INTERMEZZO

A occhi mortali, il posto forse sarebbe parso una versione impressionista del Valhalla, o dell’Olimpo, o del Paradiso che i cristiani pregavano di poter raggiungere. Non c’erano limiti visibili; morbide nubi in una dolce, tranquilla distesa di cielo azzurro che si allargava all’infinito. In alto il cielo si oscurava quel tanto che bastava per mostrare alcune stelle sparse, puntini di luce fissa incollati allo zenit. Il tempo stesso non aveva significato, lì. Non c’era alcun pianeta che rotasse, sotto. Né soli né lune attraversavano quel cielo immutabile. Eppure l’aria risplendeva, soffusa di una luce tenue che non proveniva da alcuna fonte visibile.

Se un essere umano avesse visto quel luogo, avrebbe avuto l’impressione di trovarsi sulla vetta di una montagna, al di sopra dei bisogni e delle preoccupazioni del mondo, al di sopra delle nubi portatrici di bufere e confusione, di trovarsi a contemplare l’aria limpida di un regno di calma e bellezza infinita. Una dimensione al di là del mondo effimero dei mortali che nascono nella sofferenza, lottano nei loro brevi anni e poi si spengono come la fiammella tremula di una candela.

In un punto indefinito di quel regno celeste impenetrabile, una scintilla si stacco dalla volta e calò, trasformandosi in un globo dorato radioso, fino a sfiorare i riccioli superiori delle nubi. Brillava, ma senza emettere calore, mentre si muoveva veloce sulla sommità del tappeto nuvoloso e si fermava infine senza alcuna ragione apparente. Il globo ondeggiò adagio, vibrò e si contrasse, formando l’immagine di un uomo, un essere umano giovane ma pienamente adulto, bello come un dio, alto e dalle spalle ampie, con una folta criniera di capelli d’oro e occhi fulvi come il manto di un leone. Portava una tunica dorata, guarnita di un intricato arabesco di sottili linee rosse simili a un intreccio di vasi sanguigni.

Sedette su una nube panciuta, appoggiandosi come un imperatore del passato su cuscini di cirri, il volto regale teso in un’espressione concentrata, quasi stesse osservando qualcosa che nessun occhio mortale avrebbe potuto scorgere. Impossibile dire quanto tempo fosse rimasto in quella posizione, perché lì il tempo non aveva alcun significato.

A un certo punto, una sfera più piccola apparve accanto a lui, pulsando lentamente, sprigionando riflessi argentei. Si contrasse, fino a dar forma a una femmina umana, una donna dagli incantevoli capelli scuri, con occhi grigi intensissimi, bella come l’uomo radioso. Portava una veste luccicante di maglia metallica.

— Ti stai affezionando alla forma umana? — chiese la donna.

Lui la guardò, serio. — Pare che mi aiuti a capirli, a provare le sensazioni che provano loro.

— Ti piace essere un dio.

L’uomo non disse nulla.

— Devo chiamarti usando il nome con cui ti fai chiamare da loro? — Sembrava quasi divertita. Ma le sue parole erano velate di ironia. Piegò le labbra in un sorriso, ma i suoi occhi grigi lo fissarono gelidi.

Lui distolse lo sguardo. — Chiamami come vuoi, tanto so già che lo farai.

— Ormazd — disse lei. — Il Dio della Luce. Sei modesto coi tuoi giocattoli.

— E io come devo chiamarti?

Lei rifletté un attimo. — Anya. È un bel nome. Finché saremo esseri umani, puoi chiamarmi Anya.

— Stai prendendo tutto quanto con molta leggerezza — osservò Ormazd.

— Niente affatto — replicò Anya, abbandonando il tono beffardo. — So benissimo che è una cosa seria. Io ho provato quello che provano loro. Il terrore. Il dolore. La paura di morire… di diventare… nulla.

— Non eri obbligata ad andare, io non volevo.

— No, avresti attivato il tuo guerriero e lo avresti scagliato contro il Tenebroso da solo, senza un amico, senza un barlume di speranza, senza nemmeno un ricordo.

— Nessuno di loro capisce, tanto. Perché lui avrebbe dovuto essere diverso?

— Capiscono, invece! — esclamò Anya. — A modo loro, vagamente, intuiscono che c’è una lotta in corso, che sono bloccati come pedine tra forze immani.

Ormazd scosse il capo. — Capiscono solo quello che io voglio che capiscano.

— No. Guarda i loro scienziati, guarda come stanno organizzando la conoscenza dell’universo. Stanno per scoprire la vera natura dello spazio-tempo…

— Non la scopriranno mai. Pensano ancora che il tempo sia sequenziale. Credono ancora che la causa debba sempre precedere l’effetto.

Anya rise. — Guarda meglio, o Dio della Luce. I tuoi giocattoli cominciano a penetrare i misteri che li circondano.

— Allora dovrò cambiare le cose. Non devono imparare troppo. Non ancora.

— No! Lascia che imparino. Non puoi trattarli con tanta insensibilità.

Lui la fissò. — Posso trattarli come preferisco. Li ho creati io. Sono miei.

— Ma non puoi controllarli.

— Sciocchezze.

— Ammettilo — insisté Anya. — Stanno sfuggendo al tuo controllo.

— Li controllo, invece.

— Hai dato loro la curiosità. La sete di sapere.

— Era necessario — aggiunse Ormazd. — Però l’ho equilibrata con la paura dell’ignoto.

Gli occhi di Anya brillarono rabbiosi. — Parli di equilibrio, mio essere divino? Hai creato in loro una tensione terribile. Sono spinti dalla curiosità, eppure temono ciò che non conoscono. Vivono nel tormento, nella sofferenza continua.

L’entità chiamata Ormazd fece per contraddirla, ma si trattenne. La capiva. Aveva voluto mutarsi, per poco, in un essere umano, e aveva provato tutto quello che provava il resto delle sue creature.

Sospirando, affrontò il problema da un’altra angolazione. — Credono che i loro dei siano onnipotenti, onniscenti. Attribuiscono a me la colpa dei loro mali, dei loro difetti.

— Ma ti considerano anche misericordioso — disse Anya. — Vogliono credere che tu li ami.

Ormazd sospirò ancora, stancamente.

— Si rendono conto di essere stati creati per uno scopo — proseguì lei. — Ma brancolano nel buio per scoprire quale possa essere questo scopo. Loro vogliono servirti, però non sanno cosa ti aspetti da loro.

Ormazd si alzò, facendo sfolgorare le nubi con l’alone che irradiava. — Sono serviti al loro scopo, ere addietro. Ora, se il Cacciatore riuscirà nella sua impresa…

— Avrai vinto completamente — intervenne Anya. — E noi saremo salvi.

— Allora potrò sbarazzarmi di loro, finalmente.

— Non puoi eliminarli! Ormazd corrugò la fronte. — Non posso? Io, non posso?

— Non provare a farlo — si corresse Anya. — Sai che il nostro destino è legato indissolubilmente al loro. Creature e creatore, apparteniamo tutti allo stesso continuum. Se loro saranno eliminati, anche noi cesseremo di esistere.

— Spero che tu non lo creda veramente.

— È vero… lo so. Perché avresti permesso loro di rimanere, altrimenti? Li hai creati per sconfiggere il Tenebroso. L’hanno fatto ere fa…

— Non completamente. Lui esiste ancora.

— Sì. — Anya rabbrividì. — E finché esiste, hai bisogno degli umani, vero? Finché il Signore delle Tenebre ti sfugge, gli umani sono necessari. Il tuo esercito di guerrieri. La tua guardia del corpo. La tua squadra suicida.

— Li ho creati perché fossero dei guerrieri. È il loro scopo.

— Già, e lo hai fatto tanto bene che quando non hanno nessun altro contro cui combattere, combattono tra loro. Si massacrano a vicenda, continuamente.

Ormazd scrollò le spalle. — Che importanza ha? Ce ne sono miliardi, adesso. Si riproducono senza posa. Anche questa è una caratteristica dovuta a me. Ho dato loro il piacere, per equilibrare il dolore.

— Parli ancora di equilibrio — sorrise amara Anya. — Ho l’impressione che tu creda davvero di essere stato giusto con loro. Buono, equo.

— Sono solo creature. Giocattoli, come li definisci tu. Non c’è bisogno che io sia buono o giusto con loro.

Per lunghi attimi Anya rimase in silenzio, ma dai suoi occhi si capiva che stava pensando con accanimento.

Ormazd tese una mano dorata verso di lei. Dolcemente, disse: — Non era necessario che tu diventassi una di loro. Non volevo che ti abbassassi al loro livello di vulnerabilità.

— Però l’ho fatto — replicò Anya sommessamente. — E adesso è una cosa che non riesco a dimenticare.

— Mia cara…

— Sono così… fragili. Così angosciati.

— Sono molto limitati. Lo sai. Li ho creati io, così. Dovevo.

— Non senti alcuna responsabilità nei loro riguardi?

— Certo — rispose Ormazd.

— Lo sai cosa credono, alcuni di loro? Alcuni dei loro più grandi filosofi credono che noi siamo stati creati dagli umani. In modo vago, limitato, cominciano a capire che abbiamo bisogno di loro, che senza non possiamo sopravvivere.

Ormazd sbuffò disgustato. — Bah! I loro filosofi blaterano a casaccio, un misto di cose sagge e di stupidaggini. Dicono tutto quello che gli passa per la testa, e la chiamano intelligenza.

— Stanno imparando. E si impegnano al massimo, Ormazd! Creano musica, e opere di pittura, e macchine che raggiungeranno le stelle.

— Tanto meglio — scattò lui.

— Si renderanno ancor più utili.

— Ma la conoscenza che stanno acquisendo li sta rendendo molto potenti. Adesso dispongono di armi capaci di spazzare via l’intera razza.

— Non accadrà mai.

— Tu hai paura che accada.

— No. Farò in modo che non si distruggano del tutto.

— Sei stato tu a crearli aggressivi, a creare una razza di combattenti, di uccisori.

Annuendo, Ormazd ammise:

— Certo. Ne avevo bisogno. La loro natura aggressiva è fondamentale.

— Anche se li porta a massacrarsi l’un l’altro?

— Anche se distruggeranno la loro cosiddetta civiltà in una guerra nucleare. Sì, che importa? Alcuni sopravviveranno. A questo provvederò io. Le loro piccole, insignificanti civiltà sono già crollate in precedenza. Ma la razza sopravvive. È questo che conta.

— E il Tenebroso? Se tu ti chiami Ormazd, il Dio della Luce, immagino che lui dovrebbe essere chiamato Ahriman, il Dio delle Tenebre.

Ormazd piegò leggermente il capo, riconoscendo la legittimità del suo ragionamento.

— È vero che ha il potere di segnare la nostra fine? — chiese Anya.

— Lo crede. Crede che se riuscirà ad annientare gli umani, anche noi moriremo.

Per la prima volta, Anya parve spaventata. — È vero? Può succedere?

E per la prima volta, Ormazd parve preoccupato. — Non ne sono sicuro. Gli umani sono convinti di essere il centro della creazione, il perno che regge le sorti dell’universo…

— Intendi dire che potrebbero avere ragione?

— Non lo so! — urlò Ormazd, serrando i pugni in un gesto di rabbia impotente. — Com’è possibile saperlo? Sono tante le cose che non sappiamo, che sfuggono alla nostra comprensione!

Stranamente, Anya sorrise. Dritta di fronte al collerico, scintillante Dio della Luce, piegò il capo all’indietro, e il suo sorriso sfociò in una sonora risata.

— Dunque, gli umani hanno ragione! Non hanno bisogno di noi. In fondo, non gli abbiamo dato altro che sofferenze e miserie.

— Io li ho creati!

— No, no, mio aspirante dio. Loro ci hanno creati. Può darsi che tu li abbia plasmati dall’argilla, alitando in loro la vita, ma l’hai fatto perché erano loro a esigerlo. Volevano essere creati. E tu, io, e tutti gli aspiranti dei, siamo solo i loro servi.

— È assurdo! — protestò Ormazd. — Io li ho creati! Per servirmi!

La risata di Anya riempiva l’aria come il tintinnio argentino di una campana. — E poi li accusi di essere fissati per la causalità! Sì, li hai creati. Ma è anche vero che loro hanno creato te. Causa ed effetto, effetto e causa. Quale è venuto prima?

Ormazd restò in silenzio, colpito.

— Ha importanza? — fece Anya. Senza attendere una risposta, proseguì: — La loro lotta è la nostra lotta. Se muoiono, moriamo anche noi. Dobbiamo aiutarli. Non abbiamo scelta.

Ormazd finalmente ritrovò la voce. — Li ho aiutati.

— Già, creando dei guerrieri che combattessero per te, mentre tu te ne stai qui al sicuro, lontano dal dolore e dagli affanni, a tirare le fila come un burattinaio.

— Cosa dovrei fare secondo te, unirmi a loro e diventare umano?

— Sì!

— Mai.

— Io l’ho fatto.

— E sei morta. Hai provato il dolore e la paura, come loro. E come loro, hai conosciuto la morte.

— Sì, e lo farò ancora. Ogni volta che sarà necessario.

— Perché?

— Per aiutarli. Per aiutare noi.

— Sei pazza.

— Li amo, Ormazd.

Lui la fissò. — Non ti capisco. Ma sono solo creature!

— Sì, ma sono vivi. Oltre all’angoscia e all’orribile incertezza delle loro vite, conoscono pure l’amore, la gioia, l’amicizia e l’avventura. Sono vivi, Ormazd! Li hai fatti migliori di quel che credi. E io voglio essere una di loro.

— Anche se dovrai andare incontro alla morte?

— Anche se dovessi morire cento volte. Ne vale la pena. Non è un prezzo troppo alto, per la vita. Prova!

— No. — Ormazd arretrò di un passo.

— Rimarrai qui mentre noi altri lottiamo per la vittoria finale?

— Rimarrò qui.

— Il burattinaio — lo derise Anya.

Ormazd si drizzò in tutta la sua altezza. — Il creatore.

Anya rise e, mutandosi in un bagliore argenteo, svanì lentamente. Ormazd restò solo, sospeso al di là dello spazio e del tempo, chiedendosi se le creature che aveva insediato sul minuscolo pianeta chiamato Terra reggessero davvero il peso del continuum sulle loro fragili spalle.

Anche gli dei possono piangere, e mentre pensava alla Terra e agli strani intrecci in cui causa ed effetto a volte si fondono, Ormazd si sentì vecchio e solo.

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