Crile Fisher si sforzò di reprimere la propria eccitazione, cercò di mantenere la stessa espressione calma degli altri.
Non sapeva dove fosse Tessa Wendel in quel momento. Non poteva essere lontana, perché l’Ultraluce era abbastanza piccola… però gli scompartimenti della nave erano disposti in maniera tale che due persone potevano benissimo non vedersi.
Gli altri tre membri dell’equipaggio erano semplici paia di mani per Fisher. Ognuno di loro aveva un compito da svolgere, e lo stava svolgendo. Solo Fisher non aveva un compito specifico… a parte quello di stare attento a non intralciare gli altri, forse.
Guardò i tre compagni (due uomini e una donna) in modo quasi furtivo. Li conosceva abbastanza, e aveva parlato spesso con loro. Erano tutti giovani. Il più anziano era ChaoLi Wu, trentotto anni, tecnico iperspaziale. C’erano poi Henry Jarlow, trentacinque anni, e Merry Blankowitz, la più giovane del gruppo, ventisette anni e fresca di laurea.
Tessa Wendel, coi suoi cinquantacinque anni, era vecchissima rispetto agli altri, però era l’inventrice, la progettista, la semidea del volo.
Era Fisher quello in soprannumero, che non c’entrava. Tra non molto avrebbe compiuto cinquant’anni, e non aveva nessuna specializzazione. In base all’età o al bagaglio di conoscenze, non aveva il diritto di trovarsi a bordo.
Ma era stato su Rotor. E questo contava. E Tessa Wendel lo voleva con sé, e questo contava ancor di più. E anche Tanayama e Koropatsky volevano che partisse, il che contava più di qualsiasi altra cosa.
La nave stava avanzando pesantemente nello spazio. Fisher lo sapeva, anche se non c’era nessun segno concreto che lo indicasse. Era qualcosa che Fisher sentiva, a livello viscerale. Pensò rabbioso: "Sono stato nello spazio molto più a lungo di tutti gli altri messi assieme, più volte, su più navi. Io capisco subito che questa nave non è agile, scattante, elegante. Lo sento. Loro, no!"
L’Ultraluce doveva fare a meno di certe caratteristiche. I normali propulsori che spingevano le astronavi normali attraverso il vuoto erano ridotti, limitati, sull’Ultraluce. Inevitabile, perché la maggior parte della nave era occupata dai motori iperspaziali.
Tessa apparve all’improvviso, i capelli un po’ scarmigliati, leggermente sudata.
«Tutto bene, Tessa?» chiese Fisher.
«Oh, sì.» Tessa appoggiò il posteriore a uno dei comodi avvallamenti della parete (molto utili, considerata la bassa pseudogravità mantenuta a bordo). «Nessun problema.»
«Quando entreremo nell’iperspazio?»
«Tra poche ore. Vogliamo raggiungere le coordinate giuste, in modo che tutte le sorgenti gravitazionali distorgano lo spazio come calcolato.»
«Per poterne tener conto esattamente?»
«Appunto.»
«Allora il volo iperspaziale non sembra molto pratico. E se non sai dov’è ogni cosa? Se hai fretta e non puoi fermarti a calcolare ogni contrazione gravitazionale?»
Tessa guardò Fisher e all’improvviso sorrise. «Non mi hai mai chiesto niente del genere, prima. Perché adesso me lo chiedi?»
«Perché è la prima volta che faccio un viaggio iperspaziale. Date le circostanze, è un interrogativo che sorge spontaneo con la massima urgenza.»
«Sono anni che mi trovo di fronte a interrogativi di questo tipo. Benvenuto nel club.»
«Rispondimi.»
«Volentieri. In primo luogo, ci sono delle apparecchiature che misurano l’intensità gravitazionale complessiva, considerata nei suoi aspetti scalari e tensoriali, in qualsiasi punto dello spazio, anche se non si conosce la zona in cui ci si trova. Il risultato non è precisissimo, sarebbe più preciso se si misurassero minuziosamente tutte le sorgenti gravitazionali facendo poi la somma… ma è abbastanza preciso, se il tempo è prezioso. E se il tempo è ancor più prezioso e, per così dire, devi premere il pulsante dell’iperspazio sperando che la gravità non sia molto rilevante, e per caso ti sbagli leggermente, allora la transizione sarà seguita da qualcosa equivalente grosso modo a uno scossone… come varcare una soglia inciampando con la punta della scarpa. Se possiamo evitarlo, benissimo, ma in caso contrario non è detto che debba essere per forza una cosa fatale. Naturalmente, trattandosi della prima transizione, ci piacerebbe che avvenisse nel modo più dolce possibile, per motivi psicologici… se non altro.»
«E se hai fretta, pensi che la gravità sia trascurabile, e invece non è così?»
«Devi augurarti che non accada.»
«Hai parlato di tensioni durante la transizione. Questo significa che la nostra prima transizione potrebbe essere fatale, anche tenendo conto della gravità.»
«Potrebbe. Ma le probabilità che si verifichi un incidente fatale in una transizione sono bassissime.»
«Anche se non fosse fatale, potrebbe essere spiacevole, no?»
«È più difficile rispondere a questa domanda, perché in questo caso si tratta di esprimere un giudizio soggettivo. Devi renderti conto che non c’è accelerazione. Con l’iperassistenza, una nave deve raggiungere la velocità della luce, e perfino superarla per certi periodi, usando un campo iperspaziale a bassa energia. Il rendimento è basso, le velocità sono alte, i rischi notevoli, e francamente non so quali possano essere i disagi. Col volo ultraluce, usando un campo iperspaziale ad alta energia, noi compiamo la transizione a velocità normali. Magari viaggiamo a una velocità di mille chilometri al secondo, e un attimo dopo filiamo a mille milioni di chilometri al secondo senza accelerazione. E dato che non c’è accelerazione, non la sentiamo.»
«Com’è possibile che non ci sia accelerazione se la velocità aumenta in un attimo di un milione di volte?»
«Perché la transizione è l’equivalente matematico dell’accelerazione. Tuttavia, mentre il corpo umano reagisce all’accelerazione, non reagisce alla transizione.»
«Ma come si fa a stabilirlo?»
«Inviando degli animali nell’iperspazio da un punto a un altro punto. Sono nell’iperspazio solo per una frazione di microsecondo, ma è la transizione spazioiperspazio che ci interessa, e questa transizione avviene in entrambe le direzioni anche per un passaggio brevissimo nell’iperspazio.»
«E avete provato con gli animali?»
«Certo. Arrivati a destinazione, non potevano raccontarci le loro impressioni, però erano illesi, tranquilli. Chiaramente non avevano subito alcun danno. Abbiamo provato con decine di animali di ogni genere. Perfino con le scimmie, e sono sopravvissute tutte benissimo… a parte un caso.»
«Ah! E in quell’unico caso, cos’è successo?»
«L’animale era morto, mutilato in modo… grottesco. Ma l’incidente è stato provocato da un errore di programmazione. Non è stata la transizione. E qualcosa del genere può accadere anche a noi. È improbabile, però è possibile. Equivarrebbe a varcare una soglia, inciampare, cadere e rompersi il collo. Sono cose che capitano, però non ci aspettiamo che capitino tutte le volte che varchiamo una soglia. Va bene?»
«Non ho scelta, immagino» osservò Fisher, torvo. «Va bene.»
Due ore e ventisette minuti dopo, la nave passò indenne nell’iperspazio, senza che i membri dell’equipaggio avvertissero nulla, e il primo volo ultraluce a velocità molto superiori a quella della luce ebbe luogo.
La transizione avvenne alle 21,20 del 15 gennaio 2237, ora standard terrestre.