24 Votazione

Non era affatto contento, glielo si leggeva in faccia. A ogni modo, senza perdere altro tempo a discutere, mi prese tra le braccia e saltò leggero dalla finestra, atterrando leggero, come un gatto. Era un po’ più in basso di quanto avessi immaginato.

«D’accordo», disse ribollendo di disapprovazione. «Salta su».

Mi aiutò a salirgli in spalla e iniziò a correre. Era passato molto tempo dall’ultima volta che mi aveva portata in spalle attraverso il bosco, eppure mi sembrò un gesto normale. Facile. Come andare in bicicletta: una volta imparato non te lo scordi più.

Sfrecciava nella foresta, in silenzio e nelle tenebre, il respiro lento e regolare. Il buio era tale che quasi non vedevo gli alberi che ci sfioravano e soltanto il soffio del vento sul viso mi dava l’idea della velocità. L’aria era umida, ma non mi bruciava gli occhi com’era successo nella grande piazza, ed era un sollievo. E così la notte, dopo la luce terrificante di Volterra. Come la trapunta spessa sotto cui giocavo da piccola, la notte era un riparo familiare.

Ricordai che, all’inizio, correre in quel modo nella foresta mi terrorizzava tanto che tenevo gli occhi chiusi. Ormai mi sembrava una reazione sciocca. Avevo gli occhi spalancati, il mento appoggiato alla sua spalla, la guancia sul collo. La velocità era inebriante. Cento volte meglio della moto.

Affondai le labbra nel suo collo marmoreo.

«Grazie», disse mentre le sagome nere e indefinite degli alberi sfrecciavano via. «Significa che ti sei convinta di essere sveglia?».

Mi lasciai andare a una risata spontanea, naturale, schietta. Giusta. «Non proprio. Più che altro, sia quel che sia. Non voglio risvegliarmi. Non stanotte».

«In qualche modo riconquisterò la tua fiducia», mormorò tra sé. «Fosse l’ultima cosa che faccio».

«Ma io ti credo», lo rassicurai. «È di me stessa che non mi fido».

«Spiegati, per cortesia».

Rallentò fino a camminare—me ne accorsi perché il vento cessò—e intuii che eravamo nei pressi della casa. Anzi, già distinguevo il suono del fiume che scorreva nei dintorni, nascosto nel buio.

«Be’...». Mi sforzai di trovare le parole migliori. «Non sono certa di poter essere... abbastanza. Di meritarti. Non c’è niente in me che potrebbe trattenerti».

Si fermò e si voltò per farmi scendere dalle sue spalle ma le mani delicate non mi lasciarono andare e, dopo avermi rimessa in piedi, mi strinse forte al petto.

«Il mio legame con te è permanente e indissolubile», sussurrò. «Non dubitarne mai».

Come facevo a non dubitarne?

«Non mi hai ancora detto...», mormorò.

«Cosa?».

«Qual è il tuo problema più grande».

«Ti do un indizio». Allungai una mano a sfiorargli la punta del naso.

Annuì. «Sono peggio dei Volturi», rispose mesto. «Penso di essermelo meritato».

Alzai gli occhi al cielo. «Il peggio che possano fare i Volturi è uccidermi».

Restò in attesa, guardandomi intensamente.

«Ma tu potresti lasciarmi», spiegai. «I Volturi, Victoria... al confronto non sono niente».

Malgrado l’oscurità, gli leggevo l’angoscia sul volto. Mi ricordava la sua espressione in balia dello sguardo torturatore di Jane. Mi pentii di aver detto la verità.

«No», sussurrai accarezzandogli il viso. «Non essere triste».

Sollevò di malavoglia un angolo delle labbra, ma il mezzo sorriso non riuscì a contagiare anche gli occhi. «Se solo ci fosse una maniera di farti capire che non posso lasciarti», sussurrò. «Immagino che soltanto il tempo riuscirà a convincerti».

L’idea del tempo mi piaceva. «D’accordo».

Il suo volto era ancora tormentato. Cercai di distrarlo cambiando discorso.

«Quindi... visto che hai intenzione di rimanere, posso avere indietro le mie cose?», chiesi nel tono più spontaneo che potessi permettermi.

Il tentativo funzionò, almeno in parte: scoppiò a ridere. Ma nei suoi occhi restava l’angoscia. «Le tue cose sono già lì», disse. «Sapevo che era un errore, ma ti avevo promesso la pace, senza ricordi del passato. Sono stato stupido e infantile, ma volevo anche che qualcosa di mio ti restasse vicino. Il CD, le foto, i biglietti... sono in camera tua, nascosti sotto le assi del pavimento».

«Davvero?».

Annuì, sembrava leggermente rincuorato dal piacere che evidentemente mi dava quella notizia futile. Ma non fu abbastanza per cancellare il dolore dal suo viso.

«Chissà», dissi lentamente, «non ne sono sicura, ma forse... forse l’ho sempre saputo».

«Cosa?».

Volevo soltanto annullare quell’agonia dai suoi occhi, ma, mentre uscivano dalla bocca, le parole mi sembravano più sincere di quanto mi aspettassi.

«Una parte di me, forse il mio inconscio, non ha mai smesso di credere che il mio destino ti stesse a cuore. Per questo sentivo le voci, probabilmente».

Seguì un momento di silenzio profondo. «Voci?», chiese impassibile.

«Be’, una sola. La tua. È una storia lunga». Il suo sguardo inquieto mi fece desiderare di non aver toccato l’argomento. Temeva, come chiunque altro, che fossi pazza? Era vero? Se non altro, svanì quell’espressione che pareva scatenata da qualcosa che gli bruciava dentro.

«Il tempo non ci manca». La sua voce era innaturalmente serena.

«È una storia patetica».

Restò in attesa.

Non sapevo da che parte cominciare. «Ricordi quando Alice ha parlato di sport estremi?».

Rispose con voce neutra. «Ti sei tuffata da uno scoglio per divertimento».

«Ehm, sì. E prima, in moto...».

«Moto?». Conoscevo la sua voce abbastanza bene da sentire qualcosa che ribolliva, nascosto dalla calma.

«Immagino che Alice non ti abbia detto nulla».

«No».

«Be’, il fatto è... ecco, ho scoperto che... ogni volta che facevo qualcosa di pericoloso o stupido... ti ricordavo più chiaramente», confessai, come una pazza da legare. «Ricordavo il suono della tua voce quando ti arrabbi. La sentivo come se fossi al mio fianco. Di norma cercavo di non pensare a te, ma in quelle occasioni speciali non sentivo il dolore: era come se fossi tornato a proteggermi. Perché non volevi che mi facessi male. Ecco, forse riuscivo a sentirti con tanta chiarezza perché, in fondo, sapevo che non avevi mai smesso di amarmi...».

Di nuovo, le mie frasi mi portavano una strana consapevolezza. Sentivo che erano quelle giuste. Una parte nascosta di me riconosceva la verità.

La sua voce sembrava strozzata. «Tu... hai... rischiato la vita... per sentire...».

«Sssh», lo interruppi. «Aspetta un secondo. Sto per avere una rivelazione».

Ripensai alla serata della prima allucinazione, a Port Angeles. All’epoca, le possibilità mi sembravano due: la pazzia, o la necessità di appagare un desiderio. Non c’era una terza opzione.

Eppure...

Eppure, può accadere di credere profondamente a qualcosa senza accorgersi di avere torto marcio? Di essere talmente ostinati e convinti della propria ragione da essere ciechi di fronte alla verità? In quel caso la verità tace o cerca uno spiraglio?

Terza opzione: Edward mi amava. Il legame che ci univa era più forte della distanza, dell’assenza e del tempo. Poco importava che fosse più speciale, bello, brillante o perfetto di me, ormai anche lui era coinvolto e condizionato in modo irreversibile. Era destinato a essere mio per sempre, come io appartenevo a lui.

Cosa stavo cercando di spiegarmi?

«Ah!».

«Bella?».

«Sì. Ecco, ho capito».

«La tua rivelazione?», chiese incerto e nervoso.

«Tu mi ami», dissi meravigliata. La sensazione di certezza e convinzione mi assalì di nuovo.

Malgrado l’ansia nel suo sguardo, sfoderò il sorriso sghembo che tanto adoravo. «È così, davvero».

Il mio cuore si gonfiò a tal punto da rischiare di esplodere. Mi riempì il petto e la gola, mi lasciò senza fiato.

Mi desiderava davvero come desideravo lui: per sempre. Era stato soltanto per non mettere in pericolo la mia anima e la mia esistenza umana che si era ostinato a non volermi trasformare. Di fronte alla possibilità che non mi volesse più, questo ostacolo—la mia anima—sembrava quasi insignificante.

Strinse il mio viso tra le mani fredde e mi baciò fino a darmi le vertigini. Quando avvicinò la fronte alla mia, non ero l’unica ad avere il respiro accelerato.

«Sei stata più brava di me, sai», disse.

«In cosa?».

«A sopravvivere. Tu, se non altro, ci hai provato. Ti alzavi ogni mattina, cercavi di sembrare normale agli occhi di Charlie, seguivi il ritmo della tua vita. Io, quando non cacciavo, ero... totalmente inutile. Non riuscivo a stare vicino alla mia famiglia, né a chiunque altro. Devo ammettere di essermi più o meno raggomitolato su me stesso, per lasciarmi assalire dalla tristezza». Fece un sorriso imbarazzato. «È stato molto più patetico che sentire le voci. E sai che sono sincero».

In cuor mio, ero confortata dal fatto che iniziasse a capirmi davvero e sollevata perché anche per lui aveva senso. In fondo, non mi aveva presa per pazza. Mi guardava come se... mi amasse.

«La voce era una sola», precisai.

Rise, mi cinse i fianchi con un braccio e prendemmo a camminare. «Solo per farti contenta». Fece un ampio gesto verso l’oscurità nella quale procedevamo e che nascondeva qualcosa di immenso e diafano: la casa. «Del loro parere non m’importa nulla».

«La questione riguarda anche loro, ormai».

Scrollò le spalle, indifferente.

Mi guidò oltre la soglia, nel buio della casa, e accese le luci. La stanza era esattamente come la ricordavo: con il piano, i divani bianchi e la scalinata massiccia e chiara. Niente polvere, niente lenzuola sui mobili.

Edward li chiamò come se fossero lì presenti. «Carlisle? Esme? Rosalie? Emmett? Jasper? Alice?». E di sicuro riuscivano a sentirlo.

Carlisle apparve improvvisamente al mio fianco, come se fosse lì da sempre. «Bentornata, Bella». Sorrise. «Come possiamo esserti utili? Immagino che, visto l’orario mattiniero, questa non sia una visita di cortesia».

Annuii. «Ho un discorso da fare a tutti, se per voi va bene, a proposito di una questione importante». Mentre parlavo, non riuscivo a distogliere lo sguardo da Edward. Sembrava critico ma rassegnato. Notai che anche Carlisle guardava Edward.

«Ma certo», rispose. «Perché non ci spostiamo nell’altra stanza?».

Carlisle ci guidò in sala da pranzo, appena dietro il salotto, accendendo le luci a mano a mano. Le pareti erano bianche, i soffitti alti. Al centro della stanza, sotto un lampadario che pendeva basso, c’era un tavolo ovale ampio e lucido, circondato da otto sedie. Carlisle mi indicò di sedermi a capotavola.

Non avevo mai visto i Cullen seduti in sala da pranzo. Era un semplice elemento decorativo, dato che a casa loro non si mangiava.

Non appena mi voltai per sedermi, vidi che non eravamo soli. Esme aveva seguito Edward e dietro di loro c’era il resto della famiglia.

Carlisle si accomodò alla mia destra, Edward a sinistra. Gli altri si sedettero in silenzio. Alice mi sorrideva, già al corrente di tutto. Emmett e Jasper sembravano curiosi, Rosalie azzardò un sorriso. Le risposi con altrettanta timidezza. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo, prima di abituarci.

Carlisle mi fece un cenno del capo. «A te la parola».

Deglutii. I loro sguardi fissi m’innervosivano. Edward mi prese la mano, sotto il tavolo. Gli lanciai un’occhiata, ma lui osservava gli altri, l’espressione improvvisamente tenace.

«Be’... Spero che Alice vi abbia già raccontato cosa è successo a Volterra».

«Tutto», confermò lei.

Le lanciai uno sguardo eloquente. «Anche di cosa ci siamo dette in viaggio?».

«Anche quello», annuì.

«Bene». Sospirai di sollievo. «Allora siamo tutti aggiornati».

Attesero pazienti che finissi di riordinare le idee.

«Il fatto è che ho un problema», dissi. «Alice ha promesso ai Volturi che sarei diventata una di voi. Manderanno qualcuno a controllare e sono certa che sia un pericolo... un’eventualità da evitare. Ecco perché siete tutti coinvolti. Ne sono molto dispiaciuta». Osservai i loro volti bellissimi, uno a uno, lasciandomi per ultimo il migliore. La bocca di Edward era piegata in una smorfia. «Ma se non mi volete, non vi obbligherò ad accettarmi, sia che Alice voglia trasformarmi, sia che non lo faccia».

Esme stava per dire qualcosa, ma la fermai con un dito alzato.

«Vi prego, lasciatemi finire. Sapete tutti cosa voglio. E sono sicura che conosciate anche il parere di Edward. Penso che l’unica maniera onesta di decidere sia di lasciarvi votare. Se decidete di non volermi, allora... penso che tornerò in Italia da sola. Non posso permettere che siano loro a venire qui». A quel pensiero, corrugai la fronte.

Sentii un ringhio crescere nel petto di Edward. Lo ignorai.

«Perciò, partendo dal presupposto che, comunque vada, non vi esporrò ad alcun pericolo, voglio che esprimiate il vostro parere sulla possibilità di trasformarmi in vampira».

Pronunciai l’ultima parola con un mezzo sorriso e feci un cenno a Carlisle: ora toccava a lui pronunciarsi.

«Un momento», incalzò Edward.

Lo guardai in cagnesco. Per tutta risposta, alzò un sopracciglio e mi strinse forte la mano.

«Ho qualcosa da precisare, prima della votazione, a proposito del pericolo di cui parla Bella. Non credo che dobbiamo lasciarci prendere dalla fretta».

La sua espressione si fece più agitata. Posò la mano libera sul tavolo e si chinò in avanti.

«Vedete», iniziò, guardandosi attorno mentre parlava, «le ragioni per cui, prima di andarcene, ho rifiutato di stringere la mano ad Aro sono molte. C’è una cosa a cui non hanno pensato e che ho fatto in modo di non lasciar trapelare». Sorrise.

«Cioè?», lo interrogò Alice. Ero sicura che la mia espressione fosse scettica quanto la sua.

«I Volturi sono molto sicuri di sé, e hanno ragione di esserlo. Per loro scovare qualcuno non è mai un problema. Ricordi Demetri?». Lanciò un’occhiata verso di me.

Rabbrividii.

«Trovare le persone è il suo talento, la ragione per cui lo tengono nel gruppo. Ebbene, durante il tempo che abbiamo passato in loro compagnia ho setacciato i pensieri di tutti in cerca di informazioni o di qualunque appiglio potesse salvarci. Così ho visto in che modo funziona il potere di Demetri. È un segugio mille volte più dotato di quanto fosse James. La sua abilità è in qualche modo simile a ciò di cui siamo capaci io e Aro. Scova le tracce dell’... aroma? Non so come descriverlo... della tonalità... dei pensieri della preda, e la segue. Funziona anche a distanze immense. Però, dopo che Aro ha compiuto quel paio di esperimenti su di te, be’...». Edward si strinse nelle spalle.

«Pensi che non sia in grado di trovarmi», dissi impassibile.

Mi rispose compiaciuto. «Ne sono sicuro. Si affida soltanto a quel senso in più. Se su di te non funziona, saranno come ciechi».

«Questo risolverebbe qualcosa?».

«Ovviamente, Alice saprà prevedere la visita e dopo che mi avrà avvertito ti nasconderò. Non potranno farci nulla», disse, deciso e fiero. «Sarà come cercare un ago in un pagliaio!».

Lui ed Emmett si scambiarono uno sguardo e un cenno d’intesa.

Non aveva senso. «Però potrebbero trovare te», aggiunsi.

«So badare a me stesso».

Emmett rise e si chinò sul tavolo, allungando un pugno verso il fratello. «Piano eccellente», disse entusiasta.

Edward fece scontrare il proprio pugno con quello di Emmett.

«No», sibilò Rosalie.

«Assolutamente no», ribadii.

«Ottimo». Jasper sembrava d’accordo.

«Idioti», mormorò Alice.

Esme lanciò un’occhiataccia a Edward.

Mi raddrizzai sulla sedia e mi concentrai. In fondo avevo indetto io la riunione.

«Va bene. Edward vi ha offerto un’alternativa», dissi fredda. «Ai voti».

Volevo conoscere per prima proprio la sua opinione. Lo guardai. «Vuoi che mi unisca alla vostra famiglia?».

Il suo sguardo era nero e duro come la pietra. «Non in questa maniera. Tu resti umana».

Annuii, sforzandomi di non tradire alcuna emozione, e proseguii.

«Alice?».

«Sì».

«Jasper?».

«Sì», disse, con voce tenebrosa. Non sapevo cosa aspettarmi dal suo voto, ma restai comunque un po’ sorpresa, badando anche in questo caso a restare impassibile. Andai avanti.

«Rosalie?».

Era incerta, si mordeva il labbro carnoso e perfetto. «No».

Senza battere ciglio, voltai di poco la testa per procedere, ma lei m’interruppe con un gesto.

«Lascia che ti spieghi», implorò. «Non sono contraria a che tu divenga mia sorella. È soltanto che... fosse stato per me, non avrei scelto questa vita. Avrei preferito che ci fosse qualcuno a votare “no” per me».

Annuii appena e passai a Emmett.

«Sì, diamine!», sorrise. «Possiamo trovare un altro pretesto per combattere contro questo Demetri».

Mi rivolsi a Esme, mentre ancora ridevo di quelle parole.

«Sì, certo, Bella. Per me tu fai già parte della nostra famiglia».

«Grazie, Esme», mormorai e passai a Carlisle.

All’improvviso mi sentii nervosa e desiderai di aver chiesto il suo voto per primo. Ero sicura che pesasse molto più di tutti gli altri messi assieme.

Carlisle non guardava verso di me.

«Edward», disse.

«No», ruggì. Con la mascella rigida, scopriva e digrignava i denti.

«È l’unica strada sensata», insistette Carlisle. «Hai deciso di non poter vivere senza di lei, il che non mi lascia altra scelta».

Edward lasciò la mia mano e si allontanò dal tavolo. Uscì a grandi passi dalla stanza, ringhiando sottovoce.

«Penso che tu sappia come intendo votare».

Stavo ancora seguendo Edward con lo sguardo. «Grazie», mormorai.

Trasalii quando uno schianto tremendo echeggiò dal salotto.

«È ciò che desideravo», dissi affrettando il discorso. «Grazie a tutti per aver scelto di tenermi con voi. Ricambio in pieno i vostri sentimenti». La mia voce era gonfia di emozione.

Esme mi raggiunse in un lampo e mi cinse con le mani fredde. «Bella, carissima», sospirò.

Restituii l’abbraccio. Con la coda dell’occhio, mi accorsi che Rosalie fissava il tavolo a occhi bassi e compresi che il significato delle mie parole poteva risultare ambiguo.

«Be’, Alice», dissi quando Esme sciolse l’abbraccio, «dove vuoi farlo?».

Alice mi fissò, lo sguardo sbarrato dal terrore.

«No! No! NO!», ruggì Edward e tornò alla carica nella stanza. Prima che potessi batter ciglio me lo ritrovai davanti, chino su di me, il volto deformato dalla furia. «Sei pazza?», urlò. «Hai proprio perso la testa?».

Mi allontanai da lui coprendomi le orecchie.

«Mmm, Bella», lo interruppe Alice, ansiosa. «Non credo di essere pronta. Ho bisogno di prepararmi...».

«L’hai promesso», risposi guardandola torva dietro il braccio di Edward.

«Lo so, ma... sul serio, Bella! Non ho la minima idea di come farlo senza ucciderti».

«Puoi farcela», la incoraggiai. «Mi fido di te».

Edward ringhiò infuriato.

Alice scosse rapida la testa, in pieno panico.

«Carlisle?». Mi voltai verso di lui.

Edward prese il mio viso in una mano e mi costrinse a guardarlo. Il palmo della mano libera era rivolto verso Carlisle.

Suo padre lo ignorò. «Io sono in grado di farlo», rispose. Avrei voluto vedere la sua espressione. «Non correrai il rischio che perda il controllo».

«Aspetta», disse Edward a denti stretti. «Non deve essere per forza adesso».

«Non c’è nessun motivo perché non accada adesso», dissi farfugliando.

«Io ne ho qualcuno».

«Ma bravo», risposi acida. «Adesso lasciami andare».

Mi liberò e incrociò le braccia. «Fra un paio d’ore Charlie verrà a cercarti. Conoscendolo, immagino che coinvolgerà i poliziotti».

Il mio pensiero corse subito alle persone che amavo. Quella era sempre la parte più difficile. Charlie, Renée. Adesso anche Jacob. Le persone che avrei perso, a cui avrei fatto del male. Non so cos’avrei dato per essere io l’unica a soffrire, ma era impossibile e lo sapevo bene.

Tuttavia, restare umana li avrebbe esposti a un pericolo anche maggiore. Charlie rischiava a causa della mia vicinanza costante. Più ancora di lui, Jake, che si sarebbe scontrato con altri nemici nella terra che sentiva suo dovere proteggere. E Renée... non potevo nemmeno andare a trovarla, per paura che i pericoli che mi minacciavano mi seguissero!

Ero una calamita che attirava disgrazie; ormai me ne ero fatta una ragione.

Tale certezza implicava che imparassi a prendermi cura di me stessa proteggendo chi amavo, anche se ciò significava restarne lontana. Dovevo essere forte.

«Per non rischiare di dare nell’occhio», disse Edward senza smettere di serrare le mascelle, rivolgendosi a Carlisle, «propongo che rimandiamo questa conversazione perlomeno al giorno in cui Bella finirà la scuola superiore e non vivrà più a casa di Charlie».

«Questa è una proposta ragionevole, Bella», commentò Carlisle.

Pensai a come avrebbe reagito Charlie—dopo tutto ciò che la vita gli aveva inflitto nella settimana precedente, con la perdita di Harry, e ciò che gli avevo fatto passare io con la mia inspiegabile sparizione—se al risveglio avesse trovato il mio letto vuoto. Charlie non se lo meritava. Bisognava aspettare: il diploma non era così lontano...

«Ci penserò», risposi controvoglia.

Edward si rilassò. Non digrignava più i denti. «Forse è meglio che ti riporti a casa», aggiunse d’un tratto, preso dalla fretta di portarmi via. «Non vorrei che Charlie si svegliasse presto».

Guardai Carlisle. «Dopo il diploma?».

«Ti do la mia parola».

Presi un bel respiro, sorrisi e tornai a fissare il volto di Edward. «D’accordo, portami pure a casa».

Mi trascinò via prima che Carlisle potesse aggiungere altre promesse. Passammo dal retro e non riuscii a vedere quali danni avesse combinato in salotto.

Fu un viaggio tranquillo. Mi sentivo trionfante. Certo, morivo anche di paura, ma cercavo di non pensarci. Non serviva a niente preoccuparsi del dolore—quello fisico ed emotivo—perciò non ci badavo. Finché potevo.

Raggiunta casa mia, Edward non si fermò. Schizzò su per il muro, oltre la finestra, in mezzo secondo. Poi mi fece scendere dalle sue spalle e mi mise a letto.

Credevo di avere ben chiaro cosa stesse pensando, ma la sua espressione mi colse di sorpresa. Anziché infuriato, era meditabondo. Camminò in silenzio avanti e indietro per la stanza, mentre lo guardavo, sempre più sospettosa.

«Qualunque cosa tu stia macchinando, non funzionerà», dissi.

«Zitta. Sto pensando».

Con un lamento, mi lasciai cadere a letto coprendomi la testa con la trapunta.

Senza far rumore, mi fu subito accanto. Sollevò la coperta per guardarmi. Mi si sdraiò vicino. Con la mano mi spostò i capelli dalla guancia.

«Se non ti disturba, preferirei che non ti nascondessi il viso. Mi è mancato più di quanto potessi immaginare. Adesso... dimmi una cosa».

«Cosa?», chiesi, riluttante.

«Se tu potessi esaudire un desiderio, quale sceglieresti?».

Lo guardai, scettica. «Di stare con te».

Scosse la testa, impaziente. «Qualcosa che tu non abbia già».

Non capivo dove volesse arrivare, perciò riflettei per bene sulla risposta. Ciò che dissi era vero, magari impossibile.

«Vorrei... che non toccasse a Carlisle farlo. Vorrei che fossi tu a trasformarmi».

Restai in attesa della sua reazione, inquieta, nel timore che la furia che avevo visto esplodere a casa sua riaffiorasse. Con mia sorpresa, restò pensieroso.

«E cosa saresti disposta a dare, in cambio?».

Non credevo alle mie orecchie. Restai a bocca aperta di fronte alla sua compostezza e mi lasciai scappare la risposta senza nemmeno pensarci.

«Qualsiasi cosa».

Abbozzò un sorriso e increspò le labbra. «Cinque anni?».

Sul mio volto spuntò un’espressione a metà strada tra sofferenza e terrore.

«Hai detto qualsiasi cosa», ribadì.

«Sì, ma... sfrutteresti quel tempo per trovare una scappatoia. Devo battere il ferro finché è caldo. E poi, è troppo pericoloso restare umana, per me almeno. Quindi, qualsiasi altra possibilità va bene».

Si rabbuiò. «Tre anni?».

«No!».

«Allora per te non vale niente!».

Ripensai a quanto desiderassi che fosse lui a trasformarmi. Meglio fingere e non farglielo capire. Avrei avuto più margine di manovra. «Sei mesi?».

Alzò gli occhi al cielo. «Non sono abbastanza».

«Allora un anno», risposi. «È il mio massimo».

«Concedimene almeno due».

«Neanche per idea. Diciannove posso anche compierli. Ma ai venti non voglio nemmeno avvicinarmi. Non credere che possano restare una tua esclusiva».

Ci pensò su per un minuto. «Va bene. Lasciamo perdere i limiti temporali. Se vuoi che sia io a compiere il gesto... lo farò ma a una condizione».

Mi sentii mancare la voce. «Quale?».

Il suo sguardo era prudente. Parlò lentamente: «Prima sposami».

Restai a fissarlo, in attesa. «Okay. È uno scherzo».

Sospirò. «Così mi ferisci, Bella. Ti chiedo di sposarmi e la metti sul ridere».

«Edward, per favore, sii serio».

«Sono serio al cento per cento». Mi lanciò un’occhiata che non lasciava spazio alle battute.

«E dai», risposi con un velo di isteria nella mia voce. «Ho soltanto diciotto anni».

«Be’, io quasi centodieci. È ora che metta la testa a posto».

Guardai fuori dalla finestra buia, sforzandomi di non cedere al panico.

«A dire la verità, il matrimonio non è la mia massima priorità, sai? Renée e Charlie ne sono rimasti letteralmente dissanguati».

«Interessante metafora».

«Sai bene cosa intendo».

Riprese fiato. «Per favore, non dirmi che hai paura di assumerti un impegno tanto solenne». Sembrava incredulo e il perché era chiarissimo.

«Non è proprio così», ribattei. «Ho... paura di Renée. Ha idee molto precise a proposito del matrimonio prima dei trent’anni».

«Perché preferirebbe vederti dannata per l’eternità, piuttosto che sposata». Fece una risata cupa.

«Non ci scherzerei troppo».

«Bella, se pensi che sposarsi sia impegnativo quanto barattare la propria anima con una vita eterna da vampiro...», scosse il capo, «se non sei abbastanza coraggiosa da sposarmi, allora...».

«Be’», lo incalzai. «E se lo fossi? Se ti chiedessi di portarmi subito a Las Vegas? Diventerei un vampiro in tre giorni?».

Sorrise, scoprendo i denti splendenti al buio. «Come no», disse certo del mio bluff. «Prendo la macchina».

«Uffa», mormorai. «Ti lascio diciotto mesi».

«Niente affatto», rispose sorridendo. «Questa è la mia condizione».

«Va bene. Mi rivolgerò a Carlisle, dopo il diploma».

«Se proprio ci tieni». Si strinse nelle spalle e il suo sorriso divenne assolutamente angelico.

«Sei impossibile», dissi con un lamento. «Un mostro».

Sghignazzò. «Per questo non mi vuoi sposare?».

Mi lamentai di nuovo.

Si chinò verso di me. I suoi occhi fondi come la notte bruciavano come lava e frantumarono la mia concentrazione. «Bella, per favore», sussurrò.

Per un istante dimenticai di respirare. Quando mi ripresi, scossi la testa con forza per fare ordine nel mio annebbiamento improvviso.

«Sarebbe stato meglio se ti avessi regalato un anello?».

«No! Niente anelli!». Fu quasi un urlo.

«Ecco, ci sei riuscita», sussurrò.

«Ops».

«Charlie si sta svegliando. Meglio che me ne vada», disse Edward rassegnato.

Il mio cuore cessò dibattere.

Lui mi osservò per un momento. «Trovi infantile che mi nasconda nell’armadio?».

«No», sussurrai impaziente. «Per favore, resta».

Sorrise e scomparve.

Al buio, irrequieta, aspettavo che Charlie venisse a controllare. Edward sapeva quel che faceva ed ero pronta a scommettere che dietro la sua reazione stupita e offesa ci fosse ancora uno stratagemma. Certo, l’opzione Carlisle rimaneva ma, ora che sapevo di avere una possibilità di essere trasformata da Edward, lo desideravo più di ogni altra cosa. Però, che razza di imbroglione.

La porta si spalancò.

«Buongiorno, papà».

«Ah, ciao, Bella». Sembrava preso in contropiede. «Non pensavo fossi già sveglia».

«Eh, sì. Aspettavo che ti alzassi anche tu per fare la doccia». Feci per scendere dal letto.

«Aspetta», disse Charlie e accese la luce. Restai accecata per qualche istante e badai a non guardare verso l’armadio. «Prima, parliamo un po’».

Non riuscii a controllare la mia espressione infastidita. Mi ero dimenticata di chiedere un alibi ad Alice.

«Sei nei guai, lo sai, vero?».

«Sì, lo so».

«Negli ultimi tre giorni sono quasi impazzito. Torno a casa dal funerale di Harry e tu non ci sei. Jacob non ha saputo dirmi altro, se non che te n’eri andata con Alice Cullen e che temeva fossi in pericolo. Non mi hai lasciato un numero, non ti sei mai fatta viva. Non sapevo dove fossi, né quando—o se—saresti tornata. Riesci a renderti conto di come... come...». Non riuscì a terminare la frase. Riprese fiato e proseguì. «Hai un motivo valido per non costringermi a spedirti a Jacksonville seduta stante?».

Lo guardai torva. Eravamo arrivati alle minacce, dunque? D’accordo, gli avrei risposto per le rime. Mi sedetti, avvolgendomi nella trapunta. «Sì! Perché non ci andrò».

«Aspetta un attimo, signorina...».

«Ascolta, papà, mi prendo tutta la responsabilità delle mie azioni e tu hai il diritto di mettermi in castigo fino a quando ti pare. Farò anche le pulizie, laverò i panni e i piatti finché non ti sembrerà che ho imparato la lezione. Penso sia tuo diritto anche cacciarmi via, ma non per questo andrò in Florida».

Arrossì all’istante. Prima di rispondere cercò di calmarsi.

«Potresti spiegarmi dove sei stata?».

Oh, merda. «C’è stata... un’emergenza».

Restò a fissarmi, in attesa della mia brillante spiegazione.

Sbuffai rumorosamente. «Non so cosa dirti, papà. Più che altro, è stato un malinteso. “Ho sentito dire, gira voce” eccetera e la cosa è diventata più grossa di com’era».

Mi guardava assolutamente scettico.

«Ecco, Alice ha detto a Rosalie che mi ero tuffata dallo scoglio...». Mi arrabattavo a cercare una storia che fosse il più vicina possibile alla verità, in modo che la mia incapacità di raccontare bugie credibili non rovinasse tutto, ma, prima che proseguissi, l’espressione di Charlie mi ricordò che lui non sapeva niente dello scoglio.

Mega errore. Come se non fossi già sulla graticola.

«Mi sa che non te ne ho parlato», farfugliai. «Niente di che. È capitato, durante una nuotata con Jake... Comunque, Rosalie l’ha detto a Edward e lui si è arrabbiato. A quanto pare, ha frainteso e capito che avevo cercato di suicidarmi, o qualcosa del genere. Non rispondeva più al telefono, perciò Alice mi ha trascinata a... Los Angeles, per spiegargli tutto di persona». Scrollai le spalle, sperando con tutte le mie forze che l’errore di nominare lo scoglio non lo avesse distratto dalla brillante spiegazione che avevo costruito.

Restò impietrito. «Hai davvero tentato il suicidio, Bella?».

«Ma no, certo che no. Mi stavo soltanto divertendo con Jake. Tuffi dagli scogli. I ragazzi di La Push ci vanno sempre. Te l’ho detto, niente di che».

Diventò paonazzo. Se prima era arrossito, ora ribolliva di rabbia. «E che c’entra Edward Cullen?», sbraitò. «In tutto questo tempo, ti ha lasciata a te stessa senza battere ciglio».

Lo interruppi. «Un’altra incomprensione».

Stava per esplodere. «Perciò, è tornato?».

«Non sono sicura dei loro piani. Penso di sì, comunque».

Scosse la testa, la vena sulla fronte pulsava. «Voglio che tu stia lontana da lui, Bella. Non mi fido. Ti crea soltanto problemi. Non permetterò che ti riduca ancora in quel modo».

«Va bene», risposi secca.

Charlie si dondolò sui talloni. «Ah». Per un secondo non seppe cosa dire e sospirò di sollievo e sorpresa. «Pensavo che fossi più testarda».

«Lo sono», dissi fissandolo negli occhi. «Volevo dire: “Va bene, me ne andrò”».

Mi guardò stralunato e impallidì. La mia decisione iniziò a vacillare quando ripensai alla sua salute. Non era tanto più giovane di Harry, in fondo...

«Papà, non voglio andarmene», dissi dolcemente. «Ti voglio bene. So che sei preoccupato, ma devi fidarti di me. E se vuoi che resti, dovrai andarci piano con Edward. Vuoi o no che io viva qui?».

«Non è giusto, Bella. Sai bene che non c’è niente che desideri di più al mondo».

«E allora sii gentile con Edward, perché staremo sempre insieme», dissi sicura di me. L’effetto della rivelazione era ancora forte.

«Non sotto questo tetto», urlò Charlie.

Feci un sospiro pesante. «Senti, non voglio darti altri ultimatum, stanotte... anzi, stamattina. Riflettici per qualche giorno, okay? Ma ricorda che se prendi me, ti tocca anche Edward».

«Bella...».

«Riflettici», ribadii. «E mentre ci pensi, potresti lasciarmi un po’ di privacy? Ho davvero bisogno di una doccia».

Il colorito di Charlie aveva una strana sfumatura purpurea, ma alla fine uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Lo sentii scendere le scale rumorosamente.

Mi tolsi la trapunta di dosso, ed Edward spuntò al mio fianco, sulla sedia a dondolo, come se avesse seguito l’intera conversazione da quel punto.

«Scusami», sussurrai.

«Mi meriterei di peggio», mormorò. «Non litigare con Charlie per colpa mia, ti prego».

«Non preoccuparti», bisbigliai mentre prendevo il set da bagno e un cambio di vestiti puliti. «Litigherò quel tanto che basta, senza esagerare. Oppure mi stai dicendo che mi ritroverei senza un tetto?». Strabuzzai gli occhi, fingendomi allarmata.

«Ti trasferiresti in una casa infestata dai vampiri?».

«Probabilmente è il posto più sicuro, per una come me. Inoltre...», gli sorrisi, «se Charlie mi caccia, la scadenza del diploma non sarà più valida, no?».

S’irrigidì. «Sei impaziente di essere dannata per l’eternità», mormorò.

«Non ci credi neanche tu, è inutile fingere».

«Ah, no?», disse irritato.

«No. Non ci credi».

Mi guardò torvo, pronto a ribattere, ma fui più veloce di lui.

«Se davvero fossi stato convinto di aver perso l’anima, quando ti ho ritrovato, a Volterra, avresti capito al volo cosa stava accadendo, anziché ritenerci morti entrambi. Invece no, hai detto: “Straordinario. Carlisle aveva ragione”», esclamai trionfante. «Dopotutto, dentro di te c’è un filo di speranza».

Per una volta fui io a lasciarlo senza parole.

«Perciò, questa speranza conserviamola entrambi, non è meglio?», suggerii. «Non che m’importi granché. Se ci sei tu, non ho bisogno del paradiso».

Si alzò lentamente e si avvicinò per prendermi il viso tra le mani, mentre mi guardava negli occhi. «Per sempre», giurò, ancora scosso.

«Non chiedo altro», dissi e in punta di piedi avvicinai le labbra alle sue.

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