XXVIII

Era a poche ore di marcia dalla torre quando incontrò gli altri due, Jorgenson e Melissa. Non aveva più visto il Lamentatore.

— Mio Dio — disse Jorgenson. — Sono contento che ti abbiamo trovato. Alla torre non c’era nessuno.

— C’era soltanto Sandra, ed è morta — disse Melissa.

— Dove sono gli altri due? — chiese Jorgenson.

— Jurgens s’è perduto nel Caos — rispose Lansing. — E io sto cercando Mary. Siete sicuri di non averla vista?

— Sicurissimi — disse Jorgenson. — Dove credi che possa essere andata?

— È stata alla locanda. Pensavo che fosse tornata alla torre. Ma dato che non l’ha fatto, immagino che si sia diretta verso la città.

— Avrebbe dovuto lasciarti detto qualcosa alla locanda — disse Melissa. — Voi due eravate molto amici.

— Aveva lasciato un biglietto. La locandiera non è riuscita a trovarlo. Ha detto che l’ha perduto. L’ho aiutata a cercarlo, prima di ripartire.

— È strano — disse Jorgenson.

— Sì, è molto strano. Sembra che tutto, qui, congiuri contro di noi.

— Cos’è successo a Jurgens? — chiese Melissa. — Mi era simpatico. Era molto caro.

Lansing raccontò, in fretta, poi chiese: — Cosa c’è a ovest? Avete trovato qualcosa?

— Non abbiamo trovato niente — rispose Jorgenson. — Siamo rimasti in giro un paio di giorni più del previsto, nella speranza di trovare qualcosa. È una zona arida, non proprio desertica, ma quasi. Abbiamo avuto difficoltà con l’acqua, ma ci siamo arrangiati.

— È un territorio vuoto — disse Melissa. — Potevi cercare per chilometri e chilometri e… niente.

— Poi siamo arrivati alla fine della scarpata che stavamo attraversando — disse Jorgenson. — Naturalmente non sapevamo che era una scarpata. A un certo punto il terreno si spezzava in una lunga linea di strapiombi, e là a quanto abbiamo potuto vedere, c’era il deserto. Un vero deserto: non c’era altro che sabbia. Si estendeva a perdita d’occhio ed era ancora più vuoto, se possibile, del territorio che avevamo attraversato. Così siamo tornati indietro.

— Il Caos a nord e niente a ovest — disse Lansing. — Resta il sud, ma non andrò a sud. Andrò alla città; credo che Mary sia là.

— Il sole sta per tramontare — disse Jorgenson. — Perché non ci accampiamo? Ripartiremo domattina. Decideremo quello che vogliamo fare e ripartiremo domattina.

— D’accordo — disse Lansing. — È inutile raggiungere la torre, dato che l’avete appena lasciata. Ditemi di Sandra. L’avete sepolta?

Melissa scrollò la testa. — Ne abbiamo parlato, ma non ci siamo decisi a farlo. Non sembrava giusto seppellirla. Abbiamo pensato che fosse meglio lasciarla dov’era. È poco più di una mummia. Credo che sia morta come avrebbe desiderato morire. Abbiamo concluso che era meglio lasciarla così.

Lansing annuì. — Anch’io ho pensato la stessa cosa. Mi sono persino chiesto se era morta davvero. Mentre la guardavo avevo la sensazione che se ne fosse andata, semplicemente. Che la sua vita, il suo spirito, fossero andati altrove, lasciando un guscio vuoto e inaridito.

— Credo che abbia ragione — disse Melissa. — Non so esprimermi bene, ma credo che tu abbia ragione. Era diversa da noi tutti; non è mai stata una di noi. Quello che sarebbe giusto per noi, per lei non lo sarebbe.

Accesero il fuoco, prepararono la cena e il caffè e mangiarono rannicchiati intorno al fuoco. Sorse la luna, le stelle spuntarono. La notte era solitaria.

Mentre teneva fra le mani la tazza del caffè e beveva un sorso ogni tanto, Lansing pensò al Caos e a Jurgens, soprattutto a Jurgens. Avrebbe potuto fare qualcosa, si chiese, per salvare il robot? C’era stato un modo, se lui fosse riuscito a pensare lucidamente e in fretta, per scendere il pendio sabbioso e afferrare il suo amico e trascinarlo in salvo? Non riusciva a immaginare come avrebbe potuto farlo. Eppure non poteva sottrarsi al rimorso che saliva a soffocarlo. Lui era là. Indubbiamente avrebbe potuto fare qualcosa. Aveva tentato, certo; s’era avventurato sul pendio infido, aveva cercato di salvarlo, ma non era bastato. Aveva tentato e aveva fallito, e quel fallimento spiegava il rimorso.

Dov’era Jurgens, adesso? Dov’era andato, dov’era finito? Lui, Lansing, non era neppure rimasto a vedere dov’era andato il suo amico. Era stato troppo indaffarato per cercare di salvarsi; ma anche così, avrebbe dovuto notare cosa era stato del robot. Sembrava, si disse cupamente, che il rimorso non avesse fine. Qualunque cosa facesse un uomo, c’era sempre il rimorso.

Con ogni probabilità Jurgens aveva continuato a scivolare, senza potersi fermare, fino a quando era arrivato al punto dove la nera cortina del Caos ruggente (qualunque cosa fosse il Caos) scendeva a toccare la sabbia. E cos’era accaduto allora? Cosa aveva detto Jurgens, poco prima di cadere? La fine di tutto. L’universo scompare. Divorato dalla tenebra. Jurgens ne aveva avuto la certezza? O l’aveva detto soltanto per dire? Era impossibile saperlo.

Era strano, pensò Lansing: i modi in cui si erano perduti. Il reverendo aveva varcato una porta. Il generale di brigata era stato afferrato (afferrato?) da due file di macchine che canticchiavano in sordina. Sandra era stata risucchiata da una torre che cantava. Jurgens era scivolato nel Caos. E Mary… Mary se n’era andata. Ma non era ancora perduta… almeno, a quanto ne sapeva lui, non era perduta come gli altri. Per Mary c’era ancora speranza.

Jorgenson chiese: — Lansing, che cos’hai? Mi sembri molto pensieroso.

— Stavo pensando — disse Lansing, — a quello che dovremmo fare domattina.

Non era ciò che aveva pensato, ma era l’unica cosa che poteva dire per rispondere a Jorgenson.

— Torneremo alla città, immagino — disse Jorgenson. — È quello che avevi proposto.

— Verrete con me? — chiese Lansing.

— Non voglio andare alla città — disse Melissa. — Ci sono stata una volta e…

— Non vuoi andare alla città e non vuoi andare a nord — disse Jorgenson. — Ci sono troppi posti dove rifiuti di andare. Se continui così, Gesù, me ne andrò per i fatti miei e ti lascerò sola. Non fai altro che lamentarti.

— Credo che potremmo risparmiare un po’ di tempo — disse Lansing, — tagliando attraverso la campagna.

— Come sarebbe a dire, attraverso la campagna?

— Ecco, guardate — disse Lansing. Posò la tazza e spianò con il palmo della mano un tratto di sabbia. Incominciò a tracciare una mappa con l’indice. Quando abbiamo lasciato la città, abbiamo seguito la pista delle maleterre. Eravamo diretti verso nord-nord-ovest. Poi, quando siamo partiti dalla locanda, abbiamo marciato direttamente a ovest, fino alla torre. A me sembra che debba esserci un percorso più diretto.

Aveva tracciato una linea che rappresentava la pista delle maleterre e un’altra, ad angolo retto, fra la locanda e la torre. Ne tracciò una terza che collegava la torre alla città. — Se procedessimo così, la distanza sarebbe inferiore. È un triangolo, vedete? Anziché percorrere due lati, ne percorreremmo uno solo. Dirigiamoci verso sud-est.

— Ci troveremmo in un territorio sconosciuto — protestò Jorgenson. — Senza una strada da seguire. Ci perderemmo nelle maleterre. Ci smarriremmo sicuramente.

— Potremmo orientarci con la bussola. Forse eviteremmo le maleterre. Può darsi che non si estendano molto lontano, verso ovest. E sarebbe un percorso molto più breve.

— Non lo so — disse Jorgenson.

— Lo so io. Ed è quello che farò. Verrete con me?

Jorgenson esitò per un lungo momento, poi disse: — Sì, verremo con te.

Partirono allo spuntar dell’alba. Dopo circa un’ora, attraversarono il fiume che scorreva verso est e che, qualche chilomentro più oltre passava accanto alla locanda. L’attraversarono a un guado poco profondo, bagnandosi appena.

Il territorio incominciò a cambiare. Saliva dal fiume in un pendio dolce, segnato da lunghi dossi uno più elevato dell’altro. Il suolo divenne meno arido. C’era meno sabbia e più erba. Incominciarono ad apparire gli alberi e, via via che salivano ogni dosso, gli alberi diventavano sempre più numerosi e più imponenti. In alcune delle vallette che separavano le creste scorrevano ruscelletti d’acqua limpida e scintillante che mormorava sui sassi.

Verso la fine della giornata giunsero in cima a un dosso considerevolmente più alto di quelli che avevano superato e scorsero, distesa ai loro piedi, una valle più ampia e più lussureggiante… una valle verde, con moltissimi alberi e un fiume di dimensioni rispettabili. Non molto lontano, verso ovest, salivano nell’aria esili spire di fumo.

— C’è gente — disse Jorgenson. — Dev’esserci gente.

Si mosse per proseguire, ma Lansing tese la mano e lo trattenne.

— Cosa c’è — chiese Jorgenson.

— Non è il caso di precipitarsi.

— Ma c’è gente, ti dico.

— Sì immagino. Ma non precipitiamoci. E non avviciniamoci neppure furtivamente. Dobbiamo fargli sapere che siamo qui, e dargli la possibilità di vederci bene.

— Tu sai sempre tutto — disse Jorgenson con una smorfia.

— Non so tutto — rispose Lansing. — È una questione di buon senso. O lasciamo che ci vedano bene, oppure gli giriamo intorno e li evitiamo.

— Io credo che dovremmo andare da loro — disse Melissa. — Mary potrebbe essere là. Oppure qualcuno può sapere qualcosa di lei.

— È poco probabile — disse Lansing. — Sono convinto che si sia diretta verso la città. Non aveva motivo per passare da questa parte.

— Andiamo a raggiungerli — disse Jorgenson in tono bellicoso. — Forse qualcuno saprà che cosa sta succedendo. E allora sarebbe la prima volta che lo sapremmo anche noi, da quando siamo arrivati.

— D’accordo — disse Lansing. — Andiamo.

Scesero la collina e arrivarono nel fondovalle. Proseguirono lentamente, verso il fumo. Qualcuno, più avanti, li vide e gridò un avvertimento. I tre si fermarono e rimasero in attesa. Dopo pochi istanti comparve un gruppetto, una decina di persone che scendevano la valle per incontrarli. Poi si fermarono, e tre uomini si fecero avanti.

Lansing, che s’era fermato lasciandosi indietro Jorgenson e Melissa di qualche passo, studiò i tre. Uno era vecchio. Aveva la barba e i capelli bianchi. Gli altri due erano più giovani… uno era un ragazzo biondo, con la barba e i capelli che gli scendevano sulle spalle, l’altro era un uomo torvo, con la pelle e i capelli scuri. Non aveva la barba, ma si vedeva che non si radeva da diversi giorni. Erano tutti laceri, con i gomiti che spuntavano dalle maniche, e i buchi nei ginocchi dei calzoni, e strappi malamente ricuciti. Il vecchio portava un giubbotto che sembrava confezionato con pelli di coniglio.

I tre si fermarono a pochi passi. Il biondo parlò in una lingua sconosciuta.

— Una lingua da selvaggi — disse Jorgenson. — Perché non parla inglese?

— È una lingua straniera, non da selvaggi — disse Lansing. — Credo che sia tedesco. Qualcuno di voi parla inglese?

— Io — disse il vecchio. — E altri due, nell’accampamento. Hai indovinato. Il mio giovane amico parla tedesco. Pierre, qui, parla francese. Io li capisco abbastanza bene. Mi chiamo Allen Correy. Immagino che veniate dalla torre. Dovete aver perso la strada.

— Per la precisione — disse Lansing, — siamo diretti verso la città.

— Perché? — chiese Correy. — Là non c’è niente. Lo sappiamo tutti.

— Lui sta cercando la sua ragazza — disse Jorgenson. — È convinto che sia andata là.

— In questo caso — disse Correy a Lansing, — ti auguro di ritrovarla. Sai come arrivarci?

— È a sud-est — disse Lansing. — Credo sia il percorso giusto.

— Sì, credo di si — disse Correy.

— Sapete qualcosa del territorio più avanti?

— Lo conosciamo solo per pochi chilometri. Non ci allontaniamo molto dal campo. È più prudente.

— Immagino che siate come noi. Non so come definire quello che siamo. Non ci ho mai pensato. Siamo stati portati qui.

— Anche noi — disse Correy. — Forse ci sono altri gruppi come il nostro, ma se ci sono non sappiamo dove siano. Sapete, naturalmente, che pochi sopravvivono. Noi siamo un gruppetto di superstiti. Siamo trentadue. Dodici uomini, e il resto donne. Certuni sono qui da anni.

Il francese gli disse qualcosa, e Correy si rivolse a Lansing: — Scusami, dimenticavo le buone maniere. Non volete venire con noi al campo? Presto sarà buio, e la cena è quasi pronta. Abbiamo un pentolone di spezzatino di coniglio, e una quantità di pesci da friggere. Non mi sorprenderei se ci fosse anche un’insalata, però abbiamo finito da un pezzo l’olio e dobbiamo arrangiarci con il grasso caldo. E devo avvertirvi che siamo a corto di sale. Ormai ci siamo abituati e non ne sentiamo più la mancanza.

— Non la sentiremo neppure noi — disse Melissa. — Accettiamo l’invito con piacere.

Poco più avanti, quando superarono un boschetto che lo nascondeva, trovarono un campo di granoturco dove c’era ancora qualche pannocchia. Oltre il campo, in una caletta riparata formata da un’ansa del fiume, c’era un assortimento di rozze capanne e alcune tende malconce. I fuochi erano accesi e tutto intorno c’erano gruppetti di persone in attesa.

Correy indicò il campo con un gesto. — Non è un gran che, ma lo curiamo bene, e ad ogni stagione produce quanto ci basta per tirare avanti durante l’inverno. Abbiamo anche un orto piuttosto grande. Mrs. Mason ci ha fornito le sementi necessarie.

— Mrs. Mason? — chiese Melissa.

— L’ostessa della locanda — disse Correy. — È molto avida, ma ha collaborato con noi. A volte ci manda qualche recluta, altri come noi che non sanno dove andare e finiscono per tornare alla locanda. Lei non li vuole intorno, se non hanno denaro da spendere. Ma quelli che ne hanno sono pochi, e così se ne libera mandandoli da noi. Comunque, la nostra popolazione non aumenta molto. Alcuni muoiono, soprattutto nei mesi invernali. Fra la altre cose, abbiamo un cimitero sempre più esteso.

— Non c’è modo di tornare indietro? — chiese Jorgenson. — Di tornare nei mondi dai quali siete venuti?

— Se c’è, non l’abbiamo trovato — disse Correy. — Ma non abbiamo cercato molto. Qualcuno l’ha fatto. Ma in generale ci accontentiamo di star qui.

Il pasto serale era pronto per essere distribuito, quando arrivarono al campo. Sedettero tutti e tre in cerchio, con gli altri, intorno al fuoco centrale, e ricevettero scodelle di spezzatino di coniglio e altre verdure miste bollite e piatti di pesce fritto. Non c’era caffè né tè, ma soltanto acqua. E non c’era l’insalata che Correy aveva preannunciato.

Molti abitanti dell’accampamento, forse tutti (Lansing cercò di contarli, ma non ci riuscì), vennero a stringer loro la mano e a dare il benvenuto. Parlavano quasi tutti lingue straniere; qualcuno si arrangiava con un inglese smozzicato. C’erano altri due, oltre Correy, che lo parlavano correntemente. Erano due donne, e subito si accovacciarono accanto a Melissa e incominciarono a chiacchierare fitto fitto con lei.

Nonostante la mancanza di sale, il vitto era buono.

— Hai detto che non avete sale — disse Lansing a Correy, — e probabilmente vi mancano parecchie altre cose. Eppure poco fa hai precisato che Mrs. Mason vi ha fornito le sementi per l’orto e il campo di granoturco. Non potrebbe vendervi anche il sale e le altre cose indispensabili?

— Oh, lo farebbe volentieri — disse Correy. — Ma non abbiamo denaro. La nostra cassa si è esaurita. Forse, in passato, abbiamo speso con larghezza eccessiva.

— A me è rimasto un po’ di denaro — disse Lansing. — Una donazione sarebbe ben accetta?

— Non voglio sollecitare un’offerta — disse Correy. — Ma se lo facessi di tua volontà…

— Vi lascerò una piccola somma.

— Non rimarrai con noi? Saresti il benvenuto, sai?

— Te l’ho detto. Raggiungerò la città.

— Sì, lo ricordo.

— Sarò lieto di passare qui la notte — disse Lansing. — Domattina ripartirò.

— Forse tornerai.

— Vuoi dire se non troverò Mary?

— Anche se la troverai. Torna quando vuoi. E lei sarà egualmente la benvenuta, se verrà con te.

Lansing girò lo sguardo sul campo. Non era un posto dove gli sarebbe piaciuto mettere le radici. Lì la vita doveva essere dura. Senza dubbio c’era da faticare parecchio… tagliare la legna e trasportarla, curare l’orto e il campo di granoturco, cercare continuamente viveri. E c’erano senza dubbio piccole rivalità rabbiose, scatti di collera, litigi incessanti.

— Ci siamo organizzati in un modo di vita primitivo — disse Correy. — E ci destreggiamo piuttosto bene. Nel fiume i pesci abbondano, e c’è selvaggina nelle valli e sulle colline. Alcuni di noi sono diventati esperti nel posare le trappole… c’è una quantità di conigli. Certi anni sono più numerosi. Un paio d’anni fa, quando ci fu la siccità, abbiamo lavorato tutti senza risparmiarci, per portare l’acqua dal fiume e innaffiare l’orto e il granoturco. Ma ce l’abbiamo fatta: abbiamo avuto un ottimo raccolto.

— È sorprendente — disse Lansing, — un assortimento di gente tanto diversa. Almeno, credo che sia diversa.

— Sì, lo è davvero — disse Correy. — Nell’altra vita, facevo parte del corpo diplomatico. Tra gli altri abbiamo un geologo, un agricoltore che dirigeva una tenuta di migliaia di ettari, un contabile pubblico, un’attrice nota e un tempo viziata, una donna che era un’eminente studiosa di storia, un’assistente sociale, un banchiere. E potrei continuare per un pezzo.

— In tutto il tempo che avete avuto a disposizione per pensarci, siete pervenuti a qualche conclusione circa il motivo per il quale siamo stati portati tutti qui?

— No, non proprio. Ci sono molte ipotesi, come puoi immaginare, ma niente di concreto. Certuni sono convinti di saperlo, ma sono sicuro che non lo sappiano. Ci sono quelli, devi capire, che trovano una certa stabilità convincendosi di aver ragione anche a proposito delle teorie più fantastiche. Così hanno qualcosa cui aggrapparsi, la certezza di sapere cosa sta succedendo mentre tutti gli altri brancolano nel buio.

— E tu?

— Io sono uno di quelli che, per loro disgrazia, riescono a vedere i vari aspetti d’una questione. Come diplomatico, era necessario che lo facessi. Mi sento in dovere d’essere rigorosamente sincero con me stesso: non posso permettermi d’illudermi.

— Quindi non hai una convinzione precisa?

— Neppure una. Per me è tutto un mistero come il giorno in cui sono arrivato.

— Cosa sai del territorio che attraverseremo per raggiungere la città? E delle maleterre?

— È una zona accidentata e collinosa — disse Correy. — Almeno, fino dove ci siamo avventurati noi. È quasi tutta foresta. Ma il cammino non è faticoso. Non so niente delle maleterre. Non le abbiamo mai viste. Debbono trovarsi più a est.

— E vi accontentate di stare qui? Non vi siete mai spinti più lontano? Non avete cercato?

— Non è che siamo contenti — disse Correy. — Ma cosa possiamo fare? Alcuni di noi sono andati a nord, fino al Caos. Ci sei stato?

— Sì. E ho perduto un buon amico.

— Il nord è chiuso dal Caos — disse Correy. — È impossibile passare. Non so che cosa sia, ma blocca la strada. Per centocinquanta chilometri o più, oltre la torre, non c’è altro che un deserto terribile. A sud, fin dove ci siamo spinti, non c’è nulla di promettente. Dunque, ora tu ritorni alla città, sperando di trovare qualcosa che prima ti era sfuggito.

— No — disse Lansing. — Vado a cercare Mary. Devo ritrovarla. Io e lei siamo gli unici rimasti del nostro gruppo. Gli altri quattro li abbiamo perduti.

— E i due che sono con te?

— All’inizio non erano con noi. Facevano parte di un gruppo diverso. Li abbiamo incontrati alla locanda.

— Sembrano due tipi simpatici — disse Correy. — Eccoli, stanno arrivando.

Lansing alzò la testa e vide Jorgenson e Melissa che si avvicinavano, girando intorno al fuoco. Jorgenson si accosciò davanti a lui. Melissa rimase in piedi. — Io e Melissa vogliamo dirti una cosa — annunciò Jorgenson. — Ci dispiace, ma non proseguiremo con te. Abbiamo deciso di restare.

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