6

Farr salì a bordo della Lhaiz prima che l’XI dell’Auriga fosse completamente spuntato all’orizzonte e la vista della distesa del Pheadh gli diede un senso di sollievo. L’equipaggio era al lavoro e tutta la Lhaiz era pervasa da quella particolare atmosfera carica di elettricità che si nota sulle navi in procinto di salpare. Farr gettò il suo scarso bagaglio in cabina, andò alla ricerca del capitano e gli disse che poteva partire. Il capitano rispose con un inchino, poi impartì diversi ordini all’equipaggio. Passò mezz’ora, ma la Lhaiz era sempre all’ancora. Farr chiese al capitano il motivo del ritardo.

Indicando un uomo che stava lavorando intorno alla chiglia, il capitano rispose: — Stanno riparando una falla, Farr Sainh. Fra poco potremo salpare.

Farr tornò a sedersi a poppa. Passò un altro quarto d’ora, e già cominciava a interessarsi dell’attività del porto, del passaggio di Iszici a strisce di diversi colori, quando arrivarono gli Szecr, che salirono a bordo. Parlarono con il capitano, che impartì subito ordini all’equipaggio.

Le vele si gonfiarono di vento, vennero ritirati gli ormeggi, il sartiame scricchiolò… Farr si alzò furibondo. Voleva ordinare agli Szecr di tornarsene a terra, ma non lo fece, perché sapeva che sarebbe stato inutile. Schiumando d’ira trattenuta, tornò a sedersi, mentre la Lhaiz prendeva il mare. Si lasciarono alle spalle l’atollo di Tjiere, che ben presto divenne una linea nebbiosa sull’orizzonte, e poi scomparve. Il battello faceva rotta verso occidente, prendendo il vento di prua. Farr non capiva, non aveva impartito ordini particolari. Perché andavano da quella parte? Chiamò il capitano, e gli disse: — Non vi ho dato ordini: perché andate a ovest?

Il capitano sollevò un settore degli occhi. — La nostra destinazione è Jhespiano. Non e lì che volevate andare, Farr Sainh?

— No — ribatté Farr per puro spirito di contrarietà. — Dobbiamo far rotta a sud, verso Vhejanh.

— Ma Farr Sainh, se non andiamo subito a Jhespiano non arriverete in tempo per la partenza dell’astronave.

Farr era talmente sbalordito che quasi non riusciva a parlare. — Che cosa ne sapete voi? Ho forse espresso il desiderio di partire con l’astronave?

— No, Farr Sainh, no che io sappia.

— E allora vi prego di non cercar più di indovinare le mie intenzioni. Faremo vela per Vhejanh.

— Lo so che bisogna prendere in seria considerazione i vostri ordini — rispose il capitano meditabondo — ma non posso nemmeno trascurare gli ordini degli Szecr. Essi vogliono che la Lhaiz si diriga verso Jhespiano.

— In tal caso, gli Szecr dovranno pagare il nolo di questa imbarcazione. Io non vi darò un soldo.

Il capitano si allontanò a passo lento, per andare a consultarsi con gli Szecr. Ne seguì una breve discussione, durante la quale sia il capitano che gli Szecr si voltarono più d’una volta a guardare Farr, che continuava a starsene seduto a poppa. Infine la Lhaiz virò bruscamente verso sud, e i due Szecr si allontanarono furiosi.

Man mano che procedeva il viaggio, Farr si sentiva sempre più inquieto. L’equipaggio faceva il suo dovere, ma gli Szecr si comportavano addirittura con insolenza, arrivando a perquisire la sua cabina senza nemmeno chiedergliene il permesso. Farr si sentiva più un carcerato che un turista, e aveva l’impressione che lo provocassero deliberatamente, al solo scopo di rendergli insopportabile la permanenza sul pianeta. “In tal caso non faranno molta fatica” osservò tra sé Farr. “Il giorno in cui lascerò Iszm sarà il più felice della mia vita.”

L’atollo di Vhejanh spuntò all’orizzonte: quel gruppo di isole avrebbe potuto essere il gemello di Tjiere. Farr scese, anche se non ne aveva voglia, e non trovò niente di più interessante da fare che sedersi sul terrazzo dell’albergo con un bicchierino di narciz una bevanda aspra, leggermente salata, che si ricavava dalle alghe e che gli Iszici di Pheadh consumavano in gran quantità. Mentre stava per andarsene notò una bacheca in cui era esposta la fotografia di un’astronave, e un orario degli arrivi e delle partenze. Vide così che dopo tre giorni sarebbe partita da Jhespiano la motonave Andrei Simic. Poi, per altri quattro mesi, non ci sarebbero state altre partenze. Farr studiò l’orario con grande interesse, tornò poi sulla Lhaiz, pagò il noleggio, e ripartì in aereo per Jhespiano.

Arrivò la sera dello stesso giorno e prenotò subito un biglietto sull’Andrei Simic, destinazione Terra, dopodiché provò un gran senso di pace e di sollievo. “Che situazione ridicola” disse tra sé, un po’ sprezzante e un po’ divertito. “Sei mesi fa non pensavo ad altro che a visitare pianeti sconosciuti, e adesso voglio solo tornarmene al più presto a casa”.

L’albergo dello spazioporto di Jhespiano era costituito da un fitto groviglio di parecchi alberi. A Farr fu assegnato un grazioso baccello che guardava il canale dal quale si entrava nella laguna e che portava al centro della città. Ora che sapeva quando sarebbe partito, Farr tornò di buon umore. L’unica seccatura era la costante sorveglianza da parte degli Szecr, che era talmente ossessionante da indurre Farr a lamentarsene, prima con la direzione dell’albergo, poi con il tenente Szecr, senza tuttavia ricavarne soddisfazione alcuna. Alla fine si decise a rivolgersi all’amministratore di distretto del Trattato, che abitava in un bungalow, una delle pochissime case non vegetali di Iszm. L’amministratore era un Terrestre basso e grasso, col naso aquilino, capelli neri crespi e modi esagitati, che ispirò subito antipatia a Farr. Nonostante ciò, gli espose le proprie lagnanze, e l’amministratore gli promise che si sarebbe informato in merito.

Il giorno dopo Farr tornò da lui, e questa volta l’amministratore fu appena appena cordiale, anche se invitò Farr a colazione. Mangiarono su una terrazza prospiciente il canale, su cui transitavano baccelli-barche cariche di frutti e di fiori.

— Mi sono informato sul vostro caso presso la Centrale Szecr — disse l’amministratore. — Si sono comportati ambiguamente, al contrario del solito. Infatti abitualmente dicono pane al pane, e mi aspettavo che vi avrebbero accusato di spionaggio.

— Non riesco ancora a capire perché mi perseguitino così.

— A quanto pare eravate presente quando una banda di Arturiani…

— Thord.

— … quando una banda di Thord tentò un’incursione in massa su una delle piantagioni di Tjiere.

— È vero.

— Senza dubbio ciò è bastato per destare i loro sospetti. Ritengono che una o più spie, travestite da turisti, abbiano progettato e diretto l’incursione, ed evidentemente sono convinti che uno dei responsabili siate voi.

— È incredibile! Gli Szecr mi hanno somministrato degli ipnotici, sottoponendomi poi a interrogatorio. Sanno tutto quello che so. E, dopo, il principale piantatore di Tjiere mi ha accolto in casa sua come ospite d’onore. Non possono credere che io sia coinvolto nel complotto! È impossibile! Irragionevole!

L’amministratore si limitò ad alzare le spalle, senza far commenti.

— Può darsi. Gli Szecr ammettono di non avere nessuna prova concreta contro di voi. Tuttavia continuano a sospettarvi.

— E così, anche se sono innocente, devo continuare a subire le loro molestie? Mi pare che un simile trattamento non sia previsto né dalla lettera, né dallo spirito del Trattato.

— Forse avete ragione — ammise l’amministratore, un po’ seccato. — Credo di poter asserire che conosco il Trattato almeno quanto voi — s’interruppe per versare a Farr una tazza di caffè, e così facendo gli scoccò una rapida occhiata. — Io parto dal principio che non siate colpevole… ma forse sapete qualcosa. Avete comunicato con qualcuno che loro sospettano?

— Mi hanno gettato in una cella insieme a un Thord — dichiarò con un gesto d’impazienza Farr — ma ho scambiato con lui solo poche parole.

Ma l’amministratore non sembrava convinto. — Eppure dovete aver fatto qualcosa che ha destato i loro sospetti. Nonostante quel che ne pensate, gli Iszici non hanno l’abitudine di dar fastidio alla gente.

— Ma si può sapere chi rappresentate voi? — esplose Farr, perdendo la pazienza. — Me o gli Szecr?

— Cercate di vedere la situazione dal mio punto di vista — ribatté l’amministratore con freddezza. — In fin dei conti non è poi impossibile che voi siate quello che loro credono.

— In primo luogo dovrebbero provarlo. E se anche fosse, voi dovreste essere il mio legale. Per che altro siete qui, se no?

L’amministratore eluse la domanda. — Io so solamente quello che mi avete detto. Ho parlato col comandante iszico, che non si è sbottonato. Forse voi siete una testa di legno, un uccello da richiamo, o un incaricato, ecco cosa credo che pensino. E credo pure che stiano aspettando di vedervi fare una mossa falsa, o che li conduciate da qualcuno che potrebbe tradirsi.

— Allora aspetteranno un bel pezzo. Sono io la parte lesa, non loro.

— In che senso?

— Dopo l’incursione mi hanno imprigionato. Vi ho detto che mi avevano preso di forza e gettato nel cavo di un tronco, in una cella sotterranea. In quell’occasione, cadendo, mi sono ferito alla testa, e ne porto ancora il segno. — Si tastò sospirando la testa, dove i capelli stavano ricrescendo. Era chiaro che l’amministratore non aveva intenzione di agire. Guardandosi intorno, disse: — Questo posto dovrebbe essere a prova di suono.

— Non ho niente da nascondere — rispose brusco l’amministratore. — Possono ascoltarmi in ogni momento della giornata… come probabilmente fanno. — Si alzò e chiese: — Quando parte la vostra nave?

— Fra due o tre giorni, dipende dal carico.

— Vi consiglio di sopportare la sorveglianza a cui siete sottoposto, senza prendervela troppo.

Farr lo ringraziò e si congedò. Gli Szecr lo aspettavano fuori, e s’inchinarono educatamente quando comparve in strada. Farr sospirò rassegnato, deciso a fare buon viso a cattivo gioco, non essendoci altra alternativa.

Tornato in albergo fece una doccia nel nodulo trasparente attaccato al baccello. Il liquido era fresco e lattiginoso e usciva da una protuberanza come latte dalla mammella di una mucca. Dopo aver indossato abiti puliti fornitigli dall’albergo, scese sulla terrazza e, stanco di essere solo, si guardò intorno. Aveva già scambiato qualche parola con alcuni ospiti dell’albergo: i signori Anderview, missionari pellegrini, Jonas Ralf e Wilfred Willeran, ingegneri terrestri che tornavano in patria dalla grande Strada Equatoriale di Capella XII e ora sedevano in compagnia di un gruppo di insegnanti in gita turistica, appena arrivati su Iszm; tre viaggiatori di commercio che vendevano merci terrestri nella zona di Monago, il cui ceppo dopo centocinquant’anni dall’inizio del commercio aveva già preso le caratteristiche somatiche di Monago, o Taurus 61 III. A destra c’erano tre Nenes, antropoidi alti e snelli, volubili e chiaroveggenti, poi un paio di studenti terrestri, e quindi un gruppo di Grandi Arturiani che, dopo aver vissuto un milione di anni su un pianeta diverso dall’originario Thord, manifestavano tratti somatici differenti da quelli nativi; dall’altra parte dei Monagi sedevano quattro Iszici a strisce rosse e viola di cui Farr ignorava il significato e, poco oltre, un altro Iszico in blu, nero e bianco, intento a bere con grande concentrazione un bicchierino di narciz. Farr lo fissò stupito: non poteva esserne certo perché tutti gli Iszici gli sembravano uguali, ma quell’individuo gli pareva proprio Omon Bozhd.

Come se avesse sentito su di sé lo sguardo di Farr, l’uomo si voltò, fece un cenno, poi si alzò e si avvicinò a Farr. — Posso sedermi accanto a voi?

Farr gl’indicò una sedia: — Non mi sarei mai aspettato di avere il piacere di rinnovare così presto la vostra conoscenza.

Omon Bozhd rispose: — Non sapevate che avevo in progetto di visitare la Terra?

— No di certo.

— Strano.

Farr non fece commenti.

— Il nostro amico Zhde Patasz Sainh mi ha incaricato di riferirvi un messaggio. In primo luogo vi trasmette tramite mio un distinto saluto di tipo 8 e il senso del suo rammarico per le noie che avete subito nell’ultimo giorno trascorso a Tjiere. Ci pare ancora incredibile che quel Thord possedesse forza sufficiente per fare quello che ha fatto. In secondo luogo, vi consiglia di scegliere i vostri amici con molta cautela, nei prossimi mesi e, in terzo luogo, mi affida alle vostre cure e alla vostra ospitalità sulla Terra, dove sarò uno straniero.

— Come faceva Zhde Patasz a essere al corrente della mia intenzione di tornare sulla Terra? Lasciando Tjiere avevo altri progetti.

— Gli ho parlato ieri sera per telecom.

— Capisco — borbottò Farr. — Be’, naturalmente farò tutto il possibile per voi. Che parte della Terra visiterete?

— Non ho ancora fatto progetti completi. Devo ispezionare le case di Zhde Patasz nelle diverse piantagioni, e quindi dovrò viaggiare parecchio.

— Cosa significa che dovrò scegliere con cautela i miei amici?

— Nient’altro che questo. A quanto pare, sono arrivate fino a Jhespiano voci riguardanti l’incursione dei Thord, con qualche esagerazione, come sempre accade in questi casi. Certi elementi criminali, dando credito a quelle voci, potrebbero interessarsi alla vostra attività… ma corro troppo. — Omon Bozhd si alzò improvvisamente, fece un inchino e se ne andò, lasciando Farr a bocca aperta.

La sera dopo, visto il rilevante numero di ospiti terrestri, la direzione dell’albergo organizzò un trattenimento musicale con musica e rinfreschi terrestri, a cui parteciparono quasi tutti gli ospiti dell’albergo, terrestri e no.

Farr si sbronzò un po’ di whisky e soda, al punto da ritrovarsi a corteggiare insistentemente la più giovane e carina delle insegnanti in gita turistica. La ragazza ricambiava le sue attenzioni, e decisero quindi di andare a fare una passeggiata, tenendosi sottobraccio, sulla spiaggia.

Parlarono poco, ma d’un tratto la ragazza si volse e, guardandolo con stupore, dichiarò: — Se mi è lecito dirlo, non mi sembrate il tipo.

— Il tipo? Che tipo?

— Oh, sapete bene… un uomo capace di prendere in giro gli Iszici e di rubar loro gli alberi sotto il naso.

— Il vostro fiuto non sbaglia — rispose ridendo Farr. — È vero, non sono un tipo simile.

Lei gli lanciò un’occhiata in tralice. — Ho sentito dire diversamente, e da fonti attendibili.

Cercando di parlare in tono leggero, Farr domandò: — Ah sì? E cosa avete sentito?

— Be’, credo che si tratti di una cosa da tenere segreta, perché se gli Iszici ne fossero al corrente vi manderebbero nella Casa dei matti, quindi non mi aspetto che facciate ammissioni compromettenti… Però la persona che me ne ha parlato è degna della massima fede, e naturalmente io non ne farò parola ad anima viva. Ma vi dico fin da ora che sono dalla vostra parte.

— Non ho la minima idea di che cosa stiate parlando.

— Già, immaginavo che avreste risposto così… in fin dei conti io potrei essere una spia degli Iszici. Ne hanno, sapete?

— Una volta per tutte: non so di che cosa stiate parlando!

— Dell’incursione a Tjiere — spiegò la giovane. — Corre voce che voi l’abbiate organizzata, con lo scopo di portare alberi di contrabbando sulla Terra. Ne parlano tutti.

— Che cumulo di stupidaggini! — rise amaro Farr. — Se fosse vero non credete che me la sarei già squagliata? Ma no! Gli Iszici sono molto, ma molto più intelligenti di quanto credete… Com’è nata questa ridicola idea?

La ragazza era visibilmente delusa. Era certo che avrebbe preferito un astuto ladro di alberi all’innocente ma comunissimo Aile Farr. — Non lo so.

— Dove l’avete sentita?

— All’albergo. Ne parlavano.

— Si tratta di discorsi privi di fondamento, tanto per far colpo.

La ragazza non rispose, ma sulla via del ritorno si mostrò molto più fredda e riservata.

Si erano appena rimessi a sedere, quando quattro Szecr, con l’acconciatura che ne rivelava l’alto grado, attraversarono la sala e, avvicinatisi al tavolo di Farr, si fermarono, inchinandosi rigidamente. — Se a Farr Sainh non dispiace, la sua presenza è richiesta altrove.

Farr fu lì lì per rispondere per le rime. Gli occhi dei presenti erano tutti fissi su di loro, e la giovane insegnante era eccitatissima.

Dominandosi a stento, Farr domandò: — Dov’è richiesta la mia presenza, e perché?

— Vi debbono essere poste alcune domande sullo scopo della vostra visita a Iszm.

— E non si potrebbe aspettare fino a domani?

— No, Farr Sainh. Per favore, seguiteci subito.

Fu accompagnato in un piccolo albero da tre baccelli, vicino alla spiaggia, dove Farr trovò ad aspettarlo, seduto su un divano, un vecchio Iszico, che lo invitò ad accomodarsi a sua volta, poi si presentò come Usimir Adislj, della casta di cui facevano parte i sapienti, i teoretici, i filosofi e altri formulatoli di princìpi astratti.

— Sapendo della vostra presenza a Jhespiano e della vostra prossima partenza, ho creduto mio dovere conoscervi senza perdere tempo. So che la vostra professione sulla Terra riguarda il medesimo campo dello scibile che costituisce una delle nostre maggiori preoccupazioni. È vero?

— Sì — ammise brusco Farr. — Sono molto lusingato per la vostra attenzione, ma avrei preferito che si manifestasse in termini meno enfatici. All’albergo tutti sono convinti che io sia stato arrestato dagli Szecr per aver rubato case.

— La tendenza alla morbosità è caratteristica degli ominidi che discendono dalle scimmie — sentenziò Usimir Adislj. — Si tratta di un sentimento che, a parer mio, andrebbe considerato con il massimo disprezzo.

— Sono perfettamente d’accordo con voi — convenne Farr. — Ma era proprio necessario mandare quattro Szecr per portarmi il vostro invito? Tutto ciò mi è parsa una vera mancanza di tatto.

— Non importa. Uomini della nostra levatura non debbono preoccuparsi di simili quisquilie. E adesso parlatemi della vostra professione e dei vostri interessi personali, vi prego.

Farr e Usimir Adislj discussero per quattro ore di Iszm, della Terra, dell’Universo, dei mutamenti dell’uomo e delle previsioni per il futuro. Quando gli Szecr — ridotti ora a due subordinati — vennero finalmente per riaccompagnare Farr all’albergo, questi dovette riconoscere di aver trascorso una piacevolissima serata.

Quando, il mattino seguente, comparve sul terrazzo per la prima colazione, fu accolto con un senso di timore reverenziale. La signora Anderview, la graziosa mogliettina del missionario, dichiarò: — Eravamo sicuri che vi avessero messo in prigione… o forse perfino nella Casa dei matti. Stavamo per decidere se non sarebbe stato meglio avvertire l’amministratore.

— S’è trattato di cosa da nulla — rispose Farr. — Un equivoco. Grazie, comunque, per il vostro interessamento.

Anche i Monagi vollero dire la loro. — È vero che voi e i Thord siete riusciti a farla agli Szecr? Se è vero quel che si dice, noi potremmo farvi delle ottime offerte per un albero femmina… casomai ne aveste una disponibile.

— Non sono capace di farla a nessuno — tagliò corto Farr — e non ho alcun albero femmina disponibile.

I Monagi annuirono strizzando l’occhio furbescamente: — Certo, certo, non se ne può discutere su Iszm dove anche l’erba ha orecchie.

Il giorno dopo arrivò l’Andrei Simic e l’ora della partenza venne fissata per le nove antimeridiane di due giorni dopo. In quei due giorni, Farr trovò gli Szecr asfissianti come non mai. La sera precedente alla partenza, uno gli si avvicinò per dirgli molto cerimoniosamente: — Se Farr Sainh ha tempo disponibile sarebbe desiderato all’ufficio imbarco.

— D’accordo — sospirò Farr, rassegnato al peggio. Lasciò il bagaglio allo spazioporto e si presentò all’ufficio d’imbarco aspettandosi di esser sottoposto a uno snervante interrogatorio.

Ma sbagliava. Fu accompagnato al baccello del vicecomandante Szecr che, senza i soliti preamboli e cerimonie, disse: — Farr Sainh, sicuramente vi sarete accorto che durante questi giorni ci siamo interessati a voi.

Farr non poté negarlo.

— Ora vi rivelerò il motivo di questa sorveglianza. Vi abbiamo tenuto d’occhio perché eravamo preoccupati per la vostra sicurezza.

— Come?

— Temevamo che foste in pericolo.

— In pericolo? Ma è ridicolo!

— Niente affatto. La sera del trattenimento musicale abbiamo trovato una spina avvelenata sulla vostra sedia. Un’altra volta, scoprimmo che la bibita che vi avevano servito era avvelenata.

Farr rimase a bocca aperta per lo stupore. Doveva esserci qualche sbaglio, qualche terribile sbaglio… Ma come? E dove?

— Ne siete proprio certi? — domandò. — Mi sembra incredibile.

L’Iszico, in un’espressione divertita, contrasse i filamenti che dividevano i due settori dell’occhio. — Ricorderete le formalità connesse al vostro arrivo qui. Le leggi ci permettono di sorvegliare l’importazione delle armi, ma il veleno è una cosa diversa. Si può avvelenare un granello di polvere con dieci milioni di batteri virulenti e nasconderlo senza la minima difficoltà. Perciò, uno straniero che abbia intenzione di ricorrere all’assassinio, deve limitarsi allo strangolamento o all’avvelenamento. La vigilanza degli Szecr evita che vengano commesse violenze, perciò dobbiamo star attenti soprattutto al veleno. Quali ne sono i veicoli? Cibo, bevande, punture. Dopo aver classificato i mezzi per raggiungere tali fini, giungiamo a una sottodivisione che dice testualmente: “Spine avvelenate, schegge o aculei fatti per penetrare o pungere cosce, anche e glutei mediante pressione verticale con l’ausilio della forza di gravità”; di qui la nostra sorveglianza su tutti i sedili, poltrone, banchi su cui vi siete seduto.

— Capisco — mormorò attonito Farr.

— Il veleno che era stato messo nella bibita è stato scoperto grazie a un reagente che diventa scuro quando l’altra soluzione è stata manipolata; vedendo che uno dei vostri whisky e soda era diventato più scuro del normale, l’abbiamo eliminato e sostituito.

— Davvero stupefacente — disse Farr. — Ma chi può desiderare di avvelenarmi? E per quale motivo?

— Sono stato autorizzato a impartirvi solo questi avvertimenti.

— Ma… contro che cosa?

— I particolari non vi servono.

— Ma se non ho fatto niente!

Il vicecomandante Szecr fece roteare il suo occhialetto. — L’universo conta otto miliardi d’anni a dir poco, e solo negli ultimi due miliardi si è sviluppata la vita intellettiva, razionale. In tutto questo tempo, però, non c’è stata una sola ora in cui abbia trionfato la giustizia assoluta. Sarebbe quindi stupefacente se questa eventualità si verificasse esclusivamente a vostro beneficio.

— In altre parole…

— In altre parole state attento, guardatevi intorno, non seguite donnine seducenti in camere buie. — Tirò un lungo cordone e poco dopo comparve un giovane Szecr. — Accompagna Aile Farr Sainh a bordo della Andrei Simic. Aboliamo le altre formalità.

Farr lo fissò incredulo.

— Sì, Farr Sainh — dichiarò lo Szecr. — Siamo convinti che abbiate dimostrato la vostra onestà.

Farr uscì dal baccello in preda a una grande perplessità. C’era qualcosa che non andava… gli Iszici non rinunciavano mai, per nessuna ragione, a interrogare ed esaminare tutti.

Quando fu solo nella sua minuscola cabina dell’Andrei Simic, si lasciò cadere sul pannello elastico che fungeva da letto. Lo Szecr gli aveva detto di star attento, perché la sua vita era in pericolo. Era un pensiero inquietante. Sebbene Farr fosse decisamente coraggioso e pronto ad affrontare nemici tangibili, era impotente di fronte a questa larvata minaccia, e il pensiero di non poter sapere né come né quando né perché volessero ucciderlo, gli dava un senso di nausea… Naturalmente il vicecomandante Szecr poteva essersi sbagliato, o aver espresso vaghe minacce per indurre Farr ad allontanarsi da Iszm.

Farr si alzò per ispezionare a fondo la cabina, ma non trovò niente di inaspettato, né cellule fotoelettriche, né strani congegni. Radunò le sue poche cose in modo da potersi accorgere se ci fosse stato qualche cambiamento nell’ambiente, poi, aperto il pannello scorrevole, sbirciò nel corridoio di vetro opaco era completamente vuoto. A passo veloce, Farr si recò nella sala comune per consultare l’elenco dei passeggeri. Erano ventisette in tutto, lui compreso. Riconobbe alcuni nomi: i coniugi Anderview, Jonas Ralf, Wilfred Willeran e Omon Bozhd; altri, traduzioni approssimate di nomi stranieri, non gli dissero nulla.

Farr tornò nella sua cabina, vi si chiuse a chiave e si coricò.

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