CAPITOLO DICIASSETTESIMO LE MOGLI

Scopri come si è sparsa la voce che la Flotta di Evacuazione è armata con il Little Doc. Questo ha la MASSIMA PRIORITÀ. Poi scopri chi è questo cosiddetto Demostene. Definire la Flotta di Evacuazione un «Secondo Xenocidio» è una chiara violazione delle leggi sul tradimento stabilite dal Codice e, se l’SSF non può rintracciare questo individuo e metterlo a tacere, non vedo alcuna buona ragione perché l’SSF continui a esistere.

Nel frattempo, continuate il vostro esame delle registrazioni prelevate da Lusitania. È del tutto irrazionale, da parte loro, ribellarsi solo perché vogliamo arrestare due xenologi. Dal fascicolo personale del governatore B. non la si direbbe capace di un atto simile. Se nella colonia ci fosse stata una rivoluzione, voglio sapere chi potrebbero esserne i capi.

Pyotr, io so che stai facendo del tuo meglio. Così anch’io. Così tutti. E così perfino la gente di Lusitania, probabilmente. Ma io sono responsabile della sicurezza e della vita dei Cento Mondi. Ho cento volte più responsabilità di Peter l’Egemone, e un decimo del suo potere. Per non parlare del fatto che io non ho certo il suo genio politico. Scommetto che tu e gli altri sareste felici di avere un altro Peter Wiggin. Ma invece ho paura che, prima che questa faccenda sia finita, potreste avere un altro Ender. Nessuno desidera lo Xenocidio e tuttavia, se ci fosse, io voglio essere sicuro che siano gli altri a sparire. Quando si arriva alla guerra, gli umani sono umani, e gli alieni sono alieni. Tutte quelle chiacchiere sui ramans sono fumo negli occhi, se c’è di mezzo la sopravvivenza.

Questo ti soddisfa? Mi credi, quando ti dico che non mi sto rammollendo? Ora guarda di non rammollirti tu. E fammi avere dei risultati quanto prima. Subito. Saluti e baci. Bawa.

Gobawa Ekimbo (Chmn Xen Ovst Com), lettera al dir. Pyotr Martinov (Serv. Seg. Fed.) 4.5.1970 cit. da Demostene il Il Secondo Xenocidio, 1.1.1972


Ad aprire la strada nell’oscurità della foresta era Human. I maiali avanzavano agevolmente su e giù per i declivi, attraversando i ruscelli e il fitto sottobosco senza fretta. Ma Human sembrava fare una danza di quella marcia, a volte correndo di lato a toccare un albero e a volte parlando a un altro. I tre che lo seguivano erano molto più tranquilli, e di rado sfioravano una pianta. Mandachuva si teneva invece alla retroguardia con i tre esseri umani.

— Perché fa così? — gli chiese sottovoce Ender.

Mandachuva lo guardò senza capire, e Ouanda dovette spiegargli il significato della domanda: — Perché Human va a battere sugli alberi, e parla e canta?

— Gli canta della terza vita — disse Mandachuva. — Solo un gran maleducato si comporta così. È sempre stato egoista e stupido.

Ouanda scambiò con Ender un’occhiata sorpresa, poi si volse ancora a Mandachuva. — Credevo che Human piacesse a tutti — disse.

— Grande onore — disse Mandachuva. — Un saggio. — Poi diede a Ender un colpetto su un fianco. — Ma in una cosa è sciocco. Pensa che voi lo onorerete. Pensa che lo darete alla terza vita.

— Cos’è la terza vita? — chiese Ender.

— Il dono che Pipo tenne per sé — rispose Mandachuva. Accelerò il passo e raggiunse gli altri maiali.

— Questo ha qualche senso per te? — chiese Ender a Ouanda.

— Ancora non ho fatto l’abitudine al modo diretto in cui lei gli fa domande.

— E le risposte troppo dirette a volte sono incomprensibili, eh?

— Mandachuva è irritato, questo è un fatto. Ed è irritato con Pipo, questo è un altro fatto. La terza vita… un dono che Pipo tenne per sé. Suppongo che il significato lo scopriremo.

— Quando?

— Fra vent’anni. O venti minuti. È questo che rende la xenologia così divertente.

Anche Ela stava toccando gli alberi, e ogni tanto si fermava a esaminare i cespugli. — Piante di una sola specie. E i cespugli sono tutti uguali. Un solo rampicante, che copre la maggior parte degli alberi. Hai mai visto altri tipi di vegetali qui nella foresta, Ouanda?

— No, che io sappia. Ma non ne ho neppure cercati. Il rampicante è il nerdona. Sembra che i macios se ne nutrano, e i maiali mangiano i macios. Abbiamo insegnato noi ai maiali a rendere commestibili le radici di nerdona. Prima dell’amaranto. Così ora sono collegati alla base della catena alimentare.

— Guardate — disse Ender.

Più avanti i maiali s’erano fermati, allineandosi sul bordo di una vasta radura, e davano loro le spalle. Ender, Ela e Ouanda li raggiunsero e spinsero lo sguardo nello spazio illuminato dalla luna. Era piuttosto ampio, terra battuta accuratamente livellata, e tutto intorno al perimetro sorgevano parecchie case di tronchi, messe in fila. Al centro della radura cresceva un enorme albero solitario, il più grosso che avessero mai visto nella foresta.

La corteccia sembrava muoversi. — È coperto di macios — si stupì Ouanda.

— Non macios — disse Human.

— Trecentoventi — disse Mandachuva.

— Piccoli fratelli — disse Freccia.

— E piccole madri — aggiunse Orcio.

— E se fate loro del male — disse Mangia-Foglie, — vi uccideremo senza piantarvi e abbatteremo i vostri alberi.

— Non faremo loro alcun male — lo rassicurò Ender.

I maiali non avevano fatto un sol passo nella radura. Attesero in silenzio, e finalmente dopo un po’ ci fu un movimento nell’ombra presso la casa di maggiori dimensioni, sul lato opposto della radura. Era un maiale, più grosso di quanti ne avessero mai visti prima.

— Una moglie — mormorò Mandachuva.

— Come si chiama? — chiese Ender.

1 maiali si volsero a guardarlo. — Loro non dicono a noi i loro nomi — disse Mangia-Foglie.

— Se hanno nomi — aggiunse Orcio.

Human prese Ender per una manica e lo fece chinare, sussurrandogli all’orecchio: — Noi la chiamiamo sempre Urlatrice. Ma mai quando una moglie ci può sentire.

La femmina li osservò, e poi cantò (non c’era altro modo di descrivere quella voce fluida) una frase o due nella Lingua delle Mogli.

— Ti dà il permesso di andare — disse Mandachuva. — Araldo. Tu.

— Da solo? — chiese Ender. — Preferisco portare con me Ela e Ouanda.

Mandachuva disse qualcosa nella Lingua delle Mogli. La sua voce parve un rauco gorgoglio a paragone di quella melodiosa della femmina. Urlatrice rispose con una brevissima cantilena.

— Lei dice: naturalmente, puoi condurle con te — tradusse Mandachuva. — Dice: sono femmine, non è vero? Lei non è molto esperta nelle differenze fra gli umani e i Piccoli.

— Un’altra cosa — disse Ender. — Almeno anche uno di voi, come interprete. Oppure capisce lo stark?

Mandachuva riferì quel che Ender chiedeva. La risposta fu breve, e al maiale non dovette piacere affatto perché rifiutò di tradurla. A farlo fu Human: — Lei dice che puoi avere ogni interprete che desideri, purché sia io.

— Allora desidero che l’interprete sia tu. D’accordo.

— Devi entrare tu per primo nel posto della nascita — disse Human. — Tu sei l’invitato.

Ender uscì dai cespugli e avanzò nel chiarore lunare. Dietro di sé sentiva i passi di Ela e Ouanda, e quelli più rapidi e soffocati di Human. Quasi subito s’accorse che Urlatrice non era sola in quel luogo. Su ogni porta erano comparse altre femmine. — Quante ce ne sono, qui? — domandò.

Human non rispose. Lui si volse a guardarlo. — Quante mogli vivono qui? — ripeté.

Human lo ignorò, e continuò a tacere finché Urlatrice non gli cantò qualcosa in tono di comando. Solo allora il maiale disse: — Nel posto della nascita, Araldo, si parla soltanto quando una moglie fa una domanda.

Ender annuì gravemente, poi fece dietro front e tornò al bordo della radura dov’erano rimasti gli altri maschi. Ela e Ouanda lo seguirono. Alle sue spalle Urlatrice cantò altre frasi, e stavolta i tre esseri umani capirono il motivo di quel nome: la voce della femmina poteva alzarsi al punto da far tremare gli alberi. Human raggiunse Ender e lo afferrò per una manica. — Lei chiede perché state andando via, quando non vi è stato dato il permesso di andare. Araldo, questa è una cosa molto grave. Lei è davvero arrabbiata.

— Dille che io non sono venuto per dare o per ricevere istruzioni. Se vuole trattarmi da pari a pari, anch’io farò lo stesso.

— Non posso dirle questo! — protestò Human.

— Allora ce ne andremo, e lei non saprà mai perché siamo venuti.

— Ma essere chiamati fra le mogli è un grande onore!

— Anche la visita di un Araldo dei Defunti è un grande onore per loro.

Human rimase immobile alcuni secondi, rigido per l’ansia, poi si volse e parlò a Urlatrice.

La femmina non aprì bocca. Nella radura cadde il silenzio più completo.

— Spero che lei sappia quel che sta facendo, Araldo — disse Ouanda.

— Sto improvvisando — si difese Ender. — Come ti sembra che vada?

Lei non rispose.

Urlatrice diede loro le spalle e rientrò nella grande casa di tronchi. Ender fece lo stesso e rientrò nella foresta. Ma quasi all’istante la voce della femmina tornò a echeggiare.

— Vi ordina di attendere — tradusse Human.

Ender non si fermò e passò oltre il gruppo dei maschi. — Se mi chiede di tornare indietro, forse lo farò. Ma tu devi spiegarle, Human, che non sono venuto qui per dare o per prendere ordini.

— Non posso dirle questo — replicò Human.

— Perché no?

— Lascia fare a me — disse Ouanda. — Human, vuoi dire che non puoi parlarle così perché hai paura, oppure perché non ci sono le parole?

— Nessuna parola. Né quelle di comando da un fratello a una moglie, né quelle di supplica da una moglie a un fratello. Sono parole che non vanno in queste direzioni.

Ouanda sorrise a Ender. — Non ostacoli di costume, Araldo. Ostacoli di linguaggio.

— Human, loro non capiscono la tua lingua? — chiese Ender.

— La Lingua dei Maschi non può essere parlata nel posto della nascita — disse il maiale.

— Dille che le mie parole non possono essere dette nella Lingua delle Mogli, ma soltanto in quella dei maschi. E dille che io… uh, supplico che tu abbia il permesso di tradurre ciò che dirò nella Lingua dei Maschi.

— Tu rischi un grosso guaio, Araldo — disse Human. Si volse e parlò ancora a Urlatrice.

D’improvviso la radura fu piena di versi acuti nella Lingua delle Mogli, una dozzina di voci diverse che salivano nell’aria come le prove di un coro caotico e disarmonico.

— Araldo — disse Ouanda, — lei ha violato più o meno tutte le regole dell’antropologia pratica.

— Non ne ho rispettata neppure una?

— La sola che mi viene in mente è che lei non ha ancora sparato a nessuno di loro.

— Quello che stai dimenticando — disse Ender, — è che io non sono uno scienziato venuto a studiarli, ma un ambasciatore che deve trattare con loro.

Di colpo come avevano cominciato, le mogli si azzittirono. Urlatrice uscì dalla casa e avanzò nella radura, fermandosi accanto al grande albero centrale. Cantò qualcosa.

Human le rispose, stavolta nella lingua dei fratelli, e Ouanda ne fece una sintetica traduzione: — Le sta riferendo la tua proposta, sul fatto di essere uguali.

Le mogli eruppero di nuovo in una cacofonia di note.

— Cosa credi che risponderanno? — domandò Ela.

— Come posso saperlo? — disse Ouanda. — È la prima volta che vengo qui, esattamente come voi.

— Penso che capiranno, e che mi accetteranno a queste condizioni — disse Ender.

— E cosa glielo fa credere? — chiese Ouanda.

— Perché io vengo dal cielo. E perché sono l’Araldo dei Defunti.

— Non cominci a recitare la parte del Grande Dio Bianco — commentò Ouanda. — Di solito non funziona troppo bene.

— Io non sono Pizarro — disse Ender.

Nel suo orecchio destro Jane mormorò: — Sto cominciando a vedere più chiaro nella Lingua delle Mogli. Gli elementi basilari di quella dei maschi erano nelle note di Pipo e di Libo. La traduzione di Human mi è stata d’aiuto. La Lingua delle Mogli è strettamente collegata a quella dei maschi, salvo che sembra molto più arcaica. Stesse radici, stessi fonemi. Tutte le forme femmina-a-maschio sono imperative, e tutte quelle maschio-a-femmina sono al vocativo. La parola femminile per «i fratelli» sembra correlata alla parola maschile per «macio», i vermi degli alberi. Se è il linguaggio dell’amore, c’è da chiedersi come facciamo a riprodursi.

Ender sorrise. Era piacevole sentire di nuovo Jane che gli parlava, ed era bello sapere che avrebbe avuto il suo aiuto.

S’accorse che Mandachuva doveva aver chiesto qualcosa, perché Ouanda s’era chinata a rispondergli sottovoce: — Sta ascoltando il gioiello che ha all’orecchio.

— È la Regina dell’Alveare? — domandò Mandachuva.

— No — disse Ouanda. — È un… — Si sforzò di trovare la parola. — È un computer. Una macchina con la voce.

— Posso averne uno? — chiese Mandachuva.

— Un giorno o l’altro — disse Ender, salvando così Ouanda dal problema di studiare una risposta diplomatica.

Le mogli tacquero, e la voce di Urlatrice cantò un paio di frasi nel silenzio. Subito i maschi mostrarono una certa agitazione, mettendosi a saltellare su e giù nervosamente.

Jane sussurrò a Ender: — Sta parlando anche lei nella Lingua dei Maschi.

— Davvero un grande giorno — disse Freccia. — Le mogli che parlano la Lingua dei Maschi in questo posto. Mai successo prima.

— Lei ti invita a entrare — tradusse Human. — Ti parla come a un fratello… no, voi direste come una sorella a un fratello.

Immediatamente Ender si avviò nella radura, verso la femmina. Pur essendo più alta dei maschi era cinquanta centimetri buoni più bassa di lui, cosicché preferì poggiare un ginocchio al suolo. La osservò, faccia a faccia.

— Ti sono molto grato per la tua gentilezza — disse Ender.

— Io non posso dire questo nella Lingua delle Mogli — si lamentò subito Human.

— Diglielo nella tua lingua, per favore.

Il maiale eseguì. Urlatrice alzò una mano e toccò la fronte liscia di Ender, poi la mandibola che cominciava a irruvidirsi di barba non rasata. Gli sfiorò ciglia e sopracciglia, e lui chiuse gli occhi ma non allontanò il dito che gli passava delicatamente su una palpebra.

Urlatrice disse qualcosa, e Human tradusse: — Tu sei il santo Araldo? — Ma Jane corresse quella versione: — Lui ha aggiunto la parola «santo».

Ender si volse a guardare Human. — Io non sono santo — disse.

Il maiale s’irrigidì.

— Diglielo.

Human si mostrò agitato per qualche istante, poi evidentemente decise che il meno pericoloso dei due era Ender. — Lei non ha detto «santo».

— Ripetimi quel che ha detto, con la maggior esattezza possibile — lo esortò Ender.

— Se tu non sei un santo — obiettò Human, — come fai a sapere che lei non ha detto quella parola?

— Per favore — disse Ender, — sii sincero nel tradurre, e preciso.

— Con te posso essere sincero — protestò Human. — Ma quando parlo a lei è la mia voce che lei sente dire le tue parole. Io devo dire… con prudenza.

— Sii preciso — ripeté Ender. — Non aver paura. È importante che lei sappia esattamente quel che dico. Dille questo. Dille che la prego di perdonarti se tu parli con poca educazione, ma io sono un rozzo framling e tu devi tradurre alla lettera le mie parole.

Human roteò gli occhi nelle orbite, ma si volse a Urlatrice e le spiegò il concetto.

Lei rispose brevemente, e il maschio tradusse: — Dice che non ha la testa scavata dalle radici di nerdona. Naturalmente questo l’aveva capito.

— Dille che noi umani non avevamo mai visto prima un albero così grosso. Chiedile di spiegarci cosa fanno lei e le altre mogli con questo albero.

Ouanda era sbigottita. — Di lei si potrà dire tutto, ma non che mena il can per l’aia quando ha qualcosa da chiedere.

Ma quando Human ebbe tradotto la domanda di Ender, Urlatrice si accostò immediatamente all’albero, vi poggiò le mani e cominciò a cantare.

Avvicinatisi anch’essi al tronco, i tre esseri umani poterono vedere la massa di creaturine che strisciavano sulla corteccia. Molte di loro non superavano i quattro o cinque centimetri di lunghezza. Avevano un vago aspetto fetale, benché sui corpi rosati si scorgesse un velo di peluria scura. I loro occhi erano aperti. Si arrampicavano l’una sull’altra, sforzandosi di conquistare un posto su una delle particelle di sostanza pastosa disseccata che chiazzavano il tronco.

— Pasta d’amaranto — constatò Ouanda.

— Bambini — fu il sussurro di Ela.

— Non bambini — disse Human. — Questi sono quasi abbastanza cresciuti da saper camminare.

Ender avvicinò una mano alla corteccia. Urlatrice interruppe all’istante la sua canzone, ma lui la ignorò e appoggiò le dita sul legno a pochi millimetri di distanza da un giovane maiale.

La piccola creatura continuò ad arrampicarsi, gli salì sul dito e vi si aggrappò saldamente. — Conoscete il nome di questo? — chiese Ender.

Rigido per lo spavento Human si affrettò a tradurre. Ebbe subito la risposta di Urlatrice. — Questo è uno dei miei fratelli — disse. — Non avrà un nome finché non potrà camminare su due gambe. Suo padre è Rooter.

— E sua madre? — chiese Ender.

— Oh, le piccole madri non hanno mai nomi — disse Human.

— Chiediglielo.

Human pose la domanda e la femmina rispose. — Dice che sua madre era molto forte e coraggiosa. È riuscita a ingrassare molto, mentre portava dentro di sé i suoi cinque figli. — Il maiale si toccò la fronte. — Cinque figli è un gran bel numero. E lei era abbastanza grassa da nutrirli tutti.

— È stata sua madre a portare la pasta che lo nutre?

Human apparve inorridito. — Araldo, io non posso domandare questo. In nessuna lingua!

— Perché no?

— Te l’ho detto. Lei era abbastanza grassa da nutrire tutti e cinque i suoi bambini. Rimetti giù quel piccolo fratello, e lascia che la moglie canti all’albero.

Ender poggiò di nuovo la mano sul tronco, e l’esserino zampettò via. Urlatrice ricominciò a cantare. Ouanda aveva stretto i denti, contrariata dall’imprudenza di lui. Ma Ela era eccitata. — Non vedete? I nuovi nati si nutrono sul corpo della loro madre.

Ender si ritrasse, accigliato.

— Come puoi dir questo? — chiese Ouanda.

— Guardate come strisciano su per l’albero, proprio come piccoli macios. I maiali e i macios devono esser stati in competizione. — Ela indicò una zona della corteccia libera dalle chiazze d’amaranto. — L’albero emette linfa. Qui, dalle fessure. Prima della Descolada dovevano esserci degli insetti che si nutrivano della linfa, e i macios e i piccoli maiali competevano per mangiarli. Ecco perché i maiali poterono mescolare le loro molecole genetiche con quelle degli alberi. Non solo i loro infanti vivono qui, ma gli adulti devono costantemente arrampicarsi sugli alberi per togliere di mezzo i macios. Anche se avevano abbondanza di altre fonti alimentari, erano sempre legati a questi alberi dal loro ciclo vitale. Molto prima che essi stessi diventassero alberi.

— Noi studiamo la società attuale dei maiali — disse Ouanda, impaziente, — non il loro lontanissimo passato evolutivo.

— E io sto conducendo un delicato negoziato — disse Ender. — Perciò siate così gentili da starvene quiete, e imparate quel che c’è da imparare senza tenere un seminario.

La canzone raggiunse il suo punto culminante. E d’un tratto sulla corteccia apparve una spaccatura verticale.

— Non avranno intenzione di abbattere quest’albero per noi, vero? — ansimò Ouanda, inorridita.

— Lei sta chiedendo all’albero di aprire il suo cuore. — Human si toccò la fronte. — Questo è l’albero-madre, l’unico che c’è in tutta la foresta. A questo albero non deve accadere nulla di male, o tutti i nostri figli verranno da altri aiberi, e tutti i nostri padri moriranno.

Le voci delle mogli si unirono in coro a quella di Urlatrice, e dopo qualche secondo nel tronco si aprì un foro circolare. Ender si spostò in modo di poterci guardare dentro. Ma la luce era troppo scarsa.

Ela si staccò un tubetto illuminante dalla cintura e glielo porse, ma prima di poterlo accendere fu bloccata da una mano di Ouanda che le afferrò il polso. — Un attrezzo! Non se ne possono portare, qui.

Ender tolse gentilmente il cilindretto dalle dita di Ela. — Grazie — disse. E a Ouanda: — Il recinto è un ricordo del passato, adesso. E tutti siamo arruolati nella missione Domande del Giorno. — Accese il tubetto, e subito con un dito attenuò l’intensità del forte cono di luce che ne era sprigionato. Le mogli mormorarono, e Urlatrice toccò l’addome di Human.

— Ho già detto loro che di notte potete fare piccole lune — disse il maiale. — Ho detto che le portate con voi.

— Non farò un danno, se punto questa luce nel cuore dell’albero-madre?

Human lo domandò a Urlatrice, e lei allungò una mano a prendere il tubetto illuminante. Poi, tenendolo con mani tremanti, cantò qualcosa sottovoce, e mosse il raggio in modo che nel foro entrasse appena un vago lucore. Quasi all’istante lo distolse, puntandolo da un’altra parte.

— Il bagliore li acceca — spiegò Human.

Nell’orecchio di Ender, Jane disse: — Il suono della voce di lei echeggiava dall’interno del foro. Quando la luce è entrata, l’eco si è modulata alzandosi di tono e dando forma ad alcune parole. L’albero stava rispondendo, e usava il suono della voce stessa di Urlatrice.

— Potresti vedere qualcosa? — sussurrò Ender.

— Inginocchiati e avvicina il sensore, muovendolo davanti all’apertura — disse Jane. Ender ubbidì, e tenendo l’orecchio destro a pochi centimetri dal foro girò lentamente la testa per dare al sensore più di un’angolazione visiva. Jane gli descrisse ciò che vedeva. Dopo cinque o sei minuti si rialzò in piedi e si volse alle due ragazzine. — Le piccole madri — disse. — Ci sono le piccole madri, lì dentro. Quelle gravide. Non più lunghe di quattro centimetri. Una di loro stava partorendo.

— Lo hai visto con il tuo microimpianto? — chiese Ela, perplessa.

Ouanda s’inginocchiò e strinse le palpebre per guardare ne! foro, ma senza vedere che il buio più assoluto. — Incredibile dimorfismo sessuale. Le femmine giungono alla maturità sessuale nella loro primissima infanzia, partoriscono e muoiono.

— Poi chiese a Human: — Le piccole creature sull’esterno dell’albero, sono tutti fratelli?

Human ripeté la domanda a Urlatrice. La moglie allungò una mano sulla corteccia, a destra del foro, e prese fra le dita un esserino non molto più grosso degli altri. Cantò alcune parole di spiegazione. — Questa è una giovane moglie — tradusse Human. — Quando sarà abbastanza cresciuta si unirà alle altre per accudire i figli.

— Ce n’è una sola? — chiese Ela.

Ender scosse il capo. — Questa dev’essere sterile, oppure non la lasceranno accoppiare mai. Non può aver avuto figli finora, almeno.

— Perché no? — chiese Ouanda.

— Non ha il canale extrauterino — disse Ender. — I nascituri si divorano la strada per uscire.

Ouanda mormorò una preghiera, inorridita. Ela, invece, era più curiosa che mai. — Affascinante — disse. — Ma se sono così piccole, come si accoppiano?

— Noi le portiamo dai padri, naturalmente — disse Human.

— Cosa credevate? I padri non possono certo venire qui, non vi pare?

— I padri — disse Ouanda. — È così che chiamano gli alberi più tenuti in considerazione.

— È vero — disse Human. — I padri sono fertili nella corteccia. Mettono la loro polvere nella corteccia, nella linfa. Noi portiamo la piccola madre dal padre che le mogli hanno scelto; lei si arrampica sulla corteccia, la polvere che sta sulla linfa va nella sua pancia e la riempie con i piccoli.

Senza dir nulla Ouanda indicò le lievi protuberanze sull’addome di Human.

— Sì — disse il maiale. — Questi sono i portatori. Il fratello che ha questo onore mette la piccola madre su uno dei suoi portatori, e lei si tiene molto stretta per tutta la strada fino al padre. — Si toccò la pancia. — È la gioia più grande che abbiamo nella seconda vita. Noi porteremmo le piccole madri ogni notte, se potessimo.

Urlatrice riprese a cantare, a voce molto alta e insistente, e il foro dell’albero-madre cominciò a chiudersi.

— Tutte quelle femmine, le piccole madri — chiese Ela, — sono senzienti?

Era una parola che Human non aveva mai sentito.

— Sono consapevoli? — domandò Ender.

— Naturalmente — disse Human.

— Ciò che Ela voleva dire — intervenne Ouanda, — è se le piccole madri possono pensare. Capiscono la lingua?

— Loro? — si stupì Human. — No, loro non sono più intelligenti di un cabras. Appena un po’ più intelligenti dei macios. Loro fanno solo tre cose: mangiano, si arrampicano, e si aggrappano al portatore. Quelle che adesso sono fuori dall’albero, stanno cominciando a imparare. Io posso ricordare di quando mi arrampicavo sulla faccia dell’albero-madre. Avevo la memoria già allora. Ma io sono uno dei pochissimi che ricorda così indietro.

Gli occhi di Ouanda s’erano riempiti di lacrime. — Tutte queste madri… nascono, si accoppiano, partoriscono e muoiono. E questo nella loro prima infanzia. Non si rendono neppure conto d’essere vive.

— È dimorfismo sessuale portato incredibilmente all’estremo — disse Ela. — Le femmine raggiungono molto presto la maturità sessuale, e i maschi la raggiungono tardi. È ironico, non è vero, che le femmine adulte dominanti siano tutte sterili? Governano l’intera tribù, ma i loro geni non sono trasmessi alla prole.

— Ela — disse Ouanda, — che succederebbe se trovassimo il modo di far partorire le piccole madri senza che i figli le divorino? Un taglio cesareo. Con ricco nutrimento proteico per i neonati, come sostituto del corpo materno. Le femmine potrebbero sopravvivere fino all’età adulta?

Ela non ebbe la possibilità di rispondere, perché Ender le prese per le braccia e le condusse frettolosamente in disparte. — Avete un bel coraggio! — sussurrò. — Cosa fareste se sentiste loro discutere di un sistema per far venire alla luce i neonati umani divorando il corpo della madre?

— Ma di che sta parlando? — si stupì Ouanda.

— Che ipotesi orribile — disse Ela.

— Non siamo venuti qui per attaccarli alla stessa radice della loro vita — disse Ender. — Siamo qui per cercare il modo di condividere questo pianeta con loro. Fra cento anni o cinquecento, quando ne sapranno abbastanza da fare mutamenti del genere, decideranno loro se alterare o meno il modo in cui i loro figli sono concepiti e partoriti. Non possiamo metterci a teorizzare su cosa accadrebbe adesso se, improvvisamente, molte femmine giungessero alla maturità come i maschi. Per fare cosa, poi? Sono strutturate per partorire allo stadio infantile, e da adulte quale sarebbe la loro funzione?

— Ma se muoiono senza praticamente essere state vive…

— Loro sono ciò che sono — disse Ender. — Le decisioni sui loro cambiamenti possono venire solo dalla loro prospettiva, non dalla prospettiva umana. Non puoi pretendere di stabilire tu quale sia la vita migliore e più felice per loro.

— Lei ha ragione — disse Ela. — Ha ragione, naturalmente. Mi scusi.

Per Ela i maiali non erano gente, erano una strana fauna aliena, poiché la ragazza era abituata a scoprire schemi di vita inumani in tutto ciò che non era umano a livello biologico. Ma Ender s’accorse che Ouanda era stata irritata dal suo ragionamento. Lei aveva già fatto il transfer emotivo raman: pensava ai maiali come noi tutti, invece di noi e loro; accettava le stranezze del loro comportamento, inclusa l’uccisione di suo padre, codificandole come errori umani, e quindi correggibili. Questo la portava a essere verso i maiali più comprensiva e tollerante di quanto Ela avrebbe mai potuto essere; e tuttavia la rendeva molto più vulnerabile allo shock della scoperta che i suoi amici avevano usanze bestiali e crudeli, disumane.

Ender notò anche, sorpreso, che dopo anni di vita in comune con i maiali Ouanda aveva assunto una delle loro abitudini inconsce: nei momenti di estrema ansia, o tensione, tutto il suo corpo s’irrigidiva. Così le ricordò la sua umanità passandole un braccio attorno alle spalle, con gesto fraterno, e le sorrise.

Ouanda si rilassò con un brivido, rise nervosamente, poi disse a bassa voce: — Sa cosa stavo pensando? Che le piccole madri partoriscono e muoiono non battezzate.

— Se monsignor Peregrino li convertirà — disse Ender, — forse apriranno l’albero-madre e gli lasceranno spruzzare dentro l’acqua santa.

— Non si prenda gioco di me — sussurrò Ouanda.

— Scusami. Per adesso, comunque, chiederemo loro di cambiare quel tanto che basta per convivere con noi, e non di più. E noi dovremo fare lo stesso per loro. O ci troveremo d’accordo su questo, o il recinto sarà riacceso, perché altrimenti noi saremo una minaccia per la loro sopravvivenza.

Ela gli diede il suo consenso con un cenno del capo, ma Ouanda s’era di nuovo irrigidita. Le dita di Ender le premettero forte nella carne della spalla. Per un attimo la ragazza parve sul punto di ribellarsi, poi annuì a denti stretti. Luì rilassò la presa. — Mi spiace — disse, — ma loro sono quello che sono. O se vuoi, sono ciò che Dio ha deciso che fossero. Così non cercare di rimodellarli a tua immagine e somiglianza.

Tornò accanto all’albero-madre. Urlatrice e Human erano lì ad attenderlo.

— Chiedile scusa per questa interruzione — disse Ender.

— Tutto bene — rispose Human. — Le ho detto quello che stavi facendo.

Ender trasalì. — E cosa le hai detto?

— Ho detto che loro due volevano fare qualcosa alle piccole madri, per farle diventare più uguali agli umani, ma che tu hai risposto che non devono farlo mai oppure riaccenderai il recinto. Le ho detto che tu vuoi che i Piccoli e gli umani rimangano quelli che sono.

Ender sorrise. Se la traduzione era stata quella, Human aveva avuto il buon senso di dire la verità senza entrare nei particolari. Esisteva anche l’ipotesi che le mogli volessero davvero far sopravvivere le piccole madri fino all’età adulta, senza capire quali conseguenze a catena sarebbero nate da un atto apparentemente positivo e umanitario. Human era un buon diplomatico: riusciva a mentire anche quand’era costretto a dire la verità.

— Bene — approvò Ender. — Ora che ci siamo conosciuti tutti, è tempo di cominciare a parlare seriamente.

Si accovacciò sul nudo terreno. Urlatrice si gettò a sedere nella polvere di fronte a lui e cantò alcune frasi melodiose.

— Lei dice che tu devi insegnarci tutto ciò che sai, farci andare sulle stelle, portare qui la Regina dell’Alveare, e regalarle il bastoncino luminoso che questa nuova femmina ha con sé, oppure nel buio della notte manderà i fratelli di questa foresta a uccidere tutti gli umani nel sonno, e vi appenderà alti dal suolo così non otterrete mai la terza vita — tradusse il maiale. Nel vedere l’allarme dei tre umani si affrettò a toccare Ender sul petto. — No, no, voi dovete capire. Questo non significa niente. E sempre così che si comincia, quando parliamo con un’altra tribù. Pensate che saremmo così pazzi? Noi non vi uccideremmo mai! Voi ci avete dato l’amaranto, i vasi, la Regina dell’Alveare e l’Egemone.

— Dille di ritirare questa minaccia, o non vi daremo nient’altro.

— Ma ti ripeto, Araldo, che questo non significa…

— Lei ha pronunciato quelle parole, e io non discuterò di niente finché non saranno ritirate.

Human tradusse la richiesta alla femmina.

Urlatrice balzò in piedi e cominciò a girare intorno all’albero-madre con le braccia sollevate, cantando a voce altissima.

Human si piegò verso Ender. — Si sta lamentando con la grande madre e le altre mogli del fatto che tu sei un fratello che non sa stare al suo posto. Dice che sei maleducato e che è impossibile trattare con te.

Ender annuì. — Sì, è proprio così. Adesso stiamo cominciando ad andare da qualche parte.

Di nuovo Urlatrice si lasciò cadere a terra davanti a lui. Parlò in fretta, nella Lingua dei Maschi.

— Dice che non ucciderà mai un umano, e che non permetterà che i fratelli o le mogli uccidano uno di voi. Dice che tu sei due volte più grosso di chiunque di noi, e che sai tutto, mentre noi non sappiamo niente. E dice: ora si è umiliata abbastanza perché tu voglia parlare con lei?

Urlatrice lo fissava accigliata, in attesa della risposta.

— Sì — disse Ender. — Adesso possiamo cominciare.


Novinha s’inginocchiò sul pavimento, accanto al letto di Miro. Alle sue spalle c’erano Quim e Olhado. Dom Cristão stava portando Quara e Grego a letto nella loro stanza, e quando le parole con cui rincuorava i due bambini svanirono in fondo al corridoio, nella camera rimase soltanto il respiro rauco e faticoso di Miro.

Il giovane aprì lentamente gli occhi.

— Miro! — ansimò Novinha.

Lui mandò un gemito fioco.

— Miro, sei a casa, a letto. Hai cercato di arrampicarti sul recinto acceso. Ora il dottor Navio dice che il tuo cervello è… è stato danneggiato. Non sappiamo se il danno è permanente o no. Mi senti? — Novinha deglutì un groppo di saliva. — Potresti restare… forse paralizzato, in parte. Ma almeno sei vivo, Miro, e Navio dice che oggi si può fare molto per compensare quello che… che puoi aver perduto. Capisci? Ti sto dicendo la verità. Devo dirtela. Può darsi che sarà molto dura per un po’, ma faremo tutto il possibile.

Lui mugolò qualcosa, ma stavolta non era un gemito. Sembrava che stesse cercando di parlare, senza riuscirci.

— Puoi muovere la mandibola, Miro? — domandò Quim.

Lui aprì la bocca, pian piano, e la richiuse.

Olhado protese una mano, un metro sopra la testa del fratello, e la spostò qua e là. — Riesci a muovere gli occhi? Provaci.

I globi oculari di Miro seguirono gli spostamenti della mano. Novinha gli afferrò le dita della destra. — Ti sto toccando. Puoi sentire le mie dita che piegano le tue? Le senti?

Miro mugolò ancora, raucamente.

— Chiudi la bocca per dire no - suggerì Quim, — e aprila per dire sì.

Miro chiuse la bocca e disse: — Mm.

Novinha si sentì sul punto di crollare. Malgrado si fosse sforzata di avere un tono incoraggiante, quella era la cosa più terribile mai accaduta a uno dei suoi figli. Quando Lauro aveva perduto gli occhi ed era divenuto «Olhado» — quanto aveva odiato quel nomignolo, ma ora lo usava anche lei — s’era detta che non sarebbe potuta succedere una disgrazia peggiore. Ma Miro, paralizzato, incapace perfino di sentire il contatto della sua mano… questo era un dolore troppo grande per lei. Le si era spezzato il cuore una volta, alla morte di Pipo, e una seconda volta per quella di Libo, e poi c’era stata l’angoscia venata di rimorso che aveva provato per la scomparsa di Marcão. Non era mai stata capace di dimenticare neppure il terribile vuoto che le aveva gelato l’anima il giorno in cui aveva visto calare nella fossa i suoi genitori. Ma nulla le straziava il cuore come vedere suo figlio soffrire ed essere incapace di fare qualcosa per lui.

Si alzò per uscire. Per il bene di lui doveva scappare via da lì e andare a piangere in silenzio, in un’altra stanza.

— Mm. Mm. Mm.

— Non vuole che tu vada via — disse Quim.

— Resterò, se vuoi — disse Novinha. — Ma ora devi dormire, ti prego, cerca di riuscirci. Navio dice che è meglio se dormi per un po’…

— Mm. Mm. Mm.

— Non vuole neanche dormire — disse Quim.

Novinha represse l’impulso di ribattere a Quim che non era sorda, che capiva benissimo anche da sola. Quello non era il momento per i battibecchi. E d’altronde era stato Quim a suggerire il sistema che Miro stava usando per comunicare. Aveva il diritto di ricavarne un minimo di soddisfazione, se voleva fingere d’essere la voce di lui. Era il suo modo di affermare che faceva sempre parte della famiglia, che non se n’era staccato dopo ciò che aveva saputo nel praça quel giorno. Era il suo modo di perdonarla e di chiederle perdono, così Novinha tenne a freno la lingua.

— Forse vuol dirci qualcosa — suggerì Olhado.

— Mm.

— O vuoi fare una domanda? — chiese Quim.

— Ma. Aa.

— Questa è grossa — borbottò Quim. — Se non può muovere le mani, non può neanche scrivere.

— Sem problema — disse Olhado. — Però riesce a emettere un suono. Se lo portiamo al terminale, posso far passare tutte le letture su un monitor e lui, dicendo «a» potrà indicare quella che gli interessa.

— Ci metterà un’eternità — disse Quim.

— Vuoi tentare in questo modo, Miro? — chiese Novinha.

— Aa — disse lui. Voleva.

In tre lo portarono a braccia in soggiorno e lo misero disteso sul divano. Olhado orientò verso di lui un paio di schermi, poi costruì in fretta un programma: su uno schermo allineò l’alfabeto, con una luce gialla che percorreva le lettere fermandosi mezzo secondo su ciascuna. Un paio di prove confermarono che Miro poteva emettere il suono che significava «questa lettera», trasferendola sull’altro schermo per costruire la parola desiderata.

Miro accelerò la cosa abbreviando deliberatamente le parole, e la prima che compose fu: P-E-Q.

— Pequeninos — disse Olhado.

— Sì — disse Novinha. — Perché stavi scavalcando il recinto con i maiali?

— Mmmmmm!

— Vuole fare una domanda, mamma — disse Quim. — Non fargliene tu.

— Aa.

— Vuoi sapere dei maiali che erano con te quando scavalcavi il recinto? — domandò Novinha. Voleva saperlo. — Sono tornati nella foresta. Con Ela, Ouanda e l’Araldo dei Defunti. — In breve gli riferì della riunione nell’ufficio del vescovo, di ciò che avevano saputo sui maiali, e soprattutto di quelle che erano state le loro decisioni. — Quando hanno spento il recinto per salvarti, Miro, è stato l’inizio della nostra rivolta contro la Federazione. Capisci? Le regole del Comitato non esistono più. Il recinto è soltanto un rudere, adesso. Il cancello resterà aperto.

Gli occhi di Miro si riempirono di lacrime.

— Questo è tutto ciò che volevi sapere? — chiese Novinha. — Ora dovresti dormire.

No, fu la risposta di lui. No no no no.

— Aspetta, ti asciugo gli occhi — disse Quim. — Così potrai scrivere sullo schermo.

D I G-A-F A L…

— Diga ao Falante pelos Mortos — disse Olhado.

— Cosa dovremmo dire all’Araldo? — domandò Quim.

— Sarebbe meglio che tu dormissi. Ne parleremo più tardi — disse Novinha. — Lui resterà fuori per ore. Sta negoziando una lista di norme che regolino i rapporti fra i maiali e noi. Per impedire che uccidano qualcun altro di noi, come Pipo e Li… e tuo padre.

Ma Miro rifiutò di dormire, e continuò a comporre faticosamente frasi su frasi sul terminale. Gli altri tre presero nota di ciò che lui voleva dire all’Araldo. E poi capirono che Miro insisteva per fargli avere il messaggio subito, prima che il negoziato terminasse.

Così Novinha lasciò che Dom Cristão e Dona Cristã rimanessero a badare alla casa e ai bambini più piccoli. Prima di uscire si fermò ancora accanto al capezzale del primogenito. Quell’attività l’aveva svuotato; i suoi occhi erano chiusi, il respiro regolare. Gli prese una mano, la strinse, la scosse un poco. Sapeva che lui non poteva sentirla, ma era lei ad avere bisogno di confortarsi con quel contatto.

Miro aprì gli occhi. E in quel momento, debole e quasi impercettibile, lei avvertì la stretta delle sue dita. — Le hai mosse! Ti ho sentito! — ansimò. — Guarirai, ne sono certa. Guarirai!

Il giovane chiuse gli occhi, umidi di lacrime. Quasi senza vedere dove metteva i piedi Novinha andò alla porta. Per poco non urtò contro Olhado. — Devo avere qualcosa in un occhio — gli disse. — Accompagnami per un poco, finché non mi schiarirà la vista.

Al recinto furono raggiunti da Quim. — Il cancello è troppo lontano — esclamò il ragazzo. — Credi di poterti arrampicare, mamma?

Ci riuscì, anche se non fu facile. Ma Quim e Olhado rifiutarono di lasciarla andare da sola. — Su una cosa non c’è dubbio — disse, quando furono dall’altra parte. — Bosquinha dovrà lasciarci aprire un altro cancello proprio qui.


Mezzanotte era passata da un pezzo, e Ouanda ed Ela stavano cascando dal sonno. Ender invece era lucidissimo. Per ore aveva contrattato con Urlatrice, la tensione l’aveva riempito di adrenalina, e anche se fosse tornato a casa in quel momento non sarebbe riuscito a chiudere occhio.

Ora ne sapeva molto di più su ciò che i maiali desideravano e su quello di cui avevano bisogno. La foresta era la loro patria, la loro nazione; ciò che stava al di là degli alberi era sempre stato anche al di là dei loro desideri. Ma ora i campi di amaranto li avevano costretti a vedere la prateria come un’estensione di terra utile, che era necessario mettere sotto controllo. Tuttavia avevano un concetto molto vago della misurazione del suolo. Quanti ettari avrebbero avuto bisogno di coltivare? Quanta terra sarebbe stata usata dagli uomini? Visto che i maiali non avevano una visione chiara delle loro stesse necessità, per Ender non fu facile delineare un accordo.

Ancor meno facile gli fu spiegare cos’erano il governo e la legge. Per i maiali il problema non esisteva: le mogli comandavano, i fratelli ubbidivano. Ender dovette chiarire il fatto che gli uomini stabilivano le leggi in modo diverso, e per spiegare da quali basi comportamentali queste leggi partivano fu costretto a cominciare dai rapporti fra i due sessi. Lo divertì vedere che Urlatrice restava sbalordita al concetto di adulti che si accoppiavano l’uno con l’altro, e degli uomini che nel fare le leggi avevano voce in capitolo come le donne. L’idea che esistessero «famiglie» separate dal resto della comunità le risultò assurda e incomprensibile. Per Human era normale inorgoglirsi di avere un padre che metteva al mondo molti figli, ma per le mogli questo era irrilevante: loro sceglievano i padri basandosi soltanto su ciò che era bene per la tribù. L’individuo e la tribù: queste erano le due uniche entità che le mogli riconoscevano. Alla fine, comunque, fu raggiunta un’intesa sul fatto che le leggi umane sarebbero state applicate entro i confini dell’insediamento umano, e quelle dei maiali all’interno del territorio appartenente alla tribù. Ma quali avrebbero dovuto essere quei confini fu un argomento ben più arduo. Da lì in poi occorsero tre ore di trattative per raggiungere una convenzione su un solo e unico punto: le leggi dei maiali avevano valore nella foresta, e gli umani che vi fossero entrati sarebbero stati soggetti ad esse; le leggi umane vigevano all’interno del recinto, e all’interno di questo anche i maiali avrebbero avuto l’obbligo di rispettarle. Tutto il resto del pianeta sarebbe stato suddiviso in futuro. Come trattato era vago e insoddisfacente, ma almeno costituiva una base da cui partire.

— Tu devi capire — disse Ender a Urlatrice, — che gli umani hanno bisogno di molta terra aperta. Però questo è soltanto l’inizio del problema. Voi volete che la Regina dell’Alveare vi aiuti, vi insegni a sfruttare i giacimenti di metallo e a fonderli per ricavarne utensili. Ma anche a lei serve territorio, e molto. Inoltre, fra poco tempo sarà più forte e più potente sia degli umani che dei Piccoli. — Le aveva già spiegato che ogni Scorpione era una creatura ubbidientissima e volonterosa, e che in breve la produttività e le realizzazioni tecniche di quella razza avrebbero superato, se non altro in volume, le attività umane. Una volta uscita dallo stadio larvale, la Regina sarebbe diventata un’entità capace d’influenzare e determinare le decisioni di chiunque altro.

— Rooter dice che di lei ci si può fidare — dichiarò Human, e dopo aver tradotto per Urlatrice aggiunse: — Anche l’albero-madre dà la sua fiducia alla Regina dell’Alveare.

— Siete disposti a darle la vostra terra? — insisté Ender.

— Il mondo è grande — tradusse Human. — Noi potremo usare le foreste di altre tribù. E anche voi. Ve le concediamo liberamente.

Ender gettò un’occhiata alle due ragazze. — Questo è molto bello — disse Ela, — ma le altre foreste sono forse vostre che possiate darle a chi vi pare?

— No di certo — intervenne Ouanda. — Hanno perfino vere e proprie guerre con le altre tribù.

— Se vi danno dei guai ditelo a noi e li uccideremo tutti — si offrì Human. — Ora siamo molto forti. Trecentoventi bambini. Fra dieci anni nessuna tribù potrà opporsi a noi.

— Human — disse Ender, — riferisci a Urlatrice che, come stiamo trattando adesso con questa tribù, in seguito tratteremo con le altre.

Human tradusse in fretta, quasi mangiandosi le parole, e la risposta della femmina fu altrettanto concitata: — No no no no no!

— Cos’ha da obiettare, di preciso? — chiese Ender.

— Tu non devi trattare con i nostri nemici. Tu sei venuto da noi. Se vai da loro, diventerai un nemico anche tu.

Fu in quel momento che nella foresta alle loro spalle balenarono i riflessi di alcune luci, e nella radura delle mogli apparvero Freccia e Mangia-Foglie alle cui spalle venivano Quim, Olhado e Novinha.

— Ci ha mandato Miro — spiegò Olhado.

— Come sta? — chiese subito Ouanda.

— Paralizzato — disse brusco Quim, precedendo Novinha che stava cercando parole meno crude.

— Oh, nossa Senhora! — gemette Ouanda.

— Ma forse potrà migliorare — si affrettò a dire Novinha. — Prima di uscire gli ho toccato una mano, e lui se n’è accorto e l’ha mossa. Solo un poco, però le connessioni nervose non sono interrotte. Non completamente, comunque.

— Scusatemi — disse Ender, — ma questo è un argomento di cui potrete riparlare a Milagre. Adesso è meglio non distrarre Urlatrice dalla trattativa.

— Capisco — annuì Novinha, — ma ho un messaggio di Miro. Non può parlare, e ce lo ha dato lettera per lettera, aggiungendo che è urgente. I maiali stanno progettando la guerra. Useranno i mezzi che noi abbiamo messo a loro disposizione, e con gli archi e le frecce, più il loro numero, saranno una forza irresistibile. Da quel che ho capito, tuttavia, Miro dice che le guerre dei maiali hanno un importante effetto collaterale: sono un’opportunità di mescolanza genetica. Esogamia maschile. La tribù vincente ottiene l’uso degli alberi che crescono dai corpi dei combattenti uccisi.

Ender si volse a guardare Human, Mangia-Foglie e Freccia.

— È vero — disse quest’ultimo. — Naturalmente è così. Noi ora siamo la tribù più saggia. Da tutti noi verranno padri migliori di qualsiasi altro Piccolo.

— Capisco — disse Ender.

— È per questo che Miro ha insistito per farle avere subito il messaggio — disse Novinha, — mentre la trattativa è ancora in corso. Lei deve persuaderli a non fare la guerra.

Human si alzò e cominciò a saltellare come se volesse prendere il volo. — Io non tradurrò questo! — protestò.

— Lo farò io - disse Mangia-Foglie.

— Basta! — gridò Ender. Prima d’allora non aveva mai alzato tanto la voce. Subito tutti tacquero, e l’eco di quella parola parve aleggiare sotto il grande albero-madre. — Mangia-Foglie, io voglio che il mio solo interprete sia Human.

— Chi sei tu per dire che non posso parlare alle mogli? Io sono un Piccolo, e tu non sei niente.

— Human — disse Ender, — dì a Urlatrice che Mangia-Foglie non deve ascoltare e riferire i nostri discorsi, perché questo significa fare la spia. E se lei lascia che un Piccolo faccia la spia, noi andremo subito a casa e voi non avrete nulla da me. Porterò la Regina dell’Alveare su un altro mondo per risvegliarla. Hai capito?

Human aveva capito benissimo, e Ender sapeva che ne era anche compiaciuto, perché Mangia-Foglie stava cercando di usurpare il suo ruolo e di screditare sia lui che gli umani. Quando Human ebbe tradotto la richiesta, Urlatrice cantò qualcosa rivolta a Mangia-Foglie. Sconsolato e di malumore il maiale tornò fra la vegetazione e andò a sedersi accanto ai compagni.

Ma Human non era tipo da lasciarsi manovrare. Non diede alcun cenno di gratitudine, e fissò Ender dritto negli occhi.

— Tu hai detto che non cercherai di cambiarci.

— Ho detto che non cercherò di cambiarvi più del necessario.

— E perché questo è necessario? La guerra è una cosa fra noi e le altre tribù.

— Cautela — consigliò Ouanda. — È troppo eccitato.

Ma prima di ottenere qualcosa da Urlatrice, Ender doveva convincere Human. — Voi siete i primi amici che abbiamo avuto su questo mondo. Avete la nostra fiducia e il nostro amore. Non faremo mai nulla che possa danneggiarvi o dare ai vostri nemici un vantaggio su di voi. Ma non siamo qui solo per voi. Siamo qui per rappresentare l’umanità intera, e vogliamo dare i nostri insegnamenti a tutti i Piccoli, di qualunque tribù siano.

— Tu non rappresenti l’umanità. Voi state per combattere una guerra contro gli altri umani. Allora come puoi dire che le nostre guerre sono malvage e la vostra è buona?

Molto probabilmente Pizarro, con tutti i suoi difetti, aveva avuto vita più facile con Atahualpa. — Noi non stiamo cercando di combattere con gli altri umani — disse Ender. — E se facessimo una guerra non sarebbe la vostra, fatta per dare a voi il diritto di viaggiare fra le stelle. — Alzò una mano, aperta. — Noi abbiamo messo da parte la nostra umanità per diventare Ramans con voi. — Chiuse la mano a pugno. — Umani e Piccoli e la Regina dell’Alveare, qui su Lusitania saremo una cosa sola. Tutti umani, tutti Scorpioni, tutti Piccoli.

Human restò seduto in silenzio, ruminando quella riflessione.

— Araldo — disse infine, — questo è molto duro. Fino all’arrivo di voi umani, gli altri Piccoli dovevano… essere uccisi, e nella loro terza vita dovevano essere nostri schiavi nella foresta che noi avevamo conquistato. Questa foresta un tempo è stata un campo di battaglia, e gli alberi più antichi sono i guerrieri morti in quella battaglia. I nostri padri più anziani sono gli eroi di quella guerra, e le nostre case sono fatte con il legno dei codardi. Per tutta la vita ci prepariamo a vincere i nostri nemici, così che le mogli possano fare un albero-madre in una nuova foresta nata dalla battaglia, per rendere più forte e numerosa la tribù. Negli ultimi dieci anni abbiamo imparato a usare gli archi per uccidere da lontano; i vasi e le pelli di cabras per portare l’acqua attraverso le terre aride; l’amaranto e le radici di nerdona per essere molti, e forti, e avere rifornimento di cibo lontano dai macios della nostra foresta. Noi ci siamo rallegrati di queste novità, perché significa che saremmo sempre stati vittoriosi in guerra. Vorremmo portare le nostre mogli, le nostre piccole madri, i nostri eroi, in ogni angolo del grande mondo e finalmente un giorno anche sulle stelle. Questo è il nostro sogno, Araldo, e ora tu mi dici che dovremmo gettarlo via, come foglie nel vento.

Era stato un discorso energico e determinato. Nessuno degli altri seppe offrire a Ender un suggerimento su quale risposta dargli. Human li aveva quasi convinti.

— Il vostro è un nobile sogno — disse Ender. — È il sogno di ogni creatura vivente, è il desiderio che sta alla base della vita stessa: crescere finché tutto lo spazio che riuscite a vedere diventa parte di voi, sotto il vostro controllo. Il desiderio di grandezza è positivo. Tuttavia ci sono due modi per realizzarlo. Uno è di uccidere chiunque vi troviate di fronte, o di sottometterlo e annientarlo, finché più nulla vi si oppone. Ma questo è il modo malvagio. È come se diceste all’universo: noi soli siamo grandi, e per farci posto tutti voi dovete darci quello che possedete e scomparire nel nulla. E tu capisci, Human, che se noi umani avessimo questo desiderio, se agissimo in questo modo, potremmo uccidere tutti i Piccoli di Lusitania e rendere nostro questo mondo. Cosa ne sarebbe dei vostri sogni, se noi fossimo così malvagi?

Human si stava sforzando di capire. — Io so che ci avete fatto dei grandi doni, quando invece avreste potuto prenderci anche quel poco che abbiamo. Ma perché ci avete fatto questi doni, se non volete che li usiamo per diventare grandi e forti?

— Noi vogliamo che diventiate grandi, e che viaggiate fra le stelle. Qui su Lusitania, vogliamo che cresciate in saggezza e potenza, con centinaia e migliaia di fratelli e di mogli. Vogliamo insegnarvi a coltivare molti tipi di piante, ad allevare molte razze di animali. Ela e Novinha, queste due donne, lavorano tutti i giorni della loro vita per creare piante che possano vivere qui su Lusitania, ed ogni buona cosa che faranno la divideranno con voi. Così potrete crescere. Ma perché anche un solo Piccolo di un’altra foresta dovrebbe morire, a causa del fatto che vi abbiamo dato i nostri doni? E perché voi dovreste sentirvi danneggiati in qualche modo, se facessimo gli stessi doni anche a loro?

— Se loro diventassero forti come noi, allora cosa ci avremmo guadagnato?

Cosa mi aspetto che faccia questo individuo? pensò Ender. La sua gente si è sempre misurata contro le altre tribù. La loro foresta non è più grande né più piccola di quelle a ovest e a sud, dove abitano le tribù rivali. E loro non sono né migliori né peggiori. Quello che devo fare adesso è il lavoro di una generazione in pochi minuti: devo insegnargli un nuovo metro per misurare la statura del suo popolo. - Ascolta. Rooter è grande? — gli chiese.

— Io dico di sì — rispose Human. — È mio padre. Il suo albero non è il più vecchio o il più alto. Ma nessun padre a nostra memoria ha mai avuto tanti figli, e così presto dopo esser stato piantato.

— Così, in un certo senso, tutti i suoi figli sono sempre parte di lui. Più figli ha, più grande diventa — disse Ender. Human annuì lentamente. — E più azioni nobili tu compì in vita, più rendi grande tuo padre. È vero?

— Se i figli agiscono bene, allora sì, è un grande onore per l’albero-padre.

— Devi forse uccidere tutti gli altri grandi alberi, perché tuo padre diventi più grande?

— Questo è diverso — disse Human. — Tutti gli altri grandi alberi sono padri della tribù. E gli alberi più piccoli sono ugualmente fratelli. — Il maiale aveva assunto un tono incerto. Stava facendo resistenza alle idee di Ender perché erano strane, non perché fossero sbagliate o incomprensibili. E infatti cominciava a capire.

— Guarda le mogli — disse Ender. — Loro non hanno figli. Non potranno mai diventare grandi nel modo in cui sono grandi i vostri padri.

— Araldo, tu sai che sono le più grandi fra tutti. L’intera tribù ubbidisce loro. Quando ci governano bene, la tribù prospera; e quando la tribù si accresce anche le mogli diventano più forti…

— Anche se non uno di voi è loro figlio.

— E come potrebbe essere? — chiese Human.

— Eppure voi contribuite alla loro grandezza. Anche se non sono le vostre madri, né i vostri padri, esse crescono quando voi crescete.

— Facciamo parte della stessa tribù…

— Ma perché siete della stessa tribù? Voi avete padri diversi, madri diverse.

— Perché noi siamo la tribù! Noi viviamo qui nella foresta, noi…

— Se un altro Piccolo venisse qui da un’altra tribù, e vi chiedesse di restare e diventare un fratello…

— Non lo lasceremmo mai diventare un albero-padre!

— Ma avete cercato di far diventare Pipo e Libo alberi-padri.

Human stava respirando pesantemente. — Capisco — disse. — Loro erano parte della tribù. Venivano dal cielo, ma noi li abbiamo considerati fratelli e abbiamo cercato di farli diventare padri. La tribù è qualunque cosa pensiamo che possa essere. Se diciamo che è fatta da tutti i Piccoli della foresta, e da tutti gli alberi, allora la tribù è questo. Anche se alcuni degli alberi più anziani vengono da guerrieri di diverse tribù, caduti in battaglia. Noi diventiamo una tribù perché diciamo di essere una tribù.

Ender si stupì davanti alla prova di raziocinio di quel piccolo raman. Quanto rara era anche fra gli uomini la capacità di afferrare quel semplice concetto, e di estenderlo al di là del loro gruppo sociale, della loro città, della loro nazione.

Human si alzò e andò alle spalle di Ender, appoggiandoglisi contro la schiena. Lui sentì il respiro del giovane maiale sfiorargli un orecchio, poi le loro guance furono a contatto, strettamente unite. All’improvviso capì il significato di quel gesto. — Tu vedi quello che io vedo! — disse.

— Voi umani crescerete se noi diventiamo parte di voi. Umani e Piccoli e Scorpioni, ramans insieme. Allora saremo una tribù sola, la nostra grandezza sarà la vostra, e la vostra grandezza sarà la nostra. — Ender sentì che il corpo di Human tremava per la forza contenuta in quell’idea. — Tu dici che dobbiamo guardare alle altre tribù nello stesso modo. Come una sola tribù, tutte unite insieme, così più faremo crescere gli altri e più cresceremo noi.

— Potrete mandare degli insegnanti — disse Ender, — dei fratelli alle altre tribù, in modo che essi passino alla terza vita nelle loro foreste e avere figli là.

— Questa è una strana e difficile cosa da dire alle mogli — rifletté Human. — Forse impossibile da chiedere. La loro mente non funziona come quella dei fratelli. Un fratello può pensare a molte cose diverse, ma una moglie pensa una cosa sola: cos’è bene per la tribù e, alla radice di questo, cos’è bene per i figli e le piccole madri.

— Puoi cercare di farle capire ciò che ti ho detto? — chiese Ender.

— Meglio di quel che potresti tu — mormorò Human. — Ma probabilmente no. Probabilmente fallirò.

— Non credo che fallirai — disse Ender.

— Voi siete venuti qui stanotte per fare un accordo fra noi, fra i Piccoli di questa tribù e voi, gli umani di questo mondo. Ma agli umani che vivono fuori da Lusitania non importa del nostro accordo, e neppure ai Piccoli che vivono fuori da questa foresta.

— Noi vogliamo fare lo stesso accordo con tutti loro.

— E con questo accordo voi umani promettete d’insegnarci tutto.

— Non avrete altro ostacolo che la vostra capacità di imparare.

— Risponderete a tutte le nostre domande.

— Se conosciamo le risposte.

— Quando! Se! Queste non sono parole da dire in un patto! Dammi risposte precise adesso, Araldo dei Defunti. — Human si scostò da Ender e tornò a piazzarsi di fronte a lui, chinandosi un poco per fissarlo negli occhi da vicino. — Prometti che ci insegnerete tutto ciò che sapete!

— Noi te lo promettiamo.

— E prometti anche di risvegliare la Regina dell’Alveare, in modo che ci aiuti.

— La risveglierò. Ma dovrete stringere altri patti con lei. Gli Scorpioni non sono obbligati a rispettare questo che io faccio con voi.

— Tu prometti di risvegliarla, sia che ci aiuti o no.

— Va bene.

— Prometti che quando verrete nella foresta ubbidirete alle nostre leggi, e che queste varranno anche nella prateria che coltiveremo.

— Sì.

— E che andrai in guerra contro gli altri umani di tutte le stelle del cielo, per proteggerci e farci andare nello spazio.

— Lo stiamo già facendo.

Human si rilassò, fece un passo indietro e si rimise a sedere. Appoggiò un dito nella polvere. — Ora passiamo a quello che vuoi da noi. Ubbidiremo alle leggi umane nella vostra città e nella prateria che userete.

— Sì — disse Ender.

— E… non vuoi che noi andiamo in guerra?

— Proprio così.

— E questo è tutto?

— Una cosa, ancora — disse Ender.

— Quello che chiedi è già impossibile — osservò Human. — Tanto vale che tu chieda anche quest’altra cosa. Sentiamo.

— La terza vita, quando comincia? Quando voi uccidete un fratello e lui cresce in un albero, è giusto?

— La prima vita è dentro l’albero-madre, dove non vediamo mai la luce e mangiamo ciecamente il cibo nel corpo della piccola madre e la linfa dell’albero-madre. La seconda vita è quando viviamo nell’ombra della foresta, nella mezza-luce, camminando e correndo e arrampicandoci, guardando e cantando e parlando, facendo le cose con le mani. La terza vita è quando ci alziamo a bere il sole, finalmente nella piena luce, senza mai muoverci salvo che nel vento, senza fare mai altro che pensare e, nei giorni in cui i fratelli battono sul tronco, parlare con loro. Sì, questa è la terza vita.

— Gli umani non hanno la terza vita.

Human lo fissò, confuso.

— Quando moriamo, anche se voi ci piantate, niente cresce. Non c’è nessun albero. Noi non beviamo mai dal sole. Quando moriamo siamo morti per sempre.

Human si volse a Ouanda. — Ma l’altro libro che tu ci hai dato parlava sempre della vita dopo la morte, e della resurrezione.

— Non come alberi — disse Ender. — Non come qualcosa che si possa toccare o vedere, o con cui parlare e ottenere risposte.

— Io non ti credo — disse Human. — Se questo fosse vero, perché Pipo e Libo si sono lasciati piantare da noi?

Novinha si accovacciò a fianco di Ender per sentire meglio, e gli mise una mano su una spalla. Si appoggiò leggermente a lui.

— Com’è successo? Come hanno potuto lasciarsi piantare da voi?

— Loro ci avevano fatto un grande dono, e meritarono l’onore più grande. Pipo e Mandachuva. Libo e Mangia-Foglie. Mandachuva, e poi anche Mangia-Foglie, pensarono di aver meritato la terza vita, ma né Pipo né Libo vollero darla loro. Insistevano a tenere quel dono per sé. Perché vollero che accadesse questo, se gli umani non hanno la terza vita?

Con voce rauca per l’emozione Novinha chiese: — Cosa dovevano fare per dare la terza vita a Mandachuva e a Mangia-Foglie?

— Piantarli, naturalmente — disse Human. — La stessa cosa che accadrà oggi.

— E cosa accadrà, oggi? — chiese Ender.

— Tu ed io — disse il maiale. — Human e l’Araldo dei Defunti. Se facciamo questo patto, affinché le mogli e gli umani si trovino d’accordo, allora oggi sarà un grande e nobile giorno. Perciò, o tu darai a me la terza vita, oppure io la darò a te.

— Con le mie stesse mani?

— Naturalmente — disse Human. — Se non vorrai darmi questo onore, dovrò essere io a darlo a te.

Nella mente di Ender balenò l’immagine che aveva visto in fotografia soltanto due settimane prima, il corpo di Pipo smembrato e fatto a pezzi, gli organi interni sparsi sul terreno. Piantato. — Human — disse, — il peggior crimine che un umano possa commettere è l’omicidio. E il peggior modo di commetterlo è di prendere una persona viva, tagliando e spezzando il suo corpo senza ucciderla, per farla morire lentamente.

Il maiale oscillò per un poco da una parte e dall’altra, cercando di dare un senso a quelle parole. — Araldo — disse infine, — la mia mente comincia a vedere questo in due modi. Se gli umani non hanno la terza vita, allora piantarli significa ucciderli, per sempre. Ai nostri occhi Pipo e Libo stavano tenendo quell’onore per sé, e lasciavano Mandachuva e Mangia-Foglie così come li vedete, a morire senza l’onore che avevano meritato. Ai nostri occhi, voi umani usciste dal recinto e li toglieste dal terreno prima che le loro radici potessero crescere. Ai nostri occhi foste voi a commettere un omicidio, quando portaste via Pipo e Libo. Ma ora io vedo in un secondo modo. Pipo e Libo non vollero dare la terza vita a Mandachuva e a Mangia-Foglie, perché per loro questo era un omicidio. Così, volutamente, accettarono la loro stessa morte pur di non dover uccidere uno di noi.

— Sì — disse Novinha.

— Ma se è così, allora, quando voi umani li vedeste sul pendio della collina, perché non veniste nella foresta a ucciderci tutti? Perché non faceste un grande fuoco che consumasse i nostri padri e lo stesso albero-madre della tribù?

Al limite della radura Mangia-Foglie si alzò ed emise un ululato lamentoso e terribile, l’espressione di un dolore insopportabile.

— Se voi aveste tagliato uno dei nostri alberi — continuò Human, — se aveste ucciso un solo padre, noi saremmo venuti nella notte e vi avremmo dato la morte, dal primo all’ultimo. E anche se qualcuno fosse sopravvissuto, i nostri messaggeri avrebbero raccontato la storia alle altre tribù, e nessuno di voi avrebbe lasciato vivo queste terre. Perché non avete ucciso noi, per l’omicidio di Pipo e di Libo?

D’un tratto Mandachuva arrivò davanti a loro, respirando affannosamente. Il maiale si gettò lungo disteso nella polvere, protendendo le mani verso Ender. — Io ho tagliato il suo corpo con queste mani! — gridò. — Io cercavo di onorarlo, e ho ucciso il suo albero per sempre!

— No — disse Ender. Prese le mani di Mandachuva e le strinse. — Ognuno di voi credeva di salvare la vita dell’altro. Lui ti offese, e tu… gli facesti del male, sì, lo uccidesti, ma tutti e due pensavate di agire per il bene dell’altro. Ora tu conosci la verità, e noi anche. Sappiamo che non volevi uccidere. E tu sai che quando colpisci con il coltello un umano lui muore per sempre. Questa è l’ultima norma del nostro patto, Human: mai dare a un umano la terza vita, perché noi non possiamo averla.

— Quando riferirò questa storia alle mogli — disse Human, — voi sentirete le loro grida di dolore per Pipo e Libo levarsi terribili come il rumore degli alberi che si spezzano nella tempesta.

Il maiale si volse a parlare brevemente con Urlatrice, poi si alzò in piedi. — Ora andate — disse a Ender.

— Non hai ancora tradotto a lei i termini del patto.

— Dovrò parlare a tutte le mogli insieme. Loro non oserebbero riunirsi mentre voi siete qui, all’ombra dell’albero-madre, senza nessuno che protegga i nuovi nati. Freccia vi guiderà fuori dalla foresta. Aspettami sul fianco della collina, dove Rooter sorveglia il cancello. Dormi, se puoi. Io presenterò il patto alle mogli, e cercherò di spiegare che dobbiamo comportarci con le altre tribù con la stessa amicizia che voi avete mostrato con noi.

D’impulso Human allungò una mano a toccare l’addome di Ender, con fermezza. — Il mio patto personale lo faccio ora — disse. — Io ti onorerò per sempre, ma non ti ucciderò mai.

A sua volta Ender poggiò il palmo di una mano sull’addome peloso del maiale. Le protuberanze che sentì erano calde ed elastiche. — Anch’io ti onorerò per sempre — dichiarò.

— E se faremo questo accordo fra la tua tribù e la mia — chiese Human, — mi darai l’onore della terza vita? Mi lascerai crescere e bere la luce?

— È possibile farlo in fretta? Voglio dire, non nel modo lento e terribile che…

— E fare di me un albero silenzioso? Un albero che non sarebbe mai padre? Senza onore, capace solo di nutrire con la linfa gli stupidi macios, e di dare il mio legno ai fratelli quando verranno a cantare?

— Non c’è qualcun altro che potrebbe farlo al mio posto? — domandò Ender. — Uno dei fratelli, che conosca meglio il vostro modo di vivere e di morire.

— Tu non capisci — disse Human. — Soltanto così la tribù saprà che la verità è stata detta. Tu dovrai darmi la terza vita, e io la dovrò dare a te, o non ci sarà nessun accordo. Io ho già detto che non ucciderò te, Araldo; ed entrambi vogliamo che il trattato ci sia.

— Va bene, lo farò — disse Ender.

Human annuì, ritrasse la mano e tornò a voltarsi verso Urlatrice.

— Oh, Dio! — sussurrò Ouanda, — ma lei non ha un po’ di cuore?

Ender non rispose. Si limitò a seguire in silenzio Freccia fra le ombre che chiudevano la radura. Novinha diede il suo cilindretto illuminante al maiale, che cominciò a giocherellare come un bambino divertendosi ad allargare il raggio, a restringerlo, e a far nascere giochi di ombre fra gli alberi e i cespugli. Ender non aveva ancora visto un maiale d’umore così giulivo e spensierato.

Ma dietro di loro udirono poco dopo le voci delle mogli echeggiare in un coro disarmonico e angoscioso, una canzone che a tratti si spezzava in un groviglio di ululati strazianti. Human aveva detto loro la verità sulla morte di Pipo e di Libo, sul dolore che l’aveva accompagnata e sul suo significato ineluttabile. E sul motivo che aveva indotto i due uomini a non uccidere Mandachuva e Mangia-Foglie. Nessuno riuscì a dir parola finché non furono lontani da quelle voci, e fra gli alberi centenari non ci fu altro rumore che quello dei loro passi sul terreno molle.

— Quella era la messa funebre in onore di mio padre — mormorò Ouanda.

— E del mio — disse Novinha. Gli altri sapevano che stava parlando di Pipo, e non dell’ormai da lungo tempo scomparso Os Venerado, Gusto.

Ma Ender si sentiva escluso da quella conversazione. Non aveva conosciuto i due xenologi, e non poteva partecipare dei ricordi e del lutto dei suoi compagni. Si sentiva stranamente, morbosamente attratto dagli alberi della boscaglia. Ognuno di loro era stato un maiale un tempo, una creatura vivente fatta di carne e di emozioni. I maiali potevano parlare con loro, cantare, comunicare, capire in qualche modo ciò che dicevano. A lui era impossibile. Per lui quegli alberi non erano gente, non avrebbero mai potuto essere gente. Se avesse affondato il coltello nel corpo di Human non sarebbe stato un delitto agli occhi dei maiali, ma con quel gesto gli avrebbe strappato l’unica vita che lui poteva capire e riconoscere come vita. Come maiale Human era un vero raman, un compagno. Come albero, dal punto di vista di Ender, non sarebbe stato nulla di troppo diverso da una pietra. Una pietra tombale.

E ancora una volta, pensò, mi si chiede di uccidere. Anche se m’ero ripromesso di non farlo mai più.

D’un tratto si sentì prendere sottobraccio. Era Novinha, che stringendoglisi al fianco ebbe un sorriso timido. — Lascia che mi appoggi a te — gli disse. — Con questo buio sono cieca come una talpa.

— lo ho un’ottima visione notturna — si offrì volonterosamente di aiutarla Olhado, alle loro spalle.

— E se tu tenessi chiusa la bocca? — sussurrò Ela, tirandolo indietro. — Mamma vuole camminare con lui, sciocco!

Ma Novinha e Ender avevano udito chiaramente il mormorio della ragazza, e si scambiarono un’occhiata, ridendone in silenzio fra loro. Novinha aderì alla sua spalla, mentre proseguivano fra i cespugli. — Credo che avrai il cuore di fare quella cosa — gli disse sottovoce, in modo che soltanto lui potesse sentire.

— Abbastanza empio e freddo? — borbottò lui, cercando di fingere un tono sarcastico. Ma la sua voce suonò triste e amara.

— Abbastanza pietoso — disse Novinha, — da conficcare il ferro rovente nella ferita se questo è l’unico modo di cauterizzarla.

E poiché sapeva cosa fossero le ferite dell’anima, quelle che aveva invano tentato di cauterizzare da sola, Ender non le poté negare il diritto di parlare così. Le credette, e quelle parole gli diedero la forza di pensare con più distacco al sanguinoso lavoro che lo attendeva.


Con quell’idea a tormentarlo non avrebbe mai creduto che sarebbe riuscito a dormire. Ma quando una mano di Novinha lo scosse gentilmente e la sua voce gli mormorò qualcosa all’orecchio, riaprì gli occhi. S’accorse d’essere all’aperto, disteso sull’erba capim, con la nuca poggiata in grembo a Novinha. Era ancora buio.

— Stanno arrivando — disse lei sottovoce.

Ender si alzò a sedere. Quand’era ragazzo riusciva a svegliarsi del tutto all’istante, ma a quei tempi era sotto la disciplina militare. Ora gli occorsero alcuni secondi per orientarsi. Ela e Ouanda erano sveglie e piuttosto infreddolite; Olhado dormiva; Quim si stava stiracchiando disteso lì accanto. L’albero in cui Rooter viveva la sua terza vita si alzava a pochi metri da lì. E a poca distanza, al di là del recinto, alcune luci indicavano la presenza delle case di Milagre, mentre la cattedrale e il monastero erano ombre scure alla sommità della collinetta più alta.

Nella direzione opposta c’era la foresta, e dalla nera parete d’alberi stavano scendendo Human, Mandachuva, Freccia, Orcio, Mangia-Foglie, Calendar, Verme, Bark-Dancer e parecchi altri i cui nomi neppure Ouanda conosceva. — Quelli non li ho mai visti — disse la ragazza. — Devono provenire da altre case dei maschi.

Un’altra riunione? si chiese stancamente Ender. Ma la sola cosa che importa davvero qui è il trattato. Human sarà riuscito a comunicare alle mogli il nuovo modo di concepire il mondo?

Human aveva fra le braccia un fagotto. Ricoperto di foglie. Senza dir nulla lo depose a terra davanti a Ender e lo svolse con cura. Era un rotolo di carta, il printout uscito da un computer.

La Regina dell’Alveare e l’Egemone - spiegò Ouanda a bassa voce. — La copia che Miro gli ha dato.

— L’accordo — annunciò Human.

Solo in quel momento loro si accorsero che il printout era arrotolato al contrario, con la parte non stampata all’esterno. E su di essa, alla luce di uno stick illuminante, videro file di lettere scritte a mano. Erano grandi, e in uno stampatello piuttosto goffo. Ouanda era sbalordita. — Non abbiamo mai parlato loro dell’inchiostro — ansimò, — e non gli abbiamo mai insegnato a scrivere!

— Calendar ha imparato a fare le lettere — disse Human, — scrivendole con uno stecco nella polvere. E Verme ha fatto l’inchiostro, con sterco di cabras e macios tritati. È così che voi fate i trattati, no?

— Sì — disse Ender.

— Se non lo scrivessimo sulla carta, potremmo non ricordarlo nello stesso modo.

— Questo è vero — annuì Ender. — Avete fatto bene a metterlo per iscritto.

— Abbiamo fatto alcuni cambiamenti. Li hanno voluti le mogli, e io ho pensato che tu li avresti accettati. — Human batté un dito sulla carta. — Voi umani potrete fare un accordo con altre tribù di Piccoli, ma non un accordo diverso da questo. E non potrete insegnare loro cose che non avete insegnato a noi. Sei d’accordo?

— Naturalmente — disse Ender.

— Questo era il punto più facile. Ora, cosa succederà se non saremo d’accordo sulle regole? Ad esempio, se litigassimo su dove finisce la vostra terra e comincia la nostra? Così Urlatrice ha detto: che la Regina dell’Alveare sia il giudice fra gli umani e i Piccoli. Che gli umani siano giudici fra i Piccoli e la Regina. Che i Piccoli siano giudici fra la Regina e gli umani.

Ender dovette chiedersi fino a che punto quel principio sarebbe stato applicabile. Lui era quasi l’unico uomo vivente a ricordare quanto terrore avevano sparso gli Scorpioni tremila anni addietro. I loro corpi di insetto avevano popolato gli incubi dell’umanità dalla preistoria. Con che animo la gente di Milagre li avrebbe accettati come giudici?

Così, è difficile. Ma non più difficile dell’impegno che abbiamo chiesto ai maiali. - Sì — disse. — Possiamo accettare anche questo. È una buona idea.

— Passiamo al prossimo cambiamento — disse Human, e rivolse a Ender un sogghigno. L’effetto fu grottesco, perché le facce dei maiali non erano fatte per imitare le espressioni umane. — È per questo che c’è voluto del tempo. Tutte queste modifiche.

Ender gli restituì il sogghigno.

— Se una tribù di Piccoli non firma il trattato con gli umani, e se attacca le tribù che hanno firmato, noi siamo liberi di andare in guerra contro di essa.

— Cosa intendi per «attacco»? — volle sapere Ender. Se con quel termine definivano una semplice offesa, una clausola simile avrebbe ridotto a nulla la proibizione di combattere.

— Attacco — disse Human, — è quando loro vengono nella nostra terra e uccidono i fratelli o le mogli. Non c’è attacco quando si limitano a dire che esiste uno stato di guerra, oppure vengono a discutere i patti per cominciare una guerra. Ma attacco è se arrivano e combattono senza aver prima discusso un patto. Poiché noi ci siamo impegnati a non cominciare mai una guerra, l’attacco di un’altra tribù è il solo modo in cui una guerra potrebbe succedere. Sapevo che lo avresti chiesto.

Il maiale mostrò quello che avevano messo per iscritto, e infatti nella clausola era specificata chiaramente anche la definizione di ciò che era un attacco.

— Anche questo è accettabile — disse Ender. Significava che la possibilità di guerra non sarebbe stata rimossa per molte generazioni, forse per secoli, perché tanto sarebbe occorso per riunire sotto il trattato tutte le tribù del pianeta. Ma molto prima che l’ultima tribù faccia questo passo, pensò Ender, i benefici dell’esogamia pacifica saranno evidenti e pochi resteranno inchiodati alle loro usanze belliche.

— Ora l’ultimo cambiamento — continuò Human. — Con questo, le mogli intendono punirti per averle costrette a una discussione così difficile. Ma io credo che tu non la vedrai come una punizione. Poiché a noi è proibito darvi la terza vita, con questo trattato anche agli umani sarà proibito portare i Piccoli nella terza vita.

Per un momento Ender pensò che le sue preghiere fossero state esaudite: non avrebbe dovuto fare la cosa che Pipo e Libo avevano deciso di rifiutare.

Dopo l’inizio del trattato — disse Human, — tu sarai il primo e l’ultimo umano a darci questo dono.

— Io preferirei… — cominciò a dire Ender.

— So cosa preferiresti, Araldo, amico mio — disse Human. — Per te questo sembra un omicidio. Ma per me… quando a un fratello è dato il diritto di passare alla terza vita come un padre, lui sceglie allora il suo più grande rivale o il suo più fedele amico per compiere l’atto. Tu, Araldo… fin da quando imparai lo stark e lessi La Regina dell’Alveare e l’Egemone, io ti attesi. Molte volte dissi a mio padre, Rooter, che di tutti gli umani tu saresti stato il solo a comprenderci. E poi giunse la tua astronave, e Rooter mi disse che a bordo c’eravate tu e la Regina, così seppi che eri venuto per farmi questo dono, se io avessi agito bene.

— Tu hai agito bene, Human — sospirò Ender.

— Qui — disse il maiale. — Vedi? Abbiamo firmato il trattato come usano gli umani.

In calce all’ultimo paragrafo dell’accordo erano scritte laboriosamente, quasi crudelmente, due parole. — Human — lesse Ender ad alta voce la prima. Ma l’altra non riuscì a capirla.

— È il vero nome di Urlatrice — spiegò il maiale. — Guarda-Stelle. È poco abile con il bastoncino scrivente… le mogli non usano gli utensili molto spesso, perché sono i fratelli a fare i lavori. Così mi ha chiesto di dirti qual è il suo nome, e che lo ha ottenuto perché guardava sempre il cielo. Ha detto che allora non lo sapeva, ma stava aspettando che tu venissi.

Tanti individui e tante speranze riposte in me, pensò Ender. E da ultimo tutto dipenderà da loro. Da Novinha, da Miro, da Ela, che mi hanno chiamato. Da Human e da Guarda-Stelle. E anche da quelli che avevano paura della mia venuta.

Verme si fece avanti con un vasetto d’inchiostro; Calendar aveva portato la penna. Era uno stecco affilato, con una fessura sulla punta e un pozzetto che si riempì d’inchiostro quando Ender lo inzuppò nel calamaio. Dovette intingere il pennino cinque volte per poter scrivere il suo nome. — Cinque! — annuì gravemente Freccia. Ender ricordò che il numero cinque era prodigioso per i maiali. Era stato un caso, ma se volevano considerarlo di buon auspicio tanto meglio.

— Porterò il trattato al nostro governatore e al vescovo — disse.

— Di tutti i documenti mai firmati nella storia dell’umanità… — commentò Ouanda. Nessuno aveva bisogno che finisse la frase. Human, Mangia-Foglie e Mandachuva riavvolsero con attenzione il rotolo nelle foglie e lo consegnarono, non a Ender, ma a Ouanda. E d’un tratto lui si rese conto, con terribile certezza, di cosa significava quel gesto. I maiali avevano ancora del lavoro per lui, un lavoro che richiedeva l’uso di entrambe le mani.

— Ora che l’accordo è convalidato nel modo umano — disse Human, — Tu devi renderlo valido anche per i Piccoli.

— La firma non basta? — chiese Ender.

— Da ora in poi la firma sarà valida — disse il maiale, — ma soltanto perché la stessa mano che ha firmato convaliderà l’accordo nel nostro modo.

— Allora lo farò — disse Ender. — Come ho promesso.

Human allungò una mano e toccò Ender dalla gola all’ombelico. — La parola di un fratello non è solo nella sua bocca — dichiarò. — La parola di un fratello è nella sua vita. — Si volse agli altri maiali. — Lasciatemi parlare con mio padre un’ultima volta, prima che io cresca al suo fianco.

Due dei fratelli stranieri si fecero avanti, ciascuno con un paio di piccoli bastoni in mano. Seguirono Human all’albero di Rooter e cominciarono a tamburellare sul tronco cantando in Lingua-Padre. Pochi istanti dopo nell’albero si aprì una grossa spaccatura che si allargò rapidamente. Era una pianta ancora giovane, e il tronco non raggiungeva un diametro molto superiore a quello del corpo di Human. Il maiale dovette faticare per cacciarsi nell’interno, ma ci riuscì, e la spaccatura si richiuse dietro di lui. Il tambureggiare cambiò ritmo, senza però cessare un solo momento.

Nell’orecchio di Ender, Jane sussurrò: — Posso sentire il suono variare di lunghezza d’onda all’interno del tronco. L’albero s’impadronisce del suono e lo plasma, facendolo riecheggiare sotto forma di un vero e proprio linguaggio.

Gli altri maiali stavano ripulendo un tratto di terreno per l’albero di Human. Ender notò che sarebbe stato piantato a destra di quello di Rooter, per chi guardava dal cancello. Strappare via il capim dalle radici era faticoso per i maiali, e Quim andò ad aiutarli. A lui si aggiunse Olhado, e poi Ela e Ouanda.

La ragazza aveva dato a Novinha il trattato, prima di tirarsi su le maniche. A sua volta lei lo porse a Ender, guardandolo fisso negli occhi con espressione triste e perplessa. — Tu hai firmato Ender Wiggin — disse. — Ender!

Il nome suonò spiacevole perfino agli orecchi di lui. Troppo spesso l’aveva sentito usare come un epiteto. — Sono più vecchio di quel che sembra — disse. — Quello era il nome con cui mi conoscevano quando feci esplodere in polvere il pianeta natale degli Scorpioni. Forse ora, in calce al primo trattato mai fatto fra l’umanità e un’altra razza intelligente, perderà qualcosa del suo sgradevole significato.

— Ender — sussurrò lei. Fece un passo avanti, con il rotolo fra le mani, e glielo poggiò sul petto. — Io non sono mai andata a confessarmi da un prete — mormorò, — perché sapevo che avrebbe provato disprezzo per i miei peccati. Ma ieri, quando tu li hai esposti in pubblico, sono riuscita a sopportarlo perché sapevo che non mi disprezzavi. Ma non capivo il perché, fino ad ora.

— Io non sarei capace di disprezzare qualcun altro per le sue azioni — disse lui. — Non ne ho mai trovato uno di cui non potessi dire, dentro di me, che io ho fatto di peggio.

— Il fardello che hai portato in tutti questi anni conteneva le colpe dell’intera umanità.

— Be’, forse, ma non è niente di mistico — disse Ender. — È come sentirsi addosso il marchio di Caino. Sì, non puoi aprirti con gli altri e farti degli amici, però anche questo ti aiuta a non soffrire.

Il terreno era stato ripulito. Mandachuva parlò in Lingua-Albero ai maiali che battevano sul tronco e il loro ritmo cambiò. La spaccatura tornò ad aprirsi, e Human ne scivolò fuori come se l’albero lo partorisse. Poi andò a fermarsi nel mezzo dello spazio messo a nudo. Mangia-Foglie e Mandachuva gli porsero ciascuno un coltello, e nel prenderli Human parlò loro, in portoghese perché anche gli umani capissero e questo gli desse maggiore forza. — Io ho detto a Urlatrice che voi due avete perduto il passaggio alla terza vita a causa di un grande malinteso con Pipo e Libo. Lei ha detto che prima di cinque mani di giorni anche voi crescerete su verso la luce.

Mangia-Foglie e Mandachuva gli lasciarono i coltelli, lo toccarono gentilmente sull’addome e indietreggiarono sul bordo dello spazio preparato per lui.

Human tese i coltelli a Ender. Erano due lame di legno sottile, e lui non avrebbe saputo immaginare un utensile primitivo capace di lavorare il legno fino a ottenere coltelli così lisci e affilati, e robusti. Ma naturalmente sapeva che non erano stati lavorati da un utensile. Erano usciti, già pronti e perfetti, dal cuore di un albero vivente, dati in dono per aiutare un fratello a passare nella terza vita.

Sapere che Human non sarebbe morto veramente era una cosa. Crederci era un’altra. Ender non prese subito i coltelli; allungò le mani al di là di essi e afferrò Human per i polsi. — Per te questo non significa morire. Ma per me… io ti ho visto per la prima volta soltanto ieri, e stanotte ho conosciuto in te un fratello, e in Rooter quasi un padre. E oggi, da quando il sole si leverà, questo sarà finito e io non potrò parlarti mai più. Tu sarai come morto per me.

— Vieni a sederti alla mia ombra, allora — disse Human, — e guarda il sole attraverso le mie foglie, e poggia le spalle al mio tronco. Aggiungi un’altra storia a quelle della Regina dell’Alveare e dell’Egemone. Chiamala «la Vita di Human». Racconta a tutti gli umani come io fui concepito sulla corteccia del mio albero-padre, e come nacqui nelle tenebre mangiando la carne di mia madre. Racconta come lasciai la vita di tenebra dietro di me e venni nella mezza luce della mia seconda vita, per imparare la lingua dalle mogli e poi conoscere tutti i miracoli che Libo e Miro e Ouanda vennero a insegnarci. Racconta come, negli ultimi giorni della mia seconda vita, scese dal cielo un umano che sarebbe stato mio fratello, e come insieme facemmo il trattato affinché gli umani e i Piccoli diventassero una tribù, e non una tribù di umani oppure di Piccoli, ma una tribù di ramans. E racconta di come chiesi al mio amico l’onore di darmi la terza vita, la piena luce, perché io potessi crescere verso il cielo e dare vita a diecimila figli prima di morire.

— Io scriverò la tua storia — mormorò Ender.

— Allora vivrò davvero per sempre.

Ender impugnò i coltelli. Human si distese sul terreno.

— Olhado — disse Novinha. — Quim, tornate al cancello. Anche tu, Ela.

— Devo rimanere a guardare, mamma — disse Ela. — Io sono una scienziata.

— Tu dimentichi i miei occhi — disse Olhado. — Sto registrando tutto. Potremo mostrare a tutti i Cento Mondi che il trattato è stato firmato. E potremo mostrare a tutti i maiali che l’Araldo ha convalidato l’accordo anche nel loro modo.

— Io non me ne vado da qui — disse Quim. — Perfino la Vergine Maria rimase al suo posto, ai piedi della croce.

— Va bene, restate — disse sottovoce Novinha, e neppure lei si mosse.

La bocca di Human era stata riempita di capim, ma lui masticò appena. — Di più — lo pregò Ender. — Di più, così non sentirai nulla.

— Questo non è bene — intervenne Mandachuva. — Sono gli ultimi momenti della sua seconda vita. È bene che senta qualcosa del dolore del suo corpo, per ricordarlo quando nella terza vita sarà al di là del dolore.

Mandachuva e Mangia-Foglie dissero a Ender dove affondare i coltelli e come tagliare, e lui trattenne il fiato, mormorò una preghiera, e affondò e tagliò. Doveva fare in fretta, lo esortarono i due, e le loro mani si allungarono nelle viscere calde e fumanti per indicare questo e quell’organo. I movimenti di Ender erano veloci e sicuri, le sue dita non tremavano, ma benché potesse a stento distogliere lo sguardo da quell’opera di chirurgia, sapeva, con allucinante certezza, che gli occhi di Human lo fissavano, lo sorvegliavano, colmi di gratitudine e d’amore, colmi di agonia e di morte.

La cosa accadde sotto le sue mani, così rapida che in quei pochi minuti faticò a rendersene pienamente conto. Parecchi grossi organi si raggrinzirono e da essi scaturirono radici, mentre filamenti vegetali si allungavano negli spazi aperti di quel corpo. Gli occhi di Human si sbarrarono nel momento finale dell’agonia, e dalla colonna vertebrale emerse qualcosa che oscillò verso l’alto: due foglie, quattro foglie…

E poi ogni movimento cessò. Il corpo era morto; le sue ultime energie s’erano consumate negli spasmi che avevano fatto spuntare la pianticella dal midollo spinale di Human. Ender restò con gli occhi fissi sul sangue e sulla carne da cui erano uscite radici vegetali. I ricordi e l’anima di Human s’erano trasferiti nelle cellule del minuscolo albero appena nato. Il lavoro era fatto. La terza vita cominciava. E quando il sole sarebbe sorto, da lì a non molto, quelle foglie avrebbero assorbito per la prima volta la sua luce.

Gli altri maiali stavano danzando gioiosamente. Mangia-Foglie e Mandachuva tolsero i coltelli di mano a Ender e li piantarono in terra ai lati della testa di Human. Ma lui non poteva unirsi alla loro felicità. Era coperto di sangue e bagnato dei liquidi maleodoranti del corpo che aveva macellato. Camminando sulle mani e sulle ginocchia se ne allontanò, risalendo il pendio erboso in cerca di un posto da cui non vedere più quello spettacolo. Novinha lo seguì, esausta, stordita come tutti loro, sfinita dalle fatiche e dalle emozioni di quel lungo, interminabile giorno. Gli altri non dissero nulla. Si limitarono a lasciarsi cadere sullo spesso tappeto di capim, vicini e appoggiati l’uno all’altro, cercando un po’ di sollievo nel sonno mentre i maiali si allontanavano danzando e rientravano nei boschi.


Bosquinha e monsignor Peregrino s’erano avviati all’uscita del recinto con il sole ancora basso, ad aspettare che l’Araldo tornasse dalla foresta. Erano lì già da una decina di minuti quando videro qualcosa muoversi più in alto sul lungo pendio, quasi al limite della boscaglia. Era un ragazzo, che si stava alleggerendo la vescica fra i cespugli.

— Olhado! — chiamò il sindaco.

Lui volse la testa, agitò un braccio, poi si riallacciò in fretta i pantaloni e scese un po’ più in basso cominciando a svegliare gli altri che dormivano nell’erba alta. Bosquinha e il vescovo aprirono il cancello e s’incamminarono da quella parte.

— Sarà sciocco — borbottò Bosquinha, — ma soltanto adesso ho l’impressione che la nostra ribellione sia reale. È la prima volta che esco dal recinto.

— Perché mai hanno trascorso la notte all’aperto? — si chiese Peregrino ad alta voce. — Il cancello non era chiuso. Avrebbero potuto andarsene a casa.

Bosquinha fece un rapido censimento del gruppetto che aveva pernottato fra l’erba: Ela e Ouanda, a braccetto come due brave sorelle. Olhado e Quim. Novinha. E con lei, sì, l’Araldo, seduto al suolo con Novinha dietro di lui che gli teneva le mani sulle spalle. I sei restarono lì ad attenderli, senza dir niente, poi Ender li salutò con un cenno. — Abbiamo il trattato — annunciò. — È un accordo di massima, abbastanza buono.

Novinha mostrò loro un rotolo avvolto in foglie verdi. — Lo hanno scritto i maiali — disse. — Aspetta le vostre firme.

Bosquinha si lasciò mettere l’involto fra le mani. — Tutte le memorie computerizzate ci sono state restituite prima di mezzanotte — disse. — Non soltanto quelle che avevamo salvato trasmettendole sulla sua linea, ma anche quelle che credevamo perdute. Chiunque sia il suo amico, Araldo, è un tipo in gamba.

— Amica — la corresse Ender. — Il suo nome è Jane.

Ma da lì Bosquinha e il vescovo potevano ora vedere cosa c’era nel cerchio di terreno messo a nudo, un po’ più in basso rispetto al posto dove l’Araldo aveva dormito. E seppero cos’erano le macchie scure che aveva sulle braccia, sul vestito e perfino sulla faccia.

— Se per avere questo trattato lei ha dovuto uccidere — disse Bosquinha, — avrei preferito che tornasse indietro a mani vuote.

— Aspetti prima di giudicare — disse il vescovo. — Penso che stanotte sia successo ben più di quel che ci vediamo davanti.

— Saggia osservazione, monsignore — disse sottovoce Ender.

— Vi riferiremo noi l’accaduto, se volete — disse Ouanda. — Ela e io siamo addestrate a osservare con distacco obiettivo.

— È stato come un sacramento — disse Olhado.

Bosquinha si volse a Novinha, perplessa. — Li hai lasciati guardare?

Olhado si indicò gli occhi. — Tutti i maiali vedranno quel che è successo, un giorno o l’altro, come l’ho visto io.

— Non è stata una morte — affermò Quim. — È stata una resurrezione.

Il vescovo si avvicinò ai resti del cadavere dilaniato e sfiorò con un dito la pianticella che cresceva dalla cavità toracica.

— Il suo nome è Human — disse l’Araldo.

— Riposi in pace — mormorò il vescovo, tracciando su quei resti il segno della croce. Si guardò attorno e tornò dai membri del suo piccolo gregge, riflettendo che avevano appena portato l’umanità un passo più avanti di dove fosse mai stata. E io ne sono il pastore, si chiese, o la più confusa e ignorante delle pecore? - Andiamo, ora. Venite tutti in chiesa con me. Fra poco le campane annunceranno la prima messa.

I ragazzi si spazzolarono i vestiti e si avviarono. Anche Novinha s’incamminò con loro. Poi si fermò e tornò accanto all’Araldo, guardandolo con un invito silenzioso negli occhi.

— Ti raggiungo — annuì lui. — Ancora un minuto.

Lei scese lungo il pendio e seguì gli altri all’interno del recinto, accompagnandoli per la strada che più oltre risaliva la collina fino alla cattedrale.

La messa era cominciata da qualche minuto quando Peregrino, dall’altare, vide l’Araldo entrare in chiesa. Notò, e non fu il solo a notarlo, che il giovane straniero intingeva le dita nell’acquasantiera con la naturalezza di chi da anni vi passava davanti, e si segnava. L’Araldo cercò con gli occhi Novinha e la sua famiglia, e in pochi passi andò a prender posto accanto a lei. Dove era solito sedersi Marcão, le rare volte che la famiglia si faceva vedere insieme.

Il servizio religioso tornò a richiedere la sua attenzione. Poco dopo, allorché Peregrino poté di nuovo voltarsi, vide che a fianco dell’Araldo s’era seduto Grego, insolitamente calmo. Il vescovo ripensò ai termini del trattato, come la ragazza glieli aveva spiegati. Sentì che c’era un significato profondo nella morte del maiale chiamato Human, e un altro, nuovo, in quelle di Pipo e di Libo. Tutte le cose diventavano chiare; tutte le cose si riunivano, si collegavano. Il giovane Miro che giaceva paralizzato in un letto, con sua sorella Ouanda che lo accudiva. Novinha, che era stata perduta, ora ritrovata. Il recinto, quell’ombra oscura che gravava nel subconscio di chi viveva entro i suoi confini, ora spento e innocuo, invisibile, insostanziale.

Era il miracolo dell’ostia, diventata carne del Figlio di Dio nelle sue mani. Com’è sorprendente, pensò, scoprire che in noi c’è un po’ del corpo del Signore, dopotutto, quando pensavamo d’essere fatti soltanto di polvere.

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