16 A Vega

Varn Allan diede una rapida occhiata, dal viso di lui alla cabi­na immersa nell’oscurità, e quindi ancora al viso, con uno sguardo di comprensione. Poi domandò: «Posso entrare?»

Kenniston si spostò di fianco per lasciarla passare e sol­levò la mano per riaccendere la luce.

«No» disse lei. «Piace anche a me, questo spettacolo.»

Sedette sulla sedia accanto al finestrino e rimase in silen­zio per alcuni minuti, guardando fuori, mentre il pallido chiarore delle stelle le illuminava il viso.

Kenniston, con un sentimento di immediata ostilità un poco temperato dalla meraviglia, attese che parlasse. Ella se­deva quasi rigida, un poco impettita, ma Kenniston credette di scorgere segni di stanchezza e di preoccupazione nei li­neamenti affilati del suo viso.

Poi la donna si volse e lo guardò, coi suoi occhi azzurri pensosi, e Kenniston pensò che Varn Allan si trovasse a disa­gio con lui, che volesse dire qualche cosa e non sapesse in che modo dirla. Allora anch’ella era preoccupata, per quel viag­gio a Vega? Pensò, infuriato, che lo meritava, che questo la faceva scendere dal suo piedistallo di alto funzionario della grande Federazione fino al livello di una donna ansiosa, anzi di una ragazza.

«Sono venuta a dirvi che...» ella disse a un tratto «in considerazione della natura urgente di questo caso, il Comi­tato dei Governatori ci ha concesso due ore di seduta il gior­no successivo al nostro arrivo a Vega.»

«Due ore!» esclamò Kenniston. Non gli sembrava mol­to, per decidere la sorte di un mondo.

«I Governatori debbono decidere sui problemi di metà della Galassia. Non possono concedere a chiunque un tempo maggiore di questo. Perciò preparate accuratamente il vo­stro caso. Non viene mai concesso un secondo appello.»

Kenniston pensò che non doveva essere venuta per dirgli semplicemente questo e attese, per costringerla a parlare. Capiva ora che la tensione e la stanchezza di lei erano pari alle sue. Infine, con riluttanza, Varn Allan disse: «Come viceamministratore del settore, Norden Lund avrà anch’egli il diritto di parlare su questo problema, di fronte ai Gover­natori.»

Kenniston lo aveva previsto, ma non gli importava molto, e lo disse.

«Può avere una grande importanza, invece, per voi e per il vostro popolo» osservò Varn Allan.

«In che modo?» domandò Kenniston.

«Lund è ambizioso» disse Varn Allan. «Desidera esse­re amministratore, e, più tardi, Governatore... persino Presi­dente, forse. Le sue aspirazioni sono senza limiti.»

Ora Kenniston cominciava a capire un poco.

«In altre parole, come ha detto Gorr Holl, Lund vuole il vostro posto?»

«Sì. Sarebbe per lui un passo avanti. E per compiere quel passo commetterebbe senza esitazione un’ingiustizia. Di questo sono sicura.» Varn Allan si piegò verso di lui. «Lund vede, in questo problema della Terra, un’occasione senza pari per farsi avanti. La vostra inaudita irruzione in questa epoca, dal lontano passato, ha creato un immenso, un tremendo interesse per voi. E molti mondi si interesse­ranno al vostro caso.»

Nella sua ansia, Varn Allan si era alzata e stava ritta di fronte a lui, parlando con cura, scegliendo bene le parole, per fargli chiaramente capire ciò che voleva.

«Se Lund riuscirà a dominare la seduta, se potrà presen­tare una prova sensazionale che io ho commesso un errore nel trattare il problema della Terra e che egli ha previsto co­me sarebbero andate le cose, allora avrà modo di distinguer­si agli occhi di tutti.»

Kenniston era sicuro di aver completamente compreso, ma, celando i propri sentimenti, domandò: «Allora, temete che Lund tenga in serbo un colpo di scena per quella se­duta?»

«Sì» confermò Varn Allan. «So che ha in mente qual­che cosa. Ha mostrato un’aria trionfante fin dal momento che siamo partiti. Ma che cos’abbia in mente, non lo so.»

Guardò Kenniston, preoccupata, poi riprese: «Lo sapete, forse, voi? Vi è qualche aspetto del vostro popolo, di questo problema della Terra, che Lund potrebbe usare alla seduta come un’arma?»

Kenniston si alzò. La guardò in viso, e scoppiò in una risa­ta. Era una risata amara, irosa, in cui sfogava tutto il risenti­mento che aveva sentito per lei sin dal principio. Ella lo guardò sorpresa, senza capire.

«Questo» sbottò Kenniston «è molto divertente, dav­vero! Siete venuta sulla Terra come rappresentante legale della Federazione, come suprema autorità, ci avete conside­rati tutti come un branco di pecore, ci avete ordinato questo e quello e non avete nemmeno voluto ascoltare ciò che i po­veri esseri primitivi avevano da dire. E poi, a un tratto, quan­do il vostro prezioso posto è in pericolo, correte da me per­ché vi aiuti a salvarlo!»

Il viso di Varn Allan, a quelle parole, divenne pallidissimo, incredulo, i suoi occhi azzurri fiammeggiarono, la sua perso­na sottile si eresse, rigida e tesa.

Kenniston proseguì, sempre più adirato: «Sapete che vi debbo dire? Non me ne importa un accidente di chi sarà am­ministratore, se voi o Lund! Né l’una né l’altro siete della mia razza. Se vi prenderà il posto, se avrà più potenza e autorità di voi... questo non muterà affatto le cose, né per me né per il mio popolo.»

Dal viso pallidissimo e adirato di lei, Kenniston capì subi­to che l’aveva finalmente colpita a fondo, che quel competen­te e brillante funzionario in gonnella era soggetto a emozioni come qualsiasi altra donna.

«Così» disse Varn Allan, respirando a fatica «avete creduto che volessi implorare il vostro aiuto per salvare il mio posto?»

La sua voce si levò, più forte, mossa da un’ira che pareva troppo grande per poter essere contenuta e repressa nella sua sottile persona. Fu come se Kenniston avesse toccato una molla che liberasse un violento risentimento da troppo tempo represso.

«Il mio posto... il mio rango di funzionario! Ma credete che io sia come Lund, che il potere di dare ordini mi faccia piacere? Che ne sapete voi, primitivo come siete, di una tra­dizione di servizio nella Federazione? Credete che abbia cer­cato il potere a tutti i costi, che mi sia divertita a studiare per anni mentre altre ragazze si divertono invece a danzare, che la mia idea di una vita felice fosse quella di passarla in una nave spaziale, percorrere qua e là, su mondi nemici? Credete che questo mi sia tanto caro da tormentarmi, da farmi com­plottare, da spingermi a implorare persino il vostro aiuto, per conservarmelo?»

Soffocava letteralmente dall’indignazione, e si volse, de­cisa, verso la porta. Kenniston, colpito da quello scoppio violento, obbedì a un impulso improvviso e l’afferrò a un braccio.

«Aspettate! Non andatevene! Io...»

Ella lo guardò con occhi fiammeggianti e ordinò: «La­sciatemi andare, altrimenti chiamerò una guardia!»

Ma Kenniston non le lasciò il braccio. Disse invece, imba­razzato: «No! Aspettate! Ero fuori di me. Ne sono molto spiacente...»

E lo era infatti. Si vergognava di sé, non ne comprendeva esattamente la ragione, ma le parole di quella ragazza lo ave­vano colpito. Odiava qualsiasi forma d’ingiustizia e sentiva che era stato ingiusto con lei.

Lo disse, e Varn Allan lo guardò con occhi ancora irati, ma dopo un momento si allontanò dalla porta.

«Sta bene, dimentichiamo tutto questo» disse, rigida­mente. «La colpa è stata mia, perché mi sono lasciata vince­re dalla collera, come...»

«Come un primitivo» disse Kenniston, terminando la frase per lei.

«Esattamente, come un primitivo» ella confermò, a denti stretti.

Kenniston scoppiò a ridere. La sua ostilità per lei e per la sua gente non era svanita, ma aveva perduto quel risenti­mento provocato da un senso di inferiorità che lo aveva tur­bato e irritato sin dal primo momento che l’aveva vista.

L’aveva perduto da quando ella, da funzionaria competen­te e autoritaria, si era rivelata come una ragazza preoccupata e indifesa.

«No, no, non rido di voi!» disse, rapidamente, nel timore che ella lo fraintendesse. «E ora ditemi, perché avete rite­nuto necessario parlarmi dell’atteggiamento di Lund?»

«Per salvare il mio rango e il mio posto!» ella motteg­giò, amaramente. «Perché avevo paura di perderli, di...»

«Già, avete ragione. Ma vi ho fatto le mie scuse» prote­stò Kenniston, impaziente. «Per tutti i diavoli, che gente su­scettibile siete!»

Per un momento, Varn Allan rimase in silenzio. Poi disse: «Credete che non importi nulla, se Lund parlerà o no alla seduta, perché siete convinto che ambedue siamo contro il vostro popolo. Invece vi sbagliate, Kenniston.»

«Ma ambedue volete evacuarci dalla Terra» le ricordò Kenniston. «E allora, che differenza c’è tra voi?»

«C’è una grande differenza» ella disse, ansiosamente. «Posso aver commesso degli errori nel trattare col vostro popolo, ma il mio desiderio è sempre stato quello di effettua­re una evacuazione tranquilla, pacifica. Lund vorrebbe inve­ce risolvere con la forza il problema della Terra... vorrebbe cioè che l’evacuazione fosse forzata.»

«Forzata?» ripeté Kenniston, irrigidendosi. «Ma ho detto chiaramente ad ambedue cosa significherebbe, se vi metteste in mente di usare la forza!»

«Lo so, e vi credo abbastanza per desiderare di risolvere pacificamente questo problema dell’evacuazione, anche se ciò dovesse rendere necessario un ritardo. Questa è la mia idea sui compiti di un’amministratrice. Ma Lund sa benissi­mo che, a causa della vostra strana situazione, e del fatto che questo caso della Terra rimette in discussione la lunga con­troversia circa l’evacuazione dei mondi, tutti gli occhi saran­no puntati su quella seduta, ed egli vuole approfittarne, a ogni costo, senza curarsi degli effetti disastrosi che il suo comportamento potrebbe avere per la Terra.»

La sua logica era molto chiara, e combinava perfettamen­te con quanto Kenniston sapeva già sul conto di Lund. Una intensa e più forte preoccupazione lo invase.

«Ma che cosa potrebbe dire Lund, sulla Terra o sul pro­blema della Terra, che possa costituire un colpo di scena alla seduta?» domandò.

Varn Allan scosse il capo.

«Non lo so» disse. «Credevo che voi lo sapeste. Ma qualcosa ha in mente, di questo sono sicura.»

Kenniston rimase assorto.

«Non riesco a immaginarmi che cosa possa essere» dis­se. «Ma forse, Gorr e gli altri ne hanno un’idea. Voglio pro­vare a domandarlo a loro e cercar di scoprire che cosa sia.»

La guardò, così dicendo e, quali che fossero i suoi senti­menti verso di lei, dovette ammettere che era ormai convinto del suo sincero attaccamento al dovere e che, se anche le loro idee della giustizia non collimavano, ella non voleva tuttavia essere deliberatamente ingiusta. Le disse, perciò: «Vi rin­grazio per avermi avvertito. E... mi spiace ancora di essermi lasciato trasportare dal risentimento.»

«So che siete snervato... per il viaggio e per l’ansietà» disse lei, calma. «Ma... non lasciatevi incoraggiare a spera­re troppo, da Gorr e dagli altri. L’evacuazione in se stessa non può essere evitata. È il modo in cui dovrà essere eseguita, che mi preoccupa.»

E aggiunse, con un improvviso senso di stanchezza: «Vorrei essere una ragazza della vostra Middletown, che non ha mai lasciato il suo mondo e per la quale le stelle non sono che luci nel cielo.»

Kenniston scosse il capo.

«Avreste egualmente le vostre preoccupazioni, credete­mi. Scagliati fuori dalla vita di un tempo, in questa epoca... Carol, proprio ora, è più sconvolta di quanto voi possiate mai essere stata.»

«Carol? È quella ragazza con la quale vi ho visto spesso?»

«Sì» confermò Kenniston. «La mia ragazza. È stata allevata in quella nostra vecchia città. Le sue preoccupazioni erano solamente la scuola, le scampagnate, i ricevimenti, i vestiti che doveva mettersi, e cose del genere, e poi, a un trat­to... tutto è scomparso! Si trova qui, in questo pazzo mondo del futuro, e non le è nemmeno concesso di rimanere sulla Terra!»

«Che strano dev’essere» rifletté Varn Allan a voce bassa, col viso assorto «nascere ed essere allevati su di un piccolo, piccolo pianeta, vivere una piccola vita, circoscritta da picco­le cose... In un certo senso, invidio la vostra ragazza. E mi spiace tanto, per lei.»

Varn Allan si volse per andarsene. Kenniston le tese la mano.

«Nessun rancore, allora?» disse.

Ella rimase per un attimo incerta, stupita del suo gesto, come se non comprendesse. Poi parve capire, sorrise e posò la mano, con un senso di imbarazzo, su quella di lui. Ma la ri­tirò subito, come se la mano di lui scottasse, e uscì.

Kenniston la guardò mentre si allontanava nel corridoio.

«Ebbene!» mormorò. «Chi avrebbe pensato che un ti­po come lei, così volitiva e autoritaria, avesse paura degli uo­mini?»

La sua ostilità e il suo risentimento erano svaniti. Il fatto che ella fosse incaricata dell’evacuazione non lo preoccupava molto ora. Ciò che invece lo turbava era Norden Lund.

Più pensava a Lund e più la sua ansia cresceva. Infine, sempre più tormentato, andò nella cabina di Gorr Holl e parlò con lui.

Gorr Holl apparve subito molto allarmato.

«Questo non ci voleva!» borbottò. «Lund può far na­scere un pandemonio, se è a conoscenza di qualche cosa. Ma che può essere?»

«Credevo che tu lo sapessi» disse Kenniston.

«Non lo immagino nemmeno» disse Gorr Holl. Rimase un momento assorto, poi aggiunse: «Aspetta un po’... Piers Eglin si è trovato molto spesso con Lund, in questi ultimi tempi. Forse lui ne sa qualche cosa.»

Kenniston si alzò.

«Piers vuol sempre parlare con me, sulla vecchia città e cose del genere. Se sa qualche cosa, riuscirò forse a farglielo dire.»

Ma non fu che il giorno seguente, nella strana alba artifi­ciale dell’astronave, che ebbe occasione di vedere il piccolo storico e di parlargli.

Dopo aver conversato di altre cose, gli domandò brusca­mente: «Sapete che cosa Lund abbia in mente di dire, a quella seduta?»

La domanda turbò profondamente Piers Eglin.

Cercò di tergiversare, distolse lo sguardo da Kenniston con espressione preoccupata, e mormorò: «Perché me lo domandate? Che cosa dovrei sapere?»

Kenniston lo guardò negli occhi.

«Siete un mentitore dilettante, Piers. Dite, piuttosto, che cosa effettivamente sapete?»

Eglin cominciò a balbettare, piuttosto incoerentemente.

«Kenniston, ascoltate...! Non dovete trascinarmi nei vo­stri guai! Mi siete molto simpatico, desidererei tanto potervi aiutare... Ma sono uno storico, questa è la mia vita, e quella vostra vecchia città, sulla Terra, è per me come un sogno di­venuto realtà. Per salvarla farei qualunque cosa... qualunque cosa!»

«Che diavolo state dicendo?» domandò Kenniston. «Che c’entrano gli abitanti di Middletown, in tutto questo?»

Il piccolo storico proseguì, parlando febbrilmente: «Ma voi non capite la sua importanza. Voi e la vostra gente mori­rete e scomparirete ma quella vostra città, dal lontano passa­to, può essere conservata per sempre come uno dei più gran­di tesori della storia. Io potrei conservarla, conservarla per ogni studio del futuro, se avessi un appoggio ufficiale...»

Kenniston capì d’un tratto che cosa si nascondeva dietro le parole di Piers Eglin.

«E Norden Lund vi può dare questo appoggio ufficiale che cercate, vero? Ma in cambio di che cosa? Che cosa avete trovato, per aiutare lui?»

Eglin scosse il capo, con aria desolata.

«Non posso dire nulla, Kenniston. Davvero, non posso dire nulla!»

Aveva quasi le lacrime agli occhi, mentre si allontanava. Kenniston lo guardò andarsene, perplesso e profondamente scosso egli stesso.

Raccontò la cosa a Gorr Holl e agli altri. Magro non sape­va più che pensare.

«Ma che potrebbe fare, Piers Eglin, per aiutare Lund? Non riesco a capire» disse.

«Forse avrà sentito qualcuno della popolazione fare mi­nacce o altro del genere, e lo ha riferito» azzardò Kenni­ston.

Gorr Holl scosse la testa.

«Una cosa riportata non avrebbe che poco valore» dis­se. «E, in ogni modo, Piers non ha molto frequentato la po­polazione dopo la prima giornata... Ha trascorso invece qua­si tutto il suo tempo nella vecchia città.»

«Tutto questo non mi piace» disse Lal’lor, lentamente. «Cerca di scoprire che cosa ha fatto Piers, Kenniston.»

Kenniston si accorse tuttavia, nei giorni che seguirono, che Piers Eglin lo evitava deliberatamente. Non vide nemme­no più il piccolo storico sinché giunse il momento dell’arrivo a Vega Quattro.

Aveva passato ore, quel giorno, sul ponte interno del Thanis,guardando con incredula meraviglia lo sconosciuto sistema solare che prendeva forma nel vuoto, i pianeti che giravano in curve maestose nel brillante cerchio di luce di Vega.

La nave spaziale stava ora calando sul quarto pianeta. Kenniston vedeva il globo nebbioso che si faceva loro incon­tro. Poi avvertì ancora la formidabile pressione, magicamen­te attenuata. Mentre calavano, coi motori ronzanti, fu colpi­to da un vertiginoso terrore che quel viaggio terminasse con uno schianto.

Vide un vasto paesaggio, i cui colori dominanti erano del tutto dissimili da quelli della Terra. Alte montagne aspre, di una roccia nero-rossastra, si elevavano al di là di vaste pia­nure azzurre. Poi la nave spaziale passò come un lampo so­pra una grande distesa di un giallo vivissimo... un oceano dorato che rifletteva in modo accecante la luce brillante di Vega. E infine, una città! Una città torreggiante, grande co­me un continente che, anche se veduta dalla stratosfera, ba­stava da sola a mozzare il respiro a Kenniston. Accanto a quella città c’era un enorme spazioporto per le navi spaziali, e il Thanis vi stava calando, districandosi abilmente nel traf­fico intenso delle altre navi spaziali in arrivo e in partenza. Poi, con una leggerissima vibrazione, la nave spaziale si ar­restò.

Vega Quattro! Vi era giunto, finalmente! E non poteva cre­dere a se stesso, nemmeno ora!

Gorr Holl gli slacciò le cinghie che lo avevano tenuto lega­to durante la decelerazione dell’atterraggio su Vega. Il grosso umanoide era teso e preoccupato quanto Kenniston.

«Jon Arnol dovrebbe essere qui ad attenderci» disse ra­pidamente. «Le sue officine sono sull’altra faccia di questo pianeta. Vieni, Kenniston.»

Jon Arnol? Kenniston si era quasi dimenticato di lui, nella tensione di quello strano arrivo. Nel fascino conturbante di quell’evento, gli riusciva difficile raccapezzarsi persino delle ragioni di quel viaggio.

Scese con Gorr Holl nell’ampio vestibolo dello spaziopor­to. Una strana luce solare azzurra scintillava sul pavimento metallico. Un’aria strana, carica di lievi profumi sconosciuti, gli giungeva alle narici.

Lund e Varn Allan erano già nel vestibolo, e la donna gli disse: «Sarete alloggiato al Centro del Governo. Posso ac­compagnarvi là.»

Gorr Holl, che guardava un uomo magro e scuro che si avvicinava a passi rapidi verso di loro, intervenne: «No, non vi disturbate. Accompagneremo noi Kenniston al suo alloggio.»

L’uomo magro e scuro si era nel frattempo avvicinato. Ave­va forse dieci anni più di Kenniston, ma aveva un viso sciu­pato e gli occhi da sognatore, e le mani incerte di un uomo in stato di grande eccitazione.

Varn Allan appuntò lo sguardo su di lui, e disse: «Ora ca­pisco! Jon Arnol, era questo che avevate in mente, Gorr Holl. Ma non riuscirete.»

«Forse riusciremo, questa volta» borbottò Gorr Holl.

Norden Lund, dopo aver osservato Arnol mentre entrava, rise e senza dire una parola se ne andò. Varn Allan si sof­fermò un istante, come se volesse dire qualche cosa a Kenni­ston, ma non lo fece. Disse invece: «Allora siete voi respon­sabile per la sua comparsa, domani, alla seduta, Gorr.» E si allontanò.

Kenniston, guardandola mentre se ne andava, avrebbe de­siderato che gli avesse parlato. Avrebbe anche desiderato che Lund non avesse riso così beffardamente. Era già abbastan­za preoccupato.

Arnol li aveva raggiunti e salutava Lal’lor come un vecchio amico, sorridendo anche a Magro e a Gorr Holl.

Il suo sorriso, i suoi movimenti erano bruschi, come se i nervi tesi del suo corpo agissero indipendentemente dal cer­vello.

«Credo che abbiamo una buona occasione, questa volta, Lal’lor!» diceva intanto, con voce rapida. «Sia ringraziato il Cielo! La questione della Terra può essere proprio ciò che attendevamo, l’occasione per far loro accettare il mio proce­dimento, piaccia o no! È proprio un colpo di fortuna!»

«Questi è Kenniston, della Terra» gli disse Gorr Holl.

Jon Arnol parve un poco turbato e confuso, mentre si ri­volgeva a Kenniston.

«Mi spiace di essermi dimostrato un poco egoista. So che avete anche voi il vostro terribile problema. Ma se sape­ste quanto ho sudato, atteso e sperato! Sono uno scienziato, null’altro ha importanza per me, e ho visto il lavoro e gli sfor­zi di tutta la mia vita sciupati dalla politica...»

Gorr Holl lo interruppe.

«Questo non è il posto adatto, per discorrere. Andiamo al Centro del Governo. Potremo parlarne nell’alloggio di Kenniston, e abbiamo molto da dirci, prima di domani!»

Kenniston si avviò con loro e, per un momento, tutti i pro­blemi della Terra gli parvero incredibilmente lontani.

Stava su un mondo sconosciuto, sotto un sole sconosciu­to, e tutt’attorno a lui fremeva la vita intensa dello spaziopor­to, dove giungevano e partivano per mondi ignoti le grandi astronavi. Qui, più che nello spazio, aveva la chiara percezio­ne di quei contatti che si svolgevano coi soli più lontani, la realtà di quelle scintillanti vie attraverso le nebulose, verso i numeri infiniti di porti di infiniti mondi senza nome. Un sen­timento di meraviglia e di orgoglio sorgeva in lui, al pensiero che uomini provenienti dalla Terra avessero raggiunto tali mete.

Il ronzio delle grandi navi spaziali faceva vibrare il suolo all’intorno, le potenti forze atomiche allestivano le grandi piastre metalliche per le corazze, le nere chiglie si levavano maestose contro il cielo. Kenniston non si sarebbe mai stan­cato di guardare se Gorr Holl, presolo per un braccio, non lo avesse condotto con sé.

Jon Arnol aveva una vettura ad attenderlo, un veicolo che non assomigliava affatto a quanti Kenniston avesse mai visto eccetto per il fatto che correva veloce rasente al suolo. Il suo percorso sembrava automaticamente controllato nell’incre­dibile traffico delle strade, delle rampe, dei ponti sospesi che collegavano la città come una tela di ragno. Partirono veloci, ma non tanto veloci che egli non potesse guardare.

Guardando quella città, Kenniston si sentiva come un barbaro venuto dal deserto a Babilonia. Era più una nazio­ne che una città, troppo vasta, troppo enorme, per poterla comprendere. Già l’oscurità si addensava, ma le vie profon­de erano tutte illuminate di una luce brillante e il traffico proseguiva dovunque, come grandi fiumi in piena. E men­tre la vettura procedeva rapida, i suoi compagni, per nulla impressionati da quello spettacolo, continuavano a parlare animatamente del domani, della seduta, della grande occa­sione.

Kenniston guardava le strade affollate e lucenti, quelle migliaia di sconosciuti che le percorrevano, e pensava atto­nito che quello era il centro della Galassia, la capitale di mi­gliaia e migliaia di mondi. Uomini, donne e umanoidi, abiti di seta ed epidermidi pelose, spalle ricoperte di ali, voci umane e non umane, musiche sconosciute che lo snervava­no, palpiti di macchine nascoste, e, al di sopra di tutto, il ron­zio profondo di altre navi spaziali, innumerevoli, che calava­no dal cielo oscuro.

Come da una distanza remota, udì Gorr Holl che gli parla­va, indicandogli un gruppo di edifici titanici che sorgevano, come una bianca cordigliera, con le cime che si perdevano nel cielo. Con la mente confusa, capì che quello era il Centro del Governo, il posto al quale erano diretti, il posto dove, fra poco, si sarebbe trovato di fronte a quegli stranieri delle stel­le per parlare loro della sua lontanissima Terra.

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