13 Città in battaglia

Col cuore tormentato, Kenniston guardò Hubble mentre ascoltavano il clamore che sorgeva dalla città. Carol parlava e le parole di lei gli giungevano come da una distanza lonta­nissima.

«Non badare a me, Ken! Andrò a casa da sola.»

«Sì» disse Kenniston. «Temo che dovremo correre su­bito dal sindaco. Rimani in casa, Carol, lontana dalla strada.»

La baciò rapidamente sulle guance e si volse, camminan­do in fretta. Avrebbe voluto accompagnarla, ma non c’era tempo da perdere. Hubble si era già incamminato verso il Municipio e Kenniston lo raggiunse.

Incrociavano ora migliaia di persone che andavano in sen­so opposto, verso la porta della città. Quelle persone erano spaventate, bellicose, con gli occhi troppo accesi, le voci troppo alte. Kenniston e Hubble correvano, ormai, ma anche così facendo ci vollero alcuni minuti per raggiungere la piaz­za di fronte al Municipio. Mentre l’attraversavano, alcune jeep cariche di guardie nazionali partirono dal palazzo del Municipio e si avviarono a tutta velocità lungo il viale. Gli uo­mini sulle jeep erano imbacuccati fino agli occhi.

«Ecco, vanno fuori della città» gemette Hubble. «Che cosa avrà combinato, quell’idiota?»

Salirono di corsa le scale dell’edificio. Nella sala del consi­glio trovarono il sindaco insieme a Borchard, Moretti e la maggior parte degli altri consiglieri.

Garris camminava su e giù, col viso chiazzato di rosso, gli occhi scintillanti per quel coraggio improvviso, nato dalla paura, da cui si sentiva pervaso. Si volse a Kenniston e Hub­ble, mentre questi entravano, e c’era nel suo sguardo una cu­riosa espressione vacua, una specie di assenza della ragione che fece perdere a Kenniston anche la poca speranza che aveva.

«Così, vogliono mandarci via per forza dalla Terra!» esclamò Garris. «Ebbene, la vedremo! Vedremo se ce la fa­ranno e fino a che punto potranno andare.» Aveva la voce tremante. Le sue mani grassocce erano strette per la dispera­zione. «Ho fatto riunire tutte le unità della Guardia Nazio­nale e... avete visto quelle jeep? Sono dirette alla vecchia Middlestown, per portare qui i cannoni che abbiamo nell’ar­meria. I cannoni, Hubble, i cannoni! Questo è l’unico modo per mostrar loro che non siamo uomini che si lasciano sbale­strare qua e là come trottole!»

«Siete pazzo!» gridò Hubble. «Ecco cosa siete, un pazzo!»

Poi si trattenne. Borchard gli si era avvicinato, minac­cioso.

«Il sindaco agisce con la nostra completa approvazione» esclamò. «E aggiunse, non meno minaccioso:» Signor Hubble, badate alle vostre cose scientifiche e non immischia­tevi negli affari del governo.

«Sì, proprio così!» approvò Moretti. Ripeté anzi queste parole due o tre volte e gli altri membri del consiglio appro­varono anch’essi.

Hubble li affrontò con decisione.

«Ascoltatemi bene!» disse. «Siete tutti così spaventa­ti che non vedete nemmeno cosa vi stia dinanzi. I cannoni! Non fatemi ridere! Tutti i vostri cannoni non potranno fare nulla, nemmeno l’effetto di una rivoltella scacciacani, di fronte a ciò che essi possono usare contro di noi, se lo vo­gliono. Quella gente ha conquistato le stelle, potete almeno capire questo? Possono conquistare anche noi, semplice­mente con quel raggio di cui dispongono sulla nave spazia­le. E, ricordate, l’uso della violenza li farà montare in colle­ra e li spingerà a farne uso, siatene certi!»

Garris avvicinò il viso fremente a quello di Hubble.

«Avete paura, voi! Avete paura di loro!» ringhiò. «Noi non abbiamo paura, invece. Noi combatteremo!»

I membri del consiglio applaudirono.

«Benissimo!» disse Hubble. «Fate a modo vostro. È perfettamente inutile stare a discutere con degli idioti. L’uni­ca possibilità che avevamo di cavarci da questo pasticcio, era di assumere un comportamento da uomini civili. Avrebbero potuto ascoltarci, allora, e rispettare i nostri sentimenti. Ma ora...» Fece un gesto di rassegnazione e di inutilità. Il sinda­co rise amaramente.

«Parole! Parole! Abbiamo visto che bel risultato hanno avuto i vostri discorsi. No, signore. Tratteremo la questione a modo nostro, e potete ringraziare il Cielo che il vostro sinda­co e il consiglio della città non abbiano dimenticato come si difendono i diritti del popolo!»

Il suo tono di voce si era gradatamente elevato e il sindaco aveva addirittura urlato le ultime parole, per farsi udire da Hubble, che era già uscito dalla sala, immediatamente segui­to da Kenniston.

Fuori, sulla piazza, Kenniston disse: «C’è una sola cosa da fare... parlare a Varn Allan. Se consentisse a richiamare i suoi cani per un po’ di tempo, le cose potrebbero frattanto acquietarsi.» Poi scosse il capo, con espressione triste e stanca. «Non mi piace troppo dover ammettere con quella bionda dispotica che siamo governati da un mucchio di gen­te senza testa, ma...»

«Non si possono del tutto biasimare, in fondo» disse Hubble. «Noi siamo veramente come bambini posti di fronte all’ignoto, e per non fare ciò che ci chiedono ricorria­mo alla guerra. Solamente che facciamo le cose proprio nel modo sbagliato...» Sospirò. «Va’ alla nave spaziale, Ken. Cerca di fare quello che puoi. Io torno al Municipio per vede­re se mi riesce di far ragionare il sindaco e gli altri. Se ne avrò la pazienza, almeno... Insomma, buona fortuna!»

Rientrò in Municipio, e Kenniston rifece, con passo stan­co, il percorso verso la porta della città.

La folla era ormai raddoppiata, da quando l’aveva vista poco prima. Tutti si spingevano verso la porta, affollandosi ai lati di essa, dalla parte interna della cupola. Fuori, sulla pia­nura, scintillavano le luci di due navi spaziali. La gente le guardava e un cupo mormorio correva tra la folla, come il ru­more del vento prima della tempesta. La compagnia della Guardia Nazionale, in pieno assetto di guerra, aveva occupa­to la porta.

Kenniston si avvicinò ai soldati. Fece un segno di saluto col capo ad alcuni che conosceva, e disse: «Devo andare da loro... un colloquio importante.»

Cercò di passare attraverso lo sbarramento, ma le guardie lo fermarono.

«Ordine del sindaco» affermò l’ufficiale che li coman­dava. «Nessuno deve uscire dalla città. Proprio così. So chi siete, signor Kenniston. Ma ho ordini precisi. Nessuno deve uscire dalla città.»

«Ascoltate!» tentò Kenniston, disperatamente, inven­tando una menzogna. «Mi ha mandato il sindaco. Devo an­dare da loro per conferire.»

«Portatemi un ordine scritto» gli intimò l’ufficiale. «Solo allora potremo lasciarvi passare.»

La fila degli uomini armati rimase stolidamente immobi­le. Kenniston pensò per un attimo di forzare lo sbarramen­to, ma poi vi rinunciò. L’ufficiale lo stava guardando tanto sospettosamente che a Kenniston venne un dubbio. Egli parlava la lingua dei visitatori e aveva lavorato a lungo in stretto contatto coi loro tecnici. I buoni abitanti di Middletown avrebbero anche potuto crederlo un traditore o una spia...

«Se è veramente il sindaco che vi ha mandato» ripeteva frattanto l’ufficiale «vi darà certamente un ordine scritto.»

Kenniston se ne ritornò al Municipio, ma dovette passare il resto della notte, con Hubble, fuori della porta sorvegliata dell’edificio, in cui il sindaco, il consiglio al completo e gli uf­ficiali della Guardia Nazionale stavano redigendo un piano di battaglia.

Subito dopo il sorgere dell’alba, un portaordini arrivò di corsa al Municipio e fu ammesso nella sala del consiglio. Im­mediatamente, il sindaco, i membri del consiglio, e gli uffi­ciali uscirono in massa. Garris, torvo, con gli occhi cerchiati ma trionfante, vide Kenniston e gli intimò: «Venite! Avremo bisogno di voi come interprete.»

Stanco e disperato, Kenniston si unì alla piccola proces­sione. Hubble, che gli camminava al fianco, si curvò su di lui e mormorò: «Cerca di destreggiarti bene, Ken. La tua cono­scenza della lingua è la nostra unica risorsa, in questa male­detta circostanza.»

Raggiunsero la porta della città quasi nello stesso momen­to in cui vi giungevano gli altri, provenienti dalle navi spazia­li. Varn Allan e Lund erano i soli, nel gruppo, che Kenniston riconoscesse. Degli altri, una era una donna matura e il resto erano uomini di varie età. I sopraggiunti dalle navi spaziali rimasero a fissare, più sorpresi che preoccupati, lo sbarra­mento di soldati. Varn Allan corrugò la fronte.

Il sindaco si diresse verso di lei, mentre lo sbarramento si ricomponeva dopo averlo lasciato passare. Col suo mise­ro aspetto di ometto preoccupato e intimorito, convinto della sua saggezza e sicuro che il suo popolo fosse con lui, col coraggio teso fino all’ultimo limite, laddove esso confi­nava col più disperato terrore, egli affrontò quegli scono­sciuti venuti dalle stelle, e disse a Kenniston: «Dite loro che questo è il nostro mondo, e che solo noi diamo ordini, qui. Dite loro di tornare sulle navi spaziali e di andarsene. Spiegate bene che si tratta di un ultimatum, e che siamo pronti a usare la forza.»

La folla, dietro di lui, applaudì.

Un leggero turbamento era apparso sui visi degli scono­sciuti. Quell’ululato della folla, quei soldati armati, il com­portamento del sindaco, dovevano aver risvegliato in loro qualche dubbio. Varn Allan parlò tuttavia con assoluta cal­ma, rivolgendosi a Kenniston, senza nemmeno attendere che il sindaco avesse finito di parlare.

«Volete aprirci un passaggio?» Indicò i nuovi venuti che erano con lei, e aggiunse: «I funzionari che sono con me fanno parte di una numerosa commissione di esperti in emigrazioni di massa. Inizieranno lo studio preliminare del­l’evacuazione, ed è molto importante che voi cooperiate...»

Kenniston la interruppe.

«Ascoltatemi bene» disse. «Dovete prendere i vostri funzionari e tornare alle vostre navi spaziali.»

La folla cominciava a spingersi avanti, premendo contro lo sbarramento di soldati. Grida isolate sorgevano da quella folla, grida rabbiose, minacciose. Il sindaco, nervosissimo, si muoveva qua e là.

«Glielo avete detto?» domandò a Kenniston. «Che co­sa dite? Glielo avete detto?»

«Tornate alle vostre navi spaziali, e presto!» gridò anco­ra Kenniston. «Non vedete che tra poco nessuno riuscirà più a trattenere la folla?»

Ma sembrava che Varn Allan non capisse il pencolo.

«È inutile discutere ancora» disse, come se la sua pa­zienza fosse giunta all’estremo. «Siamo qui per ordine di­retto del Comitato dei Governatori, e debbo chiedervi...»

Parlando molto distintamente, Kenniston scandì: «Sto cercando di impedire atti di violenza. Ritornate subito alle vostre navi spaziali. Verrò a parlare con voi più tardi.»

Ella lo fissò, assolutamente sbalordita.

«Violenza? Contro i funzionari della Federazione?»

Kenniston pensò d’un tratto che ella forse non aveva mai udito parlare di violenza. Nel momentaneo silenzio che se­guì, l’impeto e il vociare della folla crebbero e, d’un tratto, Norden Lund scoppiò a ridere.

«Ve lo avevo detto che non era questo il modo di trattare con i selvaggi» disse. «Faremmo meglio ad andarcene.»

«No!» Sicura, nel suo orgoglio, sicura dell’autorità di cui era investita dalla Federazione delle Stelle, sicura della sua provata abilità come amministratrice, Varn Allan non voleva assolutamente fuggire davanti alle urla di una folla. Si volse nuovamente a Kenniston, con la voce perfettamente calma e tagliente come una lama.

«Credo che voi non comprendiate» disse. «Quando un ordine viene emesso in nome del Comitato dei Governa­tori, quell’ordine dev’essere eseguito. Vorrete perciò infor­mare di ciò il vostro sindaco, e ordinargli di disperdere la sua popolazione... e subito!»

Kenniston strinse i pugni e gemette.

«Per l’amor del Cielo...» cominciò. Ma il sindaco, in quel momento, ansioso, bellicoso, impaurito, lanciò lui stes­so la fiamma della rivolta.

«Dite loro che faranno meglio ad andarsene in tutta fret­ta!» urlò con voce abbastanza forte da essere chiaramente udito dalla folla. «Dite loro di andarsene, oppure li caccere­mo noi!»

«Cacciamoli!» gli fece eco un uomo della prima fila, su­bito seguito da un altro, da cento altri. «Cacciamoli! Cac­ciamoli!» Le grida salirono al massimo e la pressione della folla dilagò al di là della porta. Se anche i soldati l’avessero voluta trattenere, non l’avrebbero più potuto fare.

Kenniston colse, in un attimo, tutto un caleidoscopio di vi­si umani diversamente atteggiati. La donna anziana del gruppo aveva la bocca spalancata in un grido. Gli altri fun­zionari avevano gli occhi increduli, come se non potessero credere a ciò che vedevano. Varn Allan aveva le guance infuo­cate d’ira repressa. Lund indietreggiava già, con un’espres­sione mista di timore e di trionfo dipinta sul viso.

Varn Allan disse ancora: «Se osate toccare i funzionari della Federazione...»

«Tornate alle vostre navi!» urlò Kenniston con quan­ta voce aveva. «Andatevene via!» La prima ondata della folla era già su di loro. Urla, pugni tesi, piedi in corsa. Ur­lavano inferociti contro Varn Allan perché era lei a capo di tutti gli altri. Kenniston vide il pericolo imminente, il peri­colo che non si poteva più scongiurare. Afferrò allora Varn Allan per un polso e cominciò a correre verso il Thanis tra­scinandola con sé. Gli altri funzionari, compreso Lund, si erano già dati alla fuga. Fuggivano tutti, verso la nave spa­ziale.

Kenniston continuò a trascinare con sé Varn Allan e, per alcuni secondi, ella non fece alcuna resistenza. Capì più tardi che quella doveva essere stata la prima volta che ella aveva dovuto cedere alla forza fisica, e che era perciò troppo stupe­fatta per pensare di opporre resistenza. Poi, tutt’a un tratto, la donna gridò irosamente: «Lasciatemi andare!» e puntò i piedi saldamente nella sabbia.

La folla si appressava a loro come un’ondata. Non era il momento di far complimenti, Kenniston le diede allora uno strattone al polso, che le fece perdere l’equilibrio, e ricomin­ciò nuovamente a correre, trascinandola di peso. Poi, mentre il Thanis era ormai vicino, Kenniston inciampò d’un tratto nella sabbia, e Varn Allan si liberò di lui.

Mentre si agitava per rimettersi in piedi, Kenniston vide un pallido raggio di luce scaturire dal fianco dell’astrona­ve. Il raggio compì un lungo semicerchio, sollevando un urlo di raccapriccio dalla folla. Poi colpì anche lui e, questa volta, il colpo fu fortissimo. Ricadde nella sabbia e vi rima­se, come morto, assolutamente immobile e privo di cono­scenza.

Quando tornò in sé, si trovava disteso su una cuccetta, mentre le dita potenti di Gorr Holl gli stavano massaggiando i centri nervosi lungo la colonna vertebrale.

«Grazie agli dei, hai ripreso conoscenza! Sono ormai due ore che ti sto massaggiando!»

Kenniston si mise penosamente a sedere. Si trovava in una piccola cabina senza finestrini, arredata con uno scrit­toio e una sedia adatta alla grossa dimensione di Gorr Holl, e capì allora che doveva trovarsi all’interno del Thanis.

«In che modo sono arrivato qui?» domandò. Gli riusci­va ancora difficile parlare. La sua lingua, come tutto il suo corpo, sembrava insensibile e pesante come piombo.

«Varn Allan ha ordinato di portarti qua dentro. Ha capi­to più tardi che cercavi di salvarla, e che farti abbattere era stato un errore. Ha ordinato di farti rinvenire il più presto possibile.»

Kenniston era troppo intontito per fare del sarcasmo. Ge­mette ancora e mormorò:

«Che è accaduto, Gorr?»

«Moltissime cose... e tutte brutte. Guarda!»

Toccò un bottone, e un riquadro della parete metallica di­venne perfettamente trasparente.

Kenniston si rimise in piedi con difficoltà e guardò fuori, verso la lontana cupola scintillante di Nuova Middletown. Vide gli uomini di Middletown che lavoravano alacremente nella polvere color ocra davanti alla porta della città, scavan­do trincee, riempiendo sacchi di sabbia, preparando la linea del fuoco.

Gorr Holl gl’indicò poi, al di là della desolata pianura, ver­so le colline lontane; Kenniston vide laggiù una piccola caro­vana di jeep, uscita dalla vecchia città, che procedeva veloce in direzione della cupola, trascinando alcuni piccoli canno­ni... i piccoli cannoni che avrebbero dovuto sfidare la Federa­zione delle Stelle.

«Ci hanno concesso tre ore per andarcene» lo informò Gorr Holl «... il tempo necessario per piazzarci contro le lo­ro batterie. Dopo di che, apriranno il fuoco.»

«Ma sono pazzi!» bisbigliò Kenniston. «Sono dei po­veri pazzi!» Sebbene capisse perfettamente che quella era una pazzia, avrebbe potuto piangere d’orgoglio, per quell’at­to di forza.

Il termine era quasi trascorso. Quei cannoni avrebbero presto raggiunto la porta della città, sarebbero stati puntati contro le astronavi e gli uomini di Middletown avrebbero de­ciso la loro stessa distruzione.

«Debbo impedire questa pazzia, Gorr» disse. «In qua­lunque modo, debbo impedire questa pazzia!»

Gorr Holl lo fissò con uno sguardo curioso, come se voles­se misurare la fermezza di quella decisione.

«Quanto sei disposto a rischiare, nel tentativo?» chiese.

«No! Aspetta a rispondere. Non sarà una cosa facile. Spe­cialmente per te, nella posizione in cui ti trovi; non sarà una cosa facile.»

«Spiegati!» pregò Kenniston. Afferrò convulsamente un braccio di Gorr Holl, colpito da una improvvisa speranza. «Suvvia! Di che si tratta?»

«Vi sono altri pianeti morenti, oltre alla vostra Terra» disse Gorr Holl. «E, come ti ho detto, noi primitivi siamo attaccati ai mondi che ci hanno dato la nascita, proprio come voi. Vi è stata una... ecco, una cospirazione, chiamiamola co­sì, fra le razze primitive, per interrompere queste migrazioni in massa, e tutto il nostro piano si basa sul procedimento di cui ti ha parlato Lal’lor. Si tratta del procedimento di Jon Arnol per far rivivere i mondi morti, il procedimento che è stato vietato dalla Federazione. Kenniston, potremmo provare con la Terra...!»

«In altre parole» disse Kenniston, lentamente «volete coinvolgere me e il mio popolo in un movimento contro la legge della Federazione?»

«Se debbo parlarti francamente, sì!» disse Gorr Holl. «Ma si tratta anche del vostro interesse. Avrete la Terra e noi avremo i nostri mondi, per rimanervi a nostro piacere. Perdendo la partita... ebbene, le vostre condizioni non sa­ranno peggiori di quelle che sono adesso.» Posò la grossa mano su una spalla di Kenniston. «Varn Allan si trova ora al televisore, per chiedere al Centro di Vega l’autorizzazione a usare la forza nell’esecuzione dei suoi ordini. Pensaci in fretta, Kenniston!»

Kenniston rifletté rapidamente. Gli sembrava di muoversi in una nebbia profonda, ma intuiva qualche cosa, intuiva i contrasti che esistevano fra le stelle. Egli non aveva il diritto di coinvolgere se stesso e Middletown in una lotta della quale non sapeva quasi nulla... Ma laggiù, al di là di quel finestrino, stavano trincee piene di uomini infuriati e sconvolti, e quei cannoni che si avvicinavano... Non avrebbero certo potuto cacciarsi in una situazione peggiore di quella... Se vi fosse stata anche una minima via di uscita...

«Che debbo fare?» domandò.

Gorr Holl sorrise.

«Bene!» approvò. «E ricordati, avrai degli alleati in questa missione! Ora seguimi: ti racconterò tutto strada fa­cendo.»

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