2. ESPLICAZIONE; CONCATENAZIONE; RECRIMINAZIONE



«Che si fa, adesso?»

Raeker ignorò la domanda; per quanto conoscesse l’importanza del suo interlocutore, non aveva certo il tempo per conversare. Doveva agire. Gli schermi televisivi di Fagin occupavano l’intera parete e ognuno mostrava le forme degli esseri conici che stavano attaccando il villaggio. C’era un microfono davanti al suo viso, con l’interruttore abbassato in una posizione atta a impedire che dei frammenti casuali di conversazione, nella sala, venissero ritrasmessi ai compagni della macchina; le sue dita sfioravano l’interruttore, ma senza toccarlo. Non sapeva davvero cosa dire.

Tutto quello che aveva detto a Nick attraverso la macchina era la pura verità; non c’era nulla da guadagnare, tentando di combattere. Sfortunatamente, il combattimento era già cominciato. Anche se Raeker fosse stato qualificato a fornire dei consigli sulla difesa del villaggio, ormai era troppo tardi; non era neppure più possibile per un essere umano distinguere gli assalitori dai difensori. Le lance percorrevano l’aria a velocità incredibile… e asce e coltelli lampeggiavano nella luce dei fuochi.

«È un ottimo spettacolo, comunque.» La medesima voce stridula che aveva formulato la domanda un minuto prima si fece udire di nuovo. «Laggiù la luce dei fuochi sembra più vivida di quella del giorno.» Il tono discorsivo fece infuriare Raeker, che non stava prendendo alla leggera i guai dei suoi amici; ma non fu la considerazione per l’identità del suo interlocutore che gli impedì di perdere la pazienza e di esprimere qualche disgraziato commento. Del tutto involontariamente, lo spettatore gli aveva fornito un’idea. Le sue dita toccarono i bottoni del microfono.

«Nick! Mi senti?»

«Sì, Maestro.» La voce di Nick non mostrava alcun segno del terribile sforzo fisico che stava sostenendo; il suo apparato vocale non era legato a quello respiratorio, come avviene per gli esseri umani.

«Molto bene. Apritevi tutti la strada verso il riparo più vicino. Allontanatevi da me. Se non riuscite a raggiungere un riparo, nascondetevi dietro una catasta di legna o qualcosa del genere… dietro la curva della collina, se non trovate niente di meglio. Fatemi sapere immediatamente se ci siete riusciti.»

«Tenteremo.» Nick non ebbe il tempo di aggiungere altro; quelli della cabina di comando poterono soltanto guardare, sebbene le dita di Raeker stessero passando su un’altra fila di interruttori sul complesso quadro che gli stava davanti.

«Uno di loro ce la fa.» Di nuovo si trattava della voce stridula, e questa volta Raeker fu costretto a rispondere.

«Conosco questa gente da sedici anni, ma non riesco a distinguerli dagli assalitori, adesso. Come può identificarli, lei?» Spostò rapidamente lo sguardo dallo schermo alle forme dei due non-umani che torreggiavano alle sue spalle.

«Gli attaccanti non possiedono asce, ma hanno solo coltelli e lance,» spiegò con calma colui che parlava. L’uomo tornò frettolosamente a guardare gli schermi. Non poteva essere sicuro che l’altro avesse ragione; si vedevano solo tre o quattro asce, e quelli che le impugnavano non erano visibili con grande chiarezza in quel guazzabuglio. Non aveva notato la mancanza di asce nelle mani degli attaccanti, quando essi avevano scalato la collina, durante il breve istante in cui la macchina aveva potuto vederli, e prima che la battaglia si fosse accesa; ma non era impossibile che altri lo avessero notato. Avrebbe voluto conoscere meglio Dromm e il suo popolo. Non rispose al commento del gigante esile, ma da quel momento in poi osservò le asce che lampeggiavano alla luce dei fuochi. Sembrava davvero che i loro possessori si stessero aprendo un varco in direzione delle capanne che circondavano la cima del colle. Alcuni non riuscirono a farcela; più d’uno degli attrezzi che erano così bruscamente diventati armi cessarono di muoversi di fronte agli occhi della macchina.

Ma qualcuno riuscì a farcela. Per mezzo minuto una figura squamosa con quattro braccia rimase ferma davanti a una delle capanne, respingendo gli assalitori che tentavano di avvicinarsi. Altre tre, tutte apparentemente in buone condizioni, strisciarono verso la prima e si rifugiarono nelle capanne; una sola rimase di guardia, tenendo due lance in posizione, e proteggendo le spalle della figura che continuava a roteare l’ascia.

Poi un altro difensore apparve accanto al primo, e i due si ritirarono insieme all’interno di una capanna. Nessuno degli abitatori delle caverne parve ansioso di seguirli.

«Siete tutti dentro, Nick?» domandò Raeker.

«Siamo in cinque. Non so niente degli altri. Sono quasi certo che Alice e Tom sono morti, però; all’inizio erano vicini a me, ed è un pezzo che non li vedo.»

«Chiama quelli che non sono con te. Io dovrò fare qualcosa molto presto, e non voglio che nessuno di voi ne debba risentire.»

«Ormai, o sono al sicuro o sono morti. Il combattimento è cessato; ora è assai più facile sentirti di quanto non lo fosse prima. Sarà meglio che tu faccia quel che devi fare senza darti pensiero per noi; direi che la gente di Veloce si sta preparando a salire verso di te. Qua fuori ce ne sono un paio; gli altri vanno formando un grosso cerchio intorno al luogo in cui ti ho visto l’ultima volta. Tu non ti sei mosso, vero?»

«No,» ammise Raeker, «e hai ragione, riguardo all’anello. Uno dei più grossi tra loro sta dirigendosi dritto verso di me. Assicurati che siate tutti al coperto… preferibilmente, dove la luce non possa raggiungervi. Vi darò dieci secondi.»

«Va bene,» rispose Nick, «ci ripariamo.»

Raeker contò lentamente fino a dieci, guardando nel frattempo sugli schermi le creature che si andavano avvicinando. Quando fu a dieci le sue dita tirarono una leva che azionava contemporaneamente dieci circuiti; e come ebbe modo di descriverlo in seguito Nick, «il mondo prese fuoco.»

Erano soltanto le luci di ricerca della macchina, ormai inoperose da anni, ma sempre efficienti. Pareva altamente improbabile agli osservatori umani che qualsiasi organo ottico abbastanza sensibile da servirsi della piccola percentuale di luce che raggiungeva il fondo dell’atmosfera di Tenebra potesse mai sopportare uno splendore del genere; le luci erano state progettate tenendo presente la possibilità di dover penetrare delle fitte cortine di polvere o di fumo… erano assai più potenti di quanto fosse stato effettivamente necessario per il funzionamento dei circuiti interni della macchina.

Gli attaccanti avrebbero dovuto rimanere accecati sull’istante, secondo le intenzioni di Raeker. La spiacevole constatazione del fatto che ciò non avveniva venne lentamente in chiaro.

Rimasero certo sorpresi. Fermarono la loro avanzata per un momento, e parlottarono rumorosamente tra di loro; poi il gigante che guidava gli altri raggiunse la macchina, si chinò su di essa, e apparentemente esaminò con una certa dose di interesse le luci. Gli uomini avevano da lungo tempo scoperto che gli organi della vista degli abitanti di Tenebra erano in stretta relazione con la cresta cartilaginosa che si trovava sul loro capo, e fu questa parte che l’essere che, secondo i sospetti di Raeker, doveva essere Veloce, avvicinò a uno dei piccoli fori dai quali veniva emanato il flusso di luce.

L’uomo sospirò e spense le luci.

«Nick,» chiamò, «temo che la mia idea non abbia funzionato. Puoi metterti in contatto con questo Veloce, e cercare di fargli intendere il problema della lingua? Per quel che posso dire, adesso credo che stia tentando di parlarmi.»

«Proverò.» La voce di Nick fu assorbita, molto fievole, dai meccanismi della macchina; poi ci fu soltanto un incomprensibile scoppio di suoni, che andavano in maniera fantastica dai toni più alti a quelli più bassi. Era impossibile dire chi stesse parlando, e ancora meno che cosa si andasse dicendo, e Raeker si appoggiò nervosamente allo schienale della sua poltrona.

«Non potrebbe venire usato l’apparato della macchina, per combattere?» La stridula voce del drommiano interruppe i suoi cupi pensieri.

«Verosimilmente, in altre circostanze,» replicò Raeker. «Così come stiamo, è troppo distante. Deve avere notato i ritardi tra domande e risposte, quando io stavo parlando a Nick. Noi siamo in orbita intorno a Tenebra, a distanza sufficiente per consentirci di mantenere l’astronave al di sopra dello stesso punto; il giorno del pianeta misura all’incirca quattro giorni terrestri, e questo ci costringe a stare a centosessanta miglia di distanza. Un ritardo di circa due secondi nei riflessi renderebbe la macchina un combattente piuttosto sprovveduto.»

«Naturalmente. Avrei dovuto capirlo. Devo chiederle scusa, se le faccio perdere tempo e l’ho interrotta in quella che mi pare davvero una spiacevole occasione.»

Raeker, con uno sforzo, distolse la sua mente dalla scena che si svolgeva così lontano, e si rivolse al drommiano.

«Temo che le scuse debbano essere di mia spettanza,» disse. «Sapevo che lei stava arrivando, e perché; avrei dovuto almeno incaricare qualcuno di fare gli onori di casa, se non ero io in grado di farlo. La mia unica scusa è lo stato di emergenza che lei vede. La prego di permettermi di fare ammenda ora, mettendomi a sua disposizione. Penso che lei abbia piacere di visitare la Vindemiatrix.»

«Ma neppure per sogno. Non la distoglierei da questa sala, e proprio in questo momento, per nulla al mondo. E poi, la nave, in se stessa, è di nessun interesse confrontata al vostro affascinante progetto per il pianeta, e lei può spiegarci questo anche qui, mentre lei attende la risposta del suo agente, come in qualsiasi altro luogo. Ho saputo che la sua macchina è rimasta sul pianeta per lungo tempo; forse lei potrebbe dirmi qualcosa su come ha fatto a reclutare i suoi agenti locali. Probabilmente mio figlio gradirebbe di fare una visita all’astronave, se qualcun altro potrà venire sottratto ai suoi compiti.»

«Certamente. Non avevo capito che si trattava di suo figlio; il messaggio che annunciava la sua visita non ne aveva fatto menzione, e io ho immaginato che si trattasse di un suo assistente.»

«È tutto perfettamente a posto. Figlio, ti presento il professor Helven Raeker; professor Raeker, le presento Aminadorneldo.»

«Sono felicissimo di conoscerla, signore,» fece in tono flautato il giovane drommiano.

«Il piacere è mio. Se vorrà attendere un istante, farò venire un uomo il quale le mostrerà la Vindemiatrix… a meno che lei non preferisca restare qui a conversare con suo padre e con me.»

«Grazie, preferirei visitare l’astronave.»

Raeker annuì, e aspettò in silenzio per qualche minuto. Aveva già schiacciato il bottone che avrebbe fatto accorrere nell’osservatorio un membro dell’equipaggio. Si domandò per quale motivo il giovane fosse col padre; presumibilmente, serviva a qualche scopo. Sarebbe stato più semplice parlare senza di lui, però, dato che i due erano virtualmente uguali agli occhi di Raeker, e sarebbe stato alquanto imbarazzante confonderli. Erano entrambi dei giganti, dal punto di vista umano; eretti sugli arti posteriori… abitudine del tutto innaturale per essi… sarebbero stati alti per lo meno dieci piedi. Il loro aspetto generale era quello di una donnola… o meglio, di una lontra, dato che le dita sottili che sormontavano i loro dieci arti erano palmate. Gli arti erano corti e possenti, e i primi quattro arti erano uniti solo da sottili membrane… un’evoluzione perfettamente naturale per una razza di anfibi intelligenti che vivevano su di un pianeta la cui forza di gravità era di quattro volte superiore a quella della Terra. Entrambi indossavano delle cinghie che sostenevano gruppi di piccole bombole di gas, collegate agli angoli della loro bocca in maniera poco appariscente da sottili tubi; erano abituati a una pressione parziale di ossigeno superiore di un terzo a quella abituale agli esseri umani. Erano glabri, ma qualcosa sulla loro pelle dava l’impressione di trovarsi di fronte a delle foche appena uscite dall’acqua.

Erano entrambi distesi in un’indescrivibile posizione di riposo sul pavimento, e tenevano sollevata la testa quel tanto che bastava a distinguere chiaramente quello che accadeva sugli schermi. Quando la porta si aprì e l’uomo dell’equipaggio entrò, uno di essi si alzò in piedi con un movimento fluido e, fatte le presentazioni, seguì l’uomo fuori dall’osservatorio. Raeker notò che camminava su tutti e dieci gli arti, anche quelli le cui membrane erano modificate in modo da renderli prensili, sebbene la «gravità» centrifugale della Vindemiatrix non lo rendesse davvero necessario. Bene, diversi uomini si servivano di entrambe le gambe sulla luna, a questo proposito, sebbene fosse possibile saltare su di una sola. Raeker allontanò il problema dalla sua mente, e si rivolse al drommiano… sebbene continuasse a rivolgere una certa dose di attenzione agli schermi.

«Lei voleva sapere dei nostri agenti locali,» cominciò a dire. «In un certo senso, non c’è poi molto da dire. La maggiore difficoltà è stata quella di entrare in contatto con la superficie, davvero. La macchina che si trova laggiù rappresenta un autentico e grande trionfo della tecnica; l’ambiente è vicino alla temperatura critica dell’acqua, con una pressione atmosferica ottocento volte superiore a quella della Terra. Dato che perfino il quarzo sì dissolve con un’ammirevole sollecitudine in queste condizioni, c’è voluto un bel po’ di tempo per progettare delle macchine capaci di sopportarle. E finalmente ci riuscimmo; quella macchina si trova laggiù da non meno di sedici dei nostri anni. Io sono un biologo, e non posso esserle di grande aiuto per quanto riguarda la parte tecnica; se la cosa le interessa, a bordo si trovano dei tecnici ben più qualificati di me, che potranno fornirle ogni spiegazione.

«Mandammo giù la macchina, passammo circa un anno in esplorazioni, e finalmente scoprimmo degli indigeni apparentemente intelligenti. Scoprimmo che si trattava di ovipari, e riuscimmo a impadronirci di alcune delle uova. I nostri agenti locali sono stati quelli che sono nati dalla covata «rapita»; e da quando sono usciti dall’uovo, li abbiamo educati. E adesso, proprio quando cominciamo a servirci di loro per compiere delle vere e proprie esplorazioni, va proprio ad accadere tutto questo.» Indicò lo schermo, dove il mastodontico Veloce aveva interrotto la sua osservazione della macchina, e pareva in ascolto; forse Nick otteneva qualcosa con il suo discorso.

«Se siete riusciti a far durare tanto una macchina in quell’ambiente, sarei portato a concludere che siete in grado di costruire qualcosa capace di portarvi giù di persona,» disse il drommiano.

Raeker sorrise.

«Lei ha ragione, ed è questo che rende la situazione attuale ancor più spiacevole. Abbiamo una macchina di questo tipo pronta a discendere; tra pochi giorni eravamo certi di poter iniziare una collaborazione diretta con i nostri amici di sotto.»

«Davvero? Avrei detto che per la progettazione e la costruzione sarebbero stati necessari molti anni.»

«Così è stato. Il problema principale non era quello di scendere; lo abbiamo risolto brillantemente con dei paracadute, facendo scendere la macchina. Il problema è di tornare indietro.»

«E perché questo dovrebbe essere particolarmente difficile? La gravità in superficie, a quanto mi dicono, è minore di quella del mio pianeta natale, e perfino i gradienti di potenza dovrebbero essere inferiori. Qualsiasi razzo potrebbe partire tranquillamente.»

«Sì, se funzionasse. Sfortunatamente, il razzo capace di sollevare il suo carico contro ottocento atmosfere non è stato ancora costruito. Gli elementi si dissociano… perché la pressione è troppo forte.»

Il drommiano parve alquanto stupito per un istante, poi annuì, in modo incredibilmente umano.

«Ma certo. Avrei dovuto immaginarlo. Ricordo che i razzi sono molto più efficienti sul suo pianeta che sul mio. Ma come avete risolto ciò? Un tipo di reattore radicalmente nuovo?»

«Niente di nuovo; tutto quello che abbiamo costruito è vecchio di secoli. Fondamentalmente, è un apparecchio usato molti secoli or sono per le esplorazioni delle profondità oceaniche, sul mio pianeta natale… lo chiamiamo batiscafo. Per i fini pratici, è un pallone dirigibile. Potrei descriverlo, ma sarà meglio che lei…»

«Maestro!» Una voce che perfino Aminadabarlee di Dromm poté riconoscere come quella di Nick uscì dallo schermo. Raeker si voltò di scatto, e schiacciò il pulsante del microfono.

«Sì, Nick? Cosa risponde Veloce?»

«In pratica, no. Non vuole avere niente a che fare con nessuno di questo villaggio, all’infuori di te.»

«Non gli hai illustrato il problema della lingua?»

«Sì, ma lui dice che se io sono stato capace di imparare le sue parole, tu, che sei il mio maestro sarai capace di impararle ancor più rapidamente. Così non dovrà dipendere da persone di cui non si fida per ottenere delle risposte da te. Spero che abbia ragione. Intende lasciarci qui, ma tu dovrai andare con lui.»

«Capisco. Farai meglio ad accettare, per ora; questo almeno servirà a evitare altri guai a voi che siete rimasti vivi. Può darsi che riesca a preparare una piccola sorpresa per Veloce, tra poco tempo. Tu rispondigli che farò come egli dice; andrò con lui nelle caverne… immagino che egli voglia ripartire domani, anche se, nel caso lui voglia trattenersi più a lungo, ti consiglio di non scoraggiarlo. Quando se ne andranno, voi restate dove siete; cercate i sopravvissuti e cercate di curarli… immagino che quasi tutti siate feriti… e poi aspettate finché io non mi metterò in contatto con voi. Può darsi che ci vogliano alcuni giorni, ma lasciate fare a me.»

Nick era di mente pronta, e si ricordò di colpo che Fagin era in grado di viaggiare di notte senza l’aiuto del fuoco… la pioggia non lo soffocava. Credette di capire quali fossero i progetti del maestro; e non era colpa sua, se si sbagliava. La parola «batiscafo» non era mai stata usata durante le lezioni.

«Maestro!» chiamò, dopo avere riflettuto per un momento. «Non sarebbe meglio che noi partissimo non appena possibile, e stabilissimo di incontrarci in qualche altro posto, dopo la tua fuga? Lui tornerà subito qui, è certo come la pioggia.»

«Non preoccuparti di questo. Restate tutti qui, e riportate le cose alla normalità il più presto possibile. Io vi seguirò.»

«Va bene, Maestro.» Raeker si appoggiò di nuovo allo schienale, annuendo lentamente.

Il drommiano doveva avere trascorso un buon periodo di tempo sulla Terra; fu in grado di interpretare l’atteggiamento dell’uomo.

«Lei sembra molto più soddisfatto di quanto non fosse pochi minuti fa,» fece notare. «Ne deduco che lei ha visto un sistema per uscire da questa situazione.»

«Credo di sì,» replicò Raeker, «avevo dimenticato il batiscafo, finché non ne ho parlato con lei; quando me ne sono rammentato, ho capito che quando esso sarà sceso laggiù, i nostri guai saranno terminati. Il guaio della macchina è che essa deve strisciare, e può essere rintracciata e seguita; il batiscafo, dal punto di vista degli indigeni, è in grado di volare. È possibile manovrarlo, e quando l’equipaggio scenderà, potrà semplicemente raccogliere la macchina di notte e portarla via in volo. Sfido Veloce a seguirne le tracce.»

«Allora non ha ragione Nick? Veloce non si dirigerà subito verso il villaggio? Direi che lei avrebbe fatto bene a seguire il suggerimento di Nick.»

«Ci sarà tempo per allontanarsi, quando avremo recuperato la macchina. Se essi lasciano il villaggio prima, avremo il nostro daffare a rintracciarli, anche stabilendo accuratamente, e in precedenza, il punto d’incontro. La zona non è stata esplorata molto bene, e le mappe servono fino a un certo punto, con i continui cambiamenti.»

«Perché no? Questo mi sembra assai strano.»

«Tenebra è un pianeta assai strano. Il diastrofismo è come il tempo atmosferico sulla Terra; non ci si chiede se pioverà domani, ma se il nostro pascolo comincerà a trasformarsi in una collina. C’è un gruppo di geofisici che si mordono le proverbiali dita, in attesa di poter scendere col batiscafo a prendere contatto con il gruppo di Nick. Conosciamo la causa generale… l’atmosfera è composta in prevalenza di acqua vicina alla temperatura critica, e in queste circostanze le rocce silicee si dissolvono con una notevole rapidità. L’ambiente si raffredda ogni notte quel tanto che basta a trasformare in liquido una piccola parte dell’atmosfera, così per buona parte di due giorni terrestri la superficie si trasforma in un mare. Con tre gravità terrestri che tentano di farsi sentire, non è certo sorprendente che la crosta torni ad assestarsi ogni volta.

«Comunque, credo che adesso siamo pronti. Laggiù non verrà mattina prima di un paio di giorni, e non vedo cosa possa accadere prima di allora. Il mio sostituto verrà qui fra poco; quando verrà, forse non le dispiacerebbe di visitare con me il batiscafo.»

«Sarei davvero molto interessato.» Raeker cominciava ad avere l’impressione che o i drommiani erano una razza molto cerimoniosa, o Aminadabarlee era stato scelto per la sua opera di diplomatico proprio a causa di questa qualità.

Sfortunatamente, ci fu un ritardo nella visita al batiscafo. Quando Raeker e il drommiano raggiunsero il bacino in cui di solito si trovava la piccola lancia della Vindemiatrix, la trovarono vuota. Un controllo presso l’ufficiale di guardia… guardia di bordo, non quella esercitata sulla macchina esploratrice; le organizzazioni non erano collegate… rivelò che era stata presa dal membro dell’equipaggio cui Raeker aveva domandato di fare da guida ad Aminadorneldo.

«Il drommiano voleva vedere il batiscafo, dottore, e così pure la piccola Easy Rich.»

«Chi?»

«La figlia che il consigliere Rich si è trascinata dietro. Chiedendo scusa al signore che si trova con lei, le commissioni di controllo politiche vanno bene finché controllano; ma quando fanno il viaggio per offrire una bella gita ai loro rampolli…»

«Io ho portato mio figlio con me.»

«Lo so. C’è una bella differenza tra chi è abbastanza grande da badare a se stesso e una mocciosa che vuole toccare tutti i controlli più pericolosi…» L’ufficiale tacque, e scosse il capo. Era un ingegnere; Raeker sospettò che il gruppo di visitatori fosse sceso in sala macchine, poco tempo prima, ma non volle fare domande.

«Hai idea del tempo che ci vorrà perché ritorni lo scafo?» domandò invece.

L’ingegnere si strinse nelle spalle.

«No! Flanagan permetteva che fosse lei a fare gli onori di casa. Quando lei sarà stanca, torneranno indietro, immagino. Può chiamarlo, naturalmente.»

«Buona idea.» Raeker si diresse verso la sala delle comunicazioni della Vindemiatrix, sedette davanti a un quadro di comando, e formò la combinazione necessaria. Lo schermo si illuminò nel giro di pochi secondi, e mostrò il volto del Meccanico di Seconda Classe Flanagan, il quale fece un segno di saluto alla vista del biologo.

«Salve, dottore. Posso esserle utile?»

«Ci stavamo domandando quando sareste tornati indietro. Il consigliere Aminadabarlee desidera vedere il batiscafo.» L’intervallo di circa due secondi necessario alla luce per percorrere il viaggio di andata e ritorno dalla Vindemiatrix alla «lancia» fu appena notato da Raeker, che vi era abituato; il drommiano apparve assai meno paziente.

«Posso tornare indietro a prendervi quando volete; i miei clienti sono occupatissimi, nel batiscafo.» Raeker rimase lievemente sorpreso.

«Chi c’è con loro?»

«C’ero io, ma non so molto di quell’apparecchio, e loro mi hanno promesso di non toccare niente.»

«Questo non mi pare molto prudente. Quanti anni ha la figlia di Rich? Dodici, no?»

«Direi di sì. Non l’avrei lasciata certo da sola, ma c’era con lei il drommiano, e lui ha detto che avrebbe pensato a tutto.»

«Ancora non vedo…» Raeker non andò più avanti. Quattro serie di dita lunghe, palmate e dure come l’acciaio gli strinsero la spalla e il braccio, e la testa aguzza di Aminadabarlee si issò accanto a quella di Raeker, portandosi nel campo visivo del comunicatore. Due occhi giallo-verdi fissarono l’immagine sullo schermo, e la voce più profonda che Raeker avesse mai sentito uscire dalla gola di un drommiano pose termine al silenzio.

«È possibile che io conosca il vostro linguaggio meno bene di quanto avessi immaginato,» furono le sue parole. «Capisco bene, quando sento che lei ha lasciato due bambini incustoditi su un’astronave nello spazio?»

«Non proprio bambini, signore,» protestò Flanagan. «La ragazza umana ha un’età che le permette di ragionare con una buona dose di intelligenza, e non direi certo che suo figlio sia un bambino: è grande quanto lei.»

«Noi raggiungiamo il nostro completo sviluppo fisico dopo un anno dalla nascita,» esplose il drommiano. «Mio figlio ha quattro anni, più o meno l’equivalente sociale di un bambino terrestre di sette. Avevo l’impressione che la razza umana fosse davvero ammirevole, ma dare delle responsabilità a uno stupido del suo calibro implica una serie di condizioni sociali difficilmente distinguibili dalla barbarie. Se accadesse qualcosa al mio bambino…» Si interruppe; il viso di Flanagan era scomparso dallo schermo, e doveva avere evitato le ultime frasi della violenta requisitoria di Aminadabarlee; ma il drommiano non aveva certo finito. Si rivolse a Raeker, il cui volto era ancora più pallido del solito, e ricominciò. «Mi sento male al pensiero di avere a volte affidato mio figlio alla custodia di esseri umani, durante gli anni da me passati sulla Terra. Avevo creduto che la vostra razza fosse civile. Se questa dimostrazione di idiozia porterà al risultato che mi pare più probabile, la Terra ne pagherà tutte le conseguenze; nessuna astronave guidata da esseri umani potrà più atterrare su qualsiasi pianeta della Galassia che sia capace di stimare i sentimenti drommiani. Il resoconto della vostra idiozia traverserà gli anni luce, e nessuna astronave umana riuscirà a entrare nei cieli drommiani senza venire distrutta. La razza umana avrà il disprezzo, debitamente meritato, di tutte le razze civili della…»

Fu interrotto, ma non da una voce. Nel microfono si udì un rumore lacerante, e un numero di oggetti liberi, visibili sullo schermo, balzarono d’improvviso verso una parete vicina. La colpirono con forza e rimbalzarono, ma senza obbedire ad alcuna legge fisica. Rimbalzarono tutti nella stessa direzione… la direzione che Raeker, con un senso di vera disperazione, riconobbe come quella del portello della lancia. Un libro entrò a grande velocità nel campo visivo, e colpì uno strumento di metallo che viaggiava a minore andatura.

Ma questa collisione non fu udita. Nessun altro suono giunse dal microfono; la lancia era silenziosa, immersa nel silenzio dello spazio privo d’aria.



Загрузка...