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Era trascorsa una buona mezz’ora da quando i Norglani avevano lasciato la tenda. Qualche «verde» ficcanaso era passato dapprima dinanzi all’apertura per sbirciare i Terrestri, ma i capi «azzurri» li avevano richiamati bruscamente al lavoro e da quel momento i Terrestri non erano stati più disturbati.

«Evidentemente Zagidh e i suoi colleghi si sono accorti d’essersi imbattuti in una faccenda troppo grossa per loro» disse Bernard. «Immaginate d’essere un amministratore coloniale tutto intento a fare scavare pozzi e costruire case, e che all’improvviso alcuni esseri sconosciuti piovano dal cielo e vengano a dirvi che vogliono discutere sulla divisione dell’Universo. Cosa fareste voi? Vi mettereste a stendere un trattato di testa vostra, o passereste la gatta da pelare all’Arconato con tutta la velocità possibile?»

«Be’, sì, naturalmente» ammise Stone. «Saranno andati ad avvertire i loro capi. Ma quanto tempo ci vorrà?»

«Se hanno un equivalente del transmat» fece osservare Dominici «ci vorrà ben poco. Altrimenti…»

«Altrimenti» concluse Bernard «rischiamo di restare qui per un bel pezzo.»

Tacquero nuovamente. Bernard andò fino all’apertura e guardò fuori. Il lavoro procedeva senza posa. Evidentemente, i Norglani non perdevano tempo, quando cominciavano a costruire una colonia.

Non si poteva fare altro che aspettare. Bernard era accigliato. Quella spedizione si stava risolvendo soprattutto in un corso accelerato di pazienza. Laurance e i suoi uomini sedevano tranquillamente in un angolo. Non essendo partecipanti attivi ai negoziati, si limitavano a lasciare scorrere i minuti, senza scomporsi. Havig, col suo autocontrollo neopuritano, non mostrava alcun segno d’impazienza.

«Nessuno ha portato con sé i dadi, per caso?» chiese Dominici. «Se non altro potremmo fare una partita.»

«Offendereste Havig» osservò Stone. «I Neopuritani non approvano il gioco d’azzardo.»

Il linguista sorrise verde. «Queste osservazioni meschine mi stancano, sapete? Io vivo a modo mio, però non ho mai preteso che voi facciate come me.»

Bernard strinse le labbra. Si accorse d’invidiare il glaciale autocontrollo di Havig. Se non altro il linguista era capace di starsene seduto, calmo quasi quanto gli astronauti, ad aspettare che le ore trascorressero nell’incertezza.

Ormai erano passate tre ore da quando i Norglani erano usciti bruscamente dalla tenda. Era già pomeriggio inoltrato, e un caldo insopportabile ardeva nella vallata, ma i «verdi» continuavano a lavorare senza mostrare stanchezza. Dentro la tenda, l’aria si era fatta quasi irrespirabile, e per ben due volte Bernard dovette vincere la tentazione di ingurgitare quello che restava della sua borraccia. Invece doveva razionare il liquido prezioso. Una goccia ogni quarto d’ora, tanto per mantenere umida la gola arsa.

«Aspetteremo fino al calare del sole» disse Laurance. «Se non si faranno vivi per il tramonto, ce ne torneremo alla nave, e domattina verremo qui di nuovo. Che ne pensate, dottor Bernard?»

«Mi sembra un’ottima idea» disse il sociologo. «Il tramonto è l’ora più logica per interrompere una riunione. Se ce ne andiamo a quell’ora, non avranno alcun motivo di ritenersi insultati.»

«E per l’insulto che è stato fatto a noi?» chiese Dominici indignato. «Quei maledetti musi celesti se ne sono andati senza una parola di scusa, e ci hanno lasciati qui ad arrostire per tutto il pomeriggio! Perché diavolo dovremmo preoccuparci tanto della loro suscettibilità, visto che loro…»

«Perché siamo Terrestri» rispose asciutto Bernard. «Forse loro non hanno un concetto della cortesia uguale al nostro. Forse il loro comportamento di oggi viene considerato come la cosa più normale nell’ambito delle loro convenzioni. Non possiamo giudicarli secondo le norme del nostro comportamento.»

«Voialtri sociologi pensate sempre che nessuno possa essere giudicato secondo la norma» si ribellò seccato Dominici. «Tutto è relativo, vero? Non esistono regole assolute, a sentire voi. Solo degli schemi individuali di comportamento. Bene, io vi dico…»

«Zitti» intervenne Laurance. «Sta arrivando qualcuno.»

La tenda si aprì ed entrarono tre Norglani. Il primo era Zagidh. Dietro di lui stavano altri due Norglani di statura imponente, dalla pelle di un colore intenso, tra il viola e il bluastro. Erano paludati in complicatissime tuniche incrostate di gemme, e tutto il loro aspetto era molto regale. Zagidh si accucciò nella solita posizione acquattata sui talloni. I nuovi venuti rimasero in piedi.

Facendo smorfie a più non posso, Zagidh annunciò: «Due… Kharvish essere venuti da Norgla. Parlare. Voluto tempo… imparare parlare terrestre. Loro-noi volere parlare con voi.»

Zagidh, sempre acquattato, se ne uscì dalla tenda. I due grossi Norglani si acquattarono a loro volta, con movimento simultaneo, nella posizione favorita.

I Terrestri li guardarono a disagio. Bernard si mordeva il labbro inferiore. Quelli erano Norglani importanti, accipicchia.

Esitando, ma con una voce che sembrava composta dalle note basse di un violoncello, uno dei due giganti disse: «Io chiamare Skrinri. Lui chiamare Vortakel. Lui-io-noi chiamare Kharvish. Come dire chi-venire-parlare-con-altro-di-altro-genere?»

«Ambasciatori» suggerì Harvig.

Skrinri ripeté, impadronendosi del vocabolo. «Ambasciatori. Sì. Io chiamare Skrinri, lui chiamare Vortakel, noi-io-lui chiamare ambasciatori. Da Norgla. Pianeta casa.»

«Parlate il terrestre molto bene» si congratulò Stone, scandendo bene le sillabe. «Ve lo ha insegnato Zagidh?»

«Non capire…»

«Non conoscono il participio passato» ammonì Havig. «Provate l’infinito.»

«Zagidh insegnare voi il terrestre?» chiese Stone.

«Lui insegnare lui-io-noi» affermò Skrinri. «Essere qui da sole alto.»

«Da mezzogiorno» tradusse Havig.

«Venite per parlare?» chiese Stone.

«Sì. Voi da Terra. Dove essere Terra?»

«Molto distante» disse Stone. «Come faccio a spiegarglielo, Havig? Saprà che cos’è un anno-luce?»

«No, a meno che non sappia cos’è un anno» replicò Havig. «Meglio lasciar perdere, direi.»

«D’accordo» disse Stone. Poi, rivolto ai Norglani: «Vostro mondo essere vicino?»

«Tutti mondi essere vicino. Niente tempo per viaggiare là-qua.»

Stone si guardò intorno, trasecolato. «Toh, hanno il transmat anche loro!»

«O qualcosa di equivalente» disse Laurance.

Sudando e soffocando nel suo angolino, Bernard seguiva lo svolgersi della conversazione, una cosa era certa: quei due Norglani erano di una categoria speciale, forse tanto al di sopra di Zagidh e degli altri «azzurri» quanto questi rispetto ai «verdi». Skrinri e Vortakel apprendevano il linguaggio a velocità sbalorditiva, cogliendo regole di pronuncia e costruzioni di frasi non solo dalle dichiarazioni bene esposte da Stone, ma perfino dai commenti che i Terrestri scambiavano tra loro.

Gradualmente, la similarità tra i due imperi cominciò a evidenziarsi. I Norglani avevano il transmat, evidentemente: Skrinri e Vortakel erano arrivati dal pianeta madre solo poche ore prima grazie a un mezzo di trasporto istantaneo. La nave spaziale che torreggiava sopra la colonia attestava che i Norglani conoscevano anche i mezzi di spostamento tradizionali, probabilmente a velocità quasi pari ma non superiore a quella della luce.

Molto più difficile era scambiarsi informazioni concrete sulle distanze. Ma era ragionevole pensare che il pianeta madre dei Norglani si trovasse a tre o quattrocento anni luce da quella colonia. Il che significava che la sfera di colonizzazione norglana aveva su per giù lo stesso ordine di ampiezza di quella terrestre.

E fin qui, tutto chiaro. Però, il vero scopo del colloquio non era stato ancora affrontato. Stone ci stava arrivando con pazienza, costruendo uno schema vastissimo di idee e informazioni da comunicare ai Norglani prima di venire al nocciolo.

Mentre gli altri «parlavano», Bernard seguiva il discorso parola per parola, cercando di farsi un quadro dei Norglani come popolazione, che potesse servire in futuro per ulteriori negoziati. Erano una razza stratificata, questo era certo: le diversità di colore non erano semplici differenze di pigmentazione. I «verdi» erano più tarchiati, più bassi, ed evidentemente poco dotati intellettualmente: erano operai nati, addetti ai lavori pesanti. Gli «azzurri» erano più intelligenti, buoni organizzatori, esseri dai riflessi mentali veloci… ma mancavano di autorità, di decisione, della personalità che caratterizza un vero dirigente. Gli altissimi «violacei» avevano invece le prerogative necessarie per il comando.

Erano loro la crema della razza? Oppure, a loro volta, dipendevano da altri tipi ancora più efficienti? Fino a che punto la stratificazione si estendeva?

Impossibile dirlo: ma era probabile che Skrinri e Vortakel rappresentassero il sommo grado dell’evoluzione norglana. Se ne esistevano altri, ancora più dotati, allora i Norglani dovevano trovarsi ben più in alto dei Terrestri lungo la scala del progresso.

Fuori, stava facendosi notte. L’abbassamento di temperatura era già sensibile. Un vento gelato soffiava attraverso la spianata, e faceva sbattere i teli del tendone. Bernard aveva una fame diabolica. Ma i Norglani non mostravano alcun desiderio di sospendere momentaneamente le trattative per la notte. Quanto a Stone, il politico ora si trovava nel suo elemento, e portava avanti senza posa la sua rete di comunicazioni per potere arrivare ai negoziati veri e propri.

E quel momento si stava avvicinando. Stone tracciava diagrammi sul suolo polveroso sotto la tenda della conferenza. Un punto con un cerchio attorno: la sfera di colonizzazione terrestre. A una distanza di qualche metro, un altro punto, un altro circolo: la sfera norglana.

Oltre quelli, altri punti, niente cerchi. Quelle erano le stelle non ancora colonizzate, le terre sconosciute della galassia, che né i Terrestri né i Norglani avevano ancora raggiunto a quello stadio dell’espansione galattica.

Stone disse gravemente: «La popolazione terrestre sta occupando sempre maggiore spazio. Ci stabiliamo su altri mondi.»

E tracciò altri raggi che partivano dal punto raffigurante la sfera di dominazione terrestre. I raggi raggiungevano la zona neutrale.

«Anche i Norglani occupano sempre più spazio. Voi costruite le vostre colonie, noi le nostre.»

Altri raggi partivano dalla sfera norglana. Trascinando uno stecco sul terreno, Stone estendeva i raggi norglani fino a che alcuni di loro quasi s’incrociavano con quelli terrestri.

«Voi colonizzate qui» disse Stone. «Noi colonizziamo là. Continuiamo ad occupare nuovi mondi. E ben presto succede questo…»

Stone diede la spiegazione graficamente. Allungò due raggi, li incrociò. Lo stesso fece con altri.

«Raggiungiamo lo stesso territorio. Litighiamo per questo o quel pianeta. E sarebbe la guerra tra Terrestri e Norglani. Sarebbe la morte e la distruzione per entrambi.»

Skrinri e Vortakel fissavano il diagramma tracciato al suolo come se fosse la simbologia di qualche rito complesso. Le loro facce scheletriche non lasciavano trasparire i pensieri che passavano nella loro mente. I Terrestri aspettavano, silenziosi, osando appena respirare.

Vortakel disse lentamente: «Non deve essere. Non deve essere guerra tra Terrestri e Norglam.»

«Non deve esserci guerra» ripeté Stone.

Bernard si protese in avanti, con i nervi a fior di pelle come se lui stesso, e non Stone, avesse condotto i negoziati. Nonostante il freddo, nonostante la fame, sentiva uno strano senso di trionfo gonfiargli il petto. I Norglani avevano capito, era stato possibile comunicare. Gli ambasciatori di Norgla si rendevano conto dei gravi pericoli di una guerra. Il conflitto sarebbe stato evitato. I sentieri di espansione dei due imperi avrebbero dirottato da quelle pericolose traiettorie convergenti.

Stone continuò: «Dobbiamo scegliere la via della pace. I condottieri Norglani e quelli Terrestri si incontreranno. Ci divideremo le stelle.» Tacque, assicurandosi che gli ambasciatori comprendessero il senso della parola «dividere». «Tireremo una linea» riprese, sottolineando le parole col tracciare una riga di confine tra le due sfere di dominazione. Rapidamente, cancellò col piede i segmenti di raggi norglani che penetravano nella zona terrestre, e quelli dei raggi terrestri che si estendevano nella zona norglana.

Stone sorrise: «Tutti questi mondi» e fece un gesto verso la sinistra del suo diagramma, «saranno norglani. Nessun terrestre cercherà di occuparli. E da questa parte» e indicò il dominio terrestre, «i norglani non dovranno penetrare. Questi mondi saranno della Terra.»

Aspettò che i Norglani gli dessero una risposta.

Gli esseri violacei ristettero silenziosi, scrutando le linee tracciate sul terriccio. Prendendo quel silenzio come un segno che i due non avessero capito bene il suo discorso, Stone ripeté la proposta.

«Da questa parte, tutti i mondi saranno della Terra. Da questa parte, tutti di Norgla. Capito?»

«Capito» rispose Skrinri lentamente, con solennità.

Il vento faceva sbattere la tenda paurosamente. Alzandosi dalla strana posizione acquattata che aveva mantenuto tanto a lungo senza mostrare di soffrirne, Skrinri si fece avanti e torreggiò sul diagramma tracciato da Stone.

Posando accuratamente uno dei grossi piedoni nudi sulle linee, il norglano cancellò il confine che Stone aveva tracciato per delimitare i due settori proposti. Poi, inginocchiandosi, Skrinri cancellò con le dita tutti i raggi di espansione che Stone aveva fatto partire dalla sfera terrestre.

Un attimo prima che Skrinri parlasse, Martin Bernard già sapeva quello che avrebbe detto il norglano.

Il sociologo aveva l’impressione che una mano gelida l’avesse afferrato alla gola. Il senso di trionfo di qualche istante prima era svanito come una fiammella che viene smorzata.

La voce di Skrinri era tranquilla, senza traccia di malizia. Il norglano fece un gesto ampio con tutt’e due le mani, come se volesse abbracciare l’intero Universo.

«Norgla costruisce colonie. Noi espandere. Voi, Terrestri, avere occupato certi mondi. Potete tenere questi mondi. Noi non portare via. Tutti altri appartenere Norgla. Non dobbiamo dire altro.»

Con calma dignità, i due Norglani si avviarono all’uscita della tenda. Nel silenzio sbalordito che seguì, il vento metteva una strana nota di irrisione.

Tutti altri mondi appartenere Norgla. Allibiti, i nove Terrestri si fissarono l’un l’altro. Questo, nessuno se l’era aspettato.

«È un bluff!» disse aspramente Dominici. «Limitarci ai possedimenti che abbiamo ora? Ma non possono fare sul serio!»

«Forse possono» ribatté tranquillamente Havig. «Forse questa è la fine del nostro bel sogno di colonizzazione galattica. Forse questo è un bene e non lo sappiamo. Andiamocene. Per oggi, non concluderemo più niente.»

I Terrestri uscirono in fila dalla tenda, nel buio misterioso, nel vento improvvisamente ostile.

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