Dicono che un artista deve rappresentare i suoi tempi. Non dicono perché; forse pensano che sia lo specchio a creare l’immagine. Se l’artista protesta, Procuste è sempre là pronto con la sua fida sega arrugginita.
Spesso nella notte, a Nuber, dal suolo si leva una nebbia, che fluisce intorno alle case solitarie… le case lo sono sempre: isole che la gente ha messo insieme a palate, come luoghi di riposo lungo il viaggio. La nebbia assorbe il tocco terreno dei passi, il suono delle risate sottovoce, i mormorii d’amore e d’incoraggiamento. La nebbia è un’ambiguità e una meraviglia. La si respira come un vapore e si diventa, diciamo, più saggi; nella nebbia si trova almeno una saggezza confusa, una capacità di dire quello che non si direbbe mai alla luce del giorno o sotto gli inviti stravaganti della luna.
Lungo i viali e le strade dove anche gli alberi dormicchiavano, la nebbia salita dal suolo si univa a un vapore che arrivava a ondate da oriente, dal varco tra le colline. La notte odorava d’aria salmastra, della selvaggia solitudine dell’oceano. La nebbia cedeva talvolta alla persuasione d’una candela ancora accesa a una finestra, oppure si diradava per rivelare la spinta dell’angolo di un edificio, di un palo per legare i cavalli, di una staccionata. In quella traversata, Garth e Frankie erano le guide. A Demetrios davano l’impressione di un mondo medievale: gli archi di frassino e le faretre facevano parte di loro, pratici come il fucile d’un soldato del ventesimo secolo. Entrambi conoscevano ogni giravolta come una volpe conosce la sua collina, conoscevano ogni passo, dalla triste baracca in cui erano nati, all’ombra del Muro di Re Brian, fino alla Grande Strada del Sud. La sezione dove i Giardini finiscono e lasciano che la città si sollevi contro al Muro viene chiamata Outer Wall Street; alcune baracche si appoggiano a quella massa, e la pioggia sgocciola attraverso le giunture raffazzonate. Il padre dei due ragazzi, quando lavorava, raccoglieva per le strade il letame, e lo vendeva agli agricoltori a prezzi da fame.
Demetrios li seguiva e di tanto in tanto toccava le loro camicie o le loro borse, per trarne conforto. Il bastone di noce soddisfaceva la sua mano destra. Dietro di lui venivano Angus, Brand e Bosco.
— Dobbiamo arrivare lontano, stanotte? — Appena ebbe finito di parlare, Demetrios si irritò di quel suono lagnoso che gli era uscito dalla gola. Angus non poteva avere dormito per tutta la notte precedente, quand’era incominciata l’epurazione; doveva avere attraversato i confini dell’inferno, mentre Demetrios se ne stava comodo a letto con Solitaire e il Professore.
— Non molto lontano, Demetrios, — rispose gentilmente Angus. — Abbiamo pensato, dopo aver raggiunto gli altri, di andare avanti fino alla casa infestata, che è piuttosto lontana dalla Strada del Sud, e di fermarci là a riposare, almeno fino alle prime luci. Ho sentito che nessuno ci si avvicina, per paura dei fantasmi.
— Va bene.
— Ma non dobbiamo restarci molto, Mister Angus, — disse Garth. — Loro potrebbero lanciare i cani sulle tracce di Demetrios o sulle tue, e i cani di solito non si fanno fermare dai fantasmi, e neanche gli uomini, almeno di giorno.
— Persino nella Città Interna c’è qualcuno che non ci crede. — Il tono della voce di Angus non era tutto divertimento. — Come me.
— Davvero? — La voce di Garth era turbata, e il turbamento venne riecheggiato da un incerto suono gutturale, da parte di Bosco, laggiù in fondo nel buio… non era un buio pesto: la luna esercitava il suo potere sulla nebbia, e i viaggiatori avevano l’impressione di essere nuotatori che salgono alla superficie, in nuove dimensioni di respiro e di movimento. — Uomo Demetrios, mia zia ha interrogato il libro sul tuo sogno. Il libro ha detto che la ferrovia è un discorso del sogno… vedi, è la scienza della… subcoscienza, e la vera strada da fare sarà di sicuro sull’acqua, per un lungo viaggio. Lo ha detto il libro, tutte le volte che mia zia lo apriva a caso, e poi lei mi leggeva… cioè, non voglio dire proprio leggere, ma comunque sapeva quel che voleva dire.
— La ringrazio, — disse Demetrios, ripensando all’èra della scienza. Per più d’un secolo era riuscita a tenere a freno, in qualche modo, la tendenza umana ad accettare i brancolamenti della magia primitiva come rivelazioni e verità mistiche. Non poteva insegnare i suoi metodi se non a pochissimi (si era impegnata a farlo? Demetrios non ne era sicuro); e non poteva sopprimere la corruzione generata dai doni che la stessa scienza aveva gettato a sciocchi dotati di potere… si era impegnata a farlo? Quando i computer venivano impiegati nello sviluppo commerciale dell’astrologia, dei tarocchi, della stregoneria e in cose simili… ebbene già allora, molto prima del 1993, eravamo già spacciati. — Attraverseremo l’acqua, — disse Demetrios, — e diventeremo più vecchi. — Si augurò che l’orecchio sensibile di Garth non captasse il sarcasmo e la collera che avevano minacciato di erompere dalle sue parole come un rutto da uno stomaco inacidito.
Garth è buono, amabile, gentile. Non mi ha appena aiutato a uscire da una fetida prigione? Quando sono stato incaricato dì trasformarlo in un razionalista del ventesimo secolo, in un’epoca che odia la ragione, anche ammettendo che io sia in grado di farlo? Comunque…
Cosa possiamo sperare? Cosa possiamo fare? Accettare la nuova èra dell’oscurantismo come inevitabile nel ritmo della storia?
I periodi delle grandi illuminazioni tendono ad essere brevi — la Grecia, il Rinascimento europeo — e poi la povera, sbigottita razza umana deve tornarsene nella sua tana a digerire. È un’analogia falsa: la razza umana non è una persona, e l’oblio non è digestione.
Cosi… noi speriamo, fingiamo di credere che la ragione possa alimentare la luce in qualche luogo segreto, per altri secoli squallidi in cui nulla è certo, tranne il potere della non-ragione? Che altro?
La luce della luna che rivelava la faccia di Frankie divenne più tenera.
Oh, accidenti, Garth può imparare, come può imparare Frankie, o Angus. E se SONO davvero incaricato io? Autoincaricato… dovrei dire. Metti prima ordine nel tuo cervello, Demetrios: cominciando da adesso.
— Questa dev’essere la Strada del Sud, — disse Garth. La nebbia, non più alta delle loro ginocchia, scorreva come un fiume di silenzioso biancore incanalato tra muraglie di aceri e di sempreverdi e di querce, e le sommità nerazzurre delle fronde erano spruzzate, scintillanti di stelle.
Gli uomini le avevano volute; avevano sognato di avvicinarle. Avevano raggiunto la Luna; avevano mandato congegni sbalorditivi sulle distese desolate dì Venere, di Marte e di Giove, ad ascoltare e a spiare ed a trasmettere rapporti crepitanti al pianeta dove essi giocavano ancora con i tarocchi e il gas nervino e i balocchi nucleari pieni di difetti.
Assioma dell’etica fabbricata dall’uomo: Gli esseri umani si scelgono i propri fini, secondo il complesso di desideri e d’informazioni che domina il loro pensiero. Corollario: I fini saranno buoni (secondo qualunque criterio venga impiegato per «buono») purché i desideri siano buoni e le informazioni attendibili. Conclusione (una delle tante): Un vecchio in possesso di informazioni relativamente attendibili non può esimersi dall’obbligo d’insegnare… Definire «attendibili». Definire «obbligo»… oh, sto parlando a vanvera. Divento vecchio…
Lo strido d’una civetta, simile alla risata d’un ventriloquo, risuonò nell’oscurità lattiginosa davanti a loro, a lato della strada: due richiami in rapida successione. Il suono trovò una risposta immediata… tutto intorno a lui, parve a Demetrios, ma vide le labbra di Frankie in lento movimento, e poi la mezzaluna, diventando più luminosa, mostrò la ricchezza del ghigno di Frankie. Demetrios bisbigliò: — È stata Solitaire?
— Gliel’ho insegnato questo pomeriggio, — disse Frankie. — Sono il cervello della banda. — E chiamò sottovoce: — Tutto bene. Siamo noi.
Emerse un’ombra con tre corpi, dalla nebbia che sembrava sempre sul punto di dissolversi e non si dissolveva mai del tutto: come qualcosa che ne facesse parte — una mollezza, uno sfocamento della vista come la miopia di Angus Bridgeman o le esitazioni di Demetrios, avrebbe sempre accompagnato i viaggiatori, placando l’umana bramosia per le certezze — e divenne tre anime distinte, che portavano piccoli zaini, e sfidavano la notte e la foresta, giovani e non giovani. C’era la piccola dolce Solitaire e il Professore che portava il suo liuto bene avvolto per proteggerlo dall’umidità; e una sagoma più pesante e massiccia rivolse verso la luna la faccia attenta di Babette.
Angus parlò sottovoce. — Tu conosci già questi amici, Brand. — Brand abbassò la testa e trottò avanti, silenzioso come fumo. Solitaire tese il braccio, per parlargli con la mano. La compagnia era formata da otto elementi.
— O Demetrios! — Solitaire non lo baciò. Gli premette il viso contro il petto, e si tenne stretta, facendo dal corpo magro di lui un rifugio. — Demetrios, Demetrios, sacro alla terra.
— Il mio nome… lo sapevi, amore?
— Demetrios dimentica quello che ha detto a Solitaire, ma ella non dimentica mai niente, tranne se stessa. — Frankie e Garth sorvegliavano la strada nelle due direzioni; nessuno viaggia per le strade di notte, neppure per la Grande Strada del Sud; o quasi nessuno; nessuno che sia rispettabile. — Solitaire ha una cosa da dire… non adesso… presto… prima o poi. Demetrios ne sarà felice, forse. Solitaire vuole portare anch’ella un bastone come Demetrios. Il Professore pensa che qualcuno taglierà un bastone per Solitaire.
— Sarà meglio, — disse Babette. — Uomo Demetrios, sii benedetto, sono venuta solo per vederti partire, poi devo tornare dalla mia Madam, lei non resisterebbe tre giorni senza di me.
La compagnia era formata, in un certo senso, da sette elementi. Ma era di più, perché uno degli aspetti più sorprendenti dell’amore è il rapporto che ha con il ricordo… adesso lo so con certezza, io che scrivo questo libro, perché una volta un vecchio, quando io non ero più grande di un puntolino lasciato da una mosca, mi prese sulle ginocchia e disse: «Ecco una pupa! Cos’è una pupa? Una pupa è una piccolina, una pupa è una carina, ed ecco una pupa!» Io allungai le mani e afferrai una manciata di barba bianca, con un bacio. Ora l’amore di mio padre e di mia madre e di alcuni altri mi aveva circondata come il mare si muove alla perfezione intorno a un pesciolino, ma in quel momento con Barbabianca (non ho idea di chi fosse, non l’ho mai saputo) scoprii che l’universo contiene esseri singoli che possono spalancare i loro paesi d’amore per farti entrare un po’. Perciò Barbabianca resta con me: ma quelli che non posso soffrire… li tratto odiosamente: li dimentico. Demetrios avrebbe portato per sempre con sé Babette, dovunque andasse (chiedendosi sempre: La rivedrò dopo questa notte?) il suo seno ampio, la sua gaia franchezza, la faccia tonda, il sorriso aperto.
Angus chiese: — Posso avere l’accetta?
— Sicuro, — disse Garth, guardando la strada. — Quando vuoi, Mister Angus, proprio tu. Frankie?…
Frankie si sganciò dalla cintura la piccola ascia da campeggio del Tempo Antico. Tolse la custodia di cuoio, e sotto il chiaro di luna il filo della lama diventò un arco di ghiaccio fiammeggiante. Era evidente, nel linguaggio delle mani di Frankie, che per lui la cura dell’Accetta era un impegno sacro; e che non capiva perché dovesse adoperarla Mister Angus, e non egli stesso o Garth.
— Uomo Garth, — disse Angus, — non voglio più sentirti dire «Mister Angus». Non ho più posto nella Città Interna e non lo voglio, né voglio altro posto se non in questa compagnia.
Garth guardava la strada. — Va bene, Angus. Prova con quella quercia, là dove tende un ramo. — Frankie mise l’Accetta nella mano di Angus, e andò con lui, e abbassò il ramo perché Angus lo tagliasse, e gli restò vicino mentre lo sgrezzava, con una piegatura naturale per manico, e poi rendeva l’Accetta.
Frankie dovette strofinarne il filo con la camicia. — Quell’Accetta, — disse Angus, — è stata ben curata. — Frankie annuì, senza dir nulla, senza trovare un motivo per un sogghigno, solo per un sorriso diverso, che splendette e svanì nella luce bianca. Angus portò il bastone a Solitaire. Ella si staccò dalle braccia di Demetrios per prenderlo e soppesarlo nella mano. — È verde, — disse Angus. — Maturerà.
— Tutto matura, — ella disse. — Le pietre e le stelle. Adesso Solitaire può appoggiarsi a un bastone, se è stanca o impigrita o irritata.
— Dobbiamo proseguire, — disse Garth. — Frankie, aiutami a cercare la strada per la casa infestata. A me potrebbe sfuggire.
— La pietra bianca, ricordi? — Ma quando la Compagnia ebbe percorso un centinaio di passi lenti lungo il canale scoperto e nebbioso della Strada del Sud, fu Frankie a dire: — Eccola. Lasciate che vada avanti io, al buio ci vedo meglio. Voi mettetevi in catena dietro di me.
— È più di un’ora che non mi chiami Bullo.
Molti momenti più tardi (non un tempo misurabile), mentre la Compagnia avanzava in quella che per Demetrios era una galleria di tenebra ininterrotta, con le dita agganciate alla cintura di Garth, la mano di Solitaire nella sua, gli altri come anelli di una catena di nervi che per un po’ faceva di loro un unico corpo, la voce sommessa di Frankie arrivò a Demetrios: — E tu non chiamarmi più Peste. — Poi, qualche volta, la voce di Frankie avvertiva, abbastanza chiara perché la sentisse anche Bosco, in fondo alla fila: — Camminate di traverso, — oppure: — Rovi, rovi. — Oppure: — Un tronco abbattuto, non cadete. — Poi finalmente (dopo un tempo non misurabile): — Il cervello della banda vede il chiaro di luna, più avanti… — E un’onda leggera d’ilarità scorse lungo tutta la Compagnia, poiché lo stesso Frankie aveva passato la sua osservazione con una risata.
Entrando nella radura pallida dietro a Garth e a Frankie, Demetrios non vide subito la casa infestata, perché era accovacciata nell’angolo più buio dello spazio rischiarato dalla luna, dove la foresta l’aveva stretta con braccia di vite selvatica, e aveva spinto nel cortile anteriore un pino che adesso era alto il doppio dell’edificio, senza riuscire tuttavia a catturare ancora quella cosa antica. I suoi occhi scoprirono una pennellata di luce lunare su una superficie di ardesia che non era stata la natura a disporre, e tre occhi di finestre senza vetri sopra l’urlo muto di un vano senz’uscio. Garth disse, meditabondo: — Dentro, i pavimenti sono di pietra. I semi non ci possono trovare neanche una crepa, altrimenti avrebbero fatto come quel pino, dovunque arriva un raggio di sole.
— Stile coloniale? — disse Demetrios. — Per Dio, credo di sì. Non ho mai saputo che ci fosse. Avrei potuto inventarle una storia apposta.
— Non c’era ragione di saperlo, — disse Garth. — Adesso siamo a più di un miglio dalla Strada del Sud, e qui non viene mai nessuno. Che cos’è lo stile coloniale?
— Tempo Antico molto antico, prima di… diciamo, dell’età delle meraviglie. Questa casa può essere stata costruita più di trecento anni fa.
— C’è una casa coloniale nella Città Interna, — disse Angus. — La tengono in perfetto stato. Si chiama Museo Olandese.
— Olandese, — disse Bosco. — È un altro nome di quei maledetti indiani. No, ho visto una vecchia casa a Albany, mi pare che la chiamassero coloniale, solo che il governo non permetteva di entrarci.
Solitaire rabbrividì nel cavo del braccio di Demetrios; Babette aveva fatto il segno della Ruota. — Ah, quelli che abitavano qui erano solo esseri umani, — disse Demetrios, — e morti da molto tempo; e questo è solo un edificio che non va facilmente a pezzi. — Una civetta lanciò il suo richiamo e uscì svolazzando da una finestra, per portare un’ombra attraverso la luna. — I muri sono robusti, Garth?
— Sono robusti… pietra. Dentro resta un poco di intonaco e di rifiniture di legna, qualcuno deve avere rubato tutto un po’ per volta. Anche le tegole del tetto, dietro non ce n’è quasi più… No, Frankie, no! — Perché Frankie si era avvicinato al vano nero della porta e parlava come un gufo: — Tuuuu… chi è? Tuuu… chi è? — E alla protesta di Garth rispose: — Perché, non dobbiamo entrare?
La casa infestata stava serena nei suoi trecento anni. Udirono mormorare arpe eolie, un fruscio della fauna modesta che in quel secolo aveva deciso di stabilirsi lì. Il Professore raggiunse Frankie sulla soglia, con aria protettiva. Bosco stava borbottando: — Abbiamo qualcosa per far luce? Il posto non mi spiacerebbe, con un po’ di luce.
— Nel mio zaino ho qualche torcia di pino con il portatorcia, — disse Garth.
— Solitaire può accenderne una, — disse Solitaire.
— Va bene. — Tutti, incluso se stesso, pensò Demetrios, avevano aspettato quell’approvazione di Angus. Al riparo della giacca allargata di Angus, Solitaire accese una fiamma con esca e acciarino. Due visi dorati si fronteggiarono, in una loro isola di luce. Solitaire era così immersa nelle sue scoperte che Garth dovette toccarle la mano, per ricordarle la torcia ch’egli reggeva, in attesa.
A modo loro erano buone invenzioni: rami di pino fasciati di stracci, talvolta impregnati di olio di pino… o trementina, se insistete. Il ramo è aguzzo, in modo che lo si può infilare in una specie di candeliere, che può essere piantato nel terreno, oppure in una grappa a muro; intorno al foro c’è una guardia, come l’impugnatura di un fioretto, per proteggere la mano di chi lo regge. Una buona torcia brucia bene e con calma per diverso tempo. L’èra dell’elettricità avrebbe potuto facilmente produrre in massa quegli oggetti, per venderli come antichità, ma la storia dice che, a suo danno eterno, non li produsse… per via del pericolo degli incendi.
Garth levò alta la sua buona torcia. La Compagnia lo seguì nella casa silenziosa.