Crile Fisher osservò la stella pensieroso.
All’inizio, era troppo luminosa per un’osservazione vera e propria. Crile si era limitato a lanciare qualche occhiata di tanto in tanto, conservando poi un’immagine residua molto accentuata. Tessa Wendel, disperata per gli ultimi sviluppi, lo aveva rimproverato, parlando di danni alla retina, e Crile aveva opacizzato l’oblò. La luminosità della stella era scesa a livelli sopportabili, e le altre stelle erano diventate più fioche… un baluginio mesto e appannato.
La stella luminosa era il Sole, naturalmente.
Nessun essere umano l’aveva mai visto così da lontano (a parte i rotoriani durante il loro esodo dal Sistema Solare). Era a una distanza doppia rispetto alla massima distanza di Plutone, quindi non appariva come un globo, sembrava una stella come tante. Tuttavia, era ancora cento volte più luminoso della Luna piena vista dalla Terra, e quella luminosità era concentrata in un unico punto brillante. Logico che non si riuscisse a fissarlo senza opacizzare il vetro.
Questo particolare ribaltava la prospettiva. Normalmente, il Sole non era nulla di stupefacente. Era troppo luminoso per guardarlo, dominava troppo incontrastato. La parte di luce solare diffusa dall’atmosfera era sufficiente a cancellare del tutto le altre stelle… e anche dove non scomparivano (sulla Luna, per esempio), le stelle erano talmente sovrastate dal Sole che qualsiasi confronto era improponibile.
Lì nello spazio, a quella distanza, l’intensità luminosa del Sole si era attenuata almeno parzialmente, e un confronto era possibile. Stando alle parole di Tessa Wendel, da quel punto il Sole era centosessantamila volte più luminoso di Sirio, il corpo celeste che occupava il secondo posto della graduatoria, e forse venti milioni di volte più luminoso delle stelle più fioche che si vedevano a occhio nudo. Per cui, lì, il Sole acquistava un fascino diverso, maggiore, rispetto a quando splendeva senza rivali nel cielo della Terra.
Del resto, a Fisher non rimaneva in pratica che osservare il cielo, non aveva nient’altro da fare, perché l’Ultraluce stava andando alla deriva… stava andando alla deriva da due giorni, spostandosi nello spazio come un razzo qualsiasi.
A quella velocità, avrebbero impiegato trentacinquemila anni per raggiungere la Stella Vicina… se fossero andati nella direzione giusta. Cosa che non stavano facendo.
Ecco perché due giorni prima Tessa Wendel era sbiancata ed era piombata nella disperazione.
Fino ad allora, non c’erano stati problemi. Al momento di entrare nell’iperspazio, Fisher era teso, temendo il dolore, il lampo lacerante di sofferenza atroce, l’ondata improvvisa di buio eterno.
Non era successo nulla. Era accaduto tutto troppo in fretta per notare qualcosa. Erano entrati nell’iperspazio ed erano tornati nello spazio normale nel medesimo istante. Le stelle avevano semplicemente cambiato posizione, e il passaggio dalla posizione precedente a quella attuale non si era percepito.
Era stato un sollievo… doppio. Non solo Fisher era ancora vivo, si era anche reso conto che se fosse andato storto qualcosa e lui fosse morto, la morte sarebbe stata così istantanea che lui non si sarebbe nemmeno accorto di morire. Sarebbe morto e basta.
Era talmente sollevato da non badare quasi alla reazione di Tessa, che aveva lanciato un’esclamazione strozzata e si era precipitata in sala macchine gridando.
Era tornata sottosopra… non che avesse un capello fuori posto… era sottosopra dentro. Gli occhi spiritati, aveva fissato Fisher come se non lo riconoscesse.
«La posizione delle stelle non sarebbe dovuta cambiare» aveva detto.
«No?»
«Non ci siamo allontanati abbastanza. Solo uno virgola trentatré millianni luce. Troppo poco per notare dei cambiamenti a occhio nudo. Comunque…» Tessa aveva respirato profondamente. «Comunque, poteva andare peggio. Pensavo che avessimo commesso un errore e ci fossimo spostati di migliaia di anni luce.»
«Sarebbe stato possibile, Tessa?»
«Certo. Se il passaggio attraverso l’iperspazio non viene controllato rigorosamente, si fa presto a percorrere mille anni luce invece di uno.»
«Be’, in tal caso, possiamo benissimo…»
Tessa aveva intuito la sua conclusione. «No, non potremmo semplicemente tornare indietro. Con dei controlli così imprecisi, ad ogni passaggio ci muoveremmo alla cieca, finendo chissà dove, e non troveremmo mai la via del ritorno.»
Fisher aveva corrugato la fronte. L’euforia di avere attraversato indenne l’iperspazio stava cominciando a svanire. «Ma gli oggetti spostati durante gli esperimenti, quelli li avete riportati indietro senza problemi.»
«Erano molto più piccoli, e le distanze erano molto minori. Ma, come ti ho detto, poteva andare peggio. Abbiamo scoperto che la distanza percorsa è quella giusta. La posizione delle stelle è giusta.»
«Ma è cambiata. Ho visto benissimo.»
«Perché siamo orientati in modo diverso. L’asse longitudinale della nave si è spostato di oltre ventotto gradi. In poche parole, per qualche motivo, abbiamo seguito una traiettoria curva e non rettilinea.»
Le stelle, al di là dell’oblò, si stavano muovendo, lentamente.
«Ci stiamo girando di nuovo verso la Stella Vicina, una manovra che ha soltanto un’utilità psicologica» aveva spiegato Tessa. «Ma adesso si tratta di scoprire come mai c’è stata questa deviazione durante il passaggio.»
La stella luminosa, la stella faro, era apparsa nell’oblò. Fisher aveva battuto le palpebre.
«Il Sole» aveva detto Tessa, rispondendo all’espressione di stupore di Fisher.
«C’è qualche spiegazione plausibile della traiettoria curva seguita dalla nave? Se è successo anche a Rotor, chissà dove sono finiti?»
«O dove finiremo noi. Perché io non ho nessuna spiegazione. Non ora.» Tessa lo aveva guardato, visibilmente preoccupata. «Se le nostre ipotesi fossero esatte, avremmo dovuto cambiare posizione ma non direzione, muovendoci in linea retta, una linea retta euclidea, nonostante la curva relativistica dello spaziotempo, perché vedi, non eravamo nello spaziotempo. Forse c’è un errore nella programmazione del computer… o nei nostri presupposti. Io spero che sia un errore di programmazione. Si può correggere più facilmente.»
Erano trascorse cinque ore. Tessa era tornata, strofinandosi gli occhi. Fisher aveva alzato lo sguardo, inquieto. Aveva guardato un film, ma l’interesse era passato presto. Allora aveva osservato le stelle, lasciandosi ipnotizzare dal loro disegno… un effetto anestetico.
«Be’, Tessa?»
«Non c’è nessun errore di programmazione, Crile.»
«Allora devono essere sbagliati i presupposti.»
«Già. Ma come? Potremmo fare un’infinità di ipotesi. Quali sono quelle giuste? Non possiamo provarle tutte. Non finiremmo mai, ci perderemmo irrimediabilmente.»
Per un po’ erano rimasti in silenzio, quindi Tessa Wendel aveva detto: «Se fosse stata la programmazione, sarebbe stato un errore stupido. L’avremmo corretto, senza imparare nulla, però saremmo stati salvi. Ma adesso, se dobbiamo tornare ai fondamenti, è possibile che scopriamo qualcosa di veramente importante… ma se falliamo, forse non riusciremo più a tornare a casa». Tessa gli aveva preso la mano. «Capisci, Crile? C’è qualcosa che non va, e se non scopriamo di che si tratta, sarà impossibile trovare la via del ritorno, se non per puro caso. Per quanto possiamo tentare, probabilmente continueremo a finire nel punto sbagliato, allontanandoci sempre più. E alla fine moriremo, quando i sistemi di riciclaggio smetteranno di funzionare, o quando esauriremo l’energia, o quando la profonda di sperazione minerà la nostra capacità di sopravvivenza. E sono stata io a farti questo. Ma la vera tragedia sarebbe la fine di un sogno. Se non torniamo, non sapranno mai com’è andata. Può darsi che pensino che la transizione sia stata fatale, e magari non proveranno più.»
«Ma devono insistere, se vogliono abbandonare la Terra.»
«Forse rinunceranno, aspetteranno passivi che la stella si avvicini e prosegua nello spazio, morendo a poco a poco.» Tessa lo aveva guardato, battendo le palpebre, il volto stanchissimo. «E sarebbe anche la fine del tuo sogno, Crile.»
Fisher aveva stretto le labbra, rimanendo zitto.
Quasi timidamente, Tessa aveva detto: «Ma in questi anni, Crile, hai avuto me. Se sei destinato a rinunciare al tuo sogno… a tua figlia… io ti sono bastata?»
«Potrei chiederti… se sei destinata a rinunciare al tuo sogno, al volo ultraluce, ti sono bastato, io?»
Non era facile rispondere, per nessuno dei due, poi però Tessa aveva detto: «Dopo il volo ultraluce, Crile, tu sei la cosa più importante che abbia avuto, e non posso proprio lamentarmi. Grazie».
«Questo vale anche per me, Tessa… e non l’avrei mai immaginato, all’inizio. Se non avessi avuto una figlia, ci saresti stata solo tu. Vorrei quasi…»
«No. Mi accontento di occupare il secondo posto, in ordine di importanza.»
Si erano tenuti per mano. In silenzio. E avevano osservato le stelle.
Poi Merry Blankowitz si era affacciata alla porta. «Capitano Wendel, Wu ha un’idea. L’ha sempre avuta, dice… però era restio a parlargliene.»
Tessa si era alzata. «Perché era restio?»
«Una volta le ha accennato la cosa, sostiene… e lei gli ha detto di non essere sciocco.»
«Davvero? È convinto che io sia infallibile? Adesso lo ascolterò, e se sarà una buona idea gli torcerò il collo per non avere insistito prima.»
Dopo di che, Tessa era uscita.
Nel giorno e mezzo successivo, a Fisher non era rimasto che aspettare. Avevano mangiato assieme, come sempre, ma in silenzio. Chissà se gli altri avevano dormito? Fisher non lo sapeva. Lui aveva dormito solo a intervalli irregolari e al suo risveglio era piombato di nuovo nella disperazione.
"Quanto possiamo andare avanti così?" si chiese il secondo giorno, ammirando la bellezza di quel puntino irraggiungibile che brillava nel cielo, e che fino a poco tempo prima lo aveva scaldato e aveva illuminato il suo cammino sulla Terra.
Prima o poi, sarebbero morti. La moderna tecnologia spaziale avrebbe prolungato la vita. I sistemi di riciclaggio erano piuttosto efficienti. Anche il cibo sarebbe durato a lungo, purché fossero disposti a mangiare l’insipido pane di alghe che sarebbe rimasto alla fine.
I motori a microfusione avrebbero continuato a erogare energia per un pezzo. Ma, sicuramente, nessuno avrebbe voluto prolungare la propria esistenza per tutto il tempo consentito dalla nave.
Di fronte alla prospettiva certa di una lenta agonia e di una morte solitaria, la soluzione razionale sarebbe stata quella di ricorrere ai demetabolizzatori regolabili.
Sulla Terra era il metodo preferito per suicidarsi… perché non avrebbe dovuto esserlo anche a bordo della nave? Volendo, si poteva regolare il dosaggio per una giornata intera di vita normale, e viverla il più gioiosamente possibile… sapendo che sarebbe stata l’ultima. Al termine del giorno, sarebbe subentrata una sonnolenza naturale. Sbadigliando, il «demetabolizzato» sarebbe scivolato in un sonno tranquillo costellato di sogni riposanti; lentamente, il sonno sarebbe diventato più profondo, i sogni sarebbero svaniti, e non ci sarebbe più stato alcun risveglio.
Non era mai stata inventata una morte più dolce.
Poi, poco prima delle 17, ora della nave, a due giorni di distanza dalla transizione che aveva spostato la nave lungo una traiettoria curva invece che rettilinea, Tessa si precipitò nella sala. Aveva gli occhi spiritati, ansimava, e i suoi capelli scuri, ormai cosparsi di grigio, erano scarmigliati.
«Brutte notizie?» chiese Fisher costernato, alzandosi.
«No, buone!» Tessa si abbandonò su un sedile.
Fisher non era sicuro di avere capito bene… forse le parole di Tessa erano solo ironiche. La fissò, e vide che si calmava, che tornava padrona di sé.
«Buone» ripeté lei. «Ottime. Eccezionali! Crile, hai di fronte a te un’idiota. Immagino che non mi riprenderò più da questo colpo.»
«Be’, che è successo?»
«ChaoLi Wu aveva la risposta. Fin dall’inizio. Me l’aveva detto. Ricordo benissimo. Mesi fa. Un anno fa, probabilmente. Non gli ho dato retta.
Non l’ho nemmeno ascoltato, in pratica.» Tessa fece una pausa per riprendere fiato. L’eccitazione aveva sconvolto il ritmo naturale del suo linguaggio. «Il guaio è che mi consideravo la massima autorità mondiale in fatto di volo ultraluce, ed ero convinta di sapere già tutto, di avere già pensato a tutto. Se qualcuno suggeriva qualcosa che a me sembrava strana, be’, l’idea era sbagliata e basta, e stupida, magari. Capisci?»
«Ho conosciuto delle persone del genere» rispose torvo Fisher.
«Capita a tutti di comportarsi così, ogni tanto, in determinate circostanze. Soprattutto agli scienziati quando invecchiano, suppongo. Ecco perché i giovani e audaci rivoluzionari della scienza diventano vecchi fossili dopo qualche decennio. La loro immaginazione perde elasticità, l’amor proprio la blocca, ed è la fine. E per me, adesso, è la fine… Ma, lasciamo perdere. Ci è voluto più di un giorno per risolvere il problema, per modificare le equazioni, per programmare il computer e allestire le simulazioni necessarie, per imboccare vicoli ciechi e uscirne. Ci sarebbe voluta una settimana, normalmente, ma abbiamo lavorato a un ritmo pazzesco.»
Tessa Wendel si interruppe, quasi avesse bisogno di riprendere fiato un’altra volta. Fisher attese che continuasse e la incoraggiò annuendo, stringendole la mano.
«È complicato» proseguì Tessa. «Proverò a spiegartelo. Ecco… Attraverso l’iperspazio, andiamo da un punto dello spazio a un altro punto dello spazio in tempo zero. Ma per farlo seguiamo una traiettoria, un sentiero, che cambia ogni volta, a seconda del punto di partenza e di quello d’arrivo. Noi non vediamo questo sentiero, non possiamo osservarlo, non lo percepiamo, e in realtà non lo seguiamo in senso spaziotemporale. La sua esistenza è abbastanza incomprensibile. Lo chiamiamo "sentiero virtuale". Io stessa ho elaborato questo concetto.»
«Se non si può osservare, se non si percepisce, come fai a sapere che esiste?»
«Si può calcolare, con le equazioni che usiamo per descrivere il moto attraverso l’iperspazio. Le equazioni ci danno il sentiero.»
«E chi ti garantisce che le equazioni descrivano qualcosa di realmente esistente? Potrebbe essere solo… matematica.»
«Già. Lo pensavo anch’io. E l’ho ignorato. È stato Wu a suggerire che avrebbe potuto essere un particolare importante… un anno fa, forse… e io, idiota, ho respinto l’idea. Un sentiero virtuale aveva solo un’esistenza virtuale, secondo me. Se non si poteva misurare, esulava dall’ambito della scienza. Sono stata miope. Se ci penso, mi detesto.»
«D’accordo. Supponiamo che il sentiero virtuale in qualche modo esista. Allora?»
«In tal caso, se il sentiero virtuale passa accanto a un corpo di dimensioni considerevoli, la nave è soggetta alle influenze gravitazionali. Questo è stato il primo concetto nuovo, strabiliante, utilissimo… l’attrazione di gravità può farsi sentire lungo il sentiero virtuale.» Tessa scosse la testa in un gesto rabbioso. «In un certo senso, l’avevo intuito anch’io, ma ho pensato che, dal momento che la nave avrebbe viaggiato a una velocità molto superiore a quella della luce, l’attrazione di gravità non avrebbe avuto il tempo di farsi sentire in modo percepibile. Quindi, ho concluso che lo spostamento sarebbe stato rettilineo.»
«Ma non è andata così.»
«No, naturalmente. E Wu ha spiegato il fenomeno. Immaginiamo che la velocità della luce sia un punto zero. Tutte le velocità inferiori a quella della luce sarebbero grandezze negative, e tutte quelle superiori alla velocità della luce sarebbero grandezze positive. Nell’universo normale in cui viviamo, perciò, tutte le velocità sarebbero negative, in base a questa convenzione matematica… e infatti devono essere negative… Ora, l’universo è regolato da principi di simmetria. Se una cosa fondamentale come la velocità di moto è sempre negativa, qualche altra cosa, altrettanto fondamentale, dovrebbe essere sempre positiva… e secondo Wu, quest’altra cosa è la gravitazione universale. Nell’universo normale, è sempre un’attrazione. Ogni corpo attrae tutti gli altri corpi.
"Tuttavia, se qualcosa si muove a velocità ultraluce, la sua velocità è positiva, e l’altra cosa che era positiva deve diventare negativa. In parole povere, a velocità ultraluce, la gravitazione universale è una forza repulsiva. Ogni corpo respinge tutti gli altri. Wu me l’ha suggerito parecchio tempo fa, e io non ho voluto dargli ascolto. Le sue parole non mi sono entrate nelle orecchie.»
«Ma che differenza c’è, Tessa? Se a velocità ultraluce enormi l’attrazione di gravità non ha il tempo di influenzare il nostro moto, nemmeno la repulsione gravitazionale dovrebbe avere effetto.»
«Ah, non è così, Crile. È questo il bello. Anche qui la situazione si inverte. Nell’universo normale delle velocità negative, maggiore è la velocità rispetto a un corpo attrattivo, minore è l’attrazione di gravità che influenza la direzione del movimento. Nell’universo delle velocità positive, l’iperspazio, maggiore è la nostra velocità rispetto a un corpo repulsivo, maggiore è la repulsione gravitazionale che influenza la direzione del movimento. Questo per noi non ha senso, dato che siamo abituati alla situazione esistente nell’universo normale, ma una volta costretti a cambiare segno, dal più al meno e viceversa, ci si accorge che tutto quadra.»
«Matematicamente. Ma fino a che punto ci si può fidare delle equazioni?»
«Be’, basta controllare se i calcoli e i fatti coincidono. L’attrazione di gravità è la forza più debole che ci sia, e questo vale anche per la repulsione gravitazionale lungo i sentieri virtuali. All’interno della nave e dentro di noi, ogni particella respinge tutte le altre nell’iperspazio, ma questa repulsione non può fare nulla contro le altre forze coesive che non hanno cambiato segno. Comunque, il nostro sentiero virtuale, dalla Stazione Quattro a questo punto, ci ha portati in prossimità di Giove. La sua repulsione lungo il sentiero virtuale iperspaziale aveva la stessa intensità che avrebbe avuto la sua attrazione di gravità nello spazio normale.
"Abbiamo calcolato l’effetto teorico della repulsione gravitazionale di Giove sul nostro passaggio nell’iperspazio, e abbiamo ottenuto la traiettoria curva che in effetti abbiamo seguito. In altre parole, grazie alle modifiche di Wu, le mie equazioni oltre a risultare semplificate funzionano anche.»
«E gli hai torto il collo come avevi promesso?» chiese Fisher.
Tessa rise, ricordando la minaccia. «No. A dire il vero, l’ho baciato.»
«Ti capisco.»
«Naturalmente, adesso è più importante che mai tornare a casa indenni, Crile. Questo perfezionamento va comunicato, e Wu deve ricevere gli encomi che merita. Ha preso spunto dal mio lavoro, d’accordo, però ha proseguito autonomamente arrivando dove io forse non sarei mai arrivata. Insomma, pensa alle conseguenze.»
«Me ne rendo conto» disse Fisher.
«No, non te ne rendi conto» fece bruscamente Tessa. «Ora, ascolta. I rotoriani non avevano problemi di gravitazione perché viaggiavano più o meno alla velocità della luce, mantenendosi un po’ al di sotto a volte, superandola leggermente altre volte, quindi gli effetti gravitazionali, positivi o negativi, attrattivi o repulsivi, erano trascurabili, quasi inesistenti. È nel vero volo ultraluce, il nostro, che è indispensabile tener conto della repulsione gravitazionale. Le mie equazioni sono inutili. Consentono a una nave di spostarsi nell’iperspazio, ma non nella direzione giusta. E non è tutto… Ho sempre pensato che emergere dall’iperspazio, la seconda fase della transizione, comportasse inevitabilmente un certo pericolo. Che cosa succederebbe se rientrassimo nello spazio in un punto già occupato da un altro corpo? Ci sarebbe un’esplosione incredibile che distruggerebbe la nave in un trilionesimo di trilionesimo di secondo.
"Naturalmente, non finiremo dentro una stella, perché conosciamo la posizione delle stelle e possiamo evitarle. Col tempo, forse, conosceremo anche la posizione dei pianeti di una determinata stella e potremo evitare anche quelli. Ma nei pressi di ogni stella ci sono migliaia di asteroidi e un’infinità di comete, corpi che sarebbero ugualmente fatali per noi. Fino a oggi pensavo che non ci rimanesse che sperare in bene e affidarci al caso. Lo spazio è talmente vasto che le probabilità di colpire un corpo più grande di un atomo, o al massimo di un granello di polvere, sono quasi zero. Tuttavia, continuando a viaggiare nell’iperspazio, la sovrapposizione della materia è una catastrofe destinata a verificarsi prima o poi… Invece, no.
"Adesso che conosciamo realmente la situazione, sappiamo che è impossibile che accada una cosa del genere. La nostra nave e un corpo di dimensioni considerevoli si respingerebbero e tenderebbero ad allontanarsi. Quindi, nessuna collisione, perché qualsiasi corpo celeste pericoloso si sposterà automaticamente dalla nostra traiettoria.»
Fisher si grattò la fronte. «Ma anche noi ci sposteremo, no? Ci sarà una deviazione improvvisa rispetto alla nostra rotta, no?»
«Sì, ma dato che probabilmente si tratterà di corpi di modeste dimensioni, sarà una deviazione molto piccola, facilmente correggibile… non è un prezzo molto alto per la nostra incolumità.» Tessa Wendel sospirò e si stiracchiò beata. «Ah, mai sentita meglio in vita mia… Quando torneremo sulla Terra, tutto questo farà scalpore.»
Fisher ridacchiò. «Sai, Tessa, prima che arrivassi tu, avevo già delle immagini morbose nella testa… noi persi nello spazio, senza scampo… la nave alla deriva per l’eternità, con cinque cadaveri a bordo, trovata un giorno da degli esseri intelligenti che si sarebbero commossi di fronte a questa tragedia spaziale…»
«Be’, non accadrà… garantito, caro» disse Tessa Wendel sorridendo. E si abbracciarono.