CAPITOLO OTTAVO DONA IVANOVA

Significa una vita di continui sotterfugi. Andate a osservare e vi accade di scoprire qualcosa, magari qualcosa d’importante, e una volta tornati alla Stazione buttate giù il vostro rapporto; ma un rapporto per noi innocuo, dove non appaia niente che riveli la «contaminazione culturale» che ci ha consentito di apprendere quel che abbiamo appreso.

Voi siete troppo giovani per capire quale tortura sia. Mio padre e io abbiamo cominciato a farlo perché non sopportavamo più di dover negare informazioni ai maiali. E voi scoprirete, com’è accaduto a me, che non è meno penoso il celare dati ai vostri colleghi scienziati. Quando li vedrete arrovellarsi su una domanda, sapendo che voi potreste facilmente risolvere i loro dilemmi; quando li vedrete arrivare vicini alla verità e poi, non sapendo ciò che voi sapete, allontanarsi dalla conclusione corretta e tornare a quella erronea… non sareste esseri umani se questo non vi angustiasse molto.

Sarete costretti a dirvi, ogni giorno: è la loro legge, è una loro scelta. Loro hanno costruito un muro fra se stessi e la verità, e saranno duri nel punirci se capiranno quanto facilmente e fino a che punto noi abbiamo varcato questo muro. E per ogni scienziato framling a cui interessa solo la verità, scoprirete che esistono dieci descabeçados (teste vuote) che disprezzano la ricerca sul campo, che hanno paura di mettere alla prova le loro ipotesi, il cui solo lavoro è di spulciare gli scritti dei veri studiosi allo scopo di scovare piccoli errori, o contraddizioni, o falle nella loro metodologia. Questi pidocchi analizzeranno ogni rapporto da voi spedito, e alla prima imprudenza da voi commessa vi manderanno al rogo.

Questo vuol dire che non potrete neppure menzionare un maiale il cui nome sia derivato da contaminazione culturale. «Orcio» svelerebbe che abbiamo insegnato loro i rudimenti dell’arte del vasaio. «Calendar» e «Reaper» (Mietitore) sarebbero ancor più ovvi. E neppure Dio stesso potrebbe salvarci se sentissero nominare Arrow (Freccia).

Nota di Liberdade Figueira de Medici a Ouanda Figueira Mucumbi e Miro Ribeba von Hesse, sequestrata per ordine della Federazione e addotta fra le prove del processo in contumacia agli xenologi di Lusitania, accusati di Tradimento e Condotta Scorretta.


Novinha s’era attardata nella Stazione Biologista malgrado che il lavoro programmato per quel giorno fosse finito da oltre un’ora. Le pianticelle di patata clonate avevano attecchito nella soluzione nutriente; adesso era solo questione di seguirne giornalmente lo sviluppo per vedere se le sue alterazioni genetiche avrebbero prodotto piante più robuste e con radici capaci di assimilare meglio il terreno locale.

Se non ho più niente da fare, perché non me ne vado a casa? A quella domanda non aveva una risposta valida. I suoi figli avevano bisogno di lei, questo era innegabile; non faceva certo loro un favore uscendo di casa la mattina presto per rientrare solo dopo che i più piccoli erano già a letto. E tuttavia, pur sapendo che avrebbe dovuto andare, ecco che continuava a sedere lì e a guardare il laboratorio, senza vedere niente, senza fare niente, senza vivere.

Pensava a tornare a casa e non riusciva a immaginare perché quella prospettiva non la rallegrava affatto. Eppure, ricordò a se stessa, Marcão è morto. È morto tre settimane fa. Mai troppo presto. Lui ha fatto tutto quello di cui avevo bisogno, e io ho fatto tutto quello che lui voleva, ma ogni nostra ragione per stare insieme era già morta quattro anni prima che luì finalmente scomparisse. Anni in cui non abbiamo mai condiviso un momento d’amore, anche se non ho mai pensato di lasciarlo. Il divorzio, qui, sarebbe stato impossibile, ma avrei potuto dare un taglio alla coabitazione. Metter fine alle botte. Aveva ancora un labbro gonfio e dolorante, dall’ultima volta che lui s’era sfogato a picchiarla. Che amabile ricordo m’hai lasciato in faccia, Cão, povero cane d’un marito!

Mentre ci pensava, nel labbro le saettò una fitta di sofferenza. Annuì, soddisfatta. È esattamente quello che merito, e quando sarò guarita mi dispiacerà.

Si alzò e fece qualche passo, senza zoppicare minimamente malgrado che il dolore all’anca le togliesse ogni forza dalla gamba destra. E non mi curo, non cerco neppure di curarmi. Anche questo è proprio quel che mi spetta.

Uscì e chiuse la porta dietro di sé. Appena se ne fu andata, il computer spense tutte le luci salvo quelle che nutrivano le diverse piante in fase fotosintetica forzata. Lei amava le sue pianticelle, i suoi animaletti vegetali, con un’intensità che a volte la sorprendeva. Crescete, gridava loro giorno e notte, crescete e prosperate. E si disperava per quelle che avvizzivano e cedevano soltanto quando era chiaro che non avevano nessun futuro. Anche adesso, mentre s’allontanava dalla Stazione, sentiva la loro musica subliminale, le grida delle microscopiche cellule che crescevano e si scindevano e si ristrutturavano in schemi sempre più elaborati. Stava andando dalla luce verso la tenebra, dalla vita verso la morte, e la sofferenza emotiva che era in lei peggiorava in perfetta sincronia con lo stato delle sue articolazioni infiammate.

Avvicinandosi a casa sua lungo il versante della collina poté vedere la luce che usciva dalle finestre e illuminava debolmente il tratto erboso oltre la strada. La camera di Quara e di Grego era al buio; non avrebbe dovuto affrontare quelle due insopportabili accuse: il silenzio di Quara e gii improvvisi odiosi misfatti di Grego. Ma la luce quella sera era accesa anche nell’atrio, e perfino in camera sua. Stava accadendo qualcosa fuori dell’ordinario, e a lei non piacevano le cose fuori dell’ordinario.

Olhado era seduto come al solito al terminale del soggiorno e ascoltava qualcosa in cuffia, ma aveva anche il jack dell’interfaccia collegato all’occhio destro. Evidentemente stava riesaminando vecchie immagini da lui trasferite nel computer, o forse vi registrava quelle che aveva visto negli ultimi giorni. Lei lo invidiò. Le sarebbe piaciuto trasferire da qualche altra parte le sue memorie visive, per rimpiazzarle con altre meno sgradevoli. Il cadavere di Pipo, quella era una scena di cui avrebbe voluto alleggerirsi, sostituendola con una tolta dai giorni gloriosi di loro tre insieme nella Stazione. E il corpo di Libo, quel corpo amato, tenuto insieme soltanto dal telo impermeabile in cui lo avevano avvolto. Quanto avrebbe desiderato conservare soltanto le altre impressioni delle sue membra, il tocco di quelle labbra, l’espressività delle sue mani sensibili. Ma i ricordi buoni erano i più deboli, sepolti troppo profondamente sotto altri che li avevano annientati. Io avevo rubato quei giorni, i giorni buoni. È per questo che mi sono stati strappati e sostituiti con quello che meritavo.

Olhado si volse a guardarla, con il jack che gli emergeva oscenamente dall’occhio. Lei non riuscì a reprimere un fremito, un impulso di vergogna. Mi dispiace, disse in silenzio. Se tu fossi figlio di un’altra madre, senza dubbio avresti ancora i tuoi occhi. Eri nato per essere il migliore, il più sano, il più completo dei miei figli, Lauro, ma naturalmente nulla di quello che esce da me può resistere intatto a lungo.

Era un pensiero che non aveva mai espresso in parole, ovviamente, proprio come Olhado non avrebbe osato accennarne. Si volse per andare in camera sua e scoprire perché c’era la luce accesa.

— Mamma — disse Olhado. S’era tolto la cuffia, e stava estraendosi il jack dall’occhio.

— Sì?

— Abbiamo una visita — disse lui. — L’Araldo.

Lei provò una sensazione di gelo. Non questa sera, gridò dentro di sé. Ma sapeva anche che non avrebbe voluto vederlo neppure l’indomani, né i giorni successivi, né mai.

— I suoi pantaloni sono di nuovo asciutti e se li sta cambiando, in camera tua. Spero che non ti importi.

Ela uscì dalla cucina. — Oh, sei tornata — disse. — Ho fatto qualche tazza di cafezinho, una anche per te.

— Io aspetterò fuori finché non se ne sarà andato — disse Novinha.

Ela e Olhado si scambiarono un’occhiata. Novinha capì subito che guardavano a lei come al problema che andava risolto, e che erano d’accordo con qualunque cosa l’Araldo fosse venuto a fare lì. Bene, ma io sono un problema che non può essere risolto da voi.

— Mamma — disse Olhado. — Lui non è come ha detto il vescovo. Lui è buono.

Novinha gli rispose con il suo sarcasmo più graffiante: — E da quando voi siete esperti in quello che è buono o cattivo?

Ela e Olhado tornarono a guardarsi fra loro. Lei intuì ciò che stavano pensando: come possiamo spiegarglielo? Come possiamo persuaderla? Be’, cari figlioli, non potete. Io sono tetragona alla persuasione altrui, come Libo ha dovuto scoprire ogni giorno della sua vita. Non ha mai avuto quel segreto da me. Non è morto per colpa mia.

Ma erano riusciti a modificare il suo primo impulso. Invece di uscire di casa andò a ritirarsi in cucina, passando accanto a Ela sulla soglia ma senza toccarla. Le sottili tazzine da caffè erano già deposte in circolo sul tavolo, con il bricco fumante al centro. Sedette e appoggiò le mani sul tavolo. Così l’Araldo era arrivato, e per prima cosa era venuto da lei. E poi cos’altro avrebbe fatto? È colpa mia se è qui, non è vero? Lui è ancora un’altra persona a cui ho distrutto la vita, dopo la vita dei miei figli, dopo la vita di Marcão, e quella di Libo, e quella di Pipo, e la mia.

Una mano mascolina, forte ma sorprendentemente liscia, si sporse da oltre una sua spalla, prese il bricco e lo sollevò sopra una tazza. Dal delicato beccuccio di ceramica uscì il flusso sottile del caffè, caldo e profumato.

— Posso deramar? — chiese lui. Che domanda stupida, visto che lo stava già versando! Ma aveva una voce gentile, e il suo portoghese era sfumato di un simpatico accento castigliano. Uno spagnolo, dunque?

— Desculpa me — mormorò lei. Mi scusi. — Trouxe o senhor tantos quilômetros…

— Nessuno misura i voli interstellari in chilometri, Dona Ivanova. Li si misura in anni. — In quelle parole c’era un’accusa, ma il tono parlava di comprensione, perfino di perdono, perfino di consolazione. Io potrei lasciarmi sedurre da questa voce. Questa voce è una bugia.

— Se potessi cancellare dalla realtà il suo viaggio, e rimandarla indietro a ventidue anni fa, lo vorrei più di ogni altra cosa. Chiamandola ho fatto uno sbaglio. Mi dispiace. — La sua stessa voce le apparve bugiarda. Come la vita che aveva alle spalle, anche quelle scuse suonavano false e artificiose.

— Io non ho sentito il trascorrere del tempo — disse l’Araldo. Era fermo, in piedi dietro di lei, e Novinha non aveva ancora visto il suo volto. — Per me è passata solo una settimana da quando ho lasciato mia sorella. Lei è la sola parente che mi resta. Sua figlia non era ancora nata, e adesso ha probabilmente finito gli studi, e forse si è sposata e ha già avuto dei bambini. Non la conoscerò mai. Ma ho conosciuto i suoi figli, Dona Ivanova.

Lei sollevò la sua tazza di cafezinho e la bevve in un solo sorso, benché il liquido le bruciasse la lingua e la gola scendendole nello stomaco come una lama di coltello. — È appena arrivato e già crede di conoscerli?

— Meglio di lei, Dona Ivanova.

Novinha sentì Ela mandare un lieve ansito all’audacia dell’Araldo. E pur pensando che quelle parole avrebbero potuto essere vere, la irritò che un estraneo osasse pronunciarle. Si volse bruscamente per dargli una risposta tagliente, ma lui s’era mosso, non era più alle sue spalle. Si girò dall’altra parte e non lo vide, allora si alzò e scoprì che l’uomo non era rimasto in cucina. Sulla soglia, Ela aveva gli occhi spalancati e taceva.

— Torni qui! — esclamò Novinha. — Lei non può parlarmi così e andarsene a questo modo!

Ma lui non rispose. Dopo qualche istante, invece, Novinha udì una lieve risata provenire da una delle camere più lontane. Seccata, percorse il corridoio fino all’altra estremità della casa. Giunta in camera sua ebbe la sorpresa di scoprire che c’era Miro, seduto sul letto, mentre l’Araldo era in piedi presso la porta, e i due stavano ridendo. Miro vide arrivare la madre e il sorriso gli smorì sul volto. Questo le causò una fitta di angoscia. Erano anni che non lo vedeva sorridere; aveva perfino dimenticato di quanta bellezza questo gli illuminasse il volto, proprio come un tempo accadeva al volto di suo padre. E lei, avvicinandosi, aveva spento quel sorriso.

— Abbiamo dovuto venire a parlare qui perché Quim è intrattabile — spiegò Miro. — Ela ha rifatto il letto.

— Non credo che all’Araldo importi se i letti sono fatti o no — disse freddamente Novinha. — È così, Araldo?

— Ordine e disordine — disse l’Araldo, — possono avere entrambi una loro bellezza. — Ma non s’era girato a guardarla in viso, e lei ne fu lieta, perché non avrebbe dovuto vedere i suoi occhi mentre gli diceva quello che adesso intendeva dirgli.

— La devo informare, Araldo, che lei è venuto qui per uno sciocco errore — dichiarò. — Può odiarmi per questo, se vuole, ma lei non ha nessuna elegia da fare. Io ero una ragazzina stupida. Nella mia ingenuità avevo creduto che quella chiamata avrebbe fatto accorrere qui addirittura l’autore della Regina dell’Alveare e dell’Egemone. Evidentemente ero fuori di me. Avevo perduto un uomo che consideravo un padre, e volevo essere confortata.

Solo in quel momento lui si volse. Era un uomo giovane; più giovane di lei, comunque, con occhi in cui si leggeva un’intelligenza attraente. Perigoso, pensò lei. È pericoloso, è bello, e io devo resistere a questo sguardo così comprensivo.

— Dona Ivanova — disse lui, — come può aver letto La Regina dell’Alveare e l’Egemone, e credere che il suo autore possa portare conforto?

Fu Miro a rispondergli. Il silenzioso, riflessivo Miro, che interveniva in una conversazione altrui, e con un vigore che lei non gli vedeva assumere fin da quand’era bambino. — Io l’ho letto — affermò. — E direi che il primo Araldo dei Defunti abbia scritto la storia della Regina dell’Alveare con profonda compassione umana.

L’Araldo sorrise tristemente. — Ma non la stava scrivendo per gli Scorpioni, no? Stava scrivendo per l’umanità, che ancora celebrava la distruzione degli Scorpioni come una grande vittoria. E scrisse con crudeltà, per mutare il loro orgoglio in rimorso, la loro gioia in dolore. E oggi gli esseri umani hanno completamente dimenticato che un tempo odiavano gli Scorpioni, e che un tempo onorarono e idolatrarono un nome ora divenuto impronunciabile…

— Per me non c’è niente d’impronunciabile — disse Ivanova. — Il suo nome era Ender. E distruggeva tutto ciò che toccava. — Come me, pensò.

— Ah, sì? Ma cosa ne sa di lui? — D’un tratto la sua voce era tagliente, secca e crudele. — Come può dire che non c’era nulla che lui toccasse dolcemente, o nessuno che lo amasse e si sentisse riscaldare dal suo amore? Distruggeva tutto ciò che toccava… questa è una cosa che non può esser detta di nessun essere umano mai vissuto.

— È questa la sua filosofia, Araldo? Allora lei non ne sa molto — lo sfidò Novinha, ma il tono irato di lui l’aveva intimorita. Fino a un momento prima l’aveva creduto flemmatico e imperturbabile come un confessore.

Tuttavia la rabbia svanì quasi subito dal suo volto. — Può anche smetterla di sentirsi in colpa — le disse. — A farmi viaggiare fin qui è stata la sua chiamata, ma mentre ero in viaggio anche altri hanno richiesto un Araldo.

— Cosa? — E chi altro in quella città d’ignoranti ne sapeva abbastanza sulla Regina dell’Alveare e sull’Egemone da desiderare un Araldo? Chi altro ignorava a tal punto l’influenza morale del vescovo Peregrino? — Se è così, perché lei è venuto a casa mia?

— Sono stato chiamato a fare l’elegia di Marcos Maria Ribeira, il suo defunto marito.

Quello era un pensiero sconcertante. — Lui! Chi potrebbe volere tener desto il suo ricordo, ora che è morto?

L’Araldo non rispose. Seduto sul letto Miro ebbe un gesto un po’ seccato. — Grego potrebbe volerlo, per dirne uno. L’Araldo ci ha aperto gli occhi su un fatto che avremmo dovuto capire da soli: il bambino soffre per la morte di papà, ed era convinto che noi lo odiassimo, poiché tutti…

— Psicologia spicciola — sbottò lei. — Qui non mancano certo i terapisti, anche se neppure loro valgono i soldi che chiedono.

Dietro di lei, la voce di Ela disse: — Sono stata io a chiamare l’Araldo per papà, mamma. Credevo che non sarebbe arrivato prima di qualche decennio, ma ora sono felice che sia qui, visto che può farci del bene.

— E quale bene può mai fare a noi, eh?

— L’ha già fatto, mamma. Grego si è addormentato fra le sue braccia, e Quara gli ha parlato.

— Per la verità — aggiunse Miro, — gli ha detto che puzzava.

— Il che probabilmente era vero — precisò Ela, — dato che Greguinho gli aveva fatto la pipì addosso.

Fratello e sorella risero al ricordo di quella scena, e anche l’Araldo sorrise. Fu questo, più che tutto il resto, a scombussolare Novinha: simili manifestazioni di buon umore erano virtualmente assenti da quella casa fin dal giorno in cui Marcão l’aveva condotta lì, un anno dopo la morte di Pipo. Suo malgrado Novinha riandò ai momenti di gioia che pure c’erano stati: quando Miro era nato, quando s’era visto dare una sorellina, e quando balbettavano entrambi le prime parole complicate, e quando s’inseguivano per tutta la casa sulle gambette ancora incerte, o quando giocavano sull’erba del prato in vista del recinto e della foresta dei maiali al di là di esso… ed era stata la gioia di Novinha ad avvelenare il sangue di Marcão, a fargli odiare i due bambini, perché sapeva che nessuno dei due era suo. Al tempo della nascita di Quim la casa era già piena di foschi sentimenti, e il bambino non aveva mai imparato a ridere con i fratelli, neppure dove i genitori non potevano sentirli. Ascoltare la risata di Miro intrecciarsi a quella di Ela fu per lei come se una tenda nera fosse stata bruscamente aperta; d’improvviso la luce del sole entrava in un posto dove Novinha era abituata a vedere soltanto una perpetua penombra.

Come osava questo estraneo invadere la sua casa e spalancare le tende che lei aveva chiuso!

— Non posso permetterlo — disse. — Lei non ha il diritto d’intromettersi nella vita di mio marito.

Lui inarcò un sopracciglio. Novinha doveva conoscere il Codice Starways come chiunque altro, perciò sapeva perfettamente che lui aveva non solo il diritto, ma anche la protezione della legge, nel mettere insieme la vera storia di una persona deceduta.

— Marcão era un miserabile — insisté lei, — e dire la verità su di lui causerebbe soltanto inutile dolore.

— Lei non ha tutti i torti dicendo che la verità su di lui causerebbe dolore, ma questo non perché era un uomo miserabile — disse l’Araldo. — Se io dicessi soltanto ciò che tutti già sanno (che odiava i suoi figli, picchiava la moglie, e vagava ubriaco da un bar all’altro finché una guardia non lo rimandava a casa) allora non causerei dolore, no? L’effetto che produrrei sarebbe una soddisfazione generale, perché rassicurerei tutti sul fatto che la loro opinione di lui era corretta. Marcão era un rifiuto, e perciò loro erano dalla parte della ragione quando ne parlavano come di un rifiuto.

— E lei pensa che non lo fosse?

— Nessun essere umano, quando si comprendono le sue aspirazioni, è ingiustificabile. Nessuno ha una vita fatta di niente. Anche le persone più diaboliche, se si esplora la loro vita, hanno compiuto qualche piccolo atto generoso che, almeno un poco, redime i loro peccati.

— Se lei crede questo, allora è più giovane di quello che sembra — disse Novinha.

— Lo sono? — chiese l’Araldo. — Per me sono trascorse meno di due settimane da quando ho ricevuto la sua chiamata. Ho assunto qualche informazione. E anche se lei non lo ricorda, Novinha, io ricordo che da giovane lei era una fanciulla dolce, bella e sensibile. Aveva conosciuto la solitudine, ma poi incontrò Pipo e Libo, e loro la trovarono meritevole di affetto e di comprensione.

— Pipo era già morto, quando lei ne sentì parlare.

— Ma lui la aveva amata.

— Lei non sa niente, Araldo! Lei era a ventidue anni luce di distanza! E poi stavamo dicendo che Marcão, e non io, era un individuo privo di qualunque merito!

— Neppure lei crede questo, Novinha. Perché lei conosce quell’unico atto di gentilezza e di generosità che redime la vita di quel pover’uomo.

Novinha non capì l’oscuro terrore che stava avvertendo, ma doveva tappargli la bocca prima che lui gli desse un nome, anche se non aveva la mìnima idea di quale gentilezza di Marcão pensasse di aver scoperto. — Come si permette di chiamarmi Novinha! — esplose. — Nessuno mi ha più chiamata così da quattro anni!

Per tutta risposta lui alzò una mano e le sfiorò una guancia con la punta delle dita. Era un gesto timido, quasi da adolescente; ma le ricordò Libo, e questo fu più di quanto poteva sopportare. Gli scostò la mano con un colpo secco della sua, poi lo oltrepassò ed entrò in camera.

— Tu esci! — gridò a Miro. Il figlio si alzò subito e indietreggiò fino alla porta. Sulla faccia di lui Novinha lesse che, dopo tutto ciò che Miro aveva visto accadere in quella casa, c’era ancora qualcosa, la rabbia di lei, capace di sorprenderlo.

— Lei non avrà niente da me! — gridò all’Araldo.

— Non sono qui per avere qualcosa da lei — fu la sua calma risposta.

— E non voglio neppure niente di quel che lei ha da dare. Per me lei non ha alcun merito, lo capisce questo? È lei quello senza nessun merito e nessun valore! Lixo, ruina, estrago… vai fora da aqui! Não tens direito estar em minha casa! — Non hai diritto di stare in casa mia!

— Não eres estrago — mormorò lui, — eres solo fecundo, e vou piantar jardim aì. — Poi, prima che lei potesse replicare, chiuse la porta e si allontanò nel corridoio.

Ma lei non avrebbe mai saputo cosa replicargli, tanto le sue parole erano state oltraggiose. Lei l’aveva chiamato estrago, e lui aveva risposto come se Novinha avesse rivolto a se stessa l’accusa d’essere un terreno sterile. Lei aveva parlato con disprezzo, usando il familiare tu in modo insultante, invece di o senhor o dell’informale vóce. Era la grammatica con cui si parlava a un bambino, o a un cane. Eppure quando lui le aveva risposto con le stesse parole, con la stessa familiarità, era stato in modo del tutto diverso: «Tu sei un suolo fertile, ed io pianterò un giardino in te». Era una di quelle cose che un poeta potrebbe dire alla sua fidanzata, o un marito alla moglie, e quel tu era intimo, non arrogante. Ma come ha osato! sussurrò a se stessa, toccandosi la guancia dove lui l’aveva toccata. È mille volte più perverso di quel che qui immaginano sia un Araldo. Monsignor Peregrino aveva ragione. È pericoloso, l’infedele, l’anticristo. Lui cammina sfrontatamente in posti del mio cuore che tenevo come fossero terreno consacrato, dove a nessun altro era permesso entrare. E mette in piedi sui piccoli germogli che si aggrappano ancora alla vita in questo suolo disseccato. Come osa! Vorrei esser morta prima d’averlo conosciuto. Non c’è dubbio che mi farà in pezzi, prima d’aver finito quello per cui è venuto.

Vagamente cominciò ad accorgersi che qualcuno stava piangendo. Quara. Come c’era da aspettarsi, le sue grida l’avevano svegliata; non aveva mai avuto il sonno pesante. Andò alla porta e l’aprì, ma proprio mentre stava per uscire sentì che la bambina smetteva di piangere. La voce di un uomo le cantava gentilmente qualcosa, una specie di ninnananna in un’altra lingua. Tedesco, parve a Novinha, o nordico, o comunque un dialetto a lei sconosciuto. Ma conosceva la voce che stava cantando, e capì che Quara s’era subito tranquillizzata.

Novinha non era mai stata tanto spaventata, dal giorno in cui aveva saputo che Miro intendeva diventare zenador e seguire le stesse orme dei due uomini che i maiali avevano assassinato. Quest’uomo sta districando il groviglio delle nostre vite, per riordinarle, per riannodarle insieme; ma nel procedimento porterà alla luce i miei segreti. Se scoprirà com’è morto Pipo e lo dirà, com’è suo compito dire, anche Miro ne verrà a conoscenza e questo lo ucciderà. Io non farò più sacrifici ai maiali; sono Dei troppo crudeli da adorare.

Più tardi, mentre giaceva a letto dietro la sua porta chiusa cercando invano di prender sonno, udì altre risate provenire dall’altrio della casa, e stavolta si accorse che Quim e Olhado ridevano insieme a Miro e ad Ela. Per un attimo le parve di vederli, riuniti in quell’atmosfera stranamente allegra. Ma intanto che il sonno s’impadroniva di lei e l’immagine si trasformava in sogno, non fu l’Araldo che vide seduto fra i suoi figli, ma Libo, ancora vivo, riconosciuto da tutti come il suo vero marito. L’uomo che lei aveva sposato nel suo cuore anche quando s’era rifiutata di unirsi a lui in chiesa. Perfino nel sonno quell’immagine le diede più gioia di quanto potesse sopportare, e le sue lacrime bagnarono la morbida stoffa del cuscino.

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