Ufficialmente, aveva un nome molto elaborato, ma era chiamata Stazione Quattro dai pochi terrestri che avevano occasione di parlarne. Dal nome si capiva subito che c’erano state tre stazioni come quella in precedenza… non erano più in funzione, però, dato che erano state cannibalizzate. C’era anche una Stazione Cinque, che era stata abbandonata prima di essere ultimata.
Probabilmente, la grande maggioranza della popolazione terrestre non pensava mai alla Stazione Quattro, che ruotava lentamente attorno alla Terra seguendo un’orbita molto più esterna rispetto alla Luna.
Le vecchie stazioni erano state le piattaforme di lancio della Terra per la costruzione della prime Colonie, poi, quando i coloni avevano cominciato a costruire le Colonie da soli, la Stazione Quattro era stata usata dalla Terra per i voli su Marte.
Comunque, i viaggi su Marte si erano ridotti a uno solo, perché si era scoperto che i coloni erano molto più adatti, psicologicamente, ai lunghi voli (dato che i mondi su cui vivevano erano enormi astronavi), e la Terra aveva lasciato ai coloni quel compito, con un sospiro di sollievo.
La Stazione Quattro ormai non veniva più usata, in pratica, e per la Terra era solo un avamposto nello spazio, un simbolo, per dimostrare che i coloni non erano gli unici padroni delle distese smisurate al di là dell’atmosfera terrestre.
Ma adesso la Stazione Quattro serviva a qualcosa.
Un grande cargo spaziale si era diretto proprio là, e sulle Colonie correva voce che la Terra avrebbe tentato di nuovo (per la prima volta nel venti treesimo secolo) di sbarcare su Marte. Semplicemente per esplorare, secondo alcuni; per insediare una colonia terrestre su Marte e aggirare le poche Colonie in orbita attorno al pianeta, secondo altri; per creare un avamposto su un asteroide non ancora occupato da qualche Colonia, secondo altri ancora.
In realtà, il cargo trasportava l’Ultraluce e l’equipaggio che l’avrebbe spinta tra le stelle.
Tessa Wendel, nonostante gli otto anni trascorsi sulla Terra, affrontò con calma il viaggio nello spazio, da buona colona. Le astronavi erano molto più simili a una Colonia che al pianeta Terra. E proprio per questo, malgrado in passato avesse compiuto diversi voli spaziali, Crile Fisher era un po’ agitato.
Ma a bordo del cargo la tensione non dipendeva soltanto dall’ambiente e dalle condizioni poco familiari. Fisher disse: «Non sopporto l’attesa, Tessa. Ci sono voluti anni per arrivare a questo punto, e l’Ultraluce è pronta finalmente, e aspettiamo ancora!»
Tessa Wendel lo fissò pensosa. All’inizio non aveva nessuna intenzione di legarsi a lui in quel modo. Desiderava degli attimi di relax, per riposare la mente affaticata dalla complessità del progetto e tornare poi al lavoro con la freschezza e la prontezza necessarie. Ecco quali erano le sue intenzioni, invece…
Adesso si ritrovava legata anima e corpo a lui, e i problemi di Crile la riguardavano in prima persona. Gli anni di attesa si sarebbero rivelati inutili, e Tessa era preoccupata perché alla delusione inevitabile di Crile sarebbe seguita la disperazione. Aveva cercato di ridimensionare i suoi sogni, di raffreddare l’entusiasmo con cui pregustava già l’incontro con la figlia, ma non c’era riuscita. Anzi, nell’ultimo anno, Crile era diventato più ottimista, inspiegabilmente… o almeno, se c’era un motivo, lui non le aveva detto nulla.
Tessa, alla fine, aveva concluso (con suo grande sollievo) che Crile cercava solo la figlia, non la moglie. A dire il vero, non aveva mai capito come mai desiderasse tanto una figlia che aveva visto solo da piccola, ma Crile non le aveva dato spiegazioni e lei aveva preferito lasciar perdere l’argomento. Perché insistere? A che scopo? Senza dubbio sua figlia era morta, come tutti i rotoriani, e Rotor, anche ammesso che si trovasse nei pressi della Stella Vicina, doveva essere ormai una tomba gigantesca, alla deriva nello spazio, per sempre… individuabile solo grazie a una incredibile coincidenza. E quando quella prospettiva inevitabile sarebbe diventata realtà, Tessa avrebbe dovuto controllare Crile, calmarlo, aiutarlo a rimanere lucido.
Tessa lo blandì dicendo: «Ci restano appena due mesi di attesa… al massimo. Dato che abbiamo aspettato anni e anni, che vuoi che siano altri due mesi?»
«Proprio perché abbiamo aspettato per anni, anche due mesi sono insopportabili a questo punto» borbottò Fisher.
«Rassegnati, Crile. Impara a fare buon viso a cattiva sorte. Il Congresso Mondiale non vuole che partiamo prima, e basta. Le Colonie ci tengono d’occhio, e non è detto che tutti pensino che puntiamo su Marte, non abbiamo nessuna garanzia in questo senso. Sarebbe strano se lo pensassero, considerati i precedenti spaziali della Terra. Se non faremo nulla per due mesi, crederanno che abbiamo dei problemi… non avranno difficoltà a crederlo, e saranno anche contenti… e rivolgeranno altrove la loro attenzione.»
Fisher scosse la testa rabbioso. «Che importa se sanno dove andiamo? Spariremo subito, e loro non realizzeranno il volo ultraluce per chissà quanti anni… e nel frattempo noi avremo una flotta di navi ultraluce e ci appresteremo a conquistare la Galassia.»
«Non darlo per scontato. È più facile imitare e superare che creare. E il governo terrestre, dal momento che non ha combinato granché nello spazio dopo che le Colonie hanno raggiunto la maturità, evidentemente tiene a questo primato per motivi psicologici.» Tessa si strinse nelle spalle. «E poi, questi due mesi ci servono per effettuare altri test sull’Ultraluce in condizioni di bassa gravità.»
«Gli esperimenti non finiscono mai, vero?»
«Non essere impaziente. È una tecnica nuovissima, mai sperimentata direttamente, diversa da tutto quello che l’umanità ha avuto finora, quindi è fin troppo facile pensare a dei nuovi test, soprattutto dal momento che non sappiamo di preciso in che modo l’intensità di un campo gravitazionale influisca sul passaggio nell’iperspazio e sull’uscita dall’iperspazio. Davvero, Crile, se siamo prudenti non puoi biasimarci. In fin dei conti, fino a dieci anni fa, il volo ultraluce era considerato teoricamente impossibile.»
«Si può esagerare anche con la prudenza.»
«Può darsi. Ma alla fine deciderò che avremo fatto il possibile, e decolleremo. Te lo prometto, Crile, non aspetteremo più del necessario. Non esagererò con la prudenza.»
«Lo spero.»
Tessa lo guardò dubbiosa. Doveva chiederglielo. «Sai, Crile, sei cambiato ultimamente, mi sembra che tu frema d’impazienza. Per un po’ ti eri calmato, poi all’improvviso è tornata la frenesia. È successo qualcosa di cui non sono al corrente?»
Fisher si calmò di colpo. «Non è successo nulla. Cosa può essere successo?»
Ecco, adesso si era calmato troppo in fretta, quella sua aria di normalità forzata era molto sospetta, rifletté Tessa Wendel. «Sono io che ti sto chiedendo cosa può essere successo. Ho cercato di avvisarti, Crile… è improbabile che Rotor sia ancora un mondo vivo, o che noi lo troviamo, in ogni caso. Non troveremo tua… Difficilmente troveremo dei superstiti.» Attese, mentre Fisher si chiudeva in un silenzio ostinato, poi soggiunse: «Ti ho avvertito di… questa possibilità, no?»
«Spesso» rispose Fisher.
«Eppure, adesso sembra che ti aspetti un lieto fine, che tu abbia la certezza che l’incontro che sogni avverrà. È pericoloso illudersi, nutrire delle speranze che difficilmente si realizzeranno, imperniare la propria vita su queste speranze. Da cosa deriva questo cambiamento improvviso? Hai parlato con qualcuno che ti ha trasmesso un ottimismo ingiustificato?»
Fisher arrossì. «Perché devo aver parlato con qualcuno? Non posso arrivare a delle conclusioni da solo? Anche se non capisco la fisica teorica come te, non significa che sia subnormale o stupido.»
«No, Crile, non ho mai pensato una cosa del genere, né intendevo insinuarla. Dimmi cosa pensi a proposito di Rotor.»
«Nulla di trascendentale. Penso semplicemente che nello spazio vuoto in pratica non c’è nulla che possa avere distrutto Rotor. Facile dire che adesso Rotor potrebbe essere solo un relitto, ammesso che abbia raggiunto la Stella Vicina, ma cosa dovrebbe averlo distrutto durante il viaggio o una volta a destinazione? Prova a descrivermi la catastrofe. Quale sarebbe stata la causa? Una collisione… un’intelligenza aliena…? Sentiamo.»
«Crile, mi chiedi una cosa impossibile. Non ho nessuna visione mistica. Io mi baso soltanto sull’iperassistenza. È una tecnica rischiosa, delicata, credimi. Non usa in modo costante né lo spazio né l’iperspazio, ma si mantiene sull’interfaccia oscillando da una parte o dall’altra per brevi periodi, passando dallo spazio all’iperspazio e viceversa parecchie volte al minuto, forse. Quindi può darsi che questo tipo di passaggio sia avvenuto un milione di volte, o più, durante il viaggio dal Sistema Solare alla Stella Vicina.»
«E allora?»
«E allora, si da il caso che la transizione sia molto più pericolosa del volo costante nello spazio o nell’iperspazio. Non so fino a che punto i rotoriani avessero approfondito la teoria iperspaziale… non molto, probabilmente, altrimenti sarebbero arrivati senza dubbio al vero volo ultraluce. Nel nostro progetto, in cui abbiamo elaborato dettagliatamente la teoria iperspaziale, siamo riusciti a stabilire l’effetto del passaggio dallo spazio all’iperspazio e viceversa sui corpi.
"Se un oggetto è un punto, durante la transizione non è sottoposto ad alcuna tensione. Se un oggetto non è un punto, però, se è un un blocco di materia, come una nave, per un certo periodo di tempo una parte dell’oggetto si trova nello spazio e una parte nell’iperspazio, sempre. Questo crea una tensione, e l’intensità della tensione dipende dalle dimensioni dell’oggetto, dalla sua costituzione fisica, dalla velocità di transizione, eccetera eccetera. Anche per un oggetto delle dimensioni di Rotor, una sola transizione, o una dozzina se è per questo, non è pericolosa… il pericolo è talmente piccolo da essere trascurabile.
"Quando l’Ultraluce viaggerà verso la Stella Vicina, forse effettueremo una dozzina di transizioni, o forse appena un paio. Sarà un volo sicuro. In un volo iperassistito e basta, invece, le transizioni nel corso dello stesso viaggio possono essere un milione, e le probabilità di una tensione fatale aumentano.»
Fisher parve sgomento. «È una cosa certa?»
«No, non c’è nulla di certo. Siamo nel campo statistico. Una nave potrebbe compiere un milione di transizioni, o un miliardo, senza il minimo danno. D’altra parte, potrebbe essere distrutta alla prima transizione. Comunque, con l’aumento del numero di transizioni, le probabilità che si verifichi un incidente aumentano notevolmente. Secondo me, i rotoriani hanno affrontato il viaggio ignorando perlopiù i pericoli della transizione. Se avessero avuto una conoscenza più approfondita, non sarebbero mai partiti. Dunque, è molto probabile che abbiano sperimentato direttamente gli effetti di questa tensione… una tensione abbastanza debole da consentirgli di trascinarsi a stento fino alla stella, forse… o forse abbastanza forte da disintegrarli. Perciò, potremmo trovare un relitto, o nemmeno quello.»
«O una Colonia ancora in vita» disse Fisher, ribellandosi.
«Certo» ammise Tessa Wendel. «Oppure, contrariamente alle probabilità, la tensione potrebbe distruggerci, e in tal caso non scopriremmo nulla. Ti chiedo solo di non basarti su delle certezze, bensì su delle probabilità. E ricorda che per arrivare a delle conclusioni ragionevoli bisogna conoscere bene la teoria iperspaziale.»
Fisher rimase in silenzio, chiaramente depresso, mentre Tessa lo osservava inquieta.
La Stazione Quattro era un ambiente strano per Tessa Wendel. Era come se qualcuno avesse costruito una minuscola Colonia per servirsene unicamente come laboratorio, osservatorio e piattaforma di lancio. Non c’erano fattorie, non c’erano abitazioni, mancavano tutti gli impianti e le attrezzature di una vera Colonia, per quanto piccola. Mancava perfino una rotazione attorno al proprio asse che creasse un campo pseudogravitazionale adeguato.
Non era altro che un’astronave affetta da acromegalia. Anche se avrebbe potuto essere occupata permanentemente, a patto che ci fosse un rifornimento continuo di cibo, aria e acqua (il sistema di riciclaggio locale era limitato e inefficiente), era chiaro che nessun individuo avrebbe resistito a lungo lì.
La Quattro sembrava una vecchia stazione costruita agli inizi dell’Era Spaziale e sopravvissuta inspiegabilmente fino al ventitreesimo secolo, era stato il commento amaro di Crile Fisher.
Aveva però una particolarità unica. Offriva una vista panoramica del sistema TerraLuna. Dalle Colonie in orbita attorno alla Terra, era raro riuscire ad avere una visione d’insieme dei due corpi celesti. Dalla Stazione Quattro, invece, la Terra e la Luna non erano mai separate da più di quindici gradi, e via via che la Stazione Quattro ruotava attorno al centro di gravità di quel sistema (che corrispondeva grosso modo alla Terra) il cambiamento di posizione e di fase dei due mondi, e il cambiamento di dimensioni della Luna (che dipendeva dalla posizione in cui veniva a trovarsi il satellite rispetto al pianeta), costituiva uno spettacolo che non cessava mai di affascinare.
Il Sole era escluso automaticamente dal sistema Ecart (Tessa dovette informarsi e scoprì che Ecart stava per "Eclisse artificiale"), e solo quando si avvicinava troppo alla Terra o alla Luna nel cielo della stazione guastava la visuale.
Ora il retroterra culturale coloniale di Tessa Wendel affiorava interamente, infatti le piaceva osservare le evoluzioni della Terra e della Luna, soprattutto perché significava che lei non era più sulla Terra.
Lo disse a Crile, che sorrise arcigno. Crile aveva notato il modo in cui lei si era guardata rapidamente attorno mentre parlava.
«Vedo che a me lo dici tranquillamente, anche se sono un terrestre e potrei offendermi» commentò. «Ma, non temere, non andrò a raccontarlo agli altri.»
«Oh, di te mi fido fino in fondo, Crile.» Tessa gli sorrise felice. Era cambiato parecchio da quella conversazione cruciale. D’accordo, era più cupo… ma meglio la cupezza dell’attesa febbrile di un evento irrealizzabile.
«Pensi davvero che a questo punto il fatto che tu sia una colona li irriti?» chiese Crile.
«Certo. Non lo dimenticano mai. Hanno una mentalità ristretta come la mia… infatti non dimentico mai che sono terrestri.»
«Evidentemente, dimentichi che io sono terrestre.»
«Perché sei Crile… Crile e basta… non c’è nessun’altra categoria per te. E io sono Tessa. E il discorso si chiude qui.»
«Hai elaborato il volo ultraluce per la Terra, invece che per Adelia, la tua Colonia. Non ti da fastidio?» chiese Crile pensieroso.
«Ma non l’ho fatto per la Terra, come non lo avrei fatto per Adelia in circostanze diverse. L’ho fatto per me. Avevo un problema da risolvere, e ci sono riuscita. Adesso passerò alla storia come l’inventrice del volo ultraluce… ecco cos’ho fatto per me. E anche se potrà sembrare pretenzioso, lo faccio anche per l’umanità. Sai, il luogo d’origine di una scoperta non ha importanza. Su Rotor qualcuno ha inventato l’iperassistenza, però adesso l’abbiamo anche noi e tutte le Colonie. Alla fine, anche le Colonie avranno il volo ultraluce. Il progresso giova sempre a tutta l’umanità, indipendentemente dal posto in cui si è compiuto il passo avanti.»
«La Terra ne ha bisogno più delle Colonie, però.»
«Intendi dire, per via dell’avanzata della Stella Vicina, a cui le Colonie possono sottrarsi facilmente andandosene, ma a cui la Terra non può sottrarsi. Be’, è un problema che lascio ai capi della Terra. Io gli ho fornito lo strumento, adesso sta a loro trovare i metodi per utilizzarlo nel modo migliore.»
«Allora, domani partiamo» disse Crile Fisher.
«Sì, finalmente. Sarà una cosa in grande stile, con tanto di riprese olografiche. Non so però quando potranno mostrarle al pubblico e alle Colonie.»
«Dopo il nostro ritorno. Sarebbe assurdo trasmettere le registrazioni senza sapere nemmeno se torneremo. Sarà un’attesa spasmodica per loro, dal momento che non saranno in contatto con noi. La prima volta che hanno raggiunto la Luna, gli astronauti sono rimasti in contatto con la Terra per tutto il viaggio.»
«È vero» annuì Tessa. «Però quando Colombo ha attraversato l’Atlantico, i monarchi spagnoli non hanno più avuto sue notizie finché non è tornato sette mesi dopo.»
«Adesso la posta in gioco per la Terra è molto più alta, mentre sette secoli e mezzo fa per la Spagna non si trattava di una questione di vita o di morte. È un vero peccato che non abbiamo le comunicazioni ultraluce, dal momento che abbiamo il volo ultraluce.»
«Ne sono convinta. E anche Koropatsky, che ha insistito perché mettessi a punto la telecomunicazione ultraluce. Ma, come gli ho spiegato, non sono una forza soprannaturale dai poteri miracolosi. Un conto è spingere una massa attraverso l’iperspazio, un conto è inviare delle radiazioni. Le due cose obbediscono a leggi diverse perfino nello spazio normale, e infatti Maxwell ha elaborato la sue equazioni elettromagnetiche due secoli dopo l’equazione gravitazionale di Newton. Be’, anche nell’iperspazio la massa e la radiazione obbediscono a leggi diverse, e quelle della radiazione non sono ancora alla nostra portata. Un giorno avremo le comunicazioni ultraluce, ma per ora dobbiamo farne a meno.»
«Peccato» osservò Fisher meditabondo. «Forse senza le comunicazioni ultraluce il volo ultraluce non sarà pratico.»
«Perché?»
«La mancanza di comunicazioni ultraluce taglia il cordone ombelicale. Una Colonia potrebbe vivere lontano dalla Terra? Potrebbe sopravvivere isolata dal resto dell’umanità?»
Tessa aggrottò le ciglia. «Cos’è questa nuova linea filosofica che hai cominciato a seguire?»
«Una semplice considerazione. Dato che sei una colona, da sempre, Tessa, forse non ti rendi conto che vivere su una Colonia non è una cosa naturale per gli esseri umani.»
«Davvero? A me non è mai sembrata una cosa innaturale.»
«Perché in realtà non eri su una Colonia. Eri in un sistema di Colonie in mezzo al quale c’era una grande pianeta con miliardi di abitanti. Può darsi che i rotoriani, una volta raggiunta la Stella Vicina, abbiano constatato che la vita su una Colonia isolata è insoddisfacente, no? Cosa avrebbero dovuto fare in questo caso? Tornare qui, senza dubbio. Ma non l’hanno fatto.
Perché? Perché può darsi che abbiano trovato un pianeta su cui vivere, no?»
«Un pianeta abitabile attorno a una nana rossa? Molto improbabile.»
«La natura a volte ci beffa, sconvolge le nostre certezze. Supponiamo che là ci sia un pianeta abitabile. Dovremmo studiarlo attentamente, no?»
«Ah, comincio a capire dove vuoi arrivare» disse Tessa. «Pensi che la nave possa scoprire un pianeta nei pressi della stella. In tal caso, ne prenderemmo atto, stabiliremmo da lontano che è disabitato, per poi proseguire l’esplorazione. Secondo te, invece, dovremmo atterrare e compiere una ricerca molto più accurata, per tentare almeno di trovare tua figlia. Ma se il rivelatore neuronico non individuerà alcuna traccia di intelligenza nell’ipotetico sistema planetario della Stella Vicina? Dobbiamo setacciare ugualmente tutti i pianeti?»
Fisher esitò. «Sì. Se ci sembreranno potenzialmente abitabili, dobbiamo studiarli, scoprire il più possibile, credo. Forse dovremo cominciare a evacuare la Terra, presto, e dobbiamo sapere dove portare la nostra gente. È facile per te lasciar perdere, visto che le Colonie possono allontanarsi senza difficoltà, senza bisogno di eva…»
«Crile! Non cominciare a trattarmi come se fossi il nemico, a considerarmi di colpo una colona e basta! Sono io, Tessa. Se ci sarà un pianeta, lo studieremo nei limiti del possibile, te lo prometto. Ma se ci sarà un pianeta, e se sarà occupato dai rotoriani… Be’, tu hai passato qualche anno su Rotor, Crile. Conoscerai senz’altro Janus Pitt.»
«Ne ho sentito parlare. Non l’ho mai conosciuto di persona, però mia mo… la mia ex moglie lavorava con lui. Stando a lei, era un uomo molto abile, intelligentissimo, estremamente energico.»
«Estremamente energico, sì. Anche sulle altre Colonie lo conoscevamo di fama. E non ci era simpatico. Se intendeva trovare un posto nascosto per Rotor, lontano dal resto dell’umanità, il suo obiettivo sarà stato certamente la Stella Vicina, data la distanza minima e dato che all’epoca solo Rotor sapeva dell’esistenza della stella. E se, per qualche motivo, voleva un sistema tutto per sé, trattandosi di Janus Pitt, avrà temuto la possibilità di essere seguito e di perdere il suo monopolio. Se per caso ha trovato un pianeta adatto, utilizzabile da Rotor, un’intrusione lo irriterà ancor di più…»
«Dove vuoi arrivare?» chiese Fisher turbato, come se conoscesse già la risposta.
«Be’, domani decolliamo, e in breve tempo raggiungeremo la Stella Vicina. Se ci sarà un pianeta, come pensi tu, e se sarà occupato dai rotoriani, non si tratterà semplicemente di scendere sulla superficie e di dire: "Salve! Sorpresa!". Ho paura che non appena ci avvisteranno, Pitt vorrà salutarci a modo suo, disintegrandoci.»