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I cadaveri vennero fotografati e messi nel frigorifero dell’astronave, poi la cabina venne chiusa coi sigilli. Si faceva un gran chiacchierare a bordo, e Farr dovette faticare non poco per evitare che il discorso cadesse su gli Anderview.

La Terra andava avvicinandosi. Farr non aveva paura, ma provava un profondo senso di incertezza; il mistero restava insoluto: perché gli Anderview avevano tentato di giocarlo? Una volta arrivato sulla Terra avrebbe corso altri pericoli? Farr era più che mai fuori di sé. Lui non c’entrava per niente in tutti quei pasticci, e non voleva entrarci. Ma una sgradevole sensazione aveva messo radice nel suo subcosciente: nonostante tutto, era coinvolto, e non poteva far nulla per tirarsene fuori. Aveva altre cose da fare; il suo lavoro, la sua tesi, la compilazione di uno stereo che sperava di vendere a una rete radiotelevisiva.

E poi c’era qualcos’altro, una strana ansia, una pressione, come se dovesse fare qualcosa. Di tanto in tanto, veniva preso da un senso di insoddisfazione, come se fosse rimasto sepolto nelle profondità del suo cervello qualche problema che non aveva saputo risolvere. Non c’entravano né gli Anderview né il loro assassinio, non c’entrava niente. Ma era qualcosa che doveva fare… qualcosa di cui si era dimenticato, o che forse non aveva neppure mai saputo…

Omon Bozhd gli parlò una volta, nella sala comune. — Ora sapete che un pericolo vi minaccia — gli disse. — Sulla Terra non potrò aiutarvi.

Il risentimento di Farr nei suoi confronti era sempre vivissimo, e gli disse: — Probabilmente, sulla Terra sarete giustiziato per assassinio!

— No, Aile Farr, non ci sono prove contro di me.

Farr osservò con attenzione il suo scialbo viso. Iszici e Terrestri, evolutisi da ceppi diversi, avevano assunto la stessa approssimazione umanoide: uno discendeva dalle scimmie, l’altro dagli anfibi. Ma ci sarebbe mai stata comprensione fra le due razze?

— Dunque, non siete stato voi a ucciderli.

— Mi pare inutile ripetere una cosa tanto ovvia a un uomo dell’intelligenza di Aile Farr.

— Avanti, ripetetela, invece. Sono uno stupido. Li avete uccisi?

— Non è cortese da parte vostra esigere una risposta a una domanda simile.

— Benissimo, e allora fate a meno di rispondere. Ma perché avete cercato di addossare la colpa a me? Sapete benissimo che non sono stato io. Che cos’avete contro di me?

— Niente di niente — rispose Omon Bozhd con l’ombra di un sorriso. — Il delitto, se di delitto si tratta, non potrà mai esservi imputato. Gli investigatori vi rilascerebbero dopo un paio di giorni, per riprendere le indagini verso un’altra direzione.

— Perché avete ritirato la vostra accusa?

— Ho capito di essermi sbagliato. Sono un ominide, e quindi ben lungi dall’essere infallibile.

Per poco Farr non soffocò di rabbia. — Perché non la smettete di parlare per allusioni? Se avete qualcosa da dire, sputatelo fuori!

— Farr Sainh è troppo insistente. Non ho niente da dire. Ho riferito il messaggio che mi avevano incaricato di portargli; spero non si aspetti che metta a nudo la mia anima.

Farr sogghignò. — Potete star sicuro di una cosa… se mai vedrò l’occasione di mettervi i bastoni fra le ruote, non la lascerò certo perdere.

La stella che era il Sole diventava di giorno in giorno più luminosa. Man mano che la Terra si avvicinava, Farr si sentiva sempre più inquieto, al punto da non riuscire a dormire. Aveva lo stomaco sconvolto da un malore provocato dall’ansia, dalla perplessità, dal risentimento, dall’impazienza che lo divoravano. Come se tutto ciò non bastasse, la ferita alla testa continuava a dargli fastidio. Invece di guarire, continuava a prudere e a bruciare. Farr temeva di aver preso qualche infezione e la prospettiva lo allarmò: già gli pareva di veder l’infezione dilagare, i capelli che cadevano tutti, la cute del cranio raggrinzirsi assumendo il pallido colore di quella degli Iszici. E intanto, anche lo strano senso di urgenza continuava a tormentarlo. Continuava a pensare e a ripensare, ma senza costrutto, e l’unica cosa che ne ricavava era una rabbia maggiore.

Finalmente, dopo il viaggio più lungo e sgradevole che Farr avesse mai fatto, l’Andrei Simic entrò nel sistema solare.

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