2 Annuncio

Poco prima del settanta, quando si svolgevano questi avvenimenti, il Ministero della Scienza aveva traslocato in un nuovo palazzo dalle pareti di vetro nelle vicinanze di Whitehall. Arredamento e personale erano molto raffinati, quasi si volesse dimostrare che la tecnologia era sul medesimo piano delle arti, e Michael Osborne, il sottosegretario permanente di Stato, era, tra i numerosi dipendenti del Ministero, uno tra i più colti. In ufficio indossava sì abiti di tweed, ma erano i più eleganti e i più morbidi che ci fossero. Sedeva di rado alla sua imponente scrivania; più spesso occupava una delle poltroncine morbide e basse che circondavano il piccolo tavolino da caffè dal ripiano di marmo.

Se ne stava lì, decorativo, il mattino dopo che a Bouldershaw Fell avevano cominciato a captare il messaggio; parlava con il generale Charles G. Vandenberg, delle Forze aeree statunitensi. La luce pioveva dalle veneziane, a strisce sottili.

L’Inghilterra, di quei tempi, era una sorta di quartier generale avanzato di una terra assediata, un’area formata dall’Europa occidentale e dall’America del Nord. Pressioni da Oriente, dall’Africa e dall’Asia avevano respinto la civiltà occidentale in un angolo del globo, di cui l’America a nord di Panama era un centro abbastanza sicuro, e l’Europa occidentale un ben fortificato saliente. A rigore non si era in guerra: ma le sanzioni economiche e la minaccia delle bombe e dei missili tenevano i resti del vecchio mondo stretti in un precario stato d’assedio. I collegamenti attraverso l’Atlantico erano mantenuti quasi esclusivamente dagli americani, e le guarnigioni americane in Inghilterra, in Francia e nella Germania occidentale resistsvano con la medesima disperata tenacia delle legioni romane nel terzo e nel quarto secolo.

Il protocollo insisteva sul fatto che l’Inghilterra e le nazioni sue vicine erano ancora stati sovrani, ma in realtà l’iniziativa sfuggiva velocemente al loro controllo. Sebbene il generale Vandenberg fosse modestamente definito rappresentante del Comitato per l’organizzazione della difesa, era, in effetti, comandante d’aviazione di una potenza che, amichevole ma dominatrice, occupava il paese, e per la quale l’Inghilterra era solo uno dei riquadri di una vasta scacchiera.

Ex bombardiere, con un collo taurino e la mascella quadra, pur avendo raggiunto la mezza età, sembrava ancora giovane e spavaldo; ma non c’era alcuna spavalderia nel suo modo di fare. Proveniva dal New England, parlava in tono tranquillo, educato, e discuteva con competenza, come se conoscesse il mondo molto meglio della maggior parte degli uomini che lo abitano.

Parlavano di Whelan. Osborne teneva tra le dita un rapporto che lo riguardava.

«Non posso far nulla ora.»

«C’è una certa precedenza…»

Osborne si drizzò sulla sedia e chiamò la segretaria con il telefono interno che si trovava sul tavolo.

«Il Comitato organizzazione difesa ha un punto di ebollizione piuttosto basso,» osservò Vandenberg.

«Può dir loro che ci daremo da fare.»

Appena la segretaria entrò, Osborne le consegnò il rapporto.

«Trovi qualcuno che se ne occupi.»

La ragazza lo prese e depose sulla scrivania un incartamento. Era giovane e graziosa, e indossava un vestito che pareva un abito da cocktail: l’amministrazione statale aveva fatto progressi.

«I suoi documenti per Bouldershaw.»

«Grazie. La mia auto è pronta?»

«Sì, Mr. Osborne.»

Il sottosegretario aprì la cartella e lesse:

«La comitiva ministeriale arriverà a Bouldershaw Fell alle 15 e 15, e sarà ricevuta dal professor Reinhart.»

«Domani, questo,» sottolineò Vandenberg. «Va lassù?»

«Ci vado un giorno prima per incontrare Reinhart.» Infilò la cartella dei documenti nella borsa. «Posso darle un passaggio fino a Whitehall?»

«Sarebbe un gesto caritatevole.»

Diffidavano l’uno dell’altro, ma erano educati, quasi all’antica. Alzatosi, Vandenberg chiese con indifferenza:

«Avete un programma?»

«Non ancora.»

«La cosa si sta facendo alquanto seria.»

«Le stelle possono aspettare. Hanno aspettato per tanto tempo.»

«Ha aspettato molto anche il Comitato organizzazione difesa.»

Osborne ebbe un’alzata di spalle, con simulata impazienza, come un greco che litigasse con un romano.

«Reinhart si occuperà dei programmi militari come e quando potrà; questo è l’accordo.»

«Se si profilasse una situazione d’emergenza…»

«Se, intendiamoci, se si profilasse una situazione d’emergenza.»

«Legge i giornali, lei?»

«In questo periodo riesco a leggere solo le riviste.»

«Dovrebbe guardare le prime pagine. Se si verificasse una situazione d’emergenza, avremmo bisogno di tutto quanto può essere messo a nostra disposizione su questa sponda dell’Atlantico.» Vandenberg accennò a un’artistica veduta del radiotelescopio alla parete dell’ufficio. «Per noi non è un giocattolo da ragazzini.»

«Neanche per loro.»

Poco dopo la loro uscita, Fleming telefonò da Bouldershaw Fell, ma era troppo tardi.


Judy arrivò al radiotelescopio poco prima che vi giungessero Osborne e Reinhart, e fece quattro chiacchiere indisturbata con Harries nel vestibolo.

«Che mi racconta di Bridger?»

Harries fingeva di pulire la maniglia di una porta.

«Due o tre visite a un allibratore che abita in una stradina di Bradford. A parte ciò, niente di speciale».

«Faremmo bene a sorvegliarlo.»

«Lo sto sorvegliando.»

Quando Osborne e Reinhart arrivarono, la condussero insieme a loro nella sala di controllo. Il locale era silenzioso e semideserto. C’era solo Harvey che, seduto al banco, faceva delle riparazioni, sommerso da un enorme cumulo di fogli in disordine, mozziconi di sigarette e bicchieri sporchi. Reinhart a quella vista chiocciò come una gallina disturbata.

«Dovrete mettere ordine.»

«Saranno capaci di mantenere l’apparecchio a fuoco per quando arriva il ministro?»

«Spero di sì. Non abbiamo sperimentato il dispositivo di osservazione.»

Reinhart circolava con aria molto indaffarata mentre Harvey cercava di attirare la sua attenzione.

«Harvey, ha l’aria di avere passato la notte in piedi.»

«Infatti, professore. E con me il dottor Bridger e il dottor Fleming.»

«Avete avuto delle grane?»

«Non esattamente, professore. Siamo rimasti in osservazione.»

«Su istruzioni di chi?»

«Del dottor Fleming.» Harvey era tranquillissimo. «Siamo ancora in osservazione.»

«Perché non mi è stato detto nulla?» Reinhart si rivolse a Osborne e a Judy. «Ne eravate al corrente?»

Judy scosse il capo in segno di diniego.

«Pare che le istruzioni, Fleming se le dia da solo,» osservò Osborne.

«Dov’è?» chiese Reinhart.

«Là dentro.» Harvey indicò la sala macchine. «Insieme al dottor Bridger.»

«Allora gli dica di dedicarmi un minuto.»

Mentre Harvey parlava in un microfono che si trovava sul banco, Reinhart percorreva la stanza a grandi passi.

«Che cosa stavate seguendo?» domandò.

«Una fonte di Andromeda.»

«La M. 31?»

«No, non la M. 31, professore.»

«Cosa, allora?»

«Un altro segnale, vicino a quello. Un segnale spezzato.»

«Non l’avete mai sentito, prima?»

«No, professore.»

Quando Fleming entrò era stanco, con la barba lunga e sobrio, ma, pur controllandosi, era eccitatissimo. Teneva in mano un fascio di fogli della telescrivente. Questa volta Reinhart non fu indulgente.

«Vedo che ti sei impadronito del telescopio.»

Fleming si fermò e li guardò battendo le palpebre.

«Chiedo scusa, signori, non ho avuto il tempo di far triplice domanda in carta da bollo.» Si rivolse a Osborne. «Ho telefonato al suo ufficio ma se n’era già andato.»

«Cos’avete fatto?» chiese Reinhart.

Fleming glielo spiegò, gettando i fogli sul banco di fronte a loro.

«… e questo è il messaggio.»

Reinhart lo fissò incuriosito.

«Vuoi dire il segnale.»

«Ho detto il messaggio. Punti e linee. Non era così, Harvey?»

«Sembrava così.»

«È durato tutta la notte,» disse Fleming. «È sotto la linea dell’orizzonte, ora, ma possiamo riprovare questa sera.»

Judy guardò Osborne, ma non ne ricevette alcun aiuto.

«Che succederà dell’inaugurazione?» domandò timidamente.

«Oh, al diavolo l’inaugurazione.» Fleming si girò verso di lei. «Questa sì che è una cosa importante. Questa è una voce che giunge da milioni e milioni di chilometri di distanza.»

«Una voce?» La voce stessa di Judy risuonò debole e irreale.

«Ci ha messo duecento anni-luce per arrivare fino a noi. Il ministro può aspettare un giorno, no?»

Reinhart pareva sollevato. Osservò Fleming con aria divertita.

«A meno che non sia un satellite.»

«Non è un satellite.»

Reinhart si avvicinò alla «follia di Jacko.»

«Prima di agitarti tanto, John, controlliamo tra tutta questa ferraglia che è in orbita.»

«Già fatto.»

Reinhart si rivolse a Osborne. «Non sa nulla di qualcosa di nuovo spedito su in cielo?»

«No.»

«Sentite,» intervenne Fleming, «se fosse stato un satellite non sarebbe rimasto tutta la notte su in mezzo alla costellazione di Andromeda.»

«Sei sicuro che non si tratti della Grande Nebulosa?»

«L’abbiamo localizzata separatamente, vero, Harvey?»

Harvey annuì, ma ciò nonostante Reinhart aveva un’aria poco convinta.

«Potrebbe essere stata un’interferenza… o qualsiasi altra cosa!»

«So ben riconoscere un messaggio quando me ne trovo uno sotto il naso!» sbottò Fleming. «E poi in questo c’è qualcosa che non ho mai visto. Tra un gruppo e l’altro di punti e di linee, c’è un’incredibile quantità di materiale più veloce e dettagliato. Dovremo montare degli speciali congegni di ascolto per registrarlo.»

Abbassò la leva dell’apparecchio intercomunicante e disse a Bridger di passare di lì, poi raccolse i fogli e li ficcò in mano a Reinhart. «Ci dia un’occhiata! Abbiamo atteso per dieci anni e più qualcosa di simile. Dieci secoli, anzi.»

«È comprensibile?» chiese Osborne con la sua voce di funzionario statale, distaccata, ma alta e acuta come un nitrito.

«Sì».

«Siete in grado di decifrarlo?»

«Per amor di Dio! Ma lei pensa che l’universo sia abitato da boy-scouts che inviano messaggi in alfabeto Morse?»

Bridger entrò: appariva pallido e scosso, ma parve calmare Fleming con la sua presenza, e confermò il rapporto.

«Potrebbe venire da una sonda molto lontana,» suggerì Osborne.

Fleming lo ignorò. Judy chiamò a raccolta tutto il suo coraggio.

«O da un altro pianeta?»

«Sì».

«Marte o qualcosa di simile?»

Fleming alzò le spalle. «Probabilmente si tratta di un pianeta che ruota attorno a una stella di Andromeda.»

«E che ci fa delle segnalazioni?»

Reinhart passò i fogli a Osborne.

«È certo un susseguirsi coerente di punti e di linee.»

«Ma allora? Perché nessun altro lo ha captato?»

«Perché nessun altro ha un apparecchio perfetto come questo. Se non vi avessimo dato un complesso straordinariamente buono ora non lo riceveremmo.»

Osborne sedette a un angolo del banco di controllo guardando con aria stupefatta i fogli.

«Se qualche essere intelligente cerca di comunicare… No, non ha senso comune.»

«È possibile.» Reinhart si fissava con attenzione le dita delicate come se ci fosse qualcosa di cui preferiva non parlare. «Se ci sono altre creature…»

Fleming lo interruppe. «Non altre creature, altre intelligenze. Non è necessario che siano degli omini verdi piccoli piccoli. Non deve essere necessariamente qualcosa di organico: solo un’intelligenza.»

Judy tremò, poi si ricompose.

«Perché mi sento rabbrividire?»

«Per la stessa ragione che fa rabbrividire me,» rispose Fleming.

Osborne si riscosse.

«Per la medesima ragione per cui tutti rabbrividiranno se si tratta di una fonte astronomica.»

Alla fine decisero di ascoltare ancora, quella notte, il messaggio. Questo non era cessato, si era fatto solo piuttosto debole, perché il movimento di rotazione della Terra lo aveva posto fuori dal puntamento del telescopio. Con tutta probabilità sarebbe continuato. Una volta accettata questa possibilità, Reinhart tornò calmo e formale. Lui, Fleming e Bridger spiegarono i fogli per esaminarli.

«Sapete cosa potrebbe essere?» suggerì Fleming. «Aritmetica binaria.»

«Che cos’è?» chiese Judy.

«È un’aritmetica espressa soltanto dalle cifre 0 e 1, invece che dalle cifre da uno a dieci che noi usiamo normalmente e che chiamiamo decimali. 0 e 1, capite?, potrebbero essere punto e linea, oppure linea potrebbe essere uguale a 0, e punto uguale a 1. Il sistema che noi usiamo è arbitrario, mentre il sistema binario è fondamentale; è basato sul positivo e sul negativo, sì e no, punto e linea… è universale.» Si volse verso di lei: i suoi occhi erano iniettati di sangue, febbricitanti di tensione e di eccitazione. «’La filosofia è scritta in linguaggio matematico.’ Ricorda? Stiamo appunto superando la barriera!»

«Sarà meglio che rimandiamo l’inaugurazione,» disse Osborne. «Non vogliamo che questa storia finisca sulla Social Gazette.»

«Perché no?»

Osborne appariva inquieto. «Non si può dire o fare nulla senza permesso.» Non c’era niente più semplice di questa affermazione nella sua concezione del mondo. Nella sua mente ciò che accadeva a Bouldershaw Fell era la parte minore di un piano d’accordi, intricato e complesso, sullo sfondo del quale si profilavano tutte le cose che Vandenberg rappresentava. Tutto doveva venire pesato e vagliato con ogni precauzione.

«Che devo comunicare alla stampa?» gli chiese Judy.

«Nulla.»

«Nulla?»

«Siamo una società segreta o che diavolo?» Fleming lo fissò sprezzante, ma Osborne cercò di apparire ufficiale e ragionevole al tempo stesso.

«Non potete diffondere delle informazioni confuse come queste. C’è altra gente che deve essere consultata, e inoltre si potrebbero avere delle manifestazioni di panico: astronavi, dischi volanti, mostri con occhi da basilisco. Tutti gli idioti del paese crederanno di vederne. E poi potrebbe trattarsi di una cosa qualsiasi… No, nulla deve apparire sui giornali, Miss Adamson.»

Lasciarono Fleming in ebollizione e andarono nell’ufficio del professore per telefonare al Ministero; poi ripartirono.

Al Lion di Bouldershaw la stampa era già cominciata ad arrivare per occuparsi della cerimonia dell’inaugurazione. Judy fece entrare Reinhart e Osborne da una porticina posteriore in una piccola saletta, dove venne loro servita piuttosto tardi la cena; schivavano così la crescente falange dei corrispondenti scientifici, accampati nel salone. Tra un piatto e l’altro Osborne faceva prudenti sortite in direzione della cabina telefonica, e ogni volta tornava visibilmente più depresso e infastidito.

«Che ha detto il ministro?»

«Ha detto… ‘Consultate Vandenberg.’»

Finirono di mangiare senza molta voglia della carne piuttosto fredda, poi Osborne uscì di nuovo.

«Che ha detto Vandenberg?»

«Cosa credete che potesse dire? ‘Acqua in bocca su tutto.’»

Judy doveva comunicare alla stampa, l’indomani, che la inaugurazione era stata differita a causa di un intoppo tecnico, e nulla di più. Ogni ulteriore comunicato sarebbe stato fatto da Londra alle redazioni di Fleet Street.

Con ogni precauzione riuscirono ancora a scivolare fuori dalla porta posteriore senza essere notati.

Mezz’ora più tardi l’auto di Fleming si fermava davanti all’albergo, e lo studioso, stanco e assetato, spariva nel salone.


Quella sera il messaggio fu di nuovo captato. Proseguì per tutta la notte e fu registrato a turno da Fleming e da Bridger, e non soltanto i punti e le linee che erano facili a udirsi, ma anche la parte del messaggio trasmessa ad alta velocità. Il mattino seguente Dennis Bridger scese da solo a Bouldershaw, e Harries lo seguì. Dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio di Town Hall, Bridger si incamminò lungo il selciato di una via laterale verso la parte bassa della città. Harries lo seguiva a piedi, a un isolato di distanza. Con un impermeabile al posto del suo solito grembiule, Harries assomigliava più a un bandito irlandese che a un uomo delle pulizie, e stava molto attento a non farsi scorgere da Bridger. Ma proprio Harries non notò una coppia di persone sul marciapiede, sul lato opposto della strada, accanto a una piccola porta che recava l’insegna James Oldroyd, allibratore. C’era molta gente lì attorno: due persone che parlassero insieme passavano inosservate.

Sulla soglia Bridger si volse, ed entrò in uno stretto passaggio male illuminato: le scale dalle guide di linoleum si inerpicavano al piano superiore e ai piedi della scala si trovava una porta dal vetro smerigliato. Quando chiuse la porta esterna, il rumore della strada venne tagliato fuori, lasciando il vestibolo tetro come una cripta. La porta dal vetro smerigliato portava la medesima scritta, James Oldroyd. C’era anche scritto «avanti.» Bridger entrò.

Benché fosse tardi, James Oldroyd stava facendo colazione, seduto alla sua scrivania. Era un uomo anziano, teneva arrotolate le maniche della camicia e indossava un cardigan scuro e scolorito; quando Bridger entrò stava intingendo con la punta della forchetta un pezzo di pane nell’uovo al burro. Nell’ufficio non c’era nessun altro, eppure la stanzetta pareva affollata. C’era un’enorme confusione: molti telefoni, una calcolatrice, un’apparecchiatura telegrafica e una telescrivente. Alle pareti parecchi calendari pubblicitari, strappati a mesi diversi, e, troneggiante, un vistoso orologio. Mr. Oldroyd levò lo sguardo da quell’insieme di vecchia paccottiglia e di attrezzature nuove per guardare un attimo Bridger.

«Oh, è lei.»

Bridger accennò alla telescrivente.

«Tutto bene?»

A mo’ di risposta, Mr. Oldroyd si fissò in bocca il pezzo di pane imbevuto d’uovo, e Bridger si mise al lavoro alla telescrivente.

«Come vanno gli affari?» chiese, dopo averla accesa e avere composto un numero. Sembrava un saluto convenzionale tra vecchie conoscenze.

«Così così,» rispose Mr. Oldroyd. «I cavalli non hanno senso di responsabilità. Se non arrivano tutti insieme vanno come delle lumache.»

Bridger batteva sulla telescrivente: KAUFMANN TELESCRIVENTE 21303 GINEVRA. Quindi si rese conto che fuori, nel vestibolo, era scoppiata una mischia; per un momento una testa si profilò contro il vetro della porta. Poi si sentì un borbottio, un gemito e infine la testa fu spinta via da altre due figure meno distinte. Bridger lanciò un’occhiata a Oldroyd che pareva non essersi accorto di nulla, intento a tagliare la cotenna da una fetta di pancetta: tornò alla telescrivente. Quando ebbe finito di scrivere, uscì con ogni precauzione nell’ingresso. Era libero. La porta che dava sulla strada oscillava, semiaperta, ma nella strada non c’era segno di alcunché di insolito. Nessuno era fermo sull’altro lato, nessuno osservava da un angolo. Una macchina, che si stava allontanando, avrebbe potuto avere a che fare con l’incidente, e forse no.

Dennis Bridger si avviò al parcheggio: le gambe gli tremavano.


Notizie del messaggio apparirono attraverso un’agenzia stampa in tempo per l’edizione della sera. Quando il generale Vandenberg fece visita al ministro della Scienza per protestare, veniva teletrasmessa una dichiarazione governativa. Il ministro non c’era. Osborne si fermò con Vandenberg nell’ufficio del suo capo, fissando lo schermo dell’apparecchio televisivo, in un angolo della stanza, sul quale l’annunciatore leggeva con fare serio e compreso.

Il governo di quel periodo era una raccolta di talenti, rappresentativa, sì, ma priva di scopo; questo «serrare le file» in tempo di crisi era stato soprannominato «governo meritocratico.» Erano uomini e donne di notevoli capacità, ma senza alcun principio comune, eccetto quello di sopravvivere. Il primo ministro era un conservatore, il ministro del Lavoro un sindacalista rinnegato; alcuni posti chiave erano occupati da uomini più giovani, attivi e ambiziosi come il ministro della Difesa, altri da persone meno capaci ma che impressionavano il pubblico con la loro capacità dialettica, come il ministro della Scienza. L’idea della differenza tra i partiti era stata smarrita, piuttosto che eliminata: forse, in questa nazione, era la fine della partitocrazia. Nessuno si preoccupava molto, e l’intero paese si perdeva in un’apatia senza speranze, in opposizione a un mondo che ormai sfuggiva al suo controllo. Alcuni rimasugli dello schieramento di sinistra, gli estremisti, facevano sì che la parola «Vichy» venisse scritta di quando in quando sui muri di Whitehall, ma questo era l’unico segno visibile di vita; la gente si occupava in pace della propria esistenza e sui pubblici affari era caduto uno strano silenzio. Si diceva che c’era tanto silenzio che si poteva sentir cadere una bomba.

In questo vuoto piombò la notizia del messaggio proveniente dallo spazio. I giornali, come ci si poteva aspettare, presero la notizia per il verso sbagliato. Gli uomini dello spazio spargono il terrore. Preludio all’aggressione? chiedevano. Dallo schermo televisivo l’annunciatore leggeva compunto la dichiarazione ufficiale:

«Questa sera il governo ha smentito con veemenza la notizia circa una possibile invasione dallo spazio. Un portavoce del Ministero della Scienza ha specificato ai giornalisti che, mentre è vero che ciò che sembrava essere un messaggio è stato captato a Bouldershaw Fell, non c’è alcuna ragione di credere che questo provenga da un’astronave o da un pianeta vicino. Comunque, qualora il segnale captato sia un messaggio, proviene da una fonte molto lontana.»

Non c’era nessuna spiegazione soddisfacente per questa indiscrezione. Reinhart non ne sapeva nulla, e l’uomo di fiducia del Ministero della Difesa che si trovava sul luogo, Harries, risultava inspiegabilmente mancante. L’esercito, tuttavia, era alla ricerca dei responsabili. Vandenberg tirò fuori due dossier che aprì sul tavolo del ministro.

«’Fleming, dottor John. Dal 1960 in poi: anti-Nato, filoafricano, marcia di Aldermaston, disobbedienza civile, prodisarmo nucleare.’ Lo chiama una persona su cui si possa contare?»

«È uno scienziato, non un candidato per il commissariato di polizia.»

«Si sospetta che sia lui il responsabile. Guardi l’altro.» Il generale sfogliava, non senza piacere, il secondo dossier. «Bridger, membro del partito comunista dal cinquantotto al sessantatré. Poi è slittato a destra e ha cominciato a collaborare a uno dei cartelli internazionali, ma a uno dei più sporchi, la Intel. Potrebbero anche lasciarlo perdere.»

«Fleming non lavorerà senza di lui.»

«Come volevasi dimostrare.» Il generale raccolse gli schedari. «Oserei dire che in questo campo siamo vulnerabili.»

«D’accordo,» esclamò stancamente Osborne, e sollevò il telefono del ministro. Parlava nel ricevitore con tono gentile, come se ordinasse dei fiori. «Bouldershaw Fell.»

Nella sala di controllo il messaggio stava di nuovo arrivando. Harvey era fuori, nella sala di registrazione, e si occupava dei nastri. Fleming era solo al banco di controllo. Erano privi di mano d’opera. Whelan all’improvviso era stato mandato via e perfino Harries era assente. Bridger se ne gironzolava attorno, con aria petulante, inquieto e molto agitato. Infine si decise ad affrontare l’amico.

«Ascolta, John, potrebbe andare avanti per sempre.»

«Forse.»

Dall’altoparlante usciva senza interruzione il suono delle stelle.

«Mi preparo a fare le valige.» Fleming lo fissò. «Il progetto è finito. Qui, per me, non c’è più nulla da fare.»

«Per te c’è tutto da fare.»

«Preferirei andarmene.»

«E che ne dici di questo?»

Ascoltarono per un momento l’altoparlante. Il viso di Bridger si contrasse.

«Potrebbe essere qualsiasi cosa,» commentò bruscamente.

«Ma io ho idea di cosa potrebbe essere.»

«Che cosa?»

«Potrebbe essere un insieme di istruzioni.»

«D’accordo, lavoraci su.»

«Ci lavoreremo insieme.»

In quel momento Judy irruppe nella stanza. Avanzò dalla porta con passo deciso; i suoi tacchi risuonavano sul pavimento come quelli di un ufficiale della guardia: il suo volto era teso e irato. Riuscì a malapena ad avvicinarsi a loro prima di esplodere.

«Chi di voi due ha parlato alla stampa?»

Fleming la fissò con profondo stupore. Essa si rivolse a Bridger.

«Qualcuno si è lasciato sfuggire delle informazioni, tutte le informazioni, anzi, con la stampa.»

Fleming fece schioccare la lingua con disapprovazione. Judy gli lanciò un’occhiata di fuoco e si rivolse nuovamente a Bridger.

«Non è stato il professor Reinhart, e non sono stata io. Non è stato Harvey o un altro dei ragazzi, che non ne sapevano abbastanza. Perciò si tratta di uno di voi.»

«Come volevasi dimostrare,» commentò Fleming. Judy lo ignorò.

«Quanto l’hanno pagata, dottor Bridger?»

«Io…»

Bridger si interruppe. Fleming si alzò e si mise tra loro.

«È affar suo?» le chiese.

«Sì. Io…»

«Bene, chi è lei?» Il suo volto si avvicinò a quello di lei e la ragazza si rese conto che l’alito di Fleming sapeva ancora di alcool.

«Io,» parlava con voce rotta, «io sono l’agente stampa. La responsabilità è mia. Ho proprio avuto la più grossa grana della mia vita.»

«Mi spiace davvero,» mormorò Bridger.

«È tutto quello che mi sa dire?» La voce di lei si levava tremante.

«Vuole un buon consiglio, per il suo bene?» Fleming se ne stava fermo, a gambe divaricate, oscillando, e sogghignandole in faccia con disprezzo. «Molli il mio amico Dennis.»

«Perché?»

«Perché sono stato io a raccontare tutto ai giornalisti.»

«Lei?» Arretrò come se l’avessero schiaffeggiata in pieno viso. «Era ubriaco?»

«Sì,» rispose Fleming, e le volse le spalle. Si diresse alla porta della sala di registrazione e si guardò attorno. «Anche se fossi stato sobrio, le cose non sarebbero andate diversamente.»

Era appena uscito quando le gridò: «E non mi hanno pagato!»

Judy restò immobile per un attimo, senza vedere né sentire. L’altoparlante sibilava e gracchiava; la luce al neon splendeva sui pochi mobili lisci. Di fuori l’arco del telescopio si alzava contro il cielo che si faceva sempre più scuro: solo tre giorni prima Judy vi era giunta, non ancora iniziata e non ancora coinvolta… si accorse che Bridger le era accanto offrendole una sigaretta.

«Ha perduto un idolo, eh, Miss Adamson?»


Judy, come press-agent, dovette fare rapporto a Osborne, e Osborne fece rapporto al Ministero. Non giunse alcuna notizia di Harries, e la sua scomparsa non venne ufficialmente annunciata. La stampa era convinta che l’intera faccenda fosse o un errore o una grossa presa in giro. Dopo una serie di penosi incontri tra i ministri, il Ministero della Difesa fu in grado di assicurare al generale Vandenberg e ai suoi capi che nulla di simile sarebbe più accaduto: se ne sarebbero assunti in pieno la responsabilità. Le ricerche di Harries furono intensificate e Fleming venne chiamato a rapporto a Londra.

In un primo tempo sembrò probabile che Fleming stesse proteggendo Bridger, ma fu presto appurato che in realtà egli aveva raccontato a un giornalista di nome Jenkins tutta la storia, tra i fumi dell’alcool, nell’albergo Lion. Benché Bridger avesse rassegnato le sue dimissioni, doveva lavorare per altri tre mesi, e gli fu lasciato l’incarico di Bouldershaw Fell mentre Fleming era lontano. Il messaggio continuava ad arrivare e veniva stampato in codice di 0 e 1.

Fleming non sembrava nemmeno sfiorato dall’agitazione generale. Prese con sé, nel treno che lo portava a Londra, tutti i fogli stampati e di ora in ora li studiò tutti, facendo note e calcoli sui margini e sulle lettere e buste che per caso si trovava in tasca. Pareva che non si accorgesse d’altro. Si vestiva e mangiava automaticamente, beveva poco; la preoccupazione e l’agitazione lo bruciavano. Ignorò Judy e diede a malapena un’occhiata ai giornali.

Quando giunse al Ministero della Scienza, fu condotto nell’ufficio di Osborne, dove questi lo attendeva assieme a Reinhart e a un uomo di mezz’età, riservato, dai capelli grigi e dagli impazienti occhi azzurri. Osborne si alzò e gli strinse la mano. «Il dottor Fleming.» Era molto formale.

«Salve,» salutò Fleming.

«Conosce il commodoro Watling, del reparto Sicurezza del Ministero della Difesa?»

L’uomo si inchinò e lo guardò senza alcun calore. Fleming cambiò atteggiamento e si rivolse con aria interrogativa a Reinhart.

«Salve, John,» disse Reinhart con voce acuta e misurata. Imbarazzato, cominciò a guardarsi le mani.

«Si accomodi, dottor Fleming.»

Osborne indicò una sedia che si trovava di fronte alle altre, ma Fleming indugiò con lo sguardo su ciascuno di loro prima di sedersi, come se si stesse risvegliando in un posto sconosciuto.

«Cos’è? Una commissione d’inchiesta?»

Seguì un breve silenzio. Watling si accese una sigaretta.

«Sapevo che c’erano delle misure di sicurezza attorno al vostro lavoro.»

«Che significa?»

«Che erano argomenti confidenziali.»

«Sì.»

«Allora perché…»

«Non sono dalla parte degli scienziati che raccontano frottole.»

«Prendila con filosofia, John,» consigliò dolcemente Reinhart. Watling passò ad altro argomento.

«Ha visto i giornali?»

«Alcuni.»

«Mezzo mondo è convinto che degli ometti verdi con lunghe antenne si preparino ad atterrare nei nostri giardini.»

Fleming sorrise, sentendosi più sicuro il terreno sotto i piedi.

«E lei?»

«Io sono a conoscenza dei fatti.»

«I fatti sono quelli stessi che ho comunicato alla stampa. I fatti strettamente scientifici. Come potevo pensare che sarebbero stati male interpretati?»

«Non è compito suo prendere l’iniziativa su simili cose, dottor Fleming.» Osborne, disinvolto, si era insediato dietro la propria scrivania, a fare da giudice. «Ecco perché è stato pregato di non interferire. L’ho messo in guardia io stesso.»

«E allora?» Fleming era già annoiato.

«Abbiamo dovuto mandare un rapporto completo al Comitato organizzazione difesa,» disse Watling severamente. «E il primo ministro sta preparando una dichiarazione per le Nazioni Unite.»

«Tutto bene, allora.»

«Non ci piace trovarci in questa posizione, ma ci hanno forzato la mano e ora tocca a noi cancellare il panico.»

«Naturale.»

«Ed è stato lei a forzarci la mano.»

«Dovrei presentarmi a Canossa?» Fleming cominciava a essere arrabbiato quanto annoiato. «Quello che faccio delle mie scoperte è affar mio. Siamo ancora in un paese libero, no?»

«Ma tu fai parte di un gruppo, John,» obiettò senza guardarlo il professor Reinhart. Osborne si piegò verso di lui, sulla scrivania, con fare persuasivo.

«Quel che ci vuole, dottor Fleming, è una dichiarazione personale.»

«E a che servirà?»

«Qualsiasi cosa è utile finché serve a tranquillizzare il pubblico.»

«Soprattutto se potete screditare l’informatore.»

«Non è una faccenda personale, John,» intervenne Reinhart.

«No? E allora perché sono qui?» Fleming fece scorrere lo sguardo su di loro, sprezzante.

«Quando avrò fatto una dichiarazione per render noto che ho parlato in un momento di aberrazione mentale, be’, cosa accadrà allora?»

«Temo che…» Reinhart si esaminava di nuovo le unghie.

«Temo che il professor Reinhart non abbia scelta,» mormorò Watling.

«Vogliono che tu lasci l’osservatorio,» spiegò Reinhart.

Fleming si alzò e rifletté un istante. I tre si aspettavano un’esplosione.

«Be’, è semplice, no?» disse infine, tranquillo.

«Non voglio perderti, John.» Reinhart ebbe un gesto di sconforto.

«No, certo che no. C’è un impedimento.»

«Oh?»

«E cioè che non potete andare avanti senza di me.»

Erano preparati a questo. C’era altra gente, sottolineò Osborne.

«Ma non ne sanno niente, vero?»

«Perché, lei ne sa qualcosa?»

Fleming annuì, sorridendo. Watling si drizzò ancor più sulla sedia.

«Vuol dire che l’ha decifrato?»

«Voglio dire che so di che si tratta.»

«E si aspetta che noi ci crediamo?»

Osborne ovviamente non ci credeva, così come non ci credeva Watling. Ma Reinhart non era tanto sicuro.

«Di che si tratta, John?»

«Resto all’osservatorio, allora?»

«Di che si tratta?»

Fleming sogghignò. «È un giochetto di costruzioni. E non è di origine umana. Posso dimostrarlo.»

Si mise a frugare nella sua cartella alla ricerca dei fogli.

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