Nell’interno del labirinto l’aria era più tiepida, Rawlins pensò che probabilmente le mura tagliavano le raffiche di vento gelido. Camminava lentamente, attento alla voce che gli sussurrava all’orecchio: «Volta a sinistra… tre passi… metti il piede destro accanto alla striscia nera sul selciato… gira su te stesso… volta a sinistra… quattro passi… svolta di novanta gradi a destra… fai immediatamente un’altra svolta di novanta gradi…»
Era come «la settimana», un gioco di ragazzi. Ma qui la posta era più alta. Ned si muoveva cauto e sentiva la Morte alitargli addosso. Una fiammata improvvisa sprizzò davanti a lui, in mezzo alla strada. Il calcolatore contò: «Uno, due, tre, quattro, cinque, via!» e Rawlins avanzò.
Salvo.
Poi si fermò, e guardò indietro. Boardman lo seguiva, e non sembrava impacciato dall’età; anzi, gli fece un cenno con la mano e strizzò l’occhio. Anche lui ubbidiva puntualmente al calcolatore. «Uno, due, tre, quattro, cinque, via!» E attraversò il punto in cui sgorgava il getto di energia.
Rawlins non poteva fare a meno di guardare le ossa che giacevano dappertutto. Scheletri vecchi di secoli e cadaveri che erano lì da molto, molto meno. Esseri di tutte le razze avevano trovato la morte in quel luogo.
E se anch’io ci lasciassi la pelle nei prossimi cinque minuti? pensò.
Ora diverse luci abbaglianti lampeggiavano e si spegnevano cento, mille volte ogni secondo. Boardman, venti metri dietro di lui, divenne una figura irreale che si muoveva con movimenti scoordinati.
Il calcolatore ordinò: «Fai dieci passi e fermati. Uno. Due. Tre. Dieci passi e fermati. Uno. Due. Tre. Altri dieci passi e fermati».
Rawlins non riusciva a ricordare che cosa gli sarebbe successo se non avesse ubbidito scrupolosamente. Lì, nella zona H, le insidie erano tante che non gli era possibile tenerle tutte a mente. Era quello il posto dove poteva precipitare una tonnellata di pietre? O dove i muri si abbattevano l’uno contro l’altro? Oppure dove il ponte immaginario procurava vittime al lago di fuoco?
Aveva ancora duecentocinque anni da vivere, e non intendeva rinunciarci. Sono ancora troppo ingenuo per morire pensò.
E continuò la sua strana danza ritmata dal calcolatore, lasciandosi alle spalle il lago di fuoco e i muri che si chiudevano come mascelle.
Un animale con due lunghe zanne si sporse dall’architrave di una porta. Con calma, Charles Boardman si sfilò il fucile dalla spalla e inserì la mira automatica: bersaglio da 30 chilogrammi, distanza 50 metri. «Tutto a posto» disse a Rawlins, e sparò.
Il fascio di energia urtò il nuro, faville di un verde brillante sprizzarono attorno fondendosi con altre color porpora. L’animale fece un balzo, le membra contratte negli spasimi dell’agonia, e cadde. Da un luogo imprecisato spuntarono tre divoratori di carogne, che subito cominciarono a ridurre a brandelli il corpo senza vita.
Le immagini danzavano sopra uno schermo dorato fissato a un muro presso il limite della zona H. Rawlins vide la propria faccia prendere forma, fondersi in uno schema preesistente di linee intersecate tra loro, ed esplodere in una fiammata. Lo schermo, appositamente preparato, evidenziava quello che c’era negli occhi di chi guardava. Perciò i ricognitori, passando da quel punto, avevano visto soltanto un rettangolo vuoto. Ma Rawlins vide comparire la figura di una ragazza: Maribeth Chambers, 18 anni, studentessa di secondo anno alla Scuola Superiore di Nostra Signora delle Grazie di Rockford, nell’Illinois. Maribeth gli sorrise, e cominciò a spogliarsi.
«Sono la resurrezione e la vita» disse la ragazza appassionatamente.
Quindi gli fece cenno di avvicinarsi, e gli lanciò un’occhiata invitante…
Poi la sua pelle diventò verde, e le palpebre si abbassarono, deformate. Il labbro inferiore si protese in avanti, come una pala, e le caviglie cominciarono a sciogliersi. Lingue di fiamme danzavano sullo schermo. Ned udì alcune note profonde, provenienti da un organo invisibile, ma continuò a ubbidire ai comandi che il cervello elettronico gli sussurrava all’orecchio, e passò oltre lo schermo, indenne.
A Boardman lo schermo mostrò invece degli schemi astratti: una geometria che esprimeva potenza, linee rigide e figure immobili, come raggelate. Charles si fermò ad ammirarle per un attimo.
Poi riprese il cammino.
Una foresta di lame mulinanti comparve presso il limite interno della zona H.
Il calore si fece insopportabile. Bisognava camminare in punta di piedi sul selciato. Ned trovava che la cosa era preoccupante, perché nessuno di quelli che li avevano preceduti aveva segnalato il fenomeno. Forse il percorso andava soggetto a cambiamenti? La città poteva alterare automaticamente ogni cosa? A quanti gradi sarebbe arrivato il calore? Dove terminava la zona calda? Dopo di questa avrebbero trovato il gelo? Sarebbero arrivati vivi nella zona E? Forse Muller aveva trovato un sistema per impedire ai disturbatori di entrare.
Poteva darsi che avesse riconosciuto Boardman e che cercasse di ucciderlo. Era possibile. Aveva tutte le ragioni di odiarlo, e non aveva ancora avuto modo di riadattarsi a vivere nella società. Forse dovrei accelerare il passo e mettere una certa distanza tra me e Charles pensò Rawlins. Fa sempre più caldo. Però sarebbe una vigliaccheria e una slealtà.
Maribeth Chambers non avrebbe mai fatto cose del genere.
Si rasano ancora la testa le monache?
Per Boardman il secondo schermo, quello deformante, situato nella zona G, fu la prova peggiore. Detestava l’idea d’inoltrarsi in un’area in cui le impressioni trasmesse dai sensi non corrispondevano alla realtà. Boardman dipendeva dai suoi sensi: portava già il terzo paio di retine. E poi non si può dare un giudizio valido sull’Universo senza essere certi di vederlo chiaramente così com’è. E ora stava per entrare nel campo d’azione dello schermo deformante.
Qui le linee parallele s’incontravano e le figure triangolari che si scorgevano sui muri umidi e traballanti erano costituite interamente di angoli ottusi. Un fiume scorreva verticale attraverso la valle; le stelle erano vicinissime e le lune orbitavano una attorno all’altra.
L’unica cosa da fare era tenere gli occhi chiusi e non lasciarsi ingannare.
«Piede sinistro. Piede destro. Piede sinistro. Piede destro. Spostati a sinistra strisciando leggermente il piede. Torna indietro verso destra. Bene. Riprendi ad avanzare.»
Ma il frutto proibito tentava Boardman. Per tutta la vita aveva cercato di vedere le cose chiaramente; l’attrazione che esercitavano su di lui le deformazioni era irresistibile. Si fermò, piantando saldamente i piedi in terra. Se vuoi uscire vivo da questo posto disse a se stesso, tieni gli occhi chiusi. Se li apri, è finita.
Rimase completamente immobile. La voce silenziosa del calcolatore lo incitò a proseguire.
«Aspettate» disse lui in tono pacato «se non mi muovo posso guardarmi attorno un attimo. Non può succedermi niente, se non mi muovo.»
Il cervello elettronico gli ricordò il getto di fiamma che aveva causato la morte di Marshall.
Boardman non gli diede retta, e guardò. Tutto quello che vedeva intorno a sé era la negazione della geometria. Si sentì assalire da un disgusto inesprimibile.
Hai ottant’anni e sai che aspetto dovrebbe avere l’Universo. Chiudi gli occhi, ora, Charles Boardman. Chiudi gli occhi e vai avanti. Stai correndo rischi inutili.
Dapprima pensò a Ned Rawlms. Il giovane era venti metri più oltre, e passava lentamente davanti allo schermo. Occhi chiusi? Ma certo. Ned era un ragazzo obbediente. O spaventato.
Boardman cominciò a sollevare la gamba destra, poi appoggiò di nuovo il piede sul selciato. A pochi passi da lui, vibrazioni di luce dorata serpeggiavano nell’aria, assumendo forme ora di cigno, ora di albero. La spalla sinistra di Ned era troppo alta, la sua schiena, incurvata. Una gamba andava avanti, l’altra indietro. Attraverso una nebbiolina dorata, Boardman vide il corpo di Marshall inchiodato al muro: gli occhi erano sbarrati. Guardando in quegli occhi, ci si vide riflesso: tutto naso, senza la bocca. Allora abbassò le palpebre.
Il calcolatore, soddisfatto, ricominciò a guidarlo.
All’estremità della passerella, Rawlins si fermò, e chiese al cervello elettronico se poteva riposare un poco. Il calcolatore disse di sì. Lentamente, Ned si abbassò, dondolò un momento sui calcagni e poi toccò con le ginocchia il selciato freddo. Guardò indietro: alle sue spalle erano ammucchiati, senza tracce di cemento nelle connessure, diversi blocchi giganteschi di pietra che, tutti insieme, raggiungevano un’altezza di cinquanta metri e fiancheggiavano una stretta apertura da cui era appena sbucato Charles Boardman. Charles era accaldato e grondava sudore.
Ned trovò la cosa divertente: non aveva mai visto il vecchio perdere la propria aria di sufficienza.
Neppure Rawlins, però, si sentiva molto sicuro di sé. I veleni metabolici ribollivano all’interno del suo organismo. Era talmente inzuppato di sudore, che i congegni della sua tuta dovevano lavorare il doppio per eliminare il liquido, distillare e volatilizzare il substrato di composti chimici.
Boardman lo raggiunse, e s’inginocchiò anche lui. Rawlins dovette dargli una mano perché non perdesse l’equilibrio.
«Muller è passato di qui da solo e ce l’ha fatta» mormorò Ned.
«Muller è sempre stato un uomo straordinario.»
«Come credete che abbia fatto?»
«Chiediglielo.»
«È quello che voglio fare. Forse domani a quest’ora starò chiacchierando con lui.»
«Gli altri presto ci verranno incontro. Devono averci individuati, ormai: certamente i loro rivelatori di massa hanno segnalato la nostra presenza. Forza, Ned! Andiamo.»
Si alzarono. Ancora una volta, Rawlins aprì la strada.
La zona F era meno caotica, ma l’ambiente era anche meno piacevole. Prevaleva uno stile architettonico sobrio, variato qua e là da costruzioni capricciose che generavano un contrasto di forme discordanti. Benché sapesse che i trabocchetti non erano più tanto numerosi, Rawlins aveva la sensazione che la terra potesse aprirglisi sotto i piedi da un momento all’altro. L’aria si era fatta più fresca e sferzante, come quella della pianura. A ogni crocevia si elevavano enormi vasche di cemento dove crescevano piante lanceolate leggere come piume.
«Che cosa vi è sembrato più terribile finora, Charles?»
«Lo schermo deformante.»
«Non era poi così pericoloso… Forse non vi andava di camminare con gli occhi chiusi in mezzo a tutte quelle insidie!»
«Ho guardato, Ned.»
«Nella zona di deformazione?»
«Solo per un attimo. Non ho potuto resistere.»
Rawlins sorrise. Avrebbe voluto congratularsi con Boardman per quel gesto sciocco, pericoloso, assolutamente umano, ma non osò. Disse soltanto: «Vi siete fermato, avete lanciato un’occhiata e poi avete ricominciato a camminare?»
«In un attimo di distrazione ho alzato un piede per muovere un passo, ma poi mi sono ricordato… Ho tenuto i piedi ben piantati in terra e mi sono guardato in giro.»
«Forse tenterò anch’io, al ritorno. Soltanto un’occhiata. Conoscendolo, ogni pericolo diventa meno pericoloso.»
«Certo, conoscendolo. Ma tu come fai a sapere se lo schermo agisce oppure no anche nella direzione opposta? Sulla strada del ritorno per intenderci.»
Rawlins corrugò la fronte. «Già, non ci avevo pensato. Finora, nessuno è ancora «uscito» dal labirinto, e quindi non sappiamo le insidie del ritorno. E se fosse tutto completamente diverso? E se restassimo bloccati qua dentro?»
«Ci serviremo ancora dei ricognitori. Non preoccuparti per questo. Quando saremo pronti per andarcene, ne chiameremo una squadra nella zona F, e controlleremo il percorso di uscita come abbiamo controllato quello d’entrata.»
Dopo una breve pausa, Rawlins disse: «Ma perché dovrebbero esserci altri trabocchetti? I costruttori del labirinto non volevano certo rinchiudersi nella loro città, ma semplicemente impedire ai nemici di entrare. Perché l’avrebbero fatto?»
«Chi può saperlo, Ned? Sono creature sconosciute.»