Il giorno seguente corre voce che tredici persone siano state spedite ai vivai, tra queste Buckmaster, il capo della congiura. Voci del genere sono spesso affidabili, in qualche modo, ma Shadrach Mordecai, continuando a trovare l’idea difficile da mandare giù, si spinge fino a fare un controllo nel registro centrale del personale per vedere dove si trovi Buckmaster. Batte sulla tastiera il codice del dipartimento d’ingegneria, ma il computer centrale gli dice che Buckmaster è stato trasferito al Dipartimento 111. Shadrach digita il nuovo codice, pur sapendo cosa aspettarsi; e, sì, Dipartimento 111 è un eufemismo per i vivai d’organi. Buckmaster fa ormai parte delle riserve umane. Trafitto nel grande foro occipitale, zap. Povero sciocco sfortunato.
Il dottor Mordecai decide di non sollevare l’argomento Buckmaster nel corso della sua visita mattutina al Presidente. Pare che non si possa fare molto per Buckmaster a questo punto. — Abbiamo sventato il complotto! — dichiara Gengis Mao con forza quando Shadrach entra nella stanza. — I colpevoli sono stati puniti. Abbiamo dato la risposta adeguata all’attacco contro il nostro regime. I principi della depolarizzazione centripeta non sono in discussione. — Una soddisfazione folle gli brilla negli occhi. Il suo corpo antico, collage vivente, pulsa di salute trionfante, con un riverbero che sotto la forma di un torrente di energia risorta percorre furioso i noduli telemetrici di Shadrach.
Shadrach fa dei prelievi di sangue, somministra medicine, controlla i riflessi; il Khan non gli presta più attenzione di quanta non ne presterebbe a un infermiere venuto a cambiare le lenzuola. A quanto pare è completamente preso dal moltiplicarsi di progetti per la divinizzazione di Mangu. Ci sono già dei primi disegni per dei monumenti a Mangu, e le tavole sono sparse dappertutto, cumuli disordinati sul letto del Presidente, sulle ginocchia ossute, ai due lati del corpo, per terra. Canticchiando una melodia monotona, Gengis Mao volta i documenti di qua e di là, annuendo, scribacchiando appunti sui margini, borbottando considerazioni a se stesso.
— Ah! Questo mi piace! — esclama con convinzione Gengis Mao. — Basato sul modello della Grande Piramide di Giza, ma grande il doppio. Statue di Mangu alte venti metri che spuntano da ciascuno dei quattro lati. Cosa ne dice? — Passa i disegni a Mordecai. — È un’idea di Ionigylakis. Cerca di partire dall’antichità e di apportarvi dei miglioramenti, come tutti d’altronde. Cosa gliene pare, Shadrach?
— Le statue, signore. Tendono a… mmm, spezzare la linea della piramide, non crede?
— E cosa c’è di male?
— Le piramidi sono così aggraziate — dice Shadrach. — Così compatte.
— La piramide pura e semplice è un concetto che ha fatto il suo tempo — replica deciso il Presidente. — Quel che mi piace in questo disegno è il contrasto fra le angolature, la pendenza della parete della piramide rispetto alla statua eretta che vi si contrappone, capisce? Mangu che sorge, verso l’alto, verso l’esterno, via dal centro… È centripeto, Shadrach! Lo vede?
— Centrifugo, direi, signore.
Gengis Mao si produce in un’espressione stupita, come se Shadrach gli avesse sferrato un pugno. — Centrifugo? Centrifugo? Sta scherzando? — Scoppia a ridere. — Una battuta! Il mio buon Shadrach ha fatto una battuta! Mi dica: crede che Mangu abbia sofferto molto?
— Dev’essere morto sul colpo. Dubito che fosse cosciente durante la caduta. L’accelerazione…
— Sì. Guardi qui, guardi. Un torrione elicoidale, dice qui, alto novecento metri, una grande spirale metallica percorsa da un campo magnetico, e una scarica elettrica continua che fa lampeggiare la cima…
— Signore, se non le dispiace, l’iniezione di tritetrazolo…
— Più tardi, Shadrach.
— I livelli di assorbimento hanno già passato leggermente il punto ideale. Se lei stendesse un attimo il braccio…
— …e qui, ecco, questo mi piace. Un gigantesco sarcofago di alabastro, con intarsi d’onice…
— …stringa il pugno, signore…
— …costruire una tomba degna di…
— …se può trattenere il respiro, contare fino a cinque…
— …dimensioni appropriate per Alessandro Magno, Tutankhamon, per lo stesso Gengis Khan. Già, perché no? Mangu…
— …si rilassi ora, signore…
— …Ch’in Shih Huang Ti! Ecco il nostro modello! Lo conosce, Shadrach?
— Signore?
— Ch’in Shih Huang Ti.
— Credo proprio di non…
— Il Primo Imperatore della Cina, l’Unificatore, costruttore della Grande Muraglia. Sa come l’hanno sepolto? — Gengis Mao fruga fra i documenti sul suo letto e afferra un blocco di stampati, che sventola eccitato davanti alla faccia di Shadrach. — Una grande collina di sabbia, a sud del fiume Wei, ai piedi del monte Li. O era monte Wei, fiume Li? Wei. Li. Nel tumulo hanno fatto un palazzo, e il palazzo conteneva una mappa in rilievo della Cina, sbalzata nel bronzo, fiumi, montagne, vallate, pianure. Lo Yang-Tze e l’Huang-Ho erano canali fondi quattro metri, riempiti di mercurio. Modellini di città e palazzi lungo le loro rive, e in alto una grande cupola di rame lucente, sì, con scolpite la luna e le costellazioni. E la bara del Primo Imperatore fluttuava su uno dei fiumi di mercurio, Shadrach! Un viaggio senza fine per la Cina. Silenzioso, scorrevole… oh, immergetemi nel mercurio, Shadrach, fatemi dormire sul mercurio! Si immagina la bara? E un ragazzo vigoroso al fianco della bara, pronto a scagliare una freccia contro il primo intruso. E delle trappole, anche, botole e coltelli nascosti, in attesa dei saccheggiatori; e macchine che generano tuoni, e centinaia di schiavi e di artigiani sepolti nel tumulo insieme a Ch’in Shih Huang Ti, per servirlo. Sì. Grandioso. Cosa ne dice? Dovrei costruire questo per Mangu? — Il Khan sbatte gli occhi freneticamente, aggrotta le sopracciglia, si passa la lingua sulle labbra. Shadrach Mordecai rileva dei cambiamenti nella temperatura della pelle e nella pressione del sangue. — D’altra parte… se faccio costruire una tomba del genere per Mangu, cosa potrei fare per me stesso? Naturalmente merito qualcosa di ancora migliore. Ma cosa… cosa… — Sul volto di Gengis Mao compare un ampio sorriso. — C’è tempo per pensarci! Venti, cinquant’anni! Perché dovrei pensare ora a una tomba per Gengis Mao? È Mangu che stiamo seppellendo. Avrà il meglio! — Il vecchio spinge da parte i disegni. — Quarantun cospiratori mandati ai vivai finora, Shadrach.
— Avevo sentito parlare di tredici.
— Quarantuno, e non abbiamo finito. Ho detto ad Avogadro di pescarne almeno cento. Pensi a tutti i fegati che avremo nelle riserve! I chilometri di intestino. Quanta bellezza c’è nei vivai, Shadrach. Odio lo spreco, in qualunque forma. Lei lo sa. Conservare. È una specie di poesia. Altre quarantun vasche piene. E il pericolo per il governo è sventato. — La voce di Gengis Mao si fa cupa, vacua. — Ma Mangu… cos’hanno fatto a Mangu? Il mio altro me stesso… il futuro Gengis Mao… il mio principe, il mio viceré…
— Signore, forse si sta agitando troppo.
— Sto benissimo, Shadrach.
— Ma un po’ di riposo…
— Riposo? Non ho bisogno di riposare. Potrei alzarmi dal letto in questo momento e correre fino a Karakorum. Riposarmi, perché? È preoccupato per me, Shadrach? — La risata del Presidente è sonora, tonante. — Sto benissimo. Mai stato meglio. La smetta di preoccuparsi. Lei è come una vecchia signora, Shadrach. È cristiano?
— Signore? — chiede Shadrach confuso.
— Cristiano. Cristiano. Riconosce l’Unigenito Figlio di Dio come suo Salvatore? Eh? Non ci sente? L’udito che se ne va? Chiederò a Warhaftig di metterle dei timpani nuovi in quelle orecchie. Le ho chiesto: è cristiano?
Sconcertante. — Be’…
— Ha presente. Ha presente. Pater noster che sei nei cieli. Ave Maria piena di grazia. Chi mangia della mia carne e beve del mio sangue avrà vita eterna, e risorgerà dai morti nell’ultimo giorno, dice il Signore. Eh? Le conosce queste cose? Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo. Ite missa est. Allora?
— Be’, i miei genitori mi portavano a messa di tanto in tanto, ma non potrei dire che…
— Peccato. Non è un credente, allora?
— In un certo senso, forse, ma…
— C’è un senso solo, mi pare.
— Allora non penso di essere un credente.
— Va bene, sia santificato il suo nome, Shadrach. Le piacerebbe diventare papa, comunque?
— Signore?
— Ma è tutto quel che sa dire? Signore? Signore? — Gengis Mao fa il verso all’ossequiosità di Shadrach con ferocia devastante. Le pulsazioni del Khan stanno aumentando; la faccia si fa rossa. — Il regno e il potere. Oh, e la gloria. Voi cristiani le capite queste cose. Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore; nessuno raggiunge il Padre se non attraverso di me. — Questo saltare freneticamente di palo in frasca inquieta il dottor Mordecai; senza farsi notare aumenta l’erogazione di calmante nel metabolismo del Khan, premendo il pedale del 9-pardenon mentre è chinato, e finge di esaminare la base del macchinario di sostegno medico. Gengis Mao si alza a sedere e, urlando ormai, prosegue: — Risponda di sì, risponda di no, ma basta signore! Papa! Le ho chiesto, le piacerebbe diventare papa? Il Papa è morto, a Roma, il vecchio Benedetto. I cardinali si riuniranno quest’estate. Mi hanno invitato a nominare qualcuno. Manderò loro il nome del mio medico, il mio bel dottore nero, eh? Le Pape noir. Papa niger. Ci sono stati dei santi neri, perché non un papa nero? Si sceglierà un bel nome pontificale. È uno dei piccoli dividendi di potere e gloria. Cosa ne dice di Papa Legba? Eh? Eh? — Gengis Mao batte le mani compiaciuto. — Papa Legba! Papa Legba!
Il nuovo fegato, pensa Shadrach. Che fosse il fegato di un pazzo?
In tono mite dice: — Non sono cattolico, signore.
— Può sempre diventarlo. Ci vuol tanto? Una settimana di studio, e sarebbe perfettamente in grado di borbottare le parole giuste. Kyrie eleison. Credo in unum deum. Om mani padme hmmmm…
C’è qualcosa di minaccioso, in questo folle cianciare di pontificato. I salti fulminei di argomento, il flusso frenetico di fantasticherie, la vulcanica energia verbale, non ispirano fiducia nella stabilità mentale di Gengis Mao. Questo è l’uomo che governa il mondo, riflette Shadrach. Che piaccia o no.
Shadrach dice: — Se io diventassi papa, chi sarebbe il suo medico?
— Ma lei, naturalmente, Shadrach.
— Da Roma?
— Traslocheremmo il Vaticano a Ulan Bator.
— Anche così, non credo che potrei svolgere i due lavori in maniera soddisfacente, signore.
— Un giovane come lei? Ma certo che potrebbe. Cos’ha, trentacinque, trentott’anni, qualcosa del genere? Sarebbe un papa splendido. Diventerei cattolico anch’io, e lei potrebbe ricevere la mia confessione. Non rifiuti quest’offerta, Shadrach. Credo che lei non sia abbastanza occupato, al momento. Ha bisogno di qualche distrazione. Passa troppo tempo a curare me, perché altrimenti le sue giornate sarebbero oziose. Mi riempie di medicinali inutili. Perché mi fissa in quel modo?
— Preferirei non diventare papa, signore.
— Decisione definitiva?
— Definitiva.
— Molto bene. Nominerò Avogadro.
— Lui almeno è italiano.
— Pensa che io sia impazzito, Shadrach?
— Credo che si stia affaticando troppo, signore. Le prescrivo due ore di riposo assoluto. Posso darle una pastiglia per dormire?
— No, non può. Può andarsene a divertirsi a Karakorum. Gonchigdorge diventerà papa, sì, un mongolo, come le suona l’idea? A me piace. E tu, lassù, vecchio, santo padre Gengis, vecchio Temucin, ti piace? Se ne vada, Shadrach. Mi irrita, oggi. Non sono pazzo. Non mi sto affaticando troppo. Ho sofferto per la morte di Mangu. Sono in lutto per Mangu. Farò sì che il mondo ricordi Mangu per sempre. Quarantuno persone ai vivai, ed è solo mattina! Mi farà il favore di andarsene a Karakorum?
I livelli metabolici stanno salendo su una decina abbondante di fronti diversi. Shadrach è allarmato. Interviene nuovamente sul pedale dei tranquillanti. Il vecchio dev’essere imbottito di 9-pardenon a questo punto, ma in qualche modo Gengis Mao riesce a resistergli e rimane sovreccitato nonostante il farmaco. Sta facendo finalmente effetto, però. Finalmente, i primi segni di rilassamento. Il Khan sta cedendo.
Shadrach si avvia, preoccupato, ma fiducioso che l’umore del Khan si stabilizzerà per un po’ di tempo. Mentre sta uscendo, Gengis Mao lo chiama: — Oppure, re d’Inghilterra! Che gliene pare? A Windsor si libererà un posto tra non molto!