Orile Fisher studiò l’Ultraluce, impassibile. Era la prima volta che la vedeva, e lanciando una rapida occhiata a Tessa Wendel notò che la scienziata stava sorridendo, senza dubbio orgogliosa della propria creazione.
L’Ultraluce si trovava in una enorme caverna, all’interno di una tripla rete di sicurezza. C’erano degli esseri umani presenti, ma la maggior parte della manodopera era costituita da robot computerizzati (nonumanoidi).
Fisher aveva visto molte astronavi, modelli diversi destinati agli impieghi più disparati, però non ne aveva mai vista una come l’Ultraluce… una dall’aspetto così ripugnante.
Se l’avesse vista senza sapere cos’era, forse non avrebbe nemmeno intuito che si trattava di un’astronave. Cosa poteva dire, allora? Non voleva fare arrabbiare Tessa. E d’altra parte, era chiaro che Tessa voleva la sua opinione e si aspettava degli elogi.
Così, il tono piuttosto spento, Crile Fisher disse: «Ha una grazia strana, misteriosa… ricorda abbastanza una vespa…».
Tessa aveva sorriso all’espressione "una grazia strana, misteriosa", e Fisher si era reso conto di avere scelto le parole giuste. Poi però la scienziata sbottò: «Che significa, "ricorda abbastanza una vespa"?»
«Mi riferisco a un insetto» spiegò Crile. «Lo so che su Adelia non siete molto pratici di insetti.»
«Li conosciamo, gli insetti» replicò Tessa. «Non avremo l’abbondanza caotica della Terra…»
«Probabilmente non avete le vespe. Sono insetti che pungono, piuttosto simili a…» Crile indicò L’Ultraluce. «Anche le vespe hanno un grosso rigonfiamento anteriore, un altro rigonfiamento dietro, e un raccordo centrale stretto.»
«Davvero?» Tessa guardò l’Ultraluce e nei suoi occhi brillò una scintilla improvvisa di interesse. «Quando puoi, trovami l’immagine di una vespa. Può darsi che capisca meglio la struttura della nave vedendo l’insetto… o viceversa.»
«Ma allora, come mai ha questa forma, se non è stata ispirata dalla vespa?»
«Ci serviva una geometria che massimizzasse la possibilità di spostamento dell’intera nave come blocco compatto. L’ipercampo, in realtà, tende a estendersi verso l’esterno cilindricamente, all’infinito, e noi lo lasciamo libero, entro certi limiti. D’altra parte, bisogna pur controllarlo, non si può cedere completamente, e infatti si deve isolarlo nei rigonfiamenti. L’ipercampo è appena all’interno dello scafo, alimentato e racchiuso da un intenso campo elettromagnetico alternato, e… Ma a te non interessano tutte queste cose, vero?»
«Non credo» disse Fisher, abbozzando un sorriso. «Ho sentito abbastanza. Ma dato che finalmente ho avuto il permesso di vedere questa…»
«Su, non fare l’offeso, adesso.» Tessa gli cinse la vita con il braccio. «Potevano entrare solo gli addetti ai lavori. Certe volte non sopportavano neppure la mia presenza. Secondo me, continuavano a brontolare, a lamentarsi di avere tra i piedi una colona sospetta e troppo ficcanaso per i loro gusti, e scommetto che se non fossi stata io a inventare l’ipercampo mi avrebbero subito sbattuta fuori. Adesso, però, la situazione si è normalizzata abbastanza, e ho potuto fare in modo che tu venissi qui a vedere la nave. In fin dei conti, un giorno anche tu sarai a bordo di questa nave, e volevo che l’ammirassi.» Tessa esitò, quindi aggiunse: «E che mi ammirassi».
Crile la guardò. «Lo sai che ti ammiro, Tessa, indipendentemente da tutto questo.» E le cinse le spalle.
«Continuo a invecchiare, Crile… è un processo inarrestabile. E sono anche soddisfattissima di te… incredibile. Sono con te da quasi otto anni, e non ho più sentito il desiderio di conoscere altri uomini, di fare nuove esperienze in questo campo.»
«È tanto grave la cosa? Forse è dipeso solo dal progetto, sei stata troppo impegnata. Adesso che la nave è ultimata, probabilmente proverai un senso di liberazione, e avrai abbastanza tempo per riprendere la caccia.»
«No. Non avverto più quello stimolo, non l’avverto proprio. Ma… e tu? So che ti trascuro a volte…»
«Nessun problema. Quando mi trascuri per il tuo lavoro, mi va benissimo. Desidero la nave quanto te, cara, e c’è un incubo che mi perseguita… la paura che quando la nave sarà finalmente pronta, noi saremo troppo vecchi e non ci lasceranno partire.» Fisher sorrise, ma era un sorriso mesto. «Tieni presente, Tessa, che non sei l’unica a invecchiare, che anch’io ho superato da un pezzo la gioventù. Tra meno di due anni, ne compirò cinquanta. Ma devo chiederti una cosa… e te la chiederò, anche se sono un po’ riluttante perché ho paura di rimanere deluso.»
«Sentiamo.»
«Sei riuscita a mostrarmi la nave, a farmi entrare in questo sancta sanctorum. Ecco, non penso che Koropatsky l’avrebbe permesso se il progetto non fosse ormai ultimato. Anche lui è un maniaco della sicurezza, quasi come Tanayama.»
«Sì, per quanto riguarda l’ipercampo, la nave è pronta.»
«Ha volato?»
«Non ancora. Bisogna ancora sistemare alcune cose, ma non riguardano direttamente l’ipercampo.»
«Saranno necessari dei voli di prova, immagino.»
«Con un equipaggio a bordo, naturalmente. Senza equipaggio sarebbe inutile, perché non avremmo la certezza del perfetto funzionamento dei sistemi di sopravvivenza… non l’avremmo nemmeno usando degli animali.»
«Chi parteciperà al primo viaggio?»
«Dei volontari scelti tra i membri qualificati del progetto.»
«E tu?»
«Io sarò l’unica persona a non offrirsi volontaria. Io devo andare. Se dovesse verificarsi un’emergenza, voglio essere io a decidere il da farsi… non mi fiderei di nessun altro.»
«Allora… vengo anch’io?» chiese Crile.
«No.»
L’espressione di Fisher si fece subito cupa di rabbia. «Ma gli accordi…»
«Non parlavano dei voli di prova, Crile.»
«E quando finiranno?»
«Difficile dirlo. Dipende dai problemi che potrebbero sorgere. Se non ci sarà nessun intoppo, può darsi che due o tre voli bastino, che tutto si risolva nel giro di qualche mese»
«Quando si farà il primo volo di prova?»
«Non lo so, Crile. Stiamo ancora lavorando alla nave.»
«Avevi detto che era pronta.»
«Sì, per quel che riguarda l’ipercampo, è pronta. Ma stiamo installando i rivelatori neuronici.»
«Cosa sono? Non me ne hai mai parlato.»
Tessa Wendel non rispose. Si guardò attorno, pensierosa, poi disse: «Stiamo attirando l’attenzione, Crile, e ho il sospetto che certa gente qui non gradisca la tua presenza. Andiamo a casa».
Fisher non si mosse. «Ah, dunque ti rifiuti di parlare. Anche se è una questione della massima importanza per me.»
«Ne parliamo a casa.»
Crile Fisher era agitato, furibondo. Non aveva voluto sedersi e adesso sovrastava Tessa Wendel, che lo stava guardando accigliata dopo essersi accomodata scrollando le spalle sul divano bianco componibile.
«Perché sei arrabbiato, Crile?»
A Fisher tremavano le labbra. Le strinse, e attese un po’ prima di rispondere, quasi stesse cercando di imporsi la calma ricorrendo a un semplice sforzo muscolare.
Infine disse: «Formando un equipaggio senza di me, si creerà un precedente. E io non partirò mai. C’è una cosa che va chiarita subito… tutti devono capire che io faccio parte dell’equipaggio della nave, sempre… sia adesso, sia durante il viaggio verso la Stella Vicina… e Rotor. Non voglio essere escluso».
«Le tue sono conclusioni avventate. Non verrai escluso quando arriverà il momento cruciale. E poi la nave non è nemmeno pronta, per ora.»
«Avevi detto che era pronta. Cosa sono questi rivelatori neuronici che tiri in ballo all’improvviso? È tutto un trucco per farmi star buono, per distrarmi, e filare con la nave prima che mi accorga di essere stato escluso. Ecco a cosa mirano. E tu fai il loro gioco.»
«Crile, tu sei pazzo. L’idea del rivelatore neuronico è stata mia. Sono stata io a volerlo, a insistere.» Tessa lo fissò impassibile, sfidandolo con lo sguardo.
«L’idea è stata tua?» esplose Crile. «Ma…»
Tessa lo zittì alzando la mano. «È un progetto che abbiamo portato avanti di pari passo con la costruzione della nave. È una cosa che non rientra nel mio campo, ma per averla non ho dato un attimo di tregua ai neurofisici. Il motivo? Proprio perché voglio che tu sia a bordo della nave quando partirà per la Stella Vicina. Non capisci?»
Crile scosse la testa.
«Rifletti, Crile. Capiresti subito, se non fossi accecato da questa rabbia immotivata. È chiarissimo… Si tratta di un "rivelatore neuronico". Individua l’attività nervosa a distanza… l’attività nervosa complessa. In parole povere, individua la presenza dell ‘intelligenza.»
Fisher la fissò. «Parli dello strumento che usano i medici negli ospedali…»
«Certo. È uno strumento che viene impiegato abitualmente in medicina e in psicologia per individuare i disturbi mentali nella fase iniziale… ma a una distanza di metri. Io ho bisogno di un rivelatore utilizzabile a distanze astronomiche. Non è una nuova invenzione. È un vecchio strumento con un raggio d’azione ampliato enormemente. Crile, se Marlene è viva, sarà su Rotor… una Colonia in orbita chissà dove attorno alla stella. Non sarà facile localizzarlo, te l’ho detto. Se non lo troveremo in fretta, saremo sicuri che non sia là… o ci rimarrà il dubbio di essercelo lasciato sfuggire come un’isola nell’oceano o un asteroide nello spazio? E cosa faremo, allora? Continueremo a cercare per mesi, o anni, per controllare che non ci sia semplicemente sfuggito?»
«E il rivelatore neuronico…»
«Troverà Rotor.»
«Ma non sarà ugualmente un’impresa ardua localizzare…»
«No. L’universo è invaso da onde radio e onde luminose e radiazioni di ogni genere, e noi dovremo distinguere una fonte in mezzo a migliaia di altre. Si può fare, ma non è facile, e forse sarà un lavoro lungo. Comunque, la radiazione elettromagnetica tipica dell’attività neuronica complessa è un fenomeno unico. È improbabile che ci sia un’altra sorgente identica a quella che cerchiamo… o se ci sarà, sarà perché Rotor avrà costruito un’altra Colonia. Capito, adesso? Anch’io sono decisa a trovare tua figlia, ad aiutarti. Se non ti volessi sulla nave con noi, non farei tutto questo, no? Stai tranquillo, partirai.»
Fisher parve confuso. «E hai costretto tutti quanti ad accontentarti?»
«Ho un potere considerevole, Crile. E c’è dell’altro. È una cosa riservatissima… ecco perché non ho potuto parlartene là alla nave.»
«Oh? Di che si tratta?»
Il tono di Tessa Wendel si addolcì. «Crile, io penso spesso a te, più di quel che credi. Non immagini quanto desideri evitarti una delusione. E se non trovassimo nulla attorno alla Stella Vicina? E se il rivelatore ci dicesse che nei pressi della stella non c’è nessuna forma di vita intelligente? Dovremmo tornare subito a casa, a comunicare che non abbiamo trovato la minima traccia di Rotor? Su, Crile, adesso non abbatterti… La mancanza di radiazioni neuroniche nelle vicinanze della stella non dimostrerebbe nulla, non significherebbe necessariamente la morte di Rotor.»
«Ah, no? E cosa significherebbe?»
«Be’, può darsi che i rotoriani non siano stati soddisfatti della stella e abbiano deciso di proseguire… o che si siano fermati solamente per estrarre dagli asteroidi dei minerali di cui avevano bisogno, del materiale da costruzione, o per rinnovare i loro motori a microfusione.»
«In questo caso, come faremo a trovarli?»
«Sono partiti da quasi quattordici anni. Con l’iperassistenza, possono viaggiare solo alla velocità della luce. Se hanno raggiunto qualche stella e si sono insediati nelle sue vicinanze, la stella deve trovarsi entro un raggio di quattordici anni luce dalla Terra. Non sono molte le stelle comprese in questa distanza. Con la velocità ultraluce, possiamo raggiungerle tutte. Coi rivelatori neuronici, possiamo stabilire in breve tempo se Rotor si trova nelle vicinanze di una di queste stelle.»
«Ma se stessero viaggiando nello spazio interstellare in questo momento? Come faremmo a individuarli?»
«Non li individueremmo. Ma almeno le nostre probabilità di successo aumenteranno un po’ se in sei mesi esploreremo una dozzina di stelle usando il rivelatore neuronico, invece di dedicare lo stesso tempo a una ricerca inutile attorno a una sola stella. E se falliremo… perché, sì, dobbiamo renderci conto che possiamo fallire… almeno torneremo con parecchi dati su una dozzina di stelle… una nana bianca, una stella biancazzurra, una gemella del Sole, una binaria e via dicendo. Difficilmente faremo più di un viaggio in vita nostra, quindi tanto vale approfittarne e passare alla storia con un’impresa in grande stile, no, Crile?»
«Credo che tu abbia ragione, Tessa» disse Fisher, pensieroso. «Perlustrare una dozzina di stelle senza trovare nulla sarà un duro colpo, certo, ma sarebbe molto peggio esplorare i dintorni di un’unica stella e rientrare tormentati dal dubbio, dal pensiero che Rotor avrebbe potuto essere altrove, in un punto che avremmo potuto raggiungere se avessimo continuato a esplorare senza problemi di tempo.»
«Esattamente.»
«Cercherò di ricordarlo» annuì mesto Crile.
«Un’altra cosa… Il rivelatore neuronico potrebbe individuare la presenza di una intelligenza di origine extraterrestre. Sarebbe una scoperta sensazionale, da non lasciarsi sfuggire.»
Fisher parve sorpreso. «Ma è improbabile, vero?»
«Molto improbabile. Però, se questa intelligenza dovesse esistere, è importante che lo sappiamo, soprattutto se si trova entro un raggio di quattordici anni luce dalla Terra. Nell’universo non può esserci nulla di più interessante di un’altra forma di vita intelligente… o di più pericoloso.»
«Che probabilità ci saranno di individuarla, se sarà di origine extraterrestre? I rilevatori neuronici sono stati costruiti per captare solo l’intelligenza umana. Secondo me, non solo non riconosceremo una forma di vita aliena intelligente, non capiremo nemmeno di trovarci di fronte a un organismo vivente.»
«Forse non riusciremo a riconoscere la vita, ma non possiamo non riconoscere l’intelligenza, a mio avviso, ed è l’intelligenza che stiamo cercando. Per quanto aliena, per quanto irriconoscibile, l’intelligenza deve comportare la presenza di una struttura complessa, molto complessa… complessa almeno quanto il cervello umano. E soprattutto, deve comportare l’interazione elettromagnetica. L’attrazione gravitazionale è troppo debole; le interazioni nucleari forte e debole hanno un raggio troppo breve. E questo nuovo ipercampo ci cui ci serviamo per il volo ultraluce, non esiste in natura per quel che ne sappiamo, ma esiste solo quando è creato dall’intelligenza.
"Il rivelatore neuronico è in grado di individuare il campo elettromagnetico altamente complesso che caratterizza l’intelligenza, indipendentemente dalla forma o dalla struttura chimica dell’organismo intelligente. E noi saremo pronti ad apprendere o a fuggire. Per quanto riguarda le forme di vita non intelligenti, è difficilissimo che possano essere pericolose per una civiltà tecnologica come la nostra… anche se qualsiasi forma di vita aliena, perfino allo stadio di virus, sarebbe senza dubbio interessante.»
«E perché tutto questo deve rimanere segreto?»
«Perché ho il sospetto… no, anzi, lo so… perché so che i membri del Congresso Mondiale vorranno che torniamo al più presto, così saranno sicuri della riuscita del progetto e potranno iniziare a costruire modelli più perfezionati di nave ultraluce basandosi sulla nostra esperienza col prototipo. Io vorrei vedere l’universo e farli aspettare, invece, se le cose andranno bene. Non dico che lo farò, però voglio essere io a decidere, voglio avere la possibilità di scelta. Se conoscessero le mie intenzioni, ho il sospetto che cercherebbero di equipaggiare la nave con delle persone più docili, più disposte ad obbedire agli ordini.»
Fisher sorrise debolmente.
«Che c’è, Crile?» chiese Tessa. «E se non ci fosse traccia di Rotor? Cosa faresti? Vorresti tornare sulla Terra deluso? Avresti l’universo a portata di mano, ma rinunceresti?»
«No. Sto solo chiedendomi quanto ci vorrà per installare i rivelatori e tutti gli altri marchingegni che potrebbero venirti in mente. Tra un paio d’anni raggiungerò i cinquanta. A cinquant’anni, gli agenti dell’Ufficio devono abbandonare il servizio attivo. Ricevono incarichi amministrativi e rimangono sulla Terra dietro una scrivania, e non possono più viaggiare nello spazio.»
«Be’?»
«Tra un paio d’anni, non avrò più i requisiti necessari per il viaggio. Diranno che sono troppo vecchio, e non avrò l’universo a portata di mano, in conclusione.»
«Sciocchezze! Io partirò, e ho già superato i cinquanta.»
«Tu sei un caso speciale. È la tua nave, no?»
«Anche tu sei un caso speciale, dal momento che insisterò per averti a bordo. E poi, non sarà facile trovare le persone adatte per l’Ultraluce. Sarà già un problema convincere qualcuno a offrirsi volontario. E dovranno essere volontari… perché non possiamo rischiare di affidare la nave a delle reclute maldisposte e spaventate.»
«Perché non dovrebbero offrirsi volontari?»
«Perché sono terrestri, mio caro Crile, e per quasi tutti i terrestri lo spazio è sinonimo di orrore. L’iperspazio è qualcosa di ancor più orribile, quindi la gente si tirerà indietro. Ci saremo noi due, e ci serviranno altri tre volontari e, credimi, non sarà facile trovarli. Ho tastato il terreno, ho sentito parecchie persone, e per il momento ho solo due elementi validi che hanno fatto una mezza promessa: ChaoLi e Henry Jarlow. La terza persona deve ancora saltar fuori. E anche se per caso i volontari poi fossero una dozzina, tu non sarai escluso perché io insisterò e ti vorrò al mio fianco come ambasciatore in previsione di un incontro con i rotoriani… se sarà necessario. E comunque ti prometto che la nave partirà prima che tu compia cinquant’anni.»
Finalmente, Crile Fisher sorrise, risollevato. «Tessa, ti amo. Sai, ti amo davvero.»
«No… non so se mi ami davvero, soprattutto quando lo dici con quel tono, come se fosse un’ammissione sorprendente per te. È strano, Crile, molto strano… sono quasi otto anni che ci conosciamo, che viviamo insieme, che facciamo l’amore, ma non l’hai mai detto una sola volta.»
«No?»
«Credimi, ho ascoltato. E sai cos’è strano, poi? Non ho mai detto che ti amo, eppure ti amo. Non era iniziata così, questa storia. Secondo te, cos’è successo?»
Fisher rispose sottovoce: «Forse ci siamo innamorati a poco a poco e non ce ne siamo mai accorti. A volte può succedere, non credi?».
E si sorrisero timidamente, quasi stessero chiedendosi che fare a questo punto.