Quando Lansing si svegliò, l’indomani mattina, tutti gli altri dormivano ancora. Sotto le coperte, il reverendo si era un po’ decontratto. Era sempre in una posizione semifetale, ma meno raggomitolato.
Jurgens era accovacciato davanti al fuoco e sorvegliava la pentola di crema d’avena che bolliva. Il caffè era caldo da una parte, su un piccolo letto di braci.
Lansing uscì dal sacco a pelo e andò ad accosciarsi accanto al robot.
— Come sta il nostro uomo? — chiese?
— Ha riposato abbastanza tranquillamente — disse Jurgens. — In queste ultime ore mi è sembrato normale. Prima ha avuto una crisi; tremava. Era inutile chiamare uno di voi, tanto nessuno avrebbe potuto far niente per lui. L’ho tenuto d’occhio e mi sono assicurato che restasse coperto. Alla fine ha smesso di tremare convulsamente e si è assopito. Sa, Lansing, avremmo dovuto portare qualche medicina. Perché nessuno ci ha pensato?
— Abbiamo bende, analgesici e disinfettanti — disse Lansing. — Ma penso che non ci fosse nient’altro di disponibile. Se avessimo altri medicinali, non servirebbero a molto. Nessuno di noi ha la più vaga cognizione medica. Anche se avessimo i rimedi, non sapremmo come usarli.
— Mi è sembrato — disse Jurgens, — che il generale sia stato molto duro con lui.
— Il generale era spaventato — disse Lansing. — Anche lui hai suoi problemi.
— Non capisco quali problemi possa avere.
— Si è assunto la responsabilità di vegliare su di noi. Per uno come lui è naturale. Si preoccupa di tutto quello che facciamo, di ogni passo che muoviamo. Si comporta come una chioccia. Per lui non è facile.
— Lansing, noi possiamo badare a noi stessi.
— Lo so, ma lui non la pensa così. Probabilmente si ritiene responsabile di quanto è successo al reverendo.
— Ma non ha nessuna simpatia per lui.
— Lo so. Nessuno ha simpatia per il reverendo. È molto difficile andar d’accordo con lui.
— È per questo che l’ha accompagnato quando è uscito a passeggiare?
— Non lo so. Forse mi faceva un po’ pena. Mi sembra molto solo. Nessun uomo dovrebbe essere tanto solo.
— È lei quello che si prende cura di tutti noi — disse Jurgens. — Lo fa senza darlo a vedere. Non ha detto a nessuno di me. Non ha riferito quel che le ho confidato. Chi sono e da dove sono venuto.
— Quando Mary te l’ha chiesto, l’hai pregata di scusarti. Ho immaginato che non volessi farlo sapere a nessun altro.
— Ma l’ho detto a lei. Capisce che cosa significa? L’ho detto a lei. Mi sono fidato. Non sapevo perché, ma pensavo che fosse giusto. Volevo che lo sapesse.
— Forse perché ho l’immagine del padre confessore.
— Non si tratta soltanto di questo — disse Jurgens.
Lansing si alzò e andò all’entrata. Fuori, sulla scalinata, si fermò e girò lo sguardo sulla piazza. Era una scena pacifica. Sebbene l’oriente si andasse illuminando, il sole non s’era ancora levato. Nella luce rarefatta dell’alba, gli edifici intorno alla piazza apparivano rosati anziché rossi, come sarebbero diventati dopo il sorgere del sole. Nell’aria c’era un sentore di freddo e chissà dove, tra le rovine, cinguettava un uccello solitario.
Dietro di lui risuonò un passo. Lansing si voltò. Il generale di brigata stava scendendo i gradini.
— Sembra che il reverendo stia un po’ meglio — disse.
— Jurgens mi ha riferito — disse Lansing, — che ha avuto una crisi di tremito, ma poi si è calmato. Ha dormito, durante le ultime ore.
— Rappresenta un problema — disse il generale di brigata.
— E con questo?
— Dobbiamo continuare il nostro lavoro. Dobbiamo esplorare la città. Sono convinto che qui c’è qualcosa che dobbiamo trovare.
— Concediamoci qualche minuto — disse Lansing, — e cerchiamo di ragionare a fondo. Non abbiamo mai cercato veramente di considerare la situazione. Lei è convinto, suppongo, che da qualche parte esista una chiave che ci libererà da questo posto e ci farà ritornare là dove siamo venuti.
— No — disse il generale di brigata. — No, non lo credo affatto. Non credo che potremo mai ritornare là da dove siamo venuti. La strada del ritorno a casa ci è preclusa. Ma deve esserci una strada che conduce in qualche altro posto.
— Allora pensa che siamo qui, che siamo stati portati qui da qualche entità misteriosa per risolvere un rompicapo, per trovare la strada di un luogo dove l’entità vuole che arriviamo, pur pretendendo che lo troviamo da solo. Come i ratti in un labirinto?
Il generale di brigata lo fissò socchiudendo gli occhi. — Lansing, lei si è assunto la parte dell’avvocato del diavolo. Perché?
— Forse perché non so per quale ragione siamo qui, e non so che cosa dobbiamo fare, ammettendo che dobbiamo fare qualcosa.
— Dunque propone che ce ne stiamo in ozio e attendiamo che gli eventi seguano il loro corso?
— No, non è questo che propongo. Credo che dobbiamo trovare una via d’uscita, ma non ho la più vaga idea di quello che dovremmo cercare.
— Non l’ho neppure io — disse il generale di brigata. — Ma dobbiamo cercare comunque. Ecco perché dico che abbiamo un problema. Dovremmo impegnarci tutti nella ricerca, ma non possiamo lasciare solo il reverendo. Qualcuno deve restare con lui: e così le nostre forze si riducono. Perdiamo non una persona sola, ma due.
— Ha ragione — disse Lansing. — Non possiamo lasciar solo il reverendo. Credo che Jurgens sarebbe disposto a restare con lui. Fatica ancora a muoversi.
— No, Jurgens no. Abbiamo bisogno di lui. Ha la testa sulle spalle. Non parla molto, ma è capace di pensare. Ha l’occhio acuto. Nota molte cose.
— D’accordo. Lo porti con sé. Resterò io.
— Neppure lei. Ho bisogno di lei. Crede che Sandra accetterebbe di rimanere? Non è di grande utilità, in pratica. Anche nei momenti migliori, ha la la testa tra le nuvole.
— Può provare a chiederglielo — disse Lansing.
Sandra accettò di restare a vegliare il reverendo, e dopo colazione gli altri si avviarono. Il generale di brigata aveva fatto i piani per la spedizione.
— Lansing, vada con Mary lungo quella strada laggiù e la esplori. Se arriva fino in fondo, prosegua per la strada accanto e torni indietro. Io e Jurgens faremo lo stesso lungo questa via.
— Che cosa dobbiamo cercare? — chiese Mary.
— Qualunque cosa che appaia insolita. Qualunque cosa che attiri l’occhio. O un’intuizione. È utile, dare ascolto alle intuizioni. Vorrei che avessimo il tempo e un numero di persone sufficienti per esplorare casa per casa, ma è impossibile. Dovremo scegliere gli obiettivi.
— Mi sembra un sistema troppo casuale — disse Mary. — Da lei mi sarei aspettata un piano più logico.
Mary e Lansing si avviarono lungo la strada indicata. Spesso era parzialmente ostruita dai blocchi caduti. Non c’era niente di insolito. Le case erano di pietra consunta, e quasi sempre erano indistinguibili l’una dall’altra. Sembravano residenze, sebbene fosse impossibile averne la certezza.
Entrarono ad esplorare alcune case, benché non avessero niente di insolito; lo fecero perché avevano l’impressione che se non le avessero esplorate avrebbero trascurato il loro dovere. Non trovarono nulla. Le stanze erano nude e deprimenti, ammantate dalla polvere che non recava i segni di intrusioni recenti. Lansing cercò di immaginarle abitate da gente gaia e felice che parlava e rideva, ma era impossibile; finì per desistere. La città era morta, le case erano morte, le stanze morte. Erano morte da troppo tempo per ospitare fantasmi. Avevano perso ogni memoria. Non restava più nulla.
— Mi sembri senza speranza — disse Mary, — questa ricerca alla cieca di un fattore sconosciuto. Anche se ci fosse, e niente indica che ci sia, potremmo impiegare anni per trovarlo. Se lo chiedi a me, penso che il generale sia pazzo.
— Forse non lo è — disse Lansing. — È semplicemente un uomo ossessionato da uno scopo pazzesco. Anche quando eravamo vicini al cubo, era certo che quello che cercavamo l’avremmo trovato nella città. Allora, naturalmente, pensava alla città in termini diversi. Credeva che vi avrebbe trovato gente.
— Ma dato che non l’ha trovata, non sarebbe ragionevole cambiare idea?
— Forse sarebbe ragionevole per me e per te. Noi sappiamo ammettere gli errori, sappiamo adattarci ai cambiamenti di situazione. Ma il generale no. Stabilisce una linea d’azione e la segue. Se dice che una cosa è così, è così e basta. Non cambierà idea.
— E dato che lo sappiamo, cosa possiamo fare?
— Assecondiamolo. Percorreremo un tratto di strada insieme a lui. Forse verrà un momento, non troppo lontano, in cui si lascerà convincere.
— Temo che dovremmo attendere troppo a lungo.
— In tal caso — disse Lansing, — decideremo quel che dovremo fare.
— Il primo suggerimento sarebbe dargli una botta in testa.
Lansing le rivolse un sorriso, e Mary lo ricambiò.
— Forse — disse lei, — è una cattiveria troppo grossa. Ma certe volte mi fa piacere pensarci.
S’erano seduti su di un lastrone di pietra e, mentre stavano per alzarsi, Mary disse bruscamente: — Ascolta. Non è qualcuno che urla?
Per un momento rimasero irrigiditi, fianco a fianco, poi il suono che Lansing non aveva udito in un primo momento si ripeté… fievole e lontano, attutito dalla distanza. Una voce di donna che urlava.
— Sandra! — gridò Mary e incominciò a correre verso la piazza. Correva a passo svelto e leggero, come se avesse le ali ai piedi, e Lansing la seguiva, pesantemente. Il percorso era tortuoso, orlato dai blocchi di pietra caduti nella stretta via.
Lansing sentì l’urlo ripetersi, altre volte.
Si precipitò nella piazza. Mary la stava già attraversando. Sulla scalinata c’era Sandra, che agitava freneticamente le braccia e continuava a urlare. Lansing cercò di correre più forte, ma le gambe non gli obbedivano.
Mary volò su per la gradinata e abbracciò Sandra. Rimasero così, strette l’una all’altra. Con la coda dell’occhio, Lansing vide il generale di brigata schizzare fuori a corsa da una via, ma continuò a correre. Raggiunse la scalinata e salì a precipizio.
— Cos’è successo? — chiese ansimando.
— Il reverendo — disse Mary. — È scomparso.
— Scomparso! Sandra doveva sorvegliarlo.
— Ho dovuto andare al bagno — gli gridò Sandra. — Ho dovuto trovare un posto. È stata questione d’un minuto.
— L’hai cercato? — chiese Mary.
— L’ho cercato — rispose Sandra, con voce stridula. — L’ho cercato dappertutto.
Il generale di brigata salì sbuffando i gradini. Dietro di lui, sulla piazza, Jurgens avanzava saltellando e manovrando la gruccia nel tentativo di affrettarsi.
— Cos’è tutto questo baccano? — Volle sapere il generale.
— Il reverendo è scomparso — disse Lansing.
— E così è scappato — disse il generale di brigata. — Quel mascalzone è scappato.
— Ho cercato di ritrovarlo — urlò Sandra.
— Io so dov’è — disse Mary. — Sono sicura di saperlo.
— Anch’io — disse Lansing, correndo verso l’ingresso.
Mary lo rincorse, gridando: — Troverai una torcia elettrica nel mio sacco a pelo. L’ho tenuta lì tutta la notte.
Lansing trovò la torcia elettrica e la raccolse, soffermandosi appena. Corse verso la scala del sotterraneo. E mentre scendeva, parlava tra sé. — Pazzo — disse. — Pazzo, pazzo!
Arrivò nel sotterraneo e si lanciò verso il corridoio centrale, illuminandosi il cammino con la torcia elettrica.
Forse era ancora in tempo, si disse. Forse era ancora in tempo. Ma era sicuro che non era così.
E aveva ragione. Non era più in tempo.
La grande camera in fondo al corridoio era vuota. La fila degli spioncini luccicava fioca nell’oscurità.
Lansing raggiunse la prima porta, quella che si apriva sul mondo dei meli selvatici, e vi fece scorrere il raggio della torcia elettrica. Le alette che l’avevano tenuta saldamente bloccata, adesso, pendevano dai bulloni.
Tese le mani verso la porta e una forza tremenda lo investì alle spalle, gettandolo sul pavimento. La torcia elettrica, ancora accesa, rotolò via. Aveva battuto la testa, nel cadere, e stelle e lampi luminosi gli saettavano nel cervello, ma continuava a lottare contro il peso che lo tratteneva.
— Idiota! — urlò in generale di brigata. — È una porta a senso unico. Si può entrare, ma non tornare indietro. Se entra, si accorgerà che la porta non esiste. E adesso, si comporterà in modo ragionevole se la lascio andare?
Mary aveva raccattato la torcia elettrica e la teneva puntata su Lansing. — Il generale ha ragione — disse. — Potrebbe essere una porta a senso unico. — Poi gridò: — Sandra, allontanati!
Al suo grido, Jurgens uscì dal buio e si avventò su Sandra, tendendo la gruccia. La colpì alle costole e la scagliò da un lato.
Il generale di brigata si rialzò in piedi, pesantemente, e indietreggiò contro la porta, per difenderla contro tutti.
— Sia chiaro — annunciò. — Nessuno deve uscire da questa porta. Nessuno deve toccarla.
Lansing si rialzò, un po’ scosso. Jurgens, dopo averla buttata a terra, adesso stava aiutando Sandra a rimettersi in piedi.
— Ecco lì — disse Mary, puntando la torcia elettrica sul pavimento. — Ecco la chiave inglese che ha usato per allentare le alette.
— L’ho vista ieri — disse Jurgens. — Era appesa a un gancio, vicino alla porta.
Mary si chinò e raccolse la chiave inglese.
— E adesso — disse il generale di brigata, — poiché tutti noi siamo passati attraverso i nostri periodi di follia, mettiamoci un po’ calmi. Fisseremo di nuovo le alette, e butteremo via la chiave inglese.
— Come può sapere che quella è una porta a senso unico? — chiese Sandra.
— Non lo so — rispose il generale. — Ma sono pronto a scommettere che lo è.
E infatti era così, pensò Lansing. Nessuno poteva saperlo, neppure il generale di brigata. E fino a quando non l’avessero saputo, con certezza assoluta, nessuno avrebbe potuto varcare quella porta.
— Non c’è modo di scoprirlo — disse Jurgens, — fino a quando non la si varca. E allora potrebbe essere troppo tardi.
— Giustissimo — disse il generale di brigata. — Ma nessuno dovrà azzardarsi a farlo.
Tese la mano a Mary, e lei gli porse la chiave inglese.
— Tenga la torcia puntata su di me — disse il generale. — Così potrò vedere quello che faccio.