CAPITOLO 3 MA COS’È LA PACE?

L’immane conoscenza mi trasforma in un dio.

Nomi, imprese, grigie leggende, eventi atroci, ribellioni,

Maestà, voci sovrane, sofferenze,

Creazioni, distruzioni, tutto insieme

Si precipita dentro al mio cervello…

Keats, HYPERION.


Gli ascoltatori si dispersero. Demetrios si sforzò di ricordare quando era sgattaiolato via l’uomo dalla faccia chiusa: dopo quelle osservazioni sulle nazioni, le persone, le folle, che potevano irritare i superiori di quell’uomo… i quali dovevano trovarsi nella Città Interna, sicuramente.

Da buon portinaio, Demetrios desiderava rispettare la legge, purché la legge avesse un po’ di senso. Egli non aveva quella spinta interiore, simile alla disperazione e alla vanità, che anima la mente del rivoluzionario. La polizia della città-stato di Nuber non faceva paura a Demetrios. Raramente aveva visto i poliziotti comportarsi male. Certo, non era prevenuto nei loro confronti. Da ragazzetto, non aveva provato il comprensibile odio verso la polizia, nutrito in genere dagli americani del ventesimo secolo; l’acuto, tranquillo senso dell’umorismo di suo padre lo aveva distolto anche da altri eccessi.

L’agente Joe Park, compiuto il suo dovere, si allontanò a passo di marcia, agitando una mano in direzione della donna alla finestra per far capire che aveva sentito l’insulto. Demetrios si alzò rigido; prontamente, con discrezione, la mano di Garth l’aiutò. Il cavallo da tiro sbuffò sul collo di Demetrios. Garth borbottò: — Odio quegli stupidi poliziotti, gli piscerei nella birra. — Erano parole sorprendenti, in bocca al mite Garth. — La settimana scorsa uno ha picchiato Frankie che non aveva fatto niente, solo fatto pipì contro la statua, nei Giardini, quella vicina all’ingresso, mi pare sia san Franklin, con il mento a badile. Lo fa un sacco di gente… Frankie ha solo dodici anni; non dovevano picchiarlo.

— Brand non ce la fa mai a passare davanti a quella maledetta statua senza fermarsi, — disse il giovane con il canelupo. — Tira il guinzaglio se cerco di fermarlo, così qualche volta mi fermo anch’io a fare lo stesso. — Il cane scodinzolò contento alla musica del proprio nome. — Io sono Angus Bridgeman, signore.

— La pace sia con te, Angus, con te, — disse Demetrios. — Il mio nome lo conosci. — La sua stanchezza si disperdeva, come se il calore di quel giovane gli entrasse nelle vecchie ossa e nelle giunture. — Sarà bene che ce ne andiamo, non si sa mai, Joe può avere gli occhi nella schiena. E io devo andare in Comune… ma non oggi. Andrò a casa: sono stanco. Madam, c’era abbastanza amore nella mia storia?

— Beh, c’era dell’amore. Vi inviterei tutti a prendere una tazza di tè, ma la casa è in disordine e fra poco tornerà a casa il mio uomo.

— Sarà per un’altra volta. Sii benedetta.

— E anche tu, uomo Demetrios. E voi fate i bravi ragazzi. — I tre si avviarono per la strada. La faccia della donna si rattristò, come un campo diviene squallido quando il sole l’abbandona alle nubi vaganti; e volse le spalle alle opere del mondo.

A questo punto io che scrivo questo libro devo intromettermi un istante — non più di un istante, vi prometto, e poi vi lascio e mi dileguo — per dire che questa donna non è una finzione (o stelle del giorno, che cos’è la finzione?)… anzi, rimasi un giorno o due in casa sua durante il mio ultimo ritorno a Nuber, e non era serena e tranquilla e di nuovo in stato interessante? Esiste veramente, ma per prudenza non vuole che si faccia il suo nome. Adesso vi lascio.

— Io mi fermo qui, — disse Garth, a un angolo. — Allora devo chiedere a mia zia di guardare il libro per il tuo sogno, Demetrios?

— Sì, Garth, — disse Demetrios, riconoscente. — E riferiscimelo.

— Tu stavi andando a ovest su un… un treno della ferrovia.

— Sì, sì, e può darsi che sia passato da Aberedo, ma quel pensiero mi ha soltanto sfiorato, come l’ombra di un gufo sotto la luna.

— Ci vediamo.

— Sì, Garth. Pace.

— Pace, Demetrios, Mister Bridgeman. — Garth se ne andò, e i passi aspri del suo cavallo si allontanarono con un rumore secco per Franklin Street, dove i mattoni avevano sostituito l’asfalto rovinato del Tempo Antico. Harrow Street, dove c’era pochissimo traffico di carri tirati da buoi e da cavalli, conservava ancora diversi tratti dell’antica pavimentazione, e di tanto in tanto le buche sgretolate dal gelo venivano riparate, per ordine del Comune, con qualche badilata di terra. Mentre camminava insieme al giovane silenzioso e al suo grosso cane grigio, Demetrios pensò alla parola Pace. Oggi la si diceva come un tempo «Arrivederci» o «Ciao»… per la verità l’abitudine era incominciata molto tempo addietro, prima del 1993, ma nel secolo ventesimo sembrava avere avuto sfumature pie, la convinzione che soltanto le persone religiose potessero conoscere il significato della pace. Ma adesso nessuno ci pensava, come per secoli nessuno aveva ricordato che «Addio» derivava da «Ti raccomando a Dio»! Ma che cos’è la pace? È qualcosa di più dell’assenza di lotte e confusione?

— Sei davvero narratore da quindici anni? È più di tre quarti della mia vita.

— Debbono essere circa quindici, Angus Bridgeman. Tu hai diciannove anni, Angus?

— Il mese prossimo.

— Vivi in salute. Sì, qui a Nuber, si può proprio dire che abbia inventato io la professione di narratore. Gli imitatori mi lusingano… no, effettivamente ce ne sono di migliori di me, lo so.

— Non è falsa modestia, questa? Non credo che ce ne siano di migliori.

— Forse. — L’osservazione severa del ragazzo era stata come uno strattone al braccio. — C’è una vanità che accompagna inevitabilmente la professione di narratore. Mio padre mi diede un esempio di umiltà intellettuale, rara in un’dottore, e che non si trova affatto nei ciarlatani di oggi. Ma io ho quella vanità. Un pomeriggio, oziavo all’angolo d’una strada, con la testa piena dei miti del mondo, e successe così. Dissi: «Ascoltate me che vi parlo…» La mia voce suonava bene, e cominciai a raccontare la storia degli Argonauti, con le mie invenzioni… Tu sei parente di quel Simon Bridgeman che fu il vero fondatore di Nuber?

— Simon era mio zio, di sedici anni più vecchio di mio padre che… che è morto l’anno scorso. Mio padre aveva solo quattordici anni quando suo fratello fu assassinato, e Simon governò solo poco più di due anni… non è esatto?… prima dell’assassinio.

— Sì, circa due anni. Quando io arrivai qui con il gruppo di Judd, Simon Bridgeman aveva già organizzato la nuova comunità e accettava i profughi. La voce si era sparsa, anche in quella confusione.

— Ti ho sentito raccontare storie, per la prima volta, quattro anni fa. All’angolo di Broad e di Dover Street, e avevo quindici anni. Anche allora era un pomeriggio di luglio, ma molto caldo; sudavamo tutti e tu avevi attirato una folla piuttosto rumorosa. Io ero con mio padre e quindi non ero libero di… non ero libero. — La voce di Angus era accesa dai toni acuti della tarda adolescenza. Demetrios si chiese se il ragazzo non avesse fatto apposta a distoglierlo, con molto tatto, dal parlare dei Bridgeman… troppo importanti nella Città Interna, si diceva, perché Brian II e la sua amministrazione volessero entrare in conflitto con loro. — Anche quella volta era la storia degli Argonauti. Mi avevi incantato. Io ero Giasone.

— I greci difficilmente la riconoscerebbero.

— Peggio per loro. Hai fretta di ritornare a casa, Demetrios?

— Ah, è un posto piacevole, e c’è una cara donna, e io sono stanco. Sono portinaio da Madam Estelle, a Redcurtain Street… l’arte è una nobile professione, ma bisogna pur mangiare. Avrei sempre tempo per te, Angus Bridgeman.

— Sei molto gentile. Ti chiedo un favore: posso guardarti da vicino? Mi spiego. Sono miope. Non riesco a vedere la faccia della luna, anche se la gente mi dice che ce l’ha… beh, non è niente di male, posso immaginarla secondo la mia fantasia. È stata una fortuna che abbia sentito la tua voce quando ho svoltato per Harrow Street. Lascia che ti guardi bene, proprio te… ti dispiace? — Le sue mani si posarono leggermente sulle spalle di Demetrios; una teneva il guinzaglio di Brand con un dito agganciato all’impugnatura. Brand osservava con intransigente attenzione, lui che era capace di amare o di odiare nel bagliore di un secondo. Demetrios sentì l’alito pulito di Angus a poche dita dal suo viso e vide la fronte ampia aggrottarsi in uno sforzo di concentrazione. La faccia di Angus era offerta all’attenzione del vecchio, se ci teneva a scrutarla a sua volta.

Sebbene non fosse ancora intaccata dall’esperienza, la faccia di Angus non aveva nulla d’amorfo o d’incompiuto; i lineamenti erano impeccabili, la carnagione chiara e sana. Tutti i Bridgeman avevano grossi nasi diritti e mascelle sporgenti; ma in Angus quell’aria di severità era addolcita da una bocca tenera e gaia. Le mani erano ammirevoli, cariche di forza latente; i capelli di un bruno scuro sfumato di rosso cadevano pesanti, all’altezza delle spalle, sulla tunica bianca come la panna. Demetrios non ricordava dì averlo mai visto prima, insieme a Steven Bridgeman, la cui morte, ricordava, era stata circondata da sommesse voci di avvelenamento; ma la morte di un aristocratico famoso suscitava inevitabilmente dicerie del genere, nella Città Esterna. A quindici anni, Angus doveva essere stato già bello quanto adesso; forse era stato un giorno in cui Demetrios si era sentito acido, senza amore per la folla, e aveva desiderato che gli ascoltatori se ne andassero già nell’istante in cui aveva cominciato a parlare… e tuttavia doveva aver parlato abbastanza bene, perché Angus lo ricordasse. — Siamo amici.

— Così sia, Angus. — Angus ritrasse le mani.

— Dovevi essere già qui, allora, quando mio zio fu assassinato. Nell’Anno Tre… venticinque anni prima della mia nascita. La politica… è uno schifo.

— L’Anno Tre, sì. Non ero sulla piazza del mercato, quando accadde. La comunità, qui, considerava Simon Bridgeman il suo capo… Eravamo un migliaio, allora, e molti altri continuavano ad arrivare. Rimanemmo molto demoralizzati. C’erano stati, vedi, tutti i sogni e le speranze che gli esseri umani nutrono dopo essere sopravvissuti a un errore atroce. Avremmo fatto finalmente tesoro dell’esperienza, avremmo costruito un nuovo mondo alla luce della ragione e della giustizia, e così via. E poi il capo che ammiriamo e amiamo viene massacrato sulla piazza del mercato da tre sicari armati di coltelli, e non sappiamo più cosa fare. Non sapevamo, e meno ancora potevamo provarlo, chi avesse assoldato gli assassini, se pure qualcuno l’aveva fatto. Avevano agito di loro iniziativa, disse Brian, che era stato un oscuro collaboratore di Simon, e prima della guerra era stato il suo avvocato. Erano fanatici pieni di rancore, disse Brian.

— C’era folla, no?

— Sì, una piccola folla s’era raccolta sulla piazza del mercato per ascoltare Simon che spiegava un nuovo sistema di tasse L’assassinio fu commesso in modo esperto, Angus. Prima che la gente avesse capito quello che era successo, i tre uomini erano già in periferia, e poi si perdettero nei boschi. Ma tutto questo devi già saperlo.

— Non molto bene. È un fatto antico, come certi brani della storia, come il martirio di Abraham che ebbe luogo quando io avevo due anni. Beh, forse non proprio così. Dopotutto, mio padre era in piazza del mercato e vide i coltelli. Il tuo racconto è identico al suo. Così nessuno li fermò, scapparono e basta.

— Sì, Angus.

— E Brian I, che inventò l’etichetta «Repubblica del Re»… Dio, ma non aveva mai guardato un dizionario? Anche lui morì prima che nascessi io. Morì promettendo la restaurazione degli Stati Uniti.

— Può darsi che non avesse un dizionario. Brian I era piuttosto intelligente, e comunque era astuto. Uno di quegli uomini ebbri di potere che dicono apertamente ai loro contemporanei: «Guardate, tutti voi siete dei bricconi, e lo sono anch’io, così farete quello che voglio.» I tipi del genere vengono considerati onesti e bonari, anche se è molto raro che lo siano sia pur lontanamente. È il vecchio, noioso sistema per giustificare il tuo odore dichiarando che tutti puzzano. Faceva parte delle fondamenta del culto della disperazione del ventesimo secolo.

— Brian II è durato. Dittatore della Repubblica del Re per tutta la mia vita. — Come ali di pipistrello, sul limitare del pensiero di Demetrios, si agitarono le parole: Agente provocatore? Demetrios lo scacciò, deciso; quel ragazzo non l’avrebbe tradito, e il solo pensiero era tradimento. — Anche il muro tra la Città Interna e quella Esterna fu innalzato prima della mia nascita. Fino a quando ho avuto tredici anni, tutto quello che stava oltre quel muro era pura teoria.

— Fu innalzato nell’Anno Quattro, Angus. Brian I disse che era la risposta della legge e dell’ordine allo snaturato, snaturato assassinio di Simon Bridgeman.

— Davvero? Eresse un muro contro se stesso?

— Non sappiamo con certezza se fu lui ad assoldare i sicari.

— Uhm. Il muro è diventato più piccolo. Demetrios, amico, in questi ultimi mesi, da quando la mia famiglia mi ha permesso di aggirarmi per la Città Esterna senz’altra guardia che Brand, mi sono sentito… oh, come un pulcino appena uscito dal guscio… Posso parlarti così? Non mi sembri spaventato o… ecco, guardingo, come sono quasi tutti, con me, nella Città Interna. Tu non cerchi di accattivarti i miei favori, e non misuri le parole che pensi vadano bene per me.

— Noi siamo amici.

— Così sia, Demetrios. — Proseguirono insieme, lentamente, e anche Brand era soddisfatto, seguendo il padrone di fianco, come era stato addestrato a fare, rispettando le gambe umane. — Mio zio non aveva una polizia privata?

— Mi pare. Simon Bridgeman, ricordo, si comportava come se pensasse di non aver nulla da temere da parte di coloro che lo circondavano. Brian I… chiamalo medievale, o forse eterno: Machiavelli l’avrebbe capito. Ma tuo zio Simon Bridgeman era un uomo del ventesimo secolo, Angus. Prima dello sfacelo era un uomo d’affari, perciò sapeva cosa significava farsi dei nemici, lottare con le armi sudice del danaro e dell’influenza, ma non si preoccupava di ritrovarsi con un coltello piantato nel ventre; questo capitava di rado ai principi mercanti del ventesimo secolo, a meno che non si dessero alla politica. Era un uomo ricco di quel secolo, e piuttosto colto. Aveva previsto il disastro e aveva convinto i suoi ricchi vicini, alcuni dei quali erano autentici fetenti, tra l’altro, ad unirsi a lui per creare un’isola di sopravvivenza. Scavarono nelle viscere della loro montagna e la ribattezzarono Mount EverIasting, Monte Eterno… direi una pessima scelta,’perché non è forse naturale che anche le colline si usurino e scompaiano come noi?

— Perché venisti a Nuber, allora, nell’Anno Uno?

— Judd Wilmot inseguiva una voce che avevamo sentito dopo… dopo Aberedo. Avevamo sentito dire che qui c’era una comunità che andava bene, e che accettava i nuovi arrivati. Il nome ci aveva confusi, perché avevamo sentito dire anche che Newburgh e le altre città sul fiume Hudson erano state demolite dalle inondazioni, soprattutto da quella successiva a un grande terremoto a nord di Albany. Avevamo visto con i nostri occhi quel che facevano le piogge: inondavano le autostrade, spazzavano via i ponti, acri ed acri di acqua fangosa turbinante. Fu quella una delle ragioni per cui impiegammo da luglio a settembre solo per arrivare dal Missouri alla Pennsylvania. Un giorno, dopo Aberedo, incontrammo un piccolo gruppo come il nostro: solo che loro erano convinti che le cose andassero molto meglio all’ovest! Il buon vecchio Judd si arrabbiò moltissimo con loro, e loro con noi. Viva la divergenza d’opinioni, e le teste che spacca! Beh, il nostro dissidio con loro non fu così violento. Loro ci dissero che il Mohawk e l’Hudson erano straripati dai Finger Lakes fino al mare. Nessuno sapeva cosa stesse facendo il lago Ontario. Ci spiegarono che Nuber era una cittadina appena costruita intorno al nucleo di un villaggio del Tempo Antico e ad un fantastico rifugio sotterraneo, parecchie miglia al di qua della vecchia città di Newburgh. Era stata costruita poco prima da un branco di pazzi, dissero, perché Dio si accingeva a distruggere tutto il Nord-Est degli Stati Uniti. Wall Street era in parte responsabile del turbamento emotivo di Jehova. — Angus sorrise, senza comprendere bene. — La stessa profezia era stata fatta durante il passaggio della cometa di Halley nel 1986… allora avevo sei anni, se riesci a immaginarlo.

— Mio padre si ricordava delle piogge.

— Le piogge, sì… In quei tempi orribili, altri vennero a sapere di Nuber. Arrivammo qui contemporaneamente a molti altri che giungevano da ogni direzione. Tuo zio si occupava di noi e trovava posto per quasi tutti: era severo soltanto con quelli che non erano disposti a lavorare per la nuova città. Con queste mie mani, Angus, aiutai a costruire la torre di Simon Bridgeman sulla cima di Mount Everlasting, e più tardi, sotto la monarchia… scusami, la Repubblica del Re… murai alcune delle pietre che hanno racchiuso e protetto la tua infanzia.

— E adesso credo che tu mi aiuti ad attraversare il muro. Non lo sapevi, Demetrios?

— Qualche volta è uno dei compiti dei vecchi. Qualche volta è la loro ragione migliore per restare vivi, anche se ne abbiamo delle altre.

— Io non ti vedo vecchio.

— Sono vecchio abbastanza… Bene, tuo zio Simon Bridgeman, che era un uomo intelligente, probabilmente sapeva che presto l’afflusso dei profughi dal caos si sarebbe arrestato… non c’erano più sistemi di comunicazione, e la popolazione superstite era poco numerosa. Brian Gorman, che prese il nome di Brian I dopo l’assassinio, sembrava una nullità, quando era vivo Simon; un uomo arido, che non aveva niente di notevole, tranne una voce pesante che raccontava barzellette sconce, ripetendo echi di battute che erano state saporite e originali quando le avevano dette per la prima volta Abraham Lincoln o W.C. Fields.

— Che cosa significa, dire che qualcuno è un grand’uomo?

— Forse un grand’uomo è quello che riesce a non sintonizzarsi sui suoi tempi e che tuttavia si fa sentire… per il bene e per il male: ci possono essere grandi uomini malvagi e grandi uomini buoni. La storia ci offre ritratti completi di molti di loro, e altri ne ha sepolti nelle concimaie delle note a piè di pagina.

— La mia testa sta per scoppiare, Demetrios. Ho incominciato a detestare l’aristocrazia artificiale cui appartengo. È priva di base… no? Suppongo che presto affermeremo di essere la nobiltà, con altri sfoggi di cose stupide e inutili.

— I modelli vecchi di secoli tornano a imporsi.

— Ma è insignificante, insignificante.

— Il significato non è chiaro, questo sì. Tu cerchi un significato della vita, Angus?

— Ho letto i libri… so cos’era l’America e ciò che poteva diventare… sì, sì, lo cerco. È possibile che qualcuno non desideri cercarlo?

— Il significato dobbiamo fabbricarcelo da soli, non cercarlo. — Il ragazzo lo fissò. — Le anime malguidate… gli assetati di potere, i crudeli, gli avidi e gli stupidi… anche loro debbono fabbricarsi un significato; anche se immaginano che Dio o il Capo glielo abbiano preparato bell’e fatto, vi è sempre l’atto del consenso, dell’accettazione. E le utopie crollano perché sono imperniate sulla falsa convinzione che ognuno vorrebbe lo stato ideale e immaginario, se riuscisse a capirlo… col cavolo che lo vorrebbe. Ognuno vuole il suo paese di sogno, magari un paese che includa anche la schiavitù e la sferza.

Gli sto dicendo troppe cose, troppo in fretta? La vita di Angus, nella Città Interna, rifletté Demetrios, doveva essere come quella di chi si trova nella quiete dentro l’occhio del ciclone. Intorno a lui turbinava la politica del potere di un piccolo mondo ancora traumatizzato, tra vecchie e nuove regole inestricabilmente aggrovigliate, la nostalgia per un’era della scienza che ardeva ancora in una cultura dove predominavano le pariglie di buoi, la vanga, l’arco e le frecce. Demetrios aveva intravvisto Brian II, nel corso delle rare, pseudodemocratiche apparizioni del Re nella Città Esterna: gli aveva ricordato un dittatore italiano molto fotografato del ventesimo secolo, il cui cadavere, quando la marea si era rivolta contro di lui, era stato appeso a un lampione accanto a quello della sua amante… circa cento anni prima, eppure qua e là esistevano ancora, indubbiamente, fotografie di quell’appropriata oscenità medievale. Spesso è imbarazzante e difficile capire in quale secolo si vive, ad ogni dato momento.

— Fabbricarsi un significato… Demetrios, non voglio trattenerti dal tornare a casa, ma non vorresti venire un po’ nei Giardini? C’è una discreta taverna, lì vicino… potrei offrirti qualcosa da bere? Mi insozzano con assai più danaro di quanto ne possa spendere, anche con le donne… del resto, non mi piace comprare il sesso. Potremmo parlare ancora… sedere sull’erba, vicino a Paddy’s Place, dove nessuno può origliare.

— Demetrios non ha mai rifiutato di bere un bicchiere insieme a un amico. Conosco bene Paddy, e qualche volta ho raccontato le mie storie davanti a quell’edificio che chiamano il tempio, lì vicino. Nei Tempi Antichi, Paddy sarebbe stato un bandito, oppure un rivenditore di auto usate.

Seguirono l’erta di Harrow Street fino al parco intorno al muro alla cui costruzione aveva contribuito anche Demetrios, in gioventù. Dall’altra parte del muro sorgevano le terrazze e gli edifici di pietra grigia della Città Interna, fino alla sommità ampia e arrotondata di Mount Everlasting. C’era roba buona da bere, nella taverna bassa e lunga che, si diceva, risaliva ai Tempi Antichi, e sulla faccia da ranocchio di Paddy, mentre li serviva, c’era un’espressione di stupore cortese ma evidente, cosa stava complottando il vecchio Demetrios con un Bridgeman biancovestito? Ma Paddy era un buon pirata, la cui unica battuta di spirito era che evitava il raffreddore tenendo il naso fuori dagli affari altrui. Non c’era ressa, sul prato di Paddy. Angus e Demetrios poterono mangiucchiare il formaggio e bere il vino di Katskil, vecchio di due anni, in santa pace, guardando le nubi temporalesche che si allargavano sopra le colline. I Giardini erano abbastanza in alto per permettere di scorgere, attraverso un varco tra le montagne, le acque del Mare di Hudson.

— Riesci a vedere il punto in cui s’incontrano il mare e il cielo?

— Senza troppa certezza, Demetrios. È la luce che mi parla.

Non molto lontano, in una parte più erbosa e frequentata dei Giardini, c’era il Tempio, che avrebbe potuto avere un nome, se un dio vi avesse dimorato… l’invito malinconico d’un nome non bastava più, da solo, ad attirare la gente. Era un tetto di legno di quindici metri per sei, montato su colonne di pietra (gli abitanti di Katskil avevano sentito dire che il grande terremoto a nord di Albany non c’era mai stato) e la sua costruzione era stata finanziata circa dieci anni prima da un filantropo della Città Interna. Costui riteneva che il Popolo dovesse avere un piacevole luogo di ritrovo, per svaghi come le danze popolari; voleva chiamarlo «il Mall», e doveva essere come il Partenone ma più grande; poi, quando il danaro aveva cominciato a scarseggiare, aveva permesso che fosse più piccolo, purché fosse rettangolare. E lo era: ma sulla trabeazione non c’erano fregi di splendore e di guerra… soltanto le tegole, che sembravano più linde e che avrebbero richiesto una manutenzione minore. Nel ventesimo secolo, il filantropo avrebbe spedito ad Atene gli esperti per avere una copia autentica, in cemento armato e con l’impianto stereo: ogni secolo ha il suo linguaggio.

Due gruppi s’erano radunati alle estremità opposte della tettoia. Uno era un branco di giovani con tuniche e gonne e perizomi colorati: petali di fiori animati, raccolti intorno a un centro, un gur barbuto vestito di rosso. L’altro gruppo era formato da persone di età diverse, irrequiete, che gridavano «amen», e ascoltavano la predica di un uomo dalla voce aspra e dal perizoma grigio. L’uomo aveva gettato via la tunica. Continuava a posarsi la mano sinistra sulle costole sporgenti, nei pressi del cuore, con il pollice e l’indice a formare un cerchio, le altre tre dita sollevate, e la mano destra aperta più o meno sul fegato, per indicare l’Io carnale… il segno della Ruota e della Carne. Era uno spettacolo che si vedeva sempre più spesso a Nuber, con il diffondersi del culto di Abraham. Alcuni abramiti schizzinosi sostenevano che la mano destra doveva stare incurvata sopra i genitali, anziché sul fegato: un possibile movente per una futura guerra di religione. I rumori confusi dei due gruppi lontani, che si ignoravano rabbiosamente in nome dell’amore e della tolleranza, giungevano a Demetrios come borbottii e squittii. Nessuno dei due oratori era molto abile; l’abramita era troppo aspro, il gur troppo mielato. — L’Agorà locale, — disse Angus.

— Sì, ma credo che Socrate non abbia potuto venire.

— Ho quasi riconosciuto quel gur dalla tonaca rossa; comunque credo che sia Gur Johnson. Non riesco a scorgere la sua faccia, ma non credo che possano essercene due di così grassi, con lo stesso abito rosso da monaco. Il senatore Smith lo ha invitato nella Città Interna poco tempo fa, a una festa nel suo giardino, anche se non credo che il senatore si sia convertito. Il Gur Johnson afferma che lo spirito umano non può liberarsi dai ceppi della carne e diventare una cosa sola con l’Unico Infinito se prima non rinnega la dottrina pervertita della sfericità del pianeta.

— Esiste un Infinito non unico?

— Merda, uomo, ho dimenticato di chiederglielo. Comunque il pianeta è piatto, chiaro? Se lo ammettiamo, possiamo ascendere in cielo senza nessuna fatica, Demetrios. Solo l’amore per l’umanità tiene il gur legato alla terra… l’eccesso di peso non c’entra. Lui lo dipingeva con belle parole, ma io sgranocchiavo malignamente dei biscotti alle noci, e quando ho finito di mangiarli qualche altro peccatore ha cominciato a irritare il suo orecchio trascendente, e così io ho preso il mio spirito in ceppi e me ne sono andato.

— Non sei maturo per il cielo. L’altro oratore è Holman Shawn, predicatore della Società dei Discepoli, chiamati talvolta anche abramiti.

— Stanno operando delle conversioni nella Città Interna. — Angus si rattristò, per qualche pensiero che non confidò. — Demetrios, la proporzione degli eccentrici è sempre stata elevata come lo è qui a Nuber adesso?

— Oh, credo di sì. Oserei dire che le proporzioni si sono sempre mantenute, forse fin dai tempi più remoti… una manciata di geni, una manciata di subnormali e di idioti, una moltitudine di individui a mezza strada tra gli uni e gli altri, e dappertutto una spruzzata di eccentrici imprevedibili, come pepe sullo stufato. — Demetrios s’incupì, assillato da un’inquietudine abituale. Durante i primi anni della sua attività di narratore agli angoli delle strade aveva raccontato qualche volta la storia del martirio di Abraham Brown, così come l’avevano veduto i suoi occhi inorriditi… Ma non l’aveva raccontata del tutto onestamente. Aveva eliminato un po’ della ferocia, dell’incorreggibile tenebrosità umana, e magari aveva fatto apparire il povero, coraggioso fanatico Abraham più grande che non nella realtà. Beh, in un certo senso era grande, ma lo sono tutti, i pochi che pensano. Matto o no, Abraham Brown aveva vissuto con purezza d’intenti e coraggio nelle sue azioni,’ed era morto per ciò che era, allo stesso modo di Cristo. La versione di Demetrios aveva contribuito a lanciare un altro infelice culto messianico, che inevitabilmente avrebbe pervertito quanto c’era stato di buono negli insegnamenti di quell’uomo, e l’avrebbe gonfiato facendone una creazione mostruosa adeguata alle fantasie e alla politica dei fondatori di chiese? — Caro Angus, — disse, — qualche volta mi chiedo se una vita di quietismo, o almeno di semplicità voluta e di scarsissima azione, non sia l’unica che non causi gravi danni. Persino il Gur Johnson può avere dentro di sé una scintilla, se non pensa solo al denaro e ai biscotti.

— Il mondo fa schifo, — disse Angus. Il cambiamento d’umore del ragazzo colse Demetrios impreparato, come se Angus fosse piombato nella disperazione, come chi cade da uno stretto sentiero montano. — Fa schifo. Non il mondo, naturalmente. L’uomo. Il sozzo animale peloso… ma accidenti, non è sempre così. Non deve essere così… o deve? Crudeltà, cattiveria, avidità, infermità della mente e del corpo, sospetto… Demetrios, io so qualcosa di te. È quasi vero che sono venuto a cercarti… No, è meglio dire che ti ho aspettato, ho sperato di rivederti ancora, da quella prima volta che ti ho sentito, quattro anni fa. Mi fido di te, Demetrios. Sai che nella Città Interna c’è una stupida fazione che vuol fare di me un politico? Quelli si vedono già come fabbricanti di re. Il potere fa schifo. O Demetrios, cosa debbo fare? Qual è il mio compito? Il mondo non ha bisogno di gente come me.

— Il mondo non sa quello che vuole. È solo capace di tirare avanti tra uno sbaglio e l’altro. Lo so… per «mondo», tu intendi «la gente in generale». La risposta è la stessa. Troverai da solo la tua arte, Angus.

— E come, nella mia ignoranza? Come?

Te lo direi io, se potessi. L’arte di guidare il popolo? Governare… insegnare? Posso almeno dirti che le cose non sono importanti. L’amore non è mai una cosa, è un paese nel quale possiamo compiere viaggi.

— Demetrios, hai visto morire Abraham?

— Sì. Non posso credere che il martirio serva a qualcosa. Ci commuove, ma non c’insegna nulla. La nostra reazione al martirio è l’indulgenza verso noi stessi. Ricordiamo la cicuta e la croce, ma che abbiamo mai fatto della saggezza di Socrate e della bontà di Gesù?

— Mi racconterai la storia di Abraham, comunque?

— Sì. Devo pensarci sopra. Adesso sono stanco e turbato.

— Perdonami. Ti ho impedito di tornare a casa. Ti incontrerai ancora con me, qui? Domani, verso mezzogiorno?

— Domani, verso mezzogiorno. Pace.

— Pace, Demetrios.

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