CAPITOLO 13 NIENTE È COSÌ GRANDE CHE TU NON POSSA GUARDARLO

Ed io mi volsi a contemplare la saggezza e la follia: perché, che altro può fare l’uomo che viene dopo il re? anche ciò che è già stato fatto.

E allora io vidi che la saggezza supera la follia, come la luce supera le tenebre.

ECCLESIASTE, II: 12, 13.


La Compagnia e il Circo Sawyer Finn ritennero opportuno, dopo adeguata riflessione, di andarsene, e la Compagnia accettò con gioia l’offerta di un passaggio fino al prossimo incrocio con una strada diretta a nord.

La fattoria di Jason Smallways si trovava a ovest di Trottersville. Angus, Brand e Bosco vi ritornarono per prendere la roba rimasta nella taverna. Angus aveva un occhio nero, Brand due occhi rossi; Bosco esibiva i muscoli come un orso: nessuno diede loro fastidio. Della roba loro non era stato rubato nulla, tranne un prosciutto, e Bosco disse che non importava, c’era sempre modo di rimediare. Quando tornarono sani e salvi, il resto della giornata fu dedicato alla cura dei lividi e ai preparativi per la partenza all’alba.

Viaggiare di notte è pericoloso dappertutto, ma in particolare nella Penn, dalla quale provengono le storie più convincenti a proposito della tigre bruna. Ha attaccato (dice la gente) diversi villaggi, e ha portato via delle persone; e qualche volta ha assediato una zona particolare per settimane o mesi, come una coscienza tormentata. Ha strisce brune, dicono, su un manto che sembra una nube bianca e cannella. Le strisce si confondono con i colori del mattino e della sera, e se la vedi in quelle ore, probabilmente per te è troppo tardi.

T.S. voleva andare a nord. Era intestardito a portare il Circo fino alla Nova Scoria, dove ci sono le evangeline, e sebbene Demetrios l’avvertisse che adesso potevano non esserci più — per via del cambiamento di clima, le evangeline hanno bisogno di inverni nordici o qualcosa di simile — T.S. sosteneva che voleva provare. Ma la Compagnia voleva andare a ovest forse due chiari di luna valgono quanto la luce del giorno. E fu quella notte, nella quiete, tra bevande e musica, nell’umore tipico che nasce intorno al fuoco, che ci mettemmo d’accordo: Wynken, Blynken e Nod sarebbero andati con la Compagnia.

Contando anche Brand, la Compagnia era di undici elementi.

Sistemata la cosa, T.S. baciò le ragazze, compresa Solitaire, per augurare loro la buonanotte e se ne andò a letto. H.F. restò alzato ancora un po’ a sentire Demetrios raccontare come mai la tigre poteva essere finita in quella parte del mondo, dove in passato non era mai esistita. È la storia di uno di quei santi matti che fiorirono a profusione negli ultimi anni del Tempo Antico. Poco prima della guerra, questo tale entrava furtivamente nello zoo di parecchie grandi città, e di notte, di nascosto, liberava le bestie, bruciando le serrature con una torcia ad acetilene. Alcuni pensavano che non fosse un uomo solo, ma un gruppo di cospiratori. Secondo Demetrios, era un uomo solo. Comunque, gli episodi del genere finirono quando un tale, che teneva un diario e si faceva chiamare Jack il Liberatore, venne trovato morto dissanguato, ucciso da un bufalo cafro che aveva liberato. È una storia triste e aspra — Jack non amava gli animali, odiava solo il mondo — e la vostra romanziera magari un giorno la scriverà ricordando le parole di Demetrios, ma non qui. Tra gli animali liberati da Jack c’era un paio di tigri della Manciuria, e la femmina era gravida.

Anche H.F. andò a Ietto, senza dimenticare di baciare le ragazze. Bosco se l’era squagliata, e per un po’ nessuno notò la sua assenza. Erano tutti comodi e impigriti, ma persino Frankie non aveva ancora sonno (il nostro eroe), perciò in quell’ora i nuovi membri della Compagnia ritennero opportuno raccontare ai nuovi amici qualcosa di ciò che il mondo aveva fatto a loro, e che loro avevano fatto al mondo, poiché adesso avrebbero spartito gioie e affanni e amore e pericolo con la gente di Demetrios, fino all’altro oceano.

— Nod, — disse Wynken, — si chiamava Seiji Ohara. Il cognome è un buon cognome irlandese anche senza l’apostrofo, come aveva osservato il suo bisnonno Seumas O’Hara quando era arrivato a Boston da Bally na Hindi nel 1854, non molto esperto nella grafia inglese dei nomi stranieri… cioè, quando l’apostrofo cadde lui non si chinò a raccoglierlo. Così avvenne…

— … che saltiamo una generazione, — disse Blynken, — e arriviamo al matrimonio di suo nipote Stockton Ohara, in età avanzata, con Teru Kamayatsu, che nel 1985 seguì il corso sulla «Matrice socioideologica di Piers Plowman» che Stockton teneva allora in una stimata Università situata a Cambridge, Massachusetts. Per diversi anni non ebbero figli. Stockton aveva passato i sessant’anni, si era sottoposto per ragioni diagnostiche a una dose insolita di raggi X, e aveva subito l’inquinamento atmosferico radioattivo che veniva educatamente chiamato normale; e si credeva sterile. Nel 1992 lasciò l’insegnamento, e i coniugi andarono a vivere nella cittadina di Hoton, presso il confine del New Hampshire, ed erano là quando ci fu la guerra. Sebbene non fosse toccata dal bombardamento, ma solo dalle radiazioni, la cittadina venne gravemente danneggiata dai terremoti dell’Anno Uno, e decimata dalle epidemie. Era poco più di un accampamento tra le macerie quando, nell’Anno Quattro, nacque inaspettatamente a Teru e Stockton Ohara un figlio…

— Che adesso ha quarantatré anni, — disse Nod, — e li dimostra, ed è di due anni più vecchio delle sue mogli dilettissime e garrule. Loro nacquero, Wynken essendo la maggiore di due ore, in un’altra piccola ma famosa cittadina del Massachusetts, nell’Anno Sei. Il loro padre Ignace Kabotski, che era arrivato profugo da bambino, dalla Polonia, durante la carestia europea del 1978 e che mai…

Solitaire gridò: — Ma Wynken non può avere più di venticinque anni!

— Tesoro, ne ho quarantuno, — disse Wynken, senza guardare Frankie.

— Ma con le mie zampe di gallina e il doppio mento li dimostro, — disse Blynken.

— Tu te li sogni, — disse Wynken. — Addosso a me, naturalmente, tutti i segni della vecchiaia sono così minuti che non si notano.

— Comunque, quella che sembra la pancetta dovuta all’età è invece…

— Oh bella! — disse Solitaire. — Anche questo.

— Magari li metteremo al mondo insieme, — disse Blynken.

— Se posso continuare a parlare, il loro padre Ignace Kabotski, un profugo che non cambiò mai il suo cognome in Cabot, sebbene Blynken dica il contrario, il che è veramente un deplorevole snobismo alla rovescia…

— Una difesa naturale, — disse Wynken. — Anche dopo la guerra la cittadina era piena di conservatori. Siamo cresciute in mezzo a loro.

— Ignace Kabotski, — disse Nod, — fu il capo riconosciuto degli sforzi per tenere insieme la cittadina, dopo il Disastro, conservatori e tutto. La madre delle ragazze morì di difterite nell’Anno Nove, quindi la ricordano appena. Quando le due gemelle, ovviamente non identiche, superarono la prima infanzia, risultò chiaro che Wynken sarebbe diventata, come me, quella che la gente chiama nanetta, mentre Blynken sarebbe diventata normale o poco meno. Ignace credeva nelle virtù dell’apprendimento, una convinzione rafforzata dalle calamità del suo secolo. Affermava che c’erano solo due modi importanti per evitare le conseguenze della follia: uno, agire con saggezza; due, non nascere. Poiché la saggezza è una qualità acquisita, si impegnò a dare alle fighe l’educazione più ampia e solida che poteva, in quelle circostanze difficili: una preparazione che…

— Ancora oggi, — disse Wynken, — ci mette in grado di condividere lo sbalordimento di questo Seiji Ohara, cresciuto in un ambiente in cui la norma era una desolazione tollerata e accettata. Hoton era una rovina abitata da giganti tardi, dal cuore spezzato. La pietà, di solito, spunta nell’adolescenza avanzata, se pure uno ne è capace. Era così per Seiji, impaziente con quei grossi individui storditi, anche se erano le sole persone che conosceva, e pieno di pietà per loro più tardi, quando erano stati spazzati via dalla faccia della terra. Amava sua madre, ma anche lei esisteva in uno stato di trauma, era stordita quasi come tutti gli altri. Il vecchio padre di Seiji… abituato ad insegnare le fantasie medievalistiche, e agli adulti… fece del suo meglio per dargli un’istruzione basilare: leggere, scrivere, far di conto, un po’ di storia. Morì quando Seiji aveva dodici anni. Teru tirò avanti come poteva… Seiji non era un ragazzino docile. Quando lui aveva già quattordici anni, sua madre era ancora convinta che sarebbe cresciuto di colpo, sebbene le sue mani e i suoi piedi non fossero grossi come quelli dei bambini destinati a crescere. La solitudine, a Hoton, era estrema, in parte…

— … a causa di vecchie vanità, — disse Blynken. — Dopo la guerra, in generale i gruppi colpiti cercavano di unirsi ad altri, come voi ci avete detto della gente sperduta che affluiva a Nuber. Ma non andò così a Hoton, e neppure a Lowelltown. Là pensavano ancora che fosse il mondo a dover andare da loro; e poteva anche arrivare con stupida crudeltà. Così, immobili, nell’attesa di tempi migliori, quelle cittadine fantasma erano preda dei fuorilegge, dei nuovi selvaggi. Seiji aveva quindici anni e lavorava con sua madre nel campo di granturco quando arrivarono all’improvviso tre uomini a cavallo e portarono via Teru. Seiji venne scagliato da una parte…

— Addentai il polso di quello che mi aveva afferrato, e lo sentii scricchiolare. Lui urlò, io caddi sulla terra, e quelli scomparvero.

— Poi vide altri della stessa banda che incendiavano, e massacravano i suoi vicini per il gusto di farlo. Scappò nei boschi e fu raggiunto da alcuni superstiti di Hoton e di altre cittadine devastate. Formarono una specie di banda. Gli altri stimavano Seiji nonostante la sua piccolezza, perché per un po’ fu più feroce dei giganti, e più sveglio di tutti nell’imparare a vivere nei boschi e a cacciare. La sveltezza e il silenzio con cui si muove tra gli alberi sono straordinari. Partecipò a certe azioni di rappresaglia…

— … che preferisce non ricordare, — disse Nod. — Non trovammo mai gli uomini che avevano portato via mia madre. A diciassette anni mi resi conto che anche noi stavamo diventando dei banditi, non migliori del resto. Lasciai i miei compagni, vissi solo nella foresta per due anni, visitando le zone abitate dagli umani come un’ombra, ad ascoltare. Avevo bisogno di poco. Le punte di freccia le ricavavo dalle selci, le faccio ancora adesso. Ne vale la pena… le preferisco, con il mio arco leggero. Quando mi occorreva qualcosa che non potevo ottenere senza rubare, avevo…

— …l’abitudine, per capriccio, di lasciare qualcosa in cambio, — disse Wynken. — Per esempio, una pelle dì coniglio per una matassa di filato.

Il signor Virgil osservò: — Guai a chiunque altro che osasse interrompere così.

— Loro non conoscono i segnali, uomo Virgil, — disse Wynken.

— A me, non mi hanno ammazzata, — disse Solitaire.

— Beh, tu sei una cara bambina, — disse Nod. — Facciamo qualche eccezione.

— In effetti era qualcosa di più di un capriccio, — continuò Wynken, — perché allora e anche adesso Seiji ha più principi morali delle sue mogliettine, che cercano di ispirarsi al suo esempio eppure fanno solo modesti progressi, uhm. (Hai usato la prima persona singolare, Solitaire, tesoro.) Avevano, certo, l’educazione di cui lui ha parlato, ma qualche volta se ne dimenticano. Se ne erano dimenticate la prima volta che Seiji le osservò, standosene invisibile nella foresta, mentre avanzavano per una strada deserta, senza avere un’idea di dove andavano, perché avevano perduto la lucidità. A quel tempo, si potrebbe dire, erano temporaneamente idiote. Vedete, Lowelltown era stata spopolata da una malattia. Non sappiamo neppure di che epidemia si trattasse. Là non c’era più nessun dottore del Tempo Antico; e forse poteva essere una malattia nuova… febbre violenta, eruzioni cutanee, gonfiori ghiandolari, collasso improvviso. La cittadina era sopravvissuta alle pestilenze postbelliche, alla difterite; alla Peste Rossa dell’Anno Sedici, ma questa ripulì la lavagna. Voglio dire… tutti, tranne mia sorella e io, la bella e la nanetta, spiegatelo un po’ voi. Quando capimmo quel che era successo, pensammo solo ad andarcene, ad avviarci per quella strada, senza altra meta che la fuga. Blynken, che allora io conoscevo come Sophia, voleva…

— … morire, o almeno dicevo così, ma tu mi facevi sdraiare all’ombra, Miranda, e mi tenevi la testa sulle ginocchia e mi dicevi. «No, tu vivrai…» E così sono vissuta. Per un po’ dormii così profondamente che un mondo si allontanò da me, ma…

— … tutti i mondi, — disse Nod, — possono essere pieni d’illusioni e non solo di verità, e i loro filosofi possono restare sbalorditi.

— E quando lei si svegliò Nod era già arrivato, e stava là, nudo e bellissimo, con il suo arco…

— … e di poco più alto di te, Miranda. Così i miei pensieri corsero per i millenni, e tutti erano in lode della vita…

— … e il vento aveva giocato con i capelli sulla tua fronte, mentre dormivi, e i tuoi seni erano bianchi e vergini.

— E le prime parole che lui disse dopo che Blynken si svegliò furono: «Venite con me, così avremo cura l’uno dell’altro e non saremo soli».

— Perciò io capii che era di una sostanza migliore degli dèi, cioè di carne e di sangue. E adesso vi spiegherò i nostri nomi, ma lo farò sottovoce, perché il nostro eroe, senza il quale il Circo Sawyer Finn ora potrebbe essere in rovina, sembra si sia addormentato. La spiegazione è semplice: nostra madre, che non ricordiamo bene, conosceva quella strana poesiola e la musica che l’accompagnava, e ce la cantava per farci addormentare, e quando lei morì, continuò nostro padre e…

— … qualche volta me la cantavate quando avevo sonno, nei pomeriggi afosi o nelle notti nella foresta e negli altri posti che abbiamo conosciuto, e così l’imparai. E la cantai per te, Wynken, quando il sonno ti abbandonò, nei momenti terribili dopo che perdemmo la nostra piccina. Poi quando incontrammo il Circo, e T.S. ebbe la bontà di invitarci ad unirci a loro, e ci chiese come ci chiamavamo, noi pensammo, perché non prendere il nome da un frammento della fantasia del Tempo Antico? È vero che noi siamo spiriti diversi, ma Shakespeare non è per tutte le occasioni e… già, — disse Nod, — Frankie si è addormentato davvero. Russa come un delfino molto piccolo.

— E dove mai…

— … hai sentito russare un delfino molto piccolo?

— Nei tuoi sogni.


Sabato 24 agosto


È più di un mese che il mio vecchio Demetrios se ne è andato, e qualche volta Babette e io ci chiediamo chissà cosa gli è successo. Ma è un Gioco che non si può nutrire di Niente. Oggi Babette ha detto: Non c’è niente di troppo grande perché tu non possa guardarlo.

Il Professore fu il Primo. Mi sembra che fu dodici anni fa quando arrivò sul Portico dietro casa con il suo Liuto, e suonò e mi guardò nel suo Modo Particolare. E fu dieci anni fa che Demetrios venne da me?… Mi confondo. Prima di Babette comunque. Solitaire è stata qui solo due anni ma io l’Amavo più di quanto loro immaginano. Non volevo andare a letto con lei come ho fatto con Fran qualche volta, neanche Amore Materno ma un Amore che era voglia di aiutare, perché era più forte le Volte che lei aveva le Crisi era come vedere un Angelo in una Ragnatela.

Me e Babette sappiamo bene, anche se non lo diciamo, che probabilmente non vedremo più quei tre e neanche Garth e quel suo Fratellino così vispo e nemmeno quel giovane Aristocratico… era un Tipo a posto, mi piaceva. Credo che farà del bene a Solitaire, almeno ci proverà. E quel Tale che Demetrios si è portato dietro dalla Prigione, Babette dice che era un Tipo Pratico. Bene, ma se torneranno non sarà presto, e c’è quella gnocca dura nel mio seno destro.

Spero di continuare a non parlarne con Babette solo perché mi sento sola, perché lei cosa potrebbe fare? Non c’è un Dottore del Tempo Antico in tutta Nuber, e tutti i Chirurghi del tempo nuovo probabilmente si guadagnano da vivere come Barbieri, possono tenerseli. Credo di poter aspettare il mio momento senza troppa confusione, non sarei la Prima e non sarò l’Ultima. Perché qualcuno dovrebbe avere paura della Morte se non si è convinti che poi c’è un aldilà! Io non ne sarei capace. Dopo Marcus avevo provato e provavo ancora quando arrivai a Nuber, anche se dentro di Me continuavo a dirmi, Sei sciocca, non basta volere una cosa perché sia cosi.

Mister Fleur lui sapeva. Mi diceva, tranquillo e gentile, diceva: — Steli, sei mai svenuta? — Io dicevo sì, un paio di volte. Lui diceva: — Dev’essere così. Il sangue non si muove nel Cervello, il respiro nei Polmoni, niente Pensare, niente Sentire. Se non c’è Pensiero né Sentimento, non c’è la Persona. Non disprezzare il Corpo, Steli, — diceva. — Se non c’è il Corpo, non c’è la Mente. — Da allora dentro sono stata più tranquilla.

Morire, si, abbiamo ragione se non ci piace, sembra un Animale malvagio che ti insegue. Ma più di metà è solo una Fisima, come avere paura del Buio. Credo che quando la Tigre ti prende, sai che comunque non durerà un pezzo.

Ultimamente ho preso l’abitudine di prendere un Bastone per appoggiarmi quando esco nel mio Giardino, io so perché a Demetrios faceva piacere averlo, solo che per me non è l’Artrite che mi ha fatto venire l’Idea. Supponiamo che adesso Io scrivo di Qualcosa che ho visto nel Giardino un po’ di Tempo fa, mentre Curiosavo.

Quel Joe va molto meglio con il Lavoro di Portinaio, ma finora non ha dato all’Orto altro che una Promessa. Babette gli sta sempre dietro e ci prova, ma lui trova sempre qualche Sistema nuovo per riposarci sopra. Certi posti che il mio vecchio Demetrios teneva bene in ordine si sono già riempiti d’Erbacce da quando se ne è andato. Io dico a Babette, Non seccare troppo Joe, deve abituarsi Poco a Poco e magari sarchiare le erbacce gli fa male alle Dita per la Chitarra. Forse si, dice lei, però al Professore non dispiaceva mica strappare l’Erbacce, lo faceva per amore, non per forza. Joe non è il Professore, le ho detto io, lascia che cresca un po’. Comunque…

C’è quel filare in Fondo dove Demetrios ha piantato per me i Gigli, di tanto in tanto, certuni me li hanno dati i vicini, e altri li aveva trovati luì in Campagna dove la Gente del Tempo Antico aveva i Giardini. Sono bianchi e fioriscono presto, e certuni grossi, Bianchi e fragranti con il centro dorato, Demetrios li chiamava Reali, e uno color camoscio, e naturalmente anche le specie comuni, certuni sono Gigli Diurni e Gigli Tigrati come ricordo che crescevano selvatici a Reaburn. Cosi io ero li fuori al Sole appoggiata al mio bastone e pensavo al passato credo… è naturale. Allora ho visto che l’erba e i convolvoli selvatici e altre Piante hanno cominciato a crescere fitti dove Joe non ci aveva fatto niente. Allora mi è dispiaciuto, ho anche fatto per strapparli io, ma l’Artrite mi ha fatto passare subito la voglia. Ma più avanti ho trovato un Giglio Tigrato comune tutto vistoso con le sue foglie a spada e gli strani bottoncini neri e i fiori che sì aprivano. C’era un convolvolo arrampicato intorno, e una Nepeta che gli stava vicino come l’Erbaccia. E lui stava li e sembrava il mio vecchio Demetrios. Non mi importava, mi ha fatto pensare a un uomo buono o a una donna buona lì al sole, con un Fardello da portare, e con il Tempo per riconoscermi. È stato tutto li… mi sono sentita meglio e sono tornata in Casa e ho preso il mio Tè.

È solo doverci fermare che ci dispiace. Dover smettere anche le piccole cose, la buona Colazione o un goccio di Spirito di Grano o la Musica sentita in fondo alla Strada oppure vedere una Faccia nuova con qualcosa di dolce, oppure una faccia vecchia con qualcosa dì Nuovo.

Ma ci fermiamo.


Garth e gli altri adulti rimasero alzati per un po’ a preoccuparsi per Bosco, il che era superfluo, almeno per quanto riguardava l’incolumità fisica di un uomo come quello. H.F. — che in quei giorni non dormiva bene, disse — venne fuori in camicia da notte e pantofole per aiutarli a preoccuparsi. Gli dispiaceva di non aver potuto dire niente di utile a Bosco a proposito dei Nomadi di Gammo. Circa due o tre anni prima il Circo era entrato in una città, nel Moha settentrionale, che aveva appena donato tutta la moneta disponibile ad una compagnia di Nomadi che si chiamava appunto così, e T.S. si era fatto dire da che parte erano andati, per non incontrarli di nuovo in circostanze simili. I Nomadi di Gammo erano diretti all’ovest, ma questo era ciò che sapeva; Bosco l’aveva presa con filosofia.

Bosco tornò verso mezzanotte, in punta di piedi, con un prosciutto sotto il braccio e un pollo morto in mano. — Magari è lo stesso prosciutto, — disse fieramente. Vedendo l’angoscia di Demetrios, la disapprovazione di Angus, l’ansia di Garth, Bosco s’imbronciò. — Beh, ho pensato che il pollo poteva essere una specie di indennizzo… Capito?

— Tenuto conto di quello che hanno fatto al tuo prosciutto, — disse H.F., un po’ a disagio, — penso che potresti dire pari e patta, comunque non mi sembra giusto lo stesso, Bosco. T.S. non sarà contento. T.S. dirà che è furto, che nessuno deve fare così. Hai dovuto fare irruzione in una casa?

— In una baracca, — disse Bosco, abbastanza docilmente: forse rispettava qualcosa di venerabile in Demetrios e in H.F. Ma quella docilità non era piacevole. Da un po’ di tempo Demetrios aveva avuto difficoltà ad adattare la sua repubblica alla presenza di un cittadino come Bosco… ma dov’era la repubblica? — Gesù! — disse Bosco. — Pensavo che sareste stati contenti. — Nessuno disse niente. Bosco scrutò con attenzione particolare la faccia di Garth, e non poté trarne conforto. — Beh, Gesù, siete arrabbiati con me solo perché ho grattato qualcosa: allora è meglio che mi squagli. Non resto dove non mi vogliono. Posso prendere il mio prosciutto e il mio maledetto pollo, per Dio, e andarmene.

— Non è necessario — disse Demetrios, e si chiese se lo pensava davvero. Non spettava a lui decidere.

— Visto che sai quel che la Compagnia pensa della faccenda, — disse Angus, — resta con noi, Bosco. Resta e impara le nostre usanze. — Nessuno di loro, prima d’ora, a quanto ricordava Demetrios, aveva parlato in quel modo della Compagnia, con tanta autorità. Egli non avrebbe potuto farlo senza vergognarsene.

— Beh, Gesù… — Bosco, probabilmente, non avrebbe imparato molto, ma Angus, forse, aveva detto la frase giusta e più rassicurante.

— Se facciamo così, — disse Garth, — ci troveremo sempre nell’acqua bollente, Bosco. Dobbiamo trattare la gente secondo regole che quella può capire, giusto? Se per esempio, adesso, ti venissero a cercare perché sei entrato in quella baracca, ne soffriremmo tutti, e magari stavolta non potremmo raccontare ancora che sono scappati i puma.

Bosco parve impressionato. Borbottò, tristemente, lasciò cadere il prosciutto e il pollo e si spolverò le mani. — Beh, Gesù…

— Immagino, — disse H.F., sbadigliando, — che tu sia stato vittima di una tentazione troppo forte, Bosco. Il prosciutto è magnifico.

Bosco si calmò; la Compagnia andò a letto in pace. All’alba aiutammo a far partire i carri del circo (e Bosco ci mise più impegno di tutti) e viaggiammo con loro per tutta la mattina.

Verso mezzogiorno ci fermammo a un crocicchio per fare un pasto a base di prosciutto. Poi, dopo molti addii affettuosi, dopo che T.S. ebbe scrupolosamente saldato le paghe arretrate di Wynken, Blynken e Nod, e ne ebbe avuto in cambio una ricevuta, dopo che T.S. e H.F. ebbero baciato tutte le ragazze (Blynken piagnucolava un po’), il Circo Sawyer Finn si avviò sulla strada per il nord, e sebbene la strada per l’ovest si perdesse tra l’erba, dopo un po’ ne trovammo altre. Non è difficile viaggiare, con il sole. Quando il sole scende tra gli splendori è il momento di dormire; quando si alza, basta che tu lo tenga dietro di te fino a mezzogiorno, e poi ti riposi, e continui fino al termine della giornata.

Come vostra romanziera, anch’io rimpiango che stiate perdendo cognizione del punto di vista di Demetrios. Ma i punti di vista (che strana espressione inesatta!) sbiadiscono, e talvolta svaniscono. Lusinga la mia vanità sapere che ho potuto darvi tutto il possibile di lui… ma io conoscevo bene quell’uomo, come dicono, e passavo molte ore a parlare con lui, a divagare, a osservare, a interrogarlo nel mio modo astuto, perciò, se c’è qualcosa nella sua vita anche dai lontani inizi a Hesterville, compresi i dettagli degli anni di Nuber, la gaiezza e i guai della Casa del Sesso, l’orto ch’egli curava, le preoccupazioni per Madam Estelle e il suo tè, o il suono che faceva Elizabeth di Hartford quando preparava una crema con un cucchiaio e una ciotola del Tempo Antico — se c’è qualcosa che io non so o non ho segnato nei miei appunti, non val la pena di parlarne. Gli appunti erano un grosso peso nel mio zaino fino a quando convinsi Garth a portarmene una parte. Credo di avervi detto che Garth non sapeva leggere. Angus e Demetrios rimediarono a questo, ed egli imparò rapidamente, non con la passione scintillante di Frankie, ma con intelligenza e con l’interesse per le scoperte: però i miei piccoli scarabocchi sui quaderni degli appunti sono una stenografia mia personale. E poi, Garth era sempre un caro ragazzo, e non avrebbe curiosato senza permesso. Avrei potuto servirmi del suo punto di vista (qualche volta mi deciderò ad analizzare questa espressione, è abbastanza pazza)… anche del suo punto di vista, se ci avessi pensato: un adolescente non è in realtà più fantastico degli altri animali a sangue caldo.

Il punto di vista di Demetrios (adesso il lettore può farsi un’esegesi sua, poiché la romanziera è scomparsa di nuovo) si sta annebbiando a causa dell’oblio, quella cateratta mentale. E c’era anche il verme del dolore, che più spesso viaggiava su e giù nel suo ventre e sondava in modo più odioso, e la presenza di quell’essere finiva per colorare i suoi pensieri.

Venne un mattino in cui cadde una pioggia leggera. Non avrebbe impedito alla Compagnia di viaggiare, ma Angus decise che quel giorno avrebbero riposato, e così si misero al riparo di uno splendido granaio di pietra, rimasto ben saldo dove non c’era più la casa. La pioggia cessò e nel primo pomeriggio si affacciò il sole, ma Angus disse che era troppo tardi per muoversi, e pensava che Brand zoppicasse un po’ per l’inseguimento del giorno prima, quando Bosco non era riuscito ad abbattere un cervo con la prima freccia. Bosco aveva adoperato un arco nuovo che gli aveva fatto Garth — Garth faceva sempre qualcosa, e Frankie era sempre presente con la sacra Accetta — e aveva tirato troppo in fretta per prendere bene la mira.

— Perciò oziamo per il resto della giornata e mangiamo cacciagione, — disse Angus. — L’oceano occidentale ci aspetterà.

Demetrios non pensò mai che quel riposo era stato voluto per lui, e non si accorse che, quando proseguirono, il giorno dopo, l’avanzata fu lenta, con numerose soste.

Egli si godeva quell’andatura nuova, si godeva il sostegno del bastone di noce, amava riposare al sole con la schiena appoggiata a un albero. Qualcuno era sempre con lui, notò… Solitaire, molto spesso Wynken con la sua vocina e i curiosi occhi verdi, talvolta Frankie che non aveva mai molto da dire, ma più spesso di tutti Angus, che non era mai lontano, anche quando era qualcun altro che gli teneva compagnia.

Un giorno il Professore e Angus dividevano con lui il tronco soleggiato d’una grossa quercia quando Demetrios notò Solitaire in conversazione con Blynken, e vide che Solitaire era turbata. Ma non era uno dei suoi momenti di crisi. Anzi, a meno che la sua stanca memoria lo tradisse (e si era accorto che già gli rendeva difficile raccontare le storie), Solitaire non aveva più avuto crisi dopo quel piccolo episodio sulla strada per Trottersville. E adesso era solo eccitata, come chi ha trovato qualcosa di gradevole (una moneta che luccica sulla strada, una faccia amica in una folla di sconosciuti) e Demetrios la sentì dire: — Oh, sì, Blynken, mettiamoli al mondo insieme, e tu darai al tuo bambino il nome del mio, e io darò al mio il nome del tuo, ma Blynken, amore, non chiamarmi più Solitaire! Chi era, quella Solitaire? Non è mai esistita, ci sono solo io, e io sono io, io sono io, e mi chiamo Eve.

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