12 Annientamento

Era molto tardi quando tornarono al caffè. La neve soffiava tempestosa e si accumulava contro la parete settentrionale. Nella piccola sala sul retro Reinhart e Osborne, infagottati nei loro soprabiti, giocavano tristi e distratti una partita su una scacchiera portatile.

Fleming si sentiva troppo intontito per prendere le proprie difese. Lasciò che fosse Judy a spiegare e sedette, le spalle curve, su una delle dure sedie rustiche, mentre Reinhart faceva le sue domande e Osborne gli indirizzava, nitrendo, una lunga tirata di sconforto e disprezzo estremi.

«Come ha osato immischiarsi in questa storia?» Le ultime tracce della sua solita cortesia scomparvero a dispetto di tutta l’esperienza e l’educazione della sua carriera al Corpo Diplomatico. Era agitato in modo insopportabile. «Ho accettato di prendere parte a questa faccenda solo nella speranza che potessimo dare al ministro gli elementi. Ma sarà la fine della sua carriera, e della mia.»

«E della mia,» sospirò Reinhart. «Sebbene io pensi che l’avrei sacrificata volentieri se la macchina fosse radicalmente distrutta.»

«Ma non lo è,» obiettò Osborne. «Non è nemmeno riuscito a fare quello. Se il messaggio originale è intatto, possono ricostruirla.»

«È colpa mia,» ammise Fleming. «Potete darmi pure tutta la colpa. Me ne accollerò io la responsabilità.»

Osborne ebbe un nitrito sprezzante. «Questo non ci terrà fuori di prigione.»

«È questo che la preoccupa? E che ne dice del fatto che ricostruiranno la macchina e faranno un’altra creatura e che non saremo mai capaci di liberarci da questa morsa?»

«Non possiamo fare nulla?» chiese Judy.

Guardarono tutti Reinhart, con pochissime speranze. Questi esaminò la situazione passo a passo come se controllassero un calcolo, e alla fine rimase con un pugno di mosche. Non avevano speranza di trovare la chiave fino al mattino, e prima di allora Geers sarebbe venuto a conoscenza di quanto era successo, e l’intera faccenda si sarebbe messa di nuovo in moto. Nella loro mente ora non c’era più alcun dubbio sul fatto che Fleming aveva ragione; ma quel che adesso li preoccupava era che questi, alla prova dei fatti, li aveva messi nei guai.

«L’unica,» riprese Reinhart, «è che Osborne torni a Londra con il primo treno e che, quando scoppierà la bomba, faccia l’indiano.»

«E dove sarei stato, stasera?» volle sapere Osborne.

«È venuto qui, ha fatto una breve ispezione ed è ripartito. È tutto accaduto dopo che lei se n’è andato. E questa è la pura verità. Lei non può saperne niente.»

«E il funzionario che avrei portato con me?»

«Se n’è andato con lei.»

«E chi era?»

«Una persona di cui si possa fidare. Intimidisca o corrompa qualcuno: basta che dica di essere venuto su da Londra e di esservi tornato assieme a lei. Deve togliersi d’impaccio e mantenere la sua influenza. Dobbiamo tutti dichiararci innocenti, se possibile. Lo ricostruiranno, come dice John, e ci deve essere almeno uno di noi di cui vengono ancora presi in considerazione i pareri.»

«E chi avrebbe fatto a pezzi il calcolatore?» chiese Fleming.

Il professore ebbe un piccolo sorriso soddisfatto. «La ragazza. Si può dare ad intendere che era impazzita e gli si è rivoltata contro, e che è stata colpita da una scarica elettrica mentre lo distruggeva, oppure che è morta per lo shock ritardato della sua punizione aggravato dal parossismo della pazzia che l’aveva presa: o qualsiasi altra cosa decidano, a piacer loro. Comunque è morta, e non può negarlo.»

«Siete sicuri che sia morta?» chiese Osborne a Fleming.

«Vuole esaminare il cadavere?»

«Lo chieda a me,» mormorò Judy con un’amara sensazione di nausea. «Tocca a me vederli morire tutti.»

«Bene.» Fleming si alzò e si rivolse a Reinhart. «E cosa avremmo fatto Judy e io?»

Il professore gli rispose tranquillo: «Voi non c’eravate. Per quello che si sa, abbiamo lasciato nella sala del calcolatore l’operatore con Miss Adamson. Se ne sono andati insieme ed è accaduto dopo.»

«Non reggerà,» disse Osborne. «Ci sarà un’inchiesta dell’accidente.»

«È la cosa migliore che possiamo fare.» Reinhart ebbe un piccolo brivido. «Da qualsiasi parte consideriate la cosa è un bel pasticcio.»

Sedevano attorno al tavolo, avvolti nei soprabiti, come a una seduta spiritica, aspettando che la notte trascorresse e la neve cessasse di cadere.

«Pensate che questa neve fermerà i treni?» chiese Osborne dopo un poco.

Reinhart piegò la testa da un lato ascoltando il rumore di fuori. «Non credo. Sembra che vada un po’ calmandosi.» Rivolse la sua attenzione a Fleming. «E tu che fai, John?»

«Judy e io torneremo in auto alla base. La strada era decente quando siamo venuti qui, poco fa.»

«Allora farai bene a partire subito,» disse Reinhart. «Fate finta di essere stati a fare una gita in macchina e andate dritti nelle vostre stanze. Non avete visto nulla e nessuno.»

«Bella serata per una gita in macchina!» Fleming si interruppe, preoccupato, il suo sguardo passò dall’uno all’altro di loro. «Mi spiace. Mi spiace veramente.»

Tornando guidò a naso sotto la neve sferzante. Judy puliva ogni minuto il parabrezza, ma la tempesta stava già diminuendo. Lasciò Judy al suo alloggio e si diresse al proprio. Era così stanco che non ce la faceva a uscire dalla macchina. Era circa l’una di notte e la base era addormentata e calma sotto il manto di neve. Quando aprì la porta, l’interno del suo alloggio gli parve più buio che mai, in contrasto con il terreno bianco di neve, di fuori. Camminò a tentoni, lungo il muro, cercando l’interruttore della luce, e quando lo toccò un’altra mano, una mano bendata, si posò sulla sua.

Per un attimo fu preso da un panico folle, poi respinse la mano e accese la luce.

Era André, che teneva le mani bendate, l’una nell’altra, e gemeva: sembrava terribilmente pallida e sconvolta, ma non era morta. Per un attimo la fissò incredulo, poi chiuse la porta e si diresse alla finestra per tirare le tende.

«Siedi e dammi le mani.» Prese da un armadietto delle bende e un tubetto di linimento, e cominciò gentile e metodico a sostituire la rozza fasciatura di lei.

«Non pensavo che ci fosse qualche possibilità che fossi viva,» le disse, mentre la medicava. «Ho visto il voltmetro.»

«L’hai visto?» sedette sul letto porgendogli le mani.

«Sì, l’ho visto.»

«Allora sei stato tu.»

Le guardò il viso, pallido, sconvolto. «Se avessi pensato che eri ancora viva…»

«Avresti fatto fuori anche me.» Lo disse senza astio, una semplice dichiarazione di fatto. Poi, in una fitta di dolore, chiuse per un attimo gli occhi. «Ho un cuore più forte della… della gente normale. Ce ne vuole per mettermi fuori combattimento.»

«Chi ti ha medicato le mani?»

«Io.»

«A chi lo hai detto?»

«A nessuno.»

«Nessuno sa del calcolatore?»

«Non credo.»

«Perché non sei andata a dirglielo?» Era sempre più sbalordito. «Perché sei venuta qui da me?»

«Non sapevo cosa sarebbe accaduto, cosa era accaduto. Quando rinvenni, in un primo momento non potei pensare a nulla salvo che alle mani, che mi facevano un male terribile. Poi mi guardai attorno e vidi che era tutto distrutto.»

«Avresti potuto chiamare le sentinelle.»

«Non sapevo che fare: non avevo più direttive. Mi sentivo perduta senza il calcolatore. Sai che è completamente inservibile?»

«Lo so.»

Gli occhi ardevano nel pallido viso. «Riuscivo a pensare solo che dovevo trovarti. E alle mie mani. Le ho bendate e sono venuta qui. Non ho detto nulla alle sentinelle. E siccome non eri qui, ho aspettato. Cosa accadrà, ora?»

«Lo ricostruiranno.»

«No!»

«Non lo vuoi?» le chiese, sbalordito. «E cosa è accaduto del tuo ‘fine superiore’? Della tua forma di vita più alta?»

André non rispose. Quando Fleming ebbe finito di legare le bende lei chiuse gli occhi, contro le fitte, e John vide che tremava.

«Sei gelata, vero?» mormorò, toccandole la fronte. Prese la trapunta dal letto e gliel’avvolse attorno alle spalle. «Tienila su.»

«Pensi che lo ricostruiranno?»

«Certamente.» Trovò una bottiglia di whisky e riempì due bicchieri. «Adesso butta giù questo. Non avranno me ad aiutarli, ma avranno te.»

«Mi costringeranno a farlo?» Sorseggiò il whisky e lo guardò con occhi ansiosi, brucianti.

«Sarà necessario che ti costringano?»

André quasi rise. «Quando ho visto il calcolatore tutto a pezzi, sono stata così felice!»

«Felice?» chiese John smettendo di bere.

«Mi sono sentita libera. Mi sono sentita…»

«Come la greca Andromeda quando Perseo ne spezzò le catene?»

Non ne era molto sicura, André. Gli restituì il bicchiere. «Quando il calcolatore funzionava, lo odiavo.»

«Odiavi noi.»

Scosse il capo. «Detestavo quella macchina e tutto quel che la riguardava.»

«E allora perché…?»

«Perché la gente si comporta come fa? Perché ci si sente costretti. Perché si è legati da quelle che pensiamo siano le necessità logiche al nostro lavoro, alla nostra famiglia o alla nostra patria. Tu pensi che questi legami siano emotivi? Il legame più saldo è la logica che non si può contraddire. Lo so.» La sua voce tremò facendosi più incerta. «Facevo quel che dovevo fare, e ora la logica è sparita e io non so come agire… Non lo so.»

Fleming le si sedette accanto. «Avresti potuto dirlo prima.»

«L’ho detto ora.» Lo guardò dritto negli occhi. «Sono venuta da te.»

«È troppo tardi.» Fleming abbassò lo sguardo sulla garza e le bende della mano di lei, pensando ai segni che ancora André portava della volontà della macchina. «Nulla al mondo potrà impedir loro di ricostruirla.»

«Ma non possono, senza il codice del progetto.»

«Che esiste ancora.»

«Non l’hai…» Anche se Fleming avesse dubitato delle sue affermazioni fino ad allora, non si poteva mettere ora in dubbio l’angoscia della voce e degli occhi di André.

«Non ho potuto aprire la cassaforte, e l’unica chiave l’ha Quadring.»

André frugò nella tasca della sua giacca a vento. «Io ne ho una.»

«Mi avevano detto che nessuno ne aveva un’altra.»

Lei tirò fuori la chiave, sussultando al contatto delle bende con il tessuto. «Nessuno ne ha un’altra, salvo me, e questo nessuno lo sapeva.» Gliela porse. «Va’ a terminare l’opera.»

Era così facile e così impossibile: ecco la cosa di cui aveva più bisogno e ormai non poteva più tornare al calcolatore per usarla.

«Devi andare tu,» disse. Lei si strinse maggiormente nella trapunta, ma Fleming gliela scostò e la prese per le spalle. «Se lo odii veramente, se vuoi davvero essere libera, non devi fare altro che entrare, aprire la cassaforte murale, e prendere il messaggio originale, che è su nastro, e i miei calcoli, che sono su dei fogli, e il programma, che è su schede perforate. Fa’ un falò di tutte le carte e, quando ha preso fuoco, puoi buttarci su tutti i rotoli magnetici, così non se ne parla più. Poi te ne esci alla svelta.»

«Non posso.»

La scosse, e André si lamentò un poco per il dolore. «Devi assolutamente.»

Era agitatissimo, e non si fermava a riflettere alle conseguenze per lei e per se stesso, o al destino di tutti loro, ora che André era viva; ma pensava soprattutto al fatto essenziale, immediato.

«Puoi passare oltre le sentinelle senza che ti facciano domande. Hai bisogno di questi per nascondere la fasciatura.» Prese un paio di grossi guanti da guida dal cassetto e cominciò ad infilarglieli.

«No, per piacere!» Quando i guanti le toccarono la fasciatura tremò, ma lui continuò a infilarli molto piano, con delicatezza.

«Puoi fare un falò sul pavimento. Ti darò dei fiammiferi.»

«Non mandarmici. Non farmi andare là di nuovo.» Gli occhi le bruciavano per la paura, e il viso, nonostante il whisky, era ancora pallido ed estenuato.

«Puoi.» Le ficcò i fiammiferi in tasca, e la spinse gentilmente verso la porta. L’apri, e là, davanti a loro, si stendeva la terra bianca e la notte nera. La neve aveva smesso di cadere e il vento era sparito. Le luci della base risplendevano, gelide, e si poteva appena vedere il profilo degli edifici, scuri contro il terreno, con un’infarinatura di bianco sui tetti. «Puoi farlo,» disse.

André esitò, e lui la prese per un braccio. Dopo un minuto la ragazza usciva nella neve diretta all’edificio del calcolatore. Fleming andò con lei fino a dove poteva. Quando furono quasi in vista delle sentinelle, le diede un colpetto sulla spalla.

«Buona fortuna,» le disse, e tornò riluttante al suo alloggio.

La temperatura si era abbassata e c’era un freddo gelido. Fleming si accorse di avere i brividi, così chiuse la porta e andò alla finestra, e, tirata la tenda, vi si appoggiò per guardare fuori. Fino a quel momento non aveva sentito la fatica delle ultime ore, ma mentre se ne stava lì in attesa, gli piombò addosso una grande onda di stanchezza. Desiderava enormemente sdraiarsi sul letto, dormire, e svegliarsi per scoprire che tutto era finito: cercava di immaginare quel che la ragazza stava facendo, per scoprire le alternative di quello che sarebbe potuto accadere, di quel che sarebbe stato il risultato, ma la sua mente non riusciva ad andare oltre gli avvenimenti della serata e l’immagine della diafana figura di lei che si allontanava sulla neve.

Non riusciva a scaldarsi. Accese la stufetta elettrica, e si versò un altro whisky; avrebbe voluto non averne bevuto tanto in passato, ora avrebbe fatto più effetto; fece vari propositi sul proprio futuro e su quello di Judy, se mai fossero usciti da quella storia. Appoggiandosi con le braccia al davanzale della finestra, attese per quello che gli parve un tempo lunghissimo, fissando l’intatta immobilità della notte.

Verso le tre la neve riprese a cadere, non tempestosa, ora, ma calma e regolare, e le lampade che restavano accese per tutta la notte, qua e là nella base, divennero sempre più confuse dietro i fiocchi di neve che cadevano bianchi. Per un po’ non fu sicuro se era fumo quel che vedeva contro il fanale vicino all’edificio del calcolatore, o se fosse solo la foschia dovuta alla nevicata; poi sentì suonare una campana d’allarme, e udì le grida eccitate delle sentinelle. Alzatosi il bavero del soprabito, aprì la finestra e subito poté sentire e vedere più chiaramente. Era fumo, senza possibilità di errore.

L’istinto lo spingeva a correre fuori, e a vedere di persona quel che era accaduto, a impedire che si domassero le fiamme, ma sapeva che non poteva far altro che contare sulla confusione e sul buio per dare tempo al fuoco e alla ragazza. Con un fumo come quello la sala del calcolatore doveva essere un inferno, in quel momento, e c’erano molte possibilità che nulla ne restasse, forse nemmeno André. D’improvviso si sentì invaso da emozioni contrastanti: certo, aveva voluto che se ne andasse e se ne stesse lontana, eppure l’idea di mandarla a morte non gli era venuta in mente. Una parte di lui voleva che la ragazza vivesse e si sentiva responsabile di lei in misura soffocante. I tre quarti di lei, o quel che era, che lui riusciva a capire, erano una creatura con sentimenti e paure ed emozioni che lui aveva collaborato a creare e che, ora che il cordone tra lei e l’intelletto che la guidava era stato tagliato, era in un limbo e forse lui solo poteva tirarla fuori e salvarla. Certo, se non era già morta.

La sirena d’allarme della base risuonò all’improvviso, lugubre e minacciosa, e tutte le luci del recinto sembravano avanzare e danzare dietro la nebbia dei fiocchi di neve. Oltre il gemito delle sirene sentiva i motori delle auto mettersi in moto, e vedeva il raggio bianco di un riflettore levarsi tagliente, improvviso, dall’alto della torre principale di guardia, e cominciare a muoversi avanti e indietro lentamente per la base.

Immaginava la marea in tensione e i comandi che si increspavano come un’onda attraverso il centro: il telefono della sentinella chiamare la sala di guardia, il comandante delle sentinelle telefonare a Quadring, l’ufficiale di turno alle pattuglie di sicurezza, alla squadra antincendio, alle sentinelle del recinto, e Quadring telefonare a Geers, e forse Geers a Londra, a un ministro assonnato e a un comandante di zona che si sarebbe trascinato in pigiama, fuori dal letto, per sventare qualsiasi manovra di sabotaggio fosse stata messa in azione.

Si sforzava di vedere cosa accadesse dietro la cortina di quei fiocchi leggeri e maledisse la sirena che copriva gli altri suoni. Un’autopompa sfrecciò oltre il suo alloggio, ruggendo e scampanando, e i suoi fari e il raggio del riflettore rivelarono le figure di altre persone in corsa, gente imbacuccata in cappotti militari che si abbottonavano correndo, e soldati con fucili automatici e mitragliatori. Un’altra autopompa passò, un Land Rover con un esploratore radar che girava in alto, poi le luci si spensero e la sirena finì di stridere, lasciando un guazzabuglio di suoni e di movimenti soffocati dalla neve, nel buio. Un minuto dopo si aggiunse un secondo riflettore, che inondò lo spazio aperto tra i quartieri di abitazione e l’area dei tecnici dove si trovava l’edificio del calcolatore, e in quello spazio si addentrò un altro veicolo che correva veloce. Era una jeep aperta nella quale poté scorgere chiaramente Quadring seduto di fianco all’autista che parlava in un telefono da campo. Di fronte a essa una sola figura attraversava lo spiazzo, e per una frazione di secondo pensò che si trattasse della ragazza; poi vide che era Judy, con un soprabito che le svolazzava dietro le spalle e gli scuri capelli scompigliati, attorno al viso. La jeep si fermò e Quadring le parlò brevemente, poi l’autista riavviò la macchina e Judy attraversò dietro di essa lo spiazzo dirigendosi all’alloggio di Fleming.

Spinse la porta senza bussare, e prima di vederlo si guardò attorno agitatissima, per un istante.

«Cos’è accaduto?» ansimò.

Fleming le parlò senza distogliere lo sguardo dalla finestra. «È stata lei. Ci ha pensato André. Il codice sta bruciando.»

«André?» gli si avvicinò senza capire. «Ma è morta.»

Non c’era molto tempo per dare spiegazioni, ma lui le fece un breve riassunto, mentre Judy gli stava accanto, guardando fuori.

«Pensavo fossi stato tu,» disse, comprendendo solo una parte del racconto che lui le faceva. «Grazie a Dio.»

«Che ti ha detto Quadring?» le chiese.

«Mi ha detto solo di attenderlo qui.»

«L’ha trovata?»

«Non so. Non credo che ne abbia idea. Stava dando ordine alle sentinelle di sgombrare il campo e di sparare a vista se qualcuno avesse disubbidito.»

Il suono delle grida e dei veicoli in movimento si faceva sempre più smorzato: qualunque cosa stesse accadendo, si svolgeva all’altra estremità della base. La colonna di fumo che si levava dall’edificio del calcolatore si era gonfiata e ispessita, e dal centro guizzava una lingua di fuoco chiaramente visibile tra le macchie bianche dei riflettori. Fleming e Judy guardavano e ascoltavano senza parlare, poi, dalla confusione che avevano davanti a loro, provenne il colpo secco di un fucile, seguito da un altro e da un altro ancora.

Fleming si irrigidì.

«Dici che l’hanno scoperta?» chiese Judy.

Non rispose. Lo spazio di fronte all’alloggio adesso era deserto. Il riflettore, che si era allontanato, tornò a muoversi all’indietro, gettando una lama obliqua di luce confusa, ma in principio nulla si mosse nel suo raggio, salvo la neve che cadeva. Poi, in quella terra di nessuno, giunse una figuretta pallida e incerta che incespicò uscendo dall’ombra tra due edifici.

«André!» sussurrò Judy.

La ragazza un po’ correva, un po’ vacillava, senza direzione. Fece una piccola corsa nel raggio del riflettore, rimanendo per un attimo abbagliata, e tornò indietro. Pareva che la gente del riflettore non l’avesse vista, ma risuonò un’altra fucilata, più vicino a loro, e tra le case fischiò un proiettile.

Le dita di Judy si strinsero sul braccio di Fleming. «La uccideranno!»

Liberatosi di lei, Fleming si volse e corse verso la porta.

«John, non andare.»

«Sono stato io a mandarla.» Raccolse la grossa pila che stava accanto al letto e uscì, senza volgersi indietro. Judy lo seguì fino alla porta, ma all’improvviso lui era sparito nella nevosa oscurità tra le baracche.

Si tenne al riparo degli alloggi il più possibile, poi spiccò un balzo attraverso il raggio di luce fino all’oscurità sull’altro lato. Questa volta l’equipaggio del riflettore era in guardia. Il raggio bianco si mosse insieme a lui e inondò di luce gli edifici circostanti. Ma questo servì solo ad aiutarlo. Correndo, poté vedere la ragazza appoggiata, senza forze, a un muro di fronte a lui. La neve rendeva difficile procedere, ma fece in modo di continuare nella sua corsa fino a raggiungerla e, tirandola su di peso, la trascinò oltre l’angolo, nel buio.

Dapprima lei non lo riconobbe: si stringevano ansimanti l’uno all’altro e lui con un braccio la sosteneva.

«Sono io,» le mormorò, e ricordandosi della fiasca che aveva con sé, la tirò fuori e le fece bere a forza quello che rimaneva del whisky. Le andò di traverso, deglutì e poi con uno sforzo riuscì a stare in piedi da sola.

«Ce l’ho fatta,» disse, e sebbene fosse troppo buio per vedere il suo viso, Fleming sapeva che sorrideva.

«Come hai fatto a uscire?»

«Per una finestra sul retro.»

«Sssst!» Le mise un dito sulle labbra e la tenne stretta a sé. Nello spazio aperto che aveva appena attraversato, il raggio del riflettore ondeggiava avanti e indietro, e un gruppo di uomini in tenuta da combattimento li superarono camminando a due a due, guardando da una parte e dall’altra, i fucili imbracciati. Ritornare al suo alloggio era impossibile, e nascondersi in un altro qualsiasi punto del campo significava con ogni probabilità che sarebbero stati colti di sorpresa e sforacchiati da una scarica di pallottole prima che quelli che sparavano avessero il tempo di pensare a quanto facevano. Persino arrendersi voleva dire andare incontro alla morte, nel buio e nell’isterismo di quella notte. Gli sembrava che la loro unica speranza fosse quella di rimanere liberi finché non si facesse giorno, e le ricerche divenissero meno frenetiche e più controllate.

Da dove si trovavano c’era solo una strada per raggiungere la barriera del recinto senza attraversare il raggio dei riflettori, e li avrebbe portati allo sbarramento sul sentiero della scogliera che conduceva giù al molo della baia. Un ricordo, un ricordo molto lontano, gli tornò alla mente, occupandogliela, cosicché tutti i suoi pensieri si rivolsero al molo e a una barca. Passò un braccio attorno alla vita di André per sostenerla con forza.

«Vieni,» le disse. Per metà la portò, per metà la condusse lungo le strisce di terreno coperte dalla neve tra gli edifici, zigzagando dal riparo di uno al riparo di un altro, girandosi ogni volta che sentiva delle voci e cercando una nuova strada. Sembrava impossibile che non li scoprissero da un minuto all’altro, ma la neve che cadeva li nascondeva e quella sul terreno soffocava il rumore dei loro passi. André respirava affannosamente, ed era chiaro che non avrebbe potuto continuare per molto; lui si ricordò che quando fossero giunti alla scogliera, avrebbero trovato il recinto teso davanti a loro; dopo la morte di Bridger era stato rinforzato e certamente al cancello che dava sul sentiero ci sarebbe stata una sentinella. Di fronte a questo, la situazione gli parve senza via d’uscita, ma qualcosa nel profondo della sua mente lo spingeva ad andare avanti, ed egli si trascinava, mezzo accecato dalla neve, mentre la ragazza si abbandonava pesantemente su di lui e incespicava al suo fianco. Poi ricordò cosa stava cercando.

Nei giorni precedenti degli operai erano stati al lavoro nella parte del recinto che dava sulla scogliera, a sgomberare il terreno per un nuovo edificio che doveva venire costruito all’interno del filo spinato: avevano un bulldozer che lasciavano sul luogo quando smettevano di lavorare. Questo forse sarebbe stato troppo freddo per avviarsi, ma d’altra parte era progettato per stare all’aria aperta tutta la notte e poter ugualmente ripartire il mattino. Valeva la pena di tentare, se ci fossero potuti arrivare.

Quando raggiunsero l’ultimo edificio, anche lui respirava a fatica, e c’erano almeno cinquanta metri di prato scoperto da attraversare prima di raggiungere la sagoma scura del bulldozer. Si piegò con la ragazza dal muro che dava sul mare e inspirò penosamente grandi boccate di aria fredda. Non fece alcun tentativo di parlare e sembrava che lei non se lo aspettasse. O si fidava di lui senza fare domande o era troppo stanca per pensare; o ambedue le cose. Una pattuglia di ronda passò tra loro e il recinto, un furgone armato, con un riflettore montato sulla cabina e le figure indistinte di un plotone di uomini sul retro. Poi la zona piombò nella calma.

«Ora,» disse Fleming, accennando davanti a loro e, sostenendola con le braccia, corse con lei attraverso il prato coperto di neve. Prima che ne avessero attraversato metà André era scivolata due volte e per l’ultima ventina di metri dovette portarla a braccia. Quando giunsero al bulldozer gli sembrava che la testa e il petto gli scoppiassero, e quando la depose a terra, André si abbandonò sul terreno con un gemito.

Fleming si arrampicò sulla macchina e si guardò attorno. Evidentemente nessuno li aveva visti e lui poteva solo sperare che, se il motore si fosse avviato, lo si confondesse con una delle macchine del servizio di sicurezza.

Il motore, al primo giro della chiavetta, partì, e dopo qualche prudente starnuto Fleming lo lasciò andare al minimo per un poco, mentre scendeva per fare salire André. In principio lei non voleva.

«Vieni,» ansimò. «Sbrigati. Siamo in salvo.»

La voce di lei giungeva debolissima. «Lasciami, non preoccuparti di me.»

La tirò su di peso e quasi senza sapere come la spinse nello spazio vicino al sedile del guidatore.

«Adesso tienti forte,» le disse, facendola appoggiare a sé. Ormai il camion di pattuglia aveva probabilmente fatto a metà il giro del recinto e stava tornando verso di loro. A quel punto probabilmente Quadring era già andato al suo alloggio, in cerca di Judy, e aveva appreso che lui e Andromeda erano in fuga. In quel momento la sala del calcolatore era probabilmente una massa di cenere e brace fradicia e fumante e il messaggio proveniente da miliardi di miglia di distanza, e tutto quel che ne era derivato, era sparito per sempre. Quel che ora bisognava fare era portare via la ragazza; nasconderla e farla vivere da qualche parte, in qualche modo. Si mise a cavalcioni sul sedile, posò il piede sulla frizione e inserì la marcia.

Quando lasciò andare la frizione il bulldozer balzò in avanti e quasi affondò nella neve, ma lo tenne forte e lo spinse pesantemente verso il recinto. Dietro di sé poteva vedere avvicinarsi una luce, ma era troppo tardi per fermarsi. Schiacciò l’acceleratore e si tenne forte, mentre il muso del bulldozer si conficcava nel recinto. La rete metallica si schiantò lacerandosi e precipitò schiacciata dai cingoli. Si formò uno squarcio nel quale passarono.

Spense il motore e saltò giù, trascinandosi la ragazza con sé. La massa del bulldozer si stagliava nel recinto abbattuto e ostruito dalla macchina, e lui e André erano giù, nella neve. La condusse con precauzione verso il bordo della scogliera, e, piegandosi in due, corsero a nascondersi dietro alcuni cespugli che proteggevano l’estremità del sentiero del molo. La luce dell’automezzo che si avvicinava andava facendosi sempre più forte e da dietro i cespugli la vide illuminare il bulldozer. Era troppo abbagliato dai fari e dalla neve per scorgere il furgone, e il suo timore era che fosse il camion di pattuglia zeppo di uomini, poi la luce si allontanò e la neve per un momento parve diradarsi: vide che si trattava del furgone con il radar che perlustrava invano il reticolato mentre il radar girava inutilmente sopra la cabina.

Prese André per un braccio e la condusse giù per il sentiero scavato nella roccia. Alla seconda curva accese la pila e procedette abbastanza lentamente da permetterle di seguirlo dappresso senza aiuto. In qualche modo André aveva raccolto un po’ di energia e gli si teneva vicina, stringendogli la mano. In fondo al sentiero non c’erano sentinelle e il molo era completamente silenzioso, a eccezione della risacca contro le pietre. Sembravano lontani mille miglia dalla confusione sopra di loro, e questo, in un certo senso, rendeva più difficile andare avanti.

Durante l’inverno tutte le piccole imbarcazioni venivano tratte a riva e disarmate; solo la lancia di servizio, una piccola imbarcazione con motore entrobordo, era lasciata in mare e si sfregava battendo contro il fianco della banchina. Fleming l’aveva già usata, in quei mesi estivi, quando voleva andarsene per essere solo, e la conosceva con quella specie di odio-amore che un fantino può provare per un vecchio cavallo duro e ostinato. Spinse André all’interno, liberò le funi di poppa e di prua, e cercò a tentoni con la pila la manovella di avviamento. Non era facile come il bulldozer da mettere in moto; cercò di avviarla finché il sudore, misto alla neve, gli colò sul viso, e cominciò a disperare di poterla mai mettere in moto. André si raggomitolò sotto una delle frisate, mentre la neve cadeva su di loro e si scioglieva raggiungendo l’acqua che frusciava nella sentina. Non gli fece domande, e lui continuava ad agitarsi, ansimando e imprecando contro la manovella arrugginita: ma di quando in quando emetteva dei piccoli gemiti. Lui non diceva nulla, ma insisté a girare finché con uno scoppiettìo il motore si mise in moto.

Lo lasciò andare al minimo per un poco, mentre la barca vibrava e il tubo di scappamento tossiva a pelo dell’acqua, poi inserì l’albero dell’elica e aprì la valvola a farfalla. Il molo disparve subito, e si ritrovarono soli nell’immensità del mare. Fleming non era mai uscito in mare con la neve, prima di allora. Era meravigliosamente calmo. I fiocchi, cadendo, facevano mulinello attorno a loro, sciogliendosi quando arrivavano alla superficie dell’acqua. Sembrava davvero che facesse più caldo di quando erano al riparo della baia.

Di fronte al volante, che sembrava quello di un vecchio macinino, c’era una piccola bussola, e Fleming la mise in posizione con una mano, mentre con l’altra teneva la torcia alta a illuminare il quadrante. Conosceva il contorno dell’isola senza doversi concentrare, e sapeva grosso modo come destreggiarsi con le correnti. Con quel mare calmo poteva immaginare la velocità della barca, e, controllando ogni pochi minuti l’orologio poteva fare un calcolo approssimativo della distanza. L’aveva fatto così spesso in precedenza che calcolò di avere buone possibilità di fare un approdo alla cieca. Sperava solo di sentire le onde infrangersi contro le rocce dell’isola a una distanza possibile prima che ci andassero contro.

Gridò ad André di andare a prua e di guardar fuori, ma in principio lei non rispose. Lui non osava per un solo attimo abbandonare volante e bussola.

«Vai avanti, se puoi,» le gridò ancora, «e da’ un’occhiata fuori.»

La vide dirigersi verso prua.

«Non sarà una cosa lunga, ora,» disse, con più speranza di quanta ne sentisse. La barca avanzò con regolarità per dieci, quindici, trenta minuti. Più avanti trovarono una leggera risacca, si abbassarono e rollarono un po’, ma la neve smise di cadere e la notte sembrava farsi meno scura. Fleming si chiedeva se erano abbastanza lontani dalla scogliera da lasciare una traccia sullo schermo radar di qualcuno, e si chiese anche cosa stesse accadendo alle loro spalle, alla base, e cosa si stendesse davanti a loro nell’oscurità deserta. Gli occhi gli dolevano, e così la testa e la schiena, anzi, tutto il suo corpo, e si costringeva a pensare alle bruciature della ragazza e alle sue mani doloranti per sentirsi meglio.

Dopo circa quaranta minuti lei gli gridò qualcosa. Abbandonò la manovella e lasciò che la barca scivolasse lentamente verso una forma più scura che le si stendeva davanti: poi lasciò girare il timone così che si trovarono a fiancheggiare la liscia superficie rocciosa dell’isola. Procedevano molto lentamente, quasi a naso, e stavano ad ascoltare il suono dei frangenti davanti a loro, fino a che, qualche minuto più tardi, la parete di roccia degradò e udirono il lieve sciacquio delle onde contro la spiaggia.

Fleming lasciò che la barca si incagliasse e trasportò la ragazza sulla sabbia, bagnandosi nell’acqua salata che gli arrivava al ginocchio. Vi era ora un luce precisa nel cielo, non certo l’alba, ma forse la luna, ed egli poté riconoscere la stretta insenatura sabbiosa che aveva scoperto con Judy quel pomeriggio, all’inizio della primavera, tanto tempo addietro, quando avevano trovato nella caverna le carte di Bridger. Fu un ricordo triste e al tempo stesso confortante: sentì, in modo irrazionale, che era arrivato a casa.

Si guardò attorno in cerca di un luogo dove riposare. Era troppo freddo per dormire all’aperto, anche se avessero potuto farlo, perciò si diresse all’entrata della caverna e percorse la galleria che aveva esplorato con Judy. Non poteva sostenere più André, ma procedeva lentamente, parlandole, volgendosi un poco per farle coraggio.

«Mi sembra di essere Orfeo,» disse tra sé. «Sto mescolando i miti. Ero Perseo poco fa.»

Si sentiva la testa leggera e vagamente stordita, per la fatica; sbagliò strada due volte nelle gallerie buie. Stava cercando l’ampia grotta dove avevano trovato la pozza d’acqua, poiché ricordava un fondo sabbioso dove avrebbero potuto riposare; ma dopo un po’ si accorse che aveva preso una strada sbagliata. Si volse, girando la torcia, per dirlo ad André, ma lei non c’era.

Con terrore improvviso rifece incespicando la strada già percorsa chiamandola e illuminando con la pila le volte della galleria. La sua voce gli tornava in un’eco derisoria e quello era l’unico suono oltre ai suoi passi sulle rocce. All’entrata della grotta si fermò e guardò ancora indietro. Era assurdo, si disse, perché non erano andati molto lontani. Per la prima volta provò un attimo di risentimento verso la ragazza; cosa veramente illogica, ma la logica per lui aveva sempre meno importanza. Mentre ripercorreva la galleria, notò che vi erano più diramazioni di quante ne ricordasse: pareva far parte dell’ossessivo mistero di quel luogo: le gallerie si moltiplicavano silenziosamente nel buio. Ne esplorò alcune ma dovette tornare sui propri passi perché tutti i passaggi, in un modo o nell’altro, diventavano impraticabili; e infine, improvvisamente, fu nell’alta grotta che non aveva trovato prima.

Si fermò e la chiamò ancora, facendo ondeggiare la torcia lentamente da una parete all’altra; senza possibilità di dubbio sentì che André doveva essere là: non sarebbe potuta andare molto più lontano stanca com’era nell’oscurità. Abbassò il raggio della torcia sul terreno sabbioso e vide le sue impronte. Le impronte lo portarono al centro della caverna e là si arrestò, bruscamente: un brivido di orrore gli corse dalla nuca per tutto il corpo. L’ultima impronta era sulla fanghiglia delle rocce sull’orlo della pozza e, a pelo dell’acqua, galleggiava uno dei suoi guanti. Null’altro.


Non trovò mai null’altro. Le avevano insegnato tante cose, pensava amaramente, ma non a nuotare. Fu colto da una fitta acuta di dolore e di rimorso. Passò l’ora successiva in una morbosa esplorazione della caverna, senza speranza; poi tornò stancamente alla spiaggia e là rimase, appoggiato tra due rocce, fino all’alba. Non temeva di addormentarsi. Aveva un’immensa, quasi delirante paura di qualcosa di indicibile che uscisse dall’imboccatura della galleria, qualcosa di inestinguibile che veniva da milioni di chilometri di distanza, qualcosa che gli aveva parlato per la prima volta in una notte scura come quella.

Ma non uscì nulla dalla galleria, e dopo la prima ora, o poco più, di luce, dal mare una scialuppa avanzò verso di lui. Egli non si mosse, neppure quando la scialuppa raggiunse l’isola e l’equipaggio lo trovò, lo sguardo perduto nel mutevole aspetto del mare.


FINE
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