La prima volta che l’aveva convinta era stata sedici anni prima, nel 2220, l’anno eccitante in cui le possibilità della Galassia si erano aperte per loro.
Allora Janus Pitt aveva i capelli castano scuro, e non era ancora Commissario di Rotor, anche se tutti lo consideravano un personaggio in ascesa. Però era a capo del Dipartimento dell’Esplorazione e del Commercio, ed era responsabile della Sonda Remota, che in gran parte era frutto delle sue azioni.
Era il primo tentativo di spingere la materia nello spazio con un sistema propulsivo iperassistito.
A quanto si sapeva, solo Rotor aveva messo a punto l’iperassistenza, e Pitt era stato il più accanito fautore della segretezza. A una riunione del Consiglio aveva detto: «Il Sistema Solare è affollato. Dato il numero delle Colonie spaziali, lo spazio disponibile si riduce sempre più. Perfino la fascia degli asteroidi è solo un palliativo. Ben presto sarà affollatissima anche quella. Inoltre, ogni Colonia ha un proprio equilibrio ecologico, che contribuisce alla separazione e all’isolamento. Il commercio viene soffocato per paura di essere infettati dai parassiti o dagli agenti patogeni di qualcun altro. L’unica soluzione, amici consiglieri, è lasciare il Sistema Solare… senza tanto chiasso, all’improvviso. Partiamo e troviamo una nuova patria, dove potere costruire un nuovo mondo, col nostro tipo di umanità, la nostra società, il nostro modo di vivere. Senza iperassistenza è impossibile… ma noi abbiamo l’iperassistenza. Prima o poi anche qualche altra Colonia scoprirà questa tecnica e partirà. Il Sistema Solare sarà un dente di leone ormai secco che spargerà i suoi semi nello spazio.
"Ma se partiremo per primi, forse troveremo un mondo prima che gli altri ci seguano. Potremo insediarci stabilmente, e quando gli altri ci seguiranno e forse si imbatteranno nel nostro nuovo mondo, noi saremo abbastanza forti da mandarli altrove. La Galassia è grande. Dev’esserci per forza qualche altro posto.»
C’erano state delle obiezioni, naturalmente, e violente. Alcuni si opponevano per paura… paura di abbandonare il noto per l’ignoto. Altri si opponevano per sentimentalismo… in quanto legati affettivamente al pianeta d’origine. Altri ancora si opponevano per idealismo… il desiderio di diffondere la conoscenza, perché anche gli altri potessero partire.
Pitt non si aspettava di spuntarla. Ci era riuscito perché Eugenia Insigna gli aveva fornito l’argomento vincente. Si era rivolta subito a lui… un colpo di fortuna incredibile!
Era giovane, allora. Aveva appena ventisei anni; era sposata, ma non era ancora incinta. Era eccitata, rossa in viso, carica di tabulati.
Pitt ricordava di averla guardata in cagnesco per quell’intrusione. Era Segretario del Dipartimento, e lei… be’, lei non era nessuno, anche se avrebbe cessato di essere una persona qualsiasi in quel preciso istante.
Naturalmente, Pitt non poteva saperlo, ed era seccato perché lei era voluta entrare ad ogni costo…
Di fronte all’eccitazione evidentissima della ragazza, Pitt ebbe un sussulto interiore. Intendeva fargli esaminare il materiale astruso che aveva in mano, e con un entusiasmo che lo avrebbe prostrato in breve tempo.
Avrebbe dovuto consegnare un riassunto conciso a uno dei suoi assistenti, invece. Pitt decise di dirglielo. «Vedo che ha dei dati da sottoporre alla mia attenzione, dottoressa Insigna. Li guarderò volentieri, a tempo debito. Perché non li lascia a un mio collaboratore?» E indicò la porta, sperando ardentemente che lei si girasse e uscisse. (Negli anni successivi, nei momenti d’ozio, si sarebbe chiesto a volte cosa sarebbe successo se lei fosse uscita, e avrebbe provato un brivido di terrore a quel pensiero.)
Ma lei disse: «No, no, signor Segretario, devo assolutamente parlare con lei». Le tremava la voce, come se l’eccitazione interiore fosse insopportabile. «È la più grande scoperta che sia stata fatta da… da…» Rinunciò a specificare da quando. «È la più grande.»
Pitt guardò dubbioso i fogli che stringeva. Vibravano, ma lui rimase freddo. Ah, gli specialisti! Pensavano sempre che qualche minuscolo progresso nel loro microsettore avesse una portata sensazionale.
Rassegnato, disse: «Be’, dottoressa, può spiegare di che si tratta in parole povere?»
«Siamo schermati, signore?»
«Perché dovremmo essere schermati?»
«Non voglio che qualcun altro senta, finché non sarò sicura… sicurissima… Devo controllare di nuovo, e ricontrollare, per eliminare qualsiasi dubbio. Anche se in realtà non ho alcun dubbio. Non sto parlando in modo sensato, vero?»
«Vero» ammise freddo Pitt, posando la mano su un contatto. «Siamo schermati. Sentiamo, dunque.»
«È tutto qui. Ora le mostro…»
«No. A parole, prima. E concisa.»
Lei respirò a fondo. «Signor Segretario, ho scoperto la stella più vicina.» Aveva gli occhi spalancati, e il respiro affannoso.
«La stella più vicina è Alfa Centauri, e lo sappiamo da quattro secoli.»
«La più vicina a noi nota, non la più vicina in assoluto. Ne ho scoperta una più vicina. Il Sole ha una compagna remota. Pare incredibile, eh?»
Pitt la studiò. Tipico. Quelli abbastanza giovani, e abbastanza entusiasti e inesperti, s’infiammavano prematuramente ogni volta.
«Ne è sicura?» chiese.
«Sì. Davvero. Lasci che le mostri i dati. È la cosa più eccitante che sia successa nel campo dell’astronomia da…»
«Ammesso che sia successa. E niente dati. Li guarderò dopo. Mi dica. Se c’è una stella molto più vicina di Alfa Centauri, perché non è stata scoperta prima? Perché l’ha scoperta proprio lei, dottoressa Insigna, e soltanto adesso?» Pitt aveva un tono sarcastico, e se ne rendeva conto, ma apparentemente la ragazza era troppo eccitata per farci caso.
«Un motivo c’è. La stella è dietro una nube, una nube scura di pulviscolo che guarda caso si trova tra la stella compagna e noi. Senza l’assorbimento del pulviscolo, sarebbe una stella di ottava magnitudine, e l’avrebbero sicuramente notata. Il pulviscolo riduce la luminosità e la trasforma in una stella di magnitudine diciannove, che si confonde tra milioni e milioni di altre stelle deboli. Non c’era motivo di accorgersene. Nessuno l’ha guardata. Si trova nel cielo australe della Terra, quindi la maggior parte dei telescopi nell’era preColonie non poteva nemmeno puntare in quella direzione.»
«E com’è che lei l’ha notata, allora?»
«Grazie alla Sonda Remota. Vede, questa Stella Vicina e il Sole cambiano posizione reciproca, naturalmente. Presumo che entrambe stiano ruotando attorno a un centro di gravità comune molto lentamente in un periodo di milioni di anni. Alcuni secoli fa, forse la loro posizione era tale da permetterci di vedere la Stella Vicina in tutta la sua luminosità su un lato della nube, ma avremmo sempre avuto bisogno di un telescopio per vederla, e i telescopi hanno solo sei secoli… anzi, sono ancor più recenti nei punti della Terra da cui la Stella Vicina sarebbe visibile. Tra qualche secolo, si vedrà di nuovo in modo chiaro, brillerà sull’altro lato della nube di pulviscolo. Ma non è necessario che aspettiamo tanto. La Sonda Remota ha provveduto a tutto.»
Pitt cominciò ad animarsi, avvertì dentro di sé una sensazione di calore che si irradiava pian piano. «Cioè, la Sonda ha fotografato la parte di cielo contenente la Stella Vicina, ed era abbastanza lontana nello spazio da vedere oltre la nube e individuare la Stella Vicina in tutta la sua luminosità?»
«Esatto. Abbiamo una stella di magnitudine otto dove non dovrebbe esserci nessuna stella di magnitudine otto, e lo spettro è quello di una nana rossa. Le nane rosse non sono visibili a grande distanza, quindi ho capito che questa doveva essere molto vicina.»
«Sì, ma perché più vicina di Alfa Centauri?»
«Naturalmente, ho studiato la stessa area di cielo vista da Rotor, e la stella di magnitudine otto non c’era. Però, abbastanza vicino, c’era una stella di magnitudine diciannove che non era presente nella fotografia scattata dalla Sonda Remota. La stella di magnitudine diciannove doveva essere la stella di magnitudine otto, oscurata, ho immaginato… e il fatto che non fossero esattamente nello stesso posto doveva dipendere dallo spostamento parallattico.»
«Sì, so di che si tratta. Un oggetto vicino sembra cambiare posizione rispetto a uno sfondo lontano a seconda che lo si osservi da punti diversi.»
«Esatto, ma le stelle sono così lontane che anche se la Sonda si allontanasse di una parte consistente di anno luce il cambiamento di posizione non produrrebbe uno spostamento notevole nelle stelle lontane, ma nelle stelle vicine sì. E nel caso di questa Stella Vicina ha prodotto uno spostamento enorme; relativamente, beninteso. Ho controllato il cielo da posizioni diverse della Sonda durante il suo viaggio verso l’esterno. C’erano tre fotografie scattate nelle fasi in cui si trovava nello spazio normale, e la Stella Vicina era sempre più luminosa via via che la Sonda la osservava avvicinandosi al bordo della nube. Dallo spostamento parallattico, si può calcolare che la Stella Vicina è a una distanza appena superiore a due anni luce. La metà della distanza di Alfa Centauri.»
Pitt la fissò pensieroso e, nel lungo silenzio che seguì, Eugenia Insigna fu invasa da un senso di inquietudine e di incertezza.
«Segretario Pitt, vuole vedere i dati, adesso?» chiese.
«No, mi accontento di quello che mi ha detto. Ora devo porle qualche domanda. Se ho ben capito, le probabilità che qualcuno si concentri su una stella di magnitudine diciannove e cerchi di calcolarne la parallasse e la distanza sono esigue, mi pare.»
«Praticamente zero.»
«Si può notare in qualche altro modo che una stella oscura dev’essere molto vicina a noi?»
«La stella può avere un moto proprio di grande entità… per una stella. Cioè, se la si osserva costantemente, la stella si sposta in cielo lungo una linea più o meno retta, appunto per il suo moto proprio.»
«Un fenomeno presente in questo caso?»
«Può darsi, ma non tutte le stelle hanno un moto proprio di grande entità, anche se sono vicine a noi. Si muovono in tre dimensioni, e noi vediamo il moto proprio solo in una proiezione bidimensionale. Posso spiegarle…»
«No, continuo a fidarmi della sua parola. Questa stella ha un moto proprio di grande entità?»
«Ci vorrebbe un po’ di tempo per stabilirlo. Ho alcune fotografie precedenti di quella parte di cielo, e potrei individuare un moto proprio apprezzabile. Dovrei fare altri calcoli.»
«Ma, secondo lei, questa stella ha il tipo di moto proprio che colpirebbe gli astronomi se per caso dovessero notarla?»
«No, non credo.»
«Dunque, è possibile che noi su Rotor siamo gli unici a essere al corrente di questa Stella Vicina, dal momento che siamo gli unici ad avere lanciato una Sonda Remota, eh? È il suo campo, dottoressa Insigna… Noi siamo gli unici ad avere lanciato una Sonda Remota, è d’accordo?»
«La Sonda Remota non è un progetto segreto al cento per cento, signor Segretario. Abbiamo accettato degli esperimenti dalle altre Colonie e ne abbiamo discusso con tutti, perfino con la Terra, che non è molto interessata all’astronomia oggigiorno.»
«Già, la lasciano alla Colonie, giustamente. Ma qualche altra Colonia ha lanciato una Sonda Remota in segreto?»
«Ne dubito, signore. Avrebbero avuto bisogno dell’iperassistenza per farlo, e noi abbiamo tenuto nascosta questa tecnica al cento per cento. Se avessero l’iperassistenza, lo sapremmo. Dovrebbero fare degli esperimenti nello spazio, che li tradirebbero.»
«Stando all’Accordo sulla Scienza Aperta, tutti i dati raccolti dalla Sonda Remota devono essere divulgati. Per caso, lei ha già informato…»
Eugenia lo interruppe indignata. «Certo che no. Prima di divulgare devo scoprire parecchie altre cose. Per ora ho solo un risultato preliminare, che le sto comunicando in confidenza.»
«Però lei non è l’unico astronomo che lavori alla Sonda. Immagino che abbia mostrato i risultati agli altri.»
Eugenia Insigna arrossì e distolse lo sguardo. Poi, in atteggiamento difensivo, disse: «No, non l’ho fatto. Ho rilevato questo dato. L’ho approfondito. L’ho interpretato. Io. E voglio essere sicura che il merito spetti a me. C’è una sola stella vicinissima al Sole, e voglio passare agli annali della scienza come la sua scopritrice».
«Potrebbe esserci una stella ancor più vicina» osservò Pitt. E, per la prima volta dall’inizio del colloquio, sorrise.
«Si saprebbe da un pezzo. Anche la mia stella sarebbe già stata scoperta se non fosse per la presenza estremamente insolita di quella piccola nube oscurante. L’esistenza di un’altra stella, più vicina, è fuori discussione.»
«Dunque, il succo del discorso è questo, dottoressa… Lei ed io siamo gli unici a sapere della Stella Vicina. Giusto? Nessun altro?»
«Sì, signore. Solo noi due. Per ora.»
«Non solo per ora. Deve rimanere un segreto, finché non sarò pronto a dirlo a certe altre persone.»
«Ma l’accordo… l’Accordo sulla Scienza Aperta…»
«Va ignorato. Ci sono sempre eccezioni a tutto. La sua scoperta riguarda la sicurezza interna della Colonia. E trattandosi della sicurezza interna, non siamo tenuti a divulgare la scoperta. Del resto, non abbiamo divulgato l’iperassistenza, no?»
«Ma l’esistenza della Stella Vicina non ha niente a che fare con la sicurezza interna.»
«Al contrario, dottoressa Insigna. Forse lei non se ne rende conto, ma ha scoperto qualcosa che potrà cambiare il destino del genere umano.»
Lei rimase a fissarlo, pietrificata.
«Siediti. Siamo cospiratori, noi due, e dobbiamo essere amici. D’ora in poi, quando saremo soli, ci daremo del tu. Quindi chiamami Janus, Eugenia.»
Lei esitò. «Non mi pare corretto.»
«Dovrai adattarti, Eugenia. Non possiamo cospirare mantenendo un atteggiamento freddo e formale.»
«Ma io non voglio cospirare con nessuno e per nessun motivo, ecco. E non capisco perché sia necessario non rivelare nulla della Stella Vicina.»
«Hai paura di perdere il merito, immagino.»
Eugenia ebbe una lievissima esitazione. «Certo, puoi scommettere fino all’ultimo chip del tuo computer che ho paura, Janus. Voglio il giusto riconoscimento.»
«Per ora, dimentica la Stella Vicina. Sai che sostengo da parecchio tempo che Rotor dovrebbe lasciare il Sistema Solare. Tu che ne pensi? Ti piacerebbe lasciare il Sistema Solare?»
Eugenia si strinse nelle spalle. «Non ne sono sicura. Sarebbe bello vedere da vicino qualche corpo celeste per la prima volta… ma è anche un po’ spaventoso, no?»
«Il fatto di andarsene da casa?»
«Sì.»
«Ma non te ne andresti da casa. È questa la tua casa. Rotor.» Pitt allargò le braccia. «Verrebbe con te.»
«D’accordo, signor Se… Janus. Però «casa» comprende anche qualcos’altro, oltre a Rotor. Abbiamo un ambiente circostante, le altre Colonie, il pianeta Terra, l’intero Sistema Solare.»
«Un ambiente affollato. Alla fine, alcuni di noi dovranno partire, che lo vogliano o no. Sulla Terra, un tempo, certa gente ha dovuto attraversare catene montuose e oceani. Due secoli fa, dei terrestri hanno dovuto lasciare il loro pianeta per le Colonie. Questo è un altro passo avanti, in una storia vecchissima.»
«Capisco, però alcuni non si sono mai mossi. Alcuni sono ancora sulla Terra. C’è gente che vive in una piccola regione della Terra da innumerevoli generazioni.»
«E tu vuoi essere «stanziale» come loro.»
«Mio marito Crile, sì, credo. È molto schietto riguardo le tue idee, Janus.»
«Be’, c’è libertà di parola e di opinione su Rotor, quindi può benissimo non essere d’accordo con me. C’è qualcos’altro che vorrei chiederti. Quando la gente in generale, su Rotor o altrove, pensa di allontanarsi dal Sistema Solare, che destinazione ha in mente?»
«Alfa Centauri, logico. Tutti credono che sia la stella più vicina. Anche con l’iperassistenza, in media non potremmo superare la velocità della luce, quindi impiegheremmo quattro anni. Qualsiasi altra destinazione richiederebbe molto più tempo, e un viaggio di quattro anni è già abbastanza lungo.»
«E se fosse possibile viaggiare ancora più velocemente e spingersi molto più in là di Alfa Centauri? In tal caso, dove andresti?»
Eugenia rifletté alcuni istanti prima di rispondere. «Punterei sempre su Alfa Centauri, credo. Sarebbe ancora nel vecchio settore celeste. Le stelle di notte sembrerebbero ancora le stesse. Ci sentiremmo a nostro agio. Saremmo più vicini a casa, se volessimo tornare. E poi, Alfa Centauri A, la stella più grande di quel sistema triplo, è in pratica una gemella del Sole. Alfa Centauri B è più piccola, ma non di molto. Anche ignorando Alfa Centauri C, una nana rossa, si avrebbero sempre due stelle al prezzo di una, per così dire… due serie di pianeti.»
«Supponiamo che una Colonia sia partita per Alfa Centauri, abbia trovato condizioni di abitabilità soddisfacenti e si sia stabilita lì iniziando la costruzione di un nuovo mondo, e supponiamo che nel Sistema Solare sappiano tutto questo. Dove andrebbero le Colonie successive, una volta deciso di lasciare il Sistema Solare?»
«Raggiungerebbero Alfa Centauri, naturalmente» rispose Eugenia senza esitare.
«Dunque, il genere umano tenderebbe ad andare nel posto ovvio, e in caso di riuscita da parte di una Colonia le altre la seguirebbero in fretta, e, a un certo punto, il nuovo mondo sarebbe congestionato come il vecchio, ci sarebbero molte popolazioni con molte culture, molte Colonie con numerose ecologie.»
«E arriverebbe il momento di spingersi verso altre stelle.»
«Però il successo in un posto attirerà sempre altre Colonie, Eugenia. Una stella salubre, un buon pianeta, e gli altri accorreranno in massa.»
«Immagino di sì.»
«Ma se raggiungeremo una stella che è solo a poco più di due anni luce, la metà della distanza di Alfa Centauri, e nessuno a parte noi saprà nulla di questa stella, chi ci seguirà?»
«Nessuno… finché non scopriranno l’esistenza della Stella Vicina.»
«Una scoperta che potrebbe richiedere parecchio tempo, però. E intanto, tutti punteranno in massa su Alfa Centauri, o tra le poche destinazioni ovvie ne sceglieranno un’altra. Non noteranno mai una nana rossa a due passi da casa, o se la noteranno la riterranno subito non adatta all’uomo… se non sapranno che degli esseri umani sono già là, al lavoro.»
Eugenia fissò Pitt, incerta. «Ma questo che significa? Immaginiamo pure di raggiungere la Stella Vicina in gran segreto. Qual è il vantaggio?»
«Avremo un mondo tutto per noi. Se ci sarà un pianeta abitabile…»
«Non ci sarà. Non attorno a una nana rossa.»
«Allora potremo usare le materie prime che troveremo là per costruire tutte le Colonie che vorremo.»
«Insomma, avremo più spazio.»
«Sì. Molto più spazio, tutto lo spazio che gli altri, seguendoci, ci ruberebbero.»
«Guadagneremo solo un po’ di tempo, Janus. Alla fine occuperemo tutto lo spazio disponibile in quel sistema, anche se saremo soli. Impiegheremo cinquecento anni invece di duecento. Non vedo la differenza.»
«C’è una differenza enorme, Eugenia. Se lasceremo che le Colonie si ammassino a loro piacimento avremo mille culture diverse, che porteranno con sé tutti gli odii e i disadattamenti della triste storia terrestre. Se saremo soli, invece, potremo costruire un sistema di Colonie uniforme in quanto a cultura ed ecologia. Sarà una situazione molto migliore… meno caotica, meno anarchica.»
«Meno interessante. Meno variegata. Meno viva.»
«Niente affatto. Ci diversificheremo, ne sono sicuro. Le varie Colonie avranno delle differenze individuali, ma almeno queste differenze deriveranno da una base comune. E, proprio per questo, sarà un gruppo di Colonie molto migliore. E anche se mi sbaglio, mi pare che sia un esperimento a cui non possiamo rinunciare. Perché non dedichiamo una stella a questo tentativo di sviluppo ragionato e vediamo se funziona? Possiamo prendere una stella, una nana rossa che normalmente non interesserebbe a nessuno, e usarla, per vedere se siamo in grado di costruire un nuovo tipo di società, possibilmente migliore. Vediamo cosa siamo in grado di fare quando le nostre energie non sono spezzettate e logorate da inutili divergenze culturali, quando il nostro complesso biologico non viene alterato continuamente da assalti ecologici esterni.»
Eugenia Insigna fu toccata da quelle parole. Anche se non avesse funzionato, l’umanità avrebbe imparato qualcosa… che quel sistema non funzionava. E se, invece, avesse funzionato?
Poi però scosse la testa. «È un sogno inutile. La Stella Vicina sarà scoperta indipendentemente, per quanto cerchiamo di tenere nascosta la sua esistenza.»
«La tua scoperta è stata in parte fortuita, no, Eugenia? Sii sincera. Per caso hai notato la stella. Per caso l’hai confrontata con quello che compariva su un’altra carta. Poteva sfuggirti, no? Può darsi che sia sfuggita ad altri in circostanze simili, no?»
Eugenia Insigna non rispose, ma per Pitt la sua espressione era eloquente.
La voce di Janus Pitt era più bassa, quasi ipnotica. «Basta che il segreto rimanga tale per appena cent’anni. Se avremo cent’anni tutti per noi, per costruire la nostra nuova società, saremo abbastanza forti e numerosi da proteggerci e da costringere gli altri a proseguire verso altri mondi. Dopo di che non dovremo più nasconderci.»
Eugenia restò ancora in silenzio.
«Ti ho convinta?» chiese Pitt.
Lei parve scuotersi. «Non del tutto.»
«Allora pensaci, e dovresti farmi solo un favore. Mentre ci pensi, non parlare a nessuno della Stella Vicina, e dammi tutti i dati in tuo possesso perché li custodisca al sicuro. Non li distruggerò. Te lo prometto. Ci serviranno se vogliamo raggiungere la Stella Vicina. Ti senti di fare almeno questo, Eugenia?»
«Sì» rispose lei con un filo di voce. Poi si infervorò. «Una cosa, però… Il nome alla stella voglio darlo io. Se le darò un nome, sarà la mia stella.»
Pitt abbozzò un sorriso. «Come vuoi chiamarla? La Stella di Insigna? La Stella di Eugenia?»
«No. Non sono così sciocca. Voglio chiamarla Nemesis.»
«Nemesis? NEMESI?»
«Sì.»
«Perché?»
«Verso la fine del ventesimo secolo, per un breve periodo si sono fatte delle ipotesi circa l’esistenza di una stella compagna del Sole. Non si è concluso nulla, all’epoca. Non è stata trovata nessuna stella del genere, però negli studi dedicati ad essa, quella stella ipotetica veniva chiamata «Nemesis». Io vorrei onorare così quei pensatori audaci.»
«Nemesis? Non era il nome di una divinità greca? Di una divinità poco simpatica?»
«Era la Dea della Giustizia Distributrice, del Giusto Castigo, della Punizione. È un’espressione entrata a far parte della lìngua come termine piuttosto fiorito. Il computer l’ha definito «arcaico» quando ho controllato.»
«E perché allora l’avevano chiamata Nemesis?»
«Era qualcosa di legato alla nube cometaria. A quanto pare, Nemesis, nella sua rivoluzione attorno al Sole, avrebbe attraversato la nube provocando cataclismi cosmici dagli effetti devastanti per gran parte delle forme di vita terrestri ogni ventisei milioni di anni.»
Pitt assunse un’espressione di stupore. «È vero?»
«No. L’idea ha avuto vita breve. Comunque, voglio che il nome della stella sia questo. E voglio che, nei documenti ufficiali, risulti che sono stata io a battezzarla Nemesis.»
«Promesso, Eugenia. La scoperta è tua, e verrà registrata nei nostri archivi. Alla fine, quando il resto dell’umanità scoprirà la regione nemesiana… è l’aggettivo giusto?… quando la scopriranno, dicevo, tutti sapranno com’è avvenuta la scoperta e il nome dell’artefice. La tua stella, la tua Nemesis, sarà la prima stella, dopo il Sole, a splendere su una civiltà umana, e la prima in assoluto a splendere su una civiltà umana nata altrove.»
Pitt osservò Eugenia che si allontanava, e si sentì complessivamente fiducioso. La dottoressa si sarebbe schierata con lui. Permetterle di dare il nome alla stella era stata una mossa perfetta. Sicuramente, avrebbe voluto raggiungere la sua stella, adesso. Sarebbe stata attratta dall’idea di costruire una società logica e ordinata attorno alla sua stella, una civiltà da cui forse sarebbero discese altre civiltà sparse in tutta la Galassia.
Poi, mentre avrebbe potuto rilassarsi pregustando un futuro fulgido, Janus Pitt fu scosso da un brivido di orrore che gli era completamente estraneo.
Perché Nemesis? Perché le era venuto in mente di dare alla stella il nome della Dea del Castigo Divino?
Per poco, non fu tanto debole da interpretarlo come un sinistro presagio.