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Attraverso il fruscio della pioggia si udiva il mormorio del fiume che scorreva in fondo al burrone, e proprio davanti a me luccicava, bagnato, Un leggero ponte metallico, su cui faceva bella mostra un grande cartello con la scritta: Territorio del popolo dei Testoni. Era un po’ strano vedere che il ponte iniziava nel bel mezzo dell’erba alta. Non solo non c’era un accesso, ma nemmeno uno schifo di gradino. A due passi da me splendeva la finestrella solitaria di un edificio rotondo interrato, che sembrava una specie di caserma. Da lì proveniva l’inconfondibile odore del pianeta Sarakš, un odore di ferro arrugginito, di muffa, di morte. Sembra strano imbattersi in posti del genere sulla Terra. Si ha l’impressione di essere a casa, di conoscere tutto, e che tutto sia familiare e abituale, e invece no: prima o poi incappi in qualcosa che non lega con il resto… Bene. Che cosa penserebbe a proposito di questo edificio il giornalista Kammeter? Oh! Lui avrebbe già un’opinione ben precisa.
Il giornalista Kammerer cercò nella parete rotonda la porta, la spinse con decisione e si ritrovò in una stanza col tetto a volta dove non c’era niente, eccetto un tavolo a cui sedeva, con il mento appoggiato sui pugni, un giovane dai lunghi capelli, paludato in un vivace poncho messicano, che assomigliava, per i riccioli ed il viso dolce e affilato, al poeta Aleksandr Blok.[19] Gli occhi azzurri del giovane incontrarono il giornalista Kammerer con uno sguardo del tutto privo di interesse e leggermente sorpreso.
— Ma guarda che architettura qui da voi — esclamò il giornalista Kammerer, levandosi dalle spalle gli schizzi di pioggia.
— A loro piace, — ribatté Aleksandr B., senza cambiare posizione.
— Possibile! — fece sarcastico il giornalista Kammerer, cercando con lo sguardo dove sedersi.
Nella stanza non c’erano sedie libere e nemmeno poltrone, divani, sofà o panche. Il giornalista Kammerer fissò Aleksandr B. Aleksandr B. lo fissò sempre con la stessa indifferenza, non mostrando nemmeno l’ombra dell’intenzione di essere gentile o appena cortese. Era strano. Cioè, inconsueto. Ma si capiva che qui era nell’ordine delle cose.
Il giornalista Kammerer aveva già aperto la bocca per presentarsi, ma a questo punto Aleksandr B., con stanca rassegnazione, abbassò sulle pallide guance le folte ciglia e… con la meccanica emozione di un robot cominciò a dire a memoria il suo testo:
— Caro amico! Purtroppo, lei è venuto fin qui del tutto inutilmente. Tutte le dicerie che le sono giunte e che l’hanno condotta fin qui sono oltremisura esagerate. Il territorio del popolo dei Testoni non può assolutamente essere considerato come una specie di complesso per l’istruzione ed il tempo libero. I Testoni — un popolo notevole e originale — dicono di se stessi: «Siamo per la conoscenza ma non per la curiosità». La missione dei Testoni rappresenta qui, in veste diplomatica, il suo popolo e non costituisce oggetto di contatti non ufficiali e, ancor meno, di inutile curiosità. Stimato amico! La cosa migliore che lei ora può fare è di ritornarsene indietro e di spiegare in modo convincente a tutti i suoi conoscenti come stiano veramente le cose.
Aleksandr B. tacque e alzò languidamente le sopracciglia. Il giornalista Kammerer continuò a rimanergli davanti, e questo, evidentemente, non lo meravigliò affatto.
— Naturalmente, prima di salutarci, risponderò alle sue domande.
— E non è per caso tenuto ad alzarsi in piedi? — si interessò il giornalista Kammerer.
Qualcosa di simile alla vivacità guizzò negli occhi azzurri…
— Per esser sincero, sì, — confessò umilmente Aleksandr B. — Ma ieri mi sono slogato una caviglia, mi fa ancora male, per cui mi deve scusare…
— Ma certo, — disse il giornalista Kammerer e si sedette sull’orlo del tavolo. — Vedo che i curiosi non le danno tregua…
— Da quando ho iniziato il turno lei è il sesto gruppo.
— Ma io sono solo! — ribatté il giornalista Kammerer.
— Gruppo è un concetto collettivo, — spiegò Aleksandr B., diventando ancora più vivace. — Come cassa per esempio. Una cassa di birra. Una partita di stoffa. Oppure una scatola di cioccolatini. Può anche succedere che nella scatola non sia rimasto che un cioccolatino. Come lei.
— Le sue spiegazioni mi soddisfano completamente, — disse il giornalista Kammerer. — Ma io non sono un curioso. Sono venuto per affari.
— L’ottantatré per cento dei gruppi — reagì immediatamente Aleksandr B. — viene qui proprio per affari. L’ultimo gruppo — formato da cinque esemplari, compresi un bambino piccolo ed un cane — voleva mettersi d’accordo con il capo della missione per delle lezioni di lingua dei Testoni. Ma nella stragrande maggioranza sono dei raccoglitori di xenofolklore. È un’epidemia. Tutti si occupano di xenofolklore. Ma i Testoni non hanno folklore — È una fandonia! Il burlone Long Müller ha pubblicato un libriccino alla maniera di Ossian,[20] e tutti sono impazziti… «O arbori frondosi, dalle migliaia di code, che celate i vostri tristi pensieri nei tronchi pelosi e caldi! Migliaia e migliaia di code avete e nemmeno una testa!…» E i Testoni, fra l’altro, non hanno affatto il concetto di coda! La coda per loro è l’organo di orientamento, e se si dovesse tradurre in modo adeguato allora si dovrebbe tradurre non coda, ma bussola… «O arbori dalle migliaia di bussole!» Ma lei non mi pare sia un folklorista…
— No, — confessò sincero il giornalista Kammerer. — Sono molto peggio. Sono un giornalista.
— Sta scrivendo un libro sui Testoni?
— In un certo senso. Perché?
— No, così. Prego. Lei non è né il primo né l’ultimo. Ha mai visto dei Testoni?
— Sì, certo.
— Sullo schermo?
— No, sono io che li ho scoperti sul pianeta Sarakš…
Aleksandr B. addirittura fischiò.
— Ma allora lei è Kammerer?
— Al suo servizio.
— Ma no, sono io al suo servizio, dottore! Ordini, esiga, faccia a suo piacimento.
Mi ricordai immediatamente della conversazione di Kammerer con Abalkin e spiegai in fretta:
— Io li ho soltanto scoperti, e niente altro. Non sono affatto uno specialista di Testoni. Ed ora mi interesso non dei Testoni in genere, ma di un unico Testone, il traduttore della missione. Per cui se lei non ha nulla in contrario… andrei da lui.
— Ma prego, dottore! — Aleksandr B. fece un gesto di meraviglia. — Non penserà mica che stiamo qui a far la guardia? Niente affatto! Prego, passi pure! Sono in molti ad andare. Gli spieghi che sono dicerie, voci, esagerazioni, loro annuiscono, salutano e se ne vanno — e sgattaiolano attraverso il ponte…
— E poi?
— Dopo un po’ ritornano. Molto delusi. Non hanno visto niente e nessuno. Boschi, alture, sfaldamenti, paesaggi affascinanti, tutto questo ovviamente c’è, ma i Testoni non ci sono. Intanto, vivono di notte; poi, vivono sotto terra e, terzo, si incontrano solo con quelli con cui si vogliono incontrare. Ecco, proprio per questo siamo qui noi, per allacciare i contatti…
— E chi sarebbe noi? — chiese il giornalista Kammerer. — Il COMCON?
— Sì. Siamo tirocinanti. Facciamo dei turni qui. Ogni ora c’è un collegamento da entrambe le parti… Chi è il traduttore che cerca?
— Cerco Ščekn-Itrč.
— Proviamo. Lui la conosce?
— No. Ma gli dica che voglio parlare con lui di Lev Abalkin, che lui conosce certamente.
— Figuriamoci! — disse Aleksandr B., e si avvicinò il selettore.
Il giornalista Kammerer (e sì, lo confesso, anche io), con un’ammirazione che sconfinava nella venerazione, osservò come quel giovane dall’aspetto delicato di poeta romantico all’improvviso strabuzzasse gli occhi e, storcendo le belle labbra in un’impensata trombetta, cominciasse a gorgheggiare, ad anatrare, a ululare, come trentatré Testoni messi insieme (nella quiete del bosco notturno, accanto a una strada asfaltata disselciata, sotto il cielo opaco e fosforescente di Sarakš), e come questi suoni sembrassero appropriati a quell’ambiente vuoto, con la volta ad arco, le pareti spoglie e ruvide. Poi tacque, chinò il capo e si mise ad ascoltare una serie di schiocchi ed ululati in risposta, ma le sue labbra e la parte inferiore del cranio continuavano a muoversi stranamente, come se lui le tenesse pronte a continuare il colloquio. Era piuttosto sgradevole a vedersi, e il giornalista Kammerer, nonostante tutta la sua ammirazione, ritenne indispensabile distogliere gli occhi per delicatezza.
Del resto il colloquio non durò molto. Aleksandr B. si rilassò sullo schienale della sedia e, massaggiandosi delicatamente la parte inferiore del cranio con le lunghe dita pallide, disse in fretta, quasi soffocando:
— Pare che sia d’accordo. Non vorrei però darle troppe speranze: non sono del tutto sicuro che abbia capito bene. Due livelli di significato li ho capiti, ma mi sembra che ce ne fosse ancora un terzo… In breve, attraversi il ponte, troverà un sentiero che porta nel bosco. Lui le verrà incontro. Cioè, lui la esaminerà… No, come dire… Sa, non è difficile capire la lingua dei Testoni, è difficile tradurla. Come per esempio lo slogan: «Siamo per la conoscenza, ma non per la curiosità». E, fra l’altro, un esempio per una buona traduzione. «Non per la curiosità» si può intendere come «non siamo curiosi inutilmente» oppure come «non guardateci con curiosità». Capisce?
— Capisco, — disse il giornalista Kammerer, scivolando giù dal tavolo. — Lui mi osserverà e deciderà se vale la pena parlare con me. Grazie per il suo aiuto.
— Ma si figuri! Era mio dovere… Aspetti, prenda il mio impermeabile, sta piovendo…
— Grazie, non c’è bisogno, — disse il giornalista Kammerer e uscì sotto la pioggia.