti. Pirrie guardò la pistola che aveva in mano, e la lanciò a Roger.

— Telefono a mia moglie. Abitiamo a Saint John’s Wood. Immagino che dove passano due macchine ne possano passare anche tre. Un veicolo in più può sempre essere utile.

Cominciò a comporre il numero.

— Cerchi di esprimersi con prudenza — ammonì Roger.

Pirrie attese che dall’altro capo gli rispondessero.

— Ciao, cara. Vorrei uscire questa sera. Pensavo che sarebbe carino fare una visita a sorpresa ai Rosenblum… sì, i Rosenblum. Comincia a prepararti. Io vengo a casa subito. — Riappese. — I Rosenblum vivono a Leeds — spiegò. — Millicent è rapidissima nel capire le cose.

Roger lo guardò con rispetto. — Penso che lei e sua moglie ci sarete utili — disse. — A proposito, prima di partire abbiamo deciso di eleggere un capo del gruppo.

Pirrie fece un cenno affermativo. — Ed è lei?

— No, lui. John Custance.

Pirrie guardò John per un attimo.

— Molto bene. Adesso pensiamo alle armi. Io le preparo, voi potete cominciare a caricarle sulla macchina.

Mentre portavano fuori le ultime scatole di munizioni, un poliziotto si avvicinò lentamente, e guardò con un certo interesse le confezioni.

— Buona sera, signor Pirrie. Trasferisce la merce?

— Sono per la polizia — disse Pirrie. — Mi hanno chiesto un certo quantitativo di munizioni. Vuole per cortesia tenere d’occhio il negozio? Tra poco torneremo a prenderne delle altre.

— Farò quello che posso, signore — disse il poliziotto incerto. — Devo controllare tutta la strada.

Pirrie mise il lucchetto sulla porta.

— Scherzavo — disse — ma siete voi della polizia che mettete in giro strane voci.

Salirono in macchina.

— Per fortuna non ha chiesto cosa ci stessimo a fare noi due — disse John quando si ritrovarono in mezzo al traffico.

— Gli agenti — disse Pirrie — diventano sospettosi soltanto quando si solletica la loro curiosità. Se lo si evita, non c’è niente da temere. E ora andiamo a casa mia. Vi indico la strada più breve.

Guidati da Pirrie, andarono a fermarsi dietro una vecchia Ford.

— Millicent! — gridò Pirrie, e una donna smontò dalla macchina per venire verso di loro. Doveva avere almeno vent’anni meno di Pirrie, era circa della sua statura, e aveva lineamenti graziosi, anche se un po’ duri.

— Hai preparato tutto? — domandò Pirrie. — Non torneremo più.

La donna accettò la notizia senza scomporsi.

— Penso di aver preso tutto ciò che ci può servire — disse con una lieve cadenza dialettale. — Cosa succede? Ho detto a Hilda di badare al gatto.

— Povera Ketty — fece Pirrie. — Ti spiegherò lungo la strada. — Si girò verso gli altri due. — Io salgo in macchina con Millicent.

Roger guardò la vecchia Ford.

— Non la prenda come una scortesia — disse — ma non sarebbe meglio caricarci tutti quanti sulla nostra? Il posto c’è.

Pirrie sorrise, e smontò. — Si è detto il bivio a sinistra poco dopo Wrotham Park? — chiese. — Bene, ci troveremo là.

Roger si strinse nelle spalle. Pirrie si avviò con la moglie verso la sua macchina. Roger mise in moto e li superò lentamente. Dopo un attimo, lui e John si guardarono stupiti: la Ford li aveva superati a una velocità incredibile. La videro rallentare all’incrocio, e poi scivolare nella strada principale. Roger cercò di starle dietro, ma ormai la Ford era scomparsa in mezzo al traffico.

Non la rividero finché non furono sulla grande arteria nord. Pirrie aveva accostato al marciapiede e li stava aspettando. Da quel momento li seguì senza più superarli.

Cenarono separati, nelle loro macchine. Una volta fuori Londra avrebbero mangiato insieme, ma un picnic in quella strada avrebbe richiamato l’attenzione. Avevano anche fermato le macchine a una certa distanza l’una dall’altra.

Roger aveva spiegato il suo piano a John, e lui l’aveva approvato. Alle undici, la strada dove si trovavano divenne deserta: l’estrema periferia di Londra si era messa a dormire. Rimasero comunque fermi fino a mezzanotte; non c’era luna, ma i lampioni della strada mandavano un discreto chiarore. I ragazzi si addormentarono sui sedili posteriori. Ann si mise a sedere accanto a John.

— Sei sicuro che non ci sia un altro sistema per uscire da Londra? — domandò, con un brivido.

John rimase con lo sguardo fisso davanti a sé.

— Non riesco a trovarne altri.

Ann si girò verso il marito.

— Non sei già più lo stesso, vero? L’idea di pianificare un omicidio con la massima calma… è più grottesca che orribile.

— Ann, Davey è a cinquanta chilometri da qui, ma è come se fosse a cinquanta milioni di chilometri, se ci convinciamo a dover restare in questa trappola. — Fece un cenno per indicare Mary addormentata. — E non si tratta soltanto di noi.

— Ma tutte le probabilità sono contro di noi.

John rise. — Forse che questo cambia la moralità di tutta la situazione? A proposito, senza Pirrie avremmo avuto molte meno probabilità. Adesso penso che la fuga sia possibile. Ci serviva un buon tiratore.

— Dovete sparare per uccidere?

— Si tratta della salvezza… — cominciò John. Ma s’interruppe. Aveva sentito uno scricchiolio. Roger si era avvicinato in silenzio e si era piegato verso il finestrino.

— Sei pronto, John? Ho fatto salire Olivia e Steve in macchina con Millicent.

John smontò e si girò verso la moglie.

— Ricorda, tu e Millicent dovete raggiungerci con le macchine non appena sentite il segnale con il clacson. Potete venire un po’ più avanti, se volete, ma in questo silenzio riuscirete a sentire perfettamente il clacson anche da qui.

Ann alzò gli occhi sul marito.

— In bocca al lupo.

— Crepi.

Raggiunsero la macchina di Roger, dove Pirrie li stava aspettando. Roger mise in moto, passò lentamente accanto all’automobile di John, e proseguì lungo la strada deserta. Avevano fatto una perlustrazione durante la serata, e sapevano che c’era una curva prima del posto di blocco. Si fermarono in quel punto. John e Pirrie scivolarono giù dalla macchina e scomparvero nel buio. Cinque minuti dopo Roger tornò a mettere in moto e avanzò verso lo sbarramento con una rumorosa accelerata.

Durante la perlustrazione avevano visto che il posto di blocco era tenuto da un caporale e due soldati. Due dei militari dovevano essere addormentati; il terzo, con un mitra appeso in spalla, stava passeggiando dietro la barriera.

La macchina si fermò con una frenata rumorosa. La guardia sollevò l’arma, pronto a sparare. Roger sporse la testa dal finestrino.

— Che cosa diavolo avete messo in mezzo alla strada? — gridò. — Spostate subito quella roba. — Parlava con la voce impastata, da ubriaco.

— Mi spiace — rispose il soldato — la strada è chiusa al traffico. Tutte le strade che escono da Londra sono chiuse.

— Bene, e tu riaprile! Apri questa, almeno. Io voglio andare a casa.

Dalla sua posizione nel fossato che fiancheggiava la strada a sinistra, John osservava attento la scena. Per un motivo che non sapeva spiegare, non provava nessuna tensione particolare. Solo ammirazione per la rumorosa esibizione di Roger.

Un’altra figura comparve accanto alla prima, e dopo un attimo, una terza. I fari della macchina illuminavano la strada, e le sagome dei tre militari che stavano dietro lo sbarramento si delineavano nitide nella notte. Una seconda voce, forse quella del caporale, gridò: — Stiamo eseguendo degli ordini, e non vogliamo storie. Torni indietro. Intesi?

— Intesi un corno! Cosa credete di fare voi soldatini, a ingombrare le strade in questo modo?

— Non sono affari suoi — gridò il caporale minaccioso. — Le abbiamo intimato di tornare indietro. Non voglio discussioni.

— Perché non venite a girarmi voi la macchina? — disse Roger in tono insolente. — Ci sono troppi militari in questa nazione. Buoni soltanto a mangiare le nostre razioni.

— D’accordo, amico — disse il caporale. — Come preferisce. — Fece un cenno ai due compagni. — Venite, giriamo la macchina di questo simpaticone.

Scavalcarono lo sbarramento e avanzarono al centro della strada, nella luce dei fari.

— La Guardia avanza! — gridò Roger.

In quel momento, all’improvviso, John si sentì prendere dal nervosismo. La linea bianca al centro della strada segnava il confine tra il suo territorio e quello di Pirrie. Il caporale e la prima sentinella erano dall’altra parte. Il terzo soldato era dalla sua. Avanzavano, tenendo una mano davanti agli occhi per ripararsi dalla luce dei fari.

Sentì il sudore scendergli lungo le braccia e le gambe. Sollevò il fucile cercando di tenerlo fermo. Fra poco avrebbe dovuto premere il grilletto e uccidere il suo uomo, uno sconosciuto innocente. In guerra aveva ucciso, però mai così da vicino, e mai un suo compatriota. Il sudore cominciò a scendergli anche dalla fronte, e lui temette che gli entrasse negli occhi. Ma non volle rischiare di perdere la mira per asciugarsi. “È una testa d’argilla appesa nel baraccone di una fiera…” si disse. “Una testa d’argilla che devo colpire, per Ann, per Mary e per Davey.” Si accorse di avere la bocca arida.

La voce di Roger tagliò ancora una volta il silenzio della notte. Fu uno scoppio secco.

— Adesso!

Il primo colpo echeggiò quando Roger non aveva ancora finito di pronunciare la parola. Gli altri seguirono immediatamente. John rimase immobile, con il fucile sempre puntato, mentre i tre uomini cadevano, nella luce dei fari. Rimase immobile finché non vide Pirrie uscire dal fossato opposto e chinarsi sui soldati. Poi abbassò il fucile e salì sulla strada.

Roger smontò. Pirrie guardò John. — Mi devo scusare per averle rubato il bersaglio — disse con voce fredda, come sempre. — Erano disposti troppo bene a mio favore.

— Sono morti? — chiese Roger.

Pirrie fece un cenno affermativo. — Naturalmente.

— Allora nascondiamoli subito nel fossato — disse Roger. — Poi scostiamo la barriera. Non credo che ci possa sorprendere qualcuno, ma è meglio non correre rischi.

Il corpo che John trascinò era pesante. In un primo momento evitò di guardare la faccia del soldato. Poi, fuori dal fascio luminoso, lo volle vedere. Era un ragazzo, vent’anni al massimo, con la faccia liscia e con un buco rosso in una tempia. Gli altri due si erano già liberati del loro carico e stavano spostando lo sbarramento. Gli voltavano la schiena. Allora si chinò a baciare la fronte del ragazzo, poi lo fece scivolare delicatamente nel fossato.

Non ci misero molto a togliere la barriera. Dall’altra parte c’erano sparsi gli zaini dei tre militari. Gettarono tutto nel fossato. Poi Roger raggiunse di corsa la macchina e suonò il clacson. Lo tenne premuto per tre o quattro secondi, lasciando che il suono si allontanasse nella notte.

Dopo qualche minuto sentirono il rumore delle due macchine che si avvicinavano. Comparve prima la Vauxhall di John, seguita subito dalla Ford di Pirrie. La Vauxhall si fermò. Ann si fece da parte per lasciare il volante al marito. John schiacciò l’acceleratore con forza.

— Dove sono? — domandò Ann guardando dal finestrino.

— Nel fosso.

Dopo questo, guidò per chilometri senza parlare.


Secondo quanto avevano stabilito, cercarono di mantenersi lontani dalle strade principali. Si fermarono su una via isolata che correva lungo un bosco, nelle vicinanze di Stapleford. Lì, seminascosti sotto le querce, bevvero la cioccolata che si erano portati nei thermos. Tennero accese soltanto le luci interne di una macchina. La Citroën di Roger aveva i sedili ribaltabili, e le tre donne si sdraiarono lì. I ragazzi si sistemarono sui sedili posteriori delle altre due macchine. Gli uomini presero delle coperte e andarono a distendersi sotto gli alberi.

Pirrie lanciò l’idea dei turni di guardia. Roger rimase incerto. — Non penso che si corrano rischi, in questo bosco. E abbiamo tutti bisogno di dormire. Domani ci aspetta un lungo viaggio. — Si rivolse a John. — Che cosa ne pensi?

— Dormiamo… è meglio.

John si distese sul ventre, una posizione imparata durante la vita militare. La più comoda, quando si doveva dormire sulla terra nuda. Questa volta gli parve che il disagio fisico fosse minore di quanto ricordasse.

Ma stentò a addormentarsi. E quando il sonno lo vinse, fu disturbato da sogni insensati.

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