Dal burrone potevo vedere che il dottor Goannek per mancanza di pazienti si dedicava alla pesca. Era una buona cosa, perché il suo cottage era vicino alla cabina del trasporto-zero più del club della stazione balneare. Sulla strada, però, si trovavano delle arnie di cui non mi ero accorto durante la mia prima visita, perciò mi toccò mettermi in salvo, saltando qua e là fra canestri ornamentali e travolgendo nella corsa decorativi vasi e orci di terracotta. Comunque, andò tutto bene. Arrivai di slancio sulla veranda con la balaustra, mi intrufolai nella stanza che già conoscevo e, senza sedermi, telefonai a Sua Eccellenza.
Pensavo di cavarmela con un breve rapporto, ma la conversazione risultò piuttosto lunga, tanto che mi toccò trasportare il videofono sulla veranda, perché il ciarliero e permaloso dottor Goannek non mi prendesse in castagna.
— Ma perché sta lì? — chiese Sua Eccellenza, pensieroso.
— Aspetta.
— Le ha dato un appuntamento?
— Per quanto ho capito, no.
— Poveraccia… — brontolò Sua Eccellenza. Poi chiese: — Sei tornato?
— No, — dissi. — Mi sono ancora rimasti quel Jašmaa e la residenza dei Testoni.
— Perché?
— Alla residenza ora si trova un Testone di nome Ščekn-Itrč, quello stesso che prese parte insieme ad Abalkin all’operazione “Mondo morto”.
— Allora?
— Da quanto ho capito dal rapporto di Abalkin, fra loro si sono creati dei rapporti un po’ insoliti.
— In che senso insoliti?
Faticai a trovare le parole giuste.
— Oserei chiamarla amicizia, Eccellenza… Lei ricorda il suo rapporto?
— Lo ricordo. Capisco quello che vuoi dire. Ma rispondi a questa domanda: come hai fatto a sapere che il Testone Ščekn si trova sulla Terra?
— Beh… è stato abbastanza complicato. Per prima cosa…
— Basta così, — mi interruppe e tacque con aria di attesa.
Per la verità, non ci arrivai subito. In effetti, per me, collaboratore del COMGON2, nonostante la mia solida esperienza di lavoro con il GSI, era stato abbastanza difficile trovare Ščekn. Che dire allora del semplice Progressore Abalkin che, per di più, da vent’anni vagava per il profondo Cosmo e del GSI non ne capiva più di uno scolaretto!
— D’accordo, — dissi. — Naturalmente ha ragione lei. E però deve ammetterlo: è un problema risolvibile, se c’è la voglia di farlo.
— Sono d’accordo. Ma il punto non è questo. Non ti è venuto in mente che stia gettando polvere negli occhi?
— No, — risposi con sincerità.
Gettare polvere negli occhi significa mettere su una falsa traccia, seminare indizi falsi, in breve: far scervellare la gente. Teoricamente, poteva essere benissimo che Lev Abalkin avesse un fine ben preciso, e che tutto questo falso materiale, organizzato da maestro, sul cui significato dovevamo infruttuosamente romperci la testa, servisse solo a farci perdere tempo e forze, distraendoci nello stesso tempo dalle cose importanti.
— No, non è verosimile, — dissi deciso.
— Invece io ho l’impressione che sia verosimile, — disse Sua Eccellenza.
— Lei, naturalmente, può rendersene Conto meglio, — risposi secco,
— Indubbiamente, — concordò. — Ma purtroppo è solo una mia impressione. Non ho in mano dei fatti. Perciò, se NON mi sbaglio, mi pare poco probabile che nella sua situazione si ricordi di Ščekn, perda un sacco di energie per trovano, si precipiti nell’altro emisfero, si metta li a far la commedia, e tutto questo solo per gettare di nuovo polvere negli occhi. Sei d’accordo?
— Vede, Eccellenza, io non conosco la situazione, e probabilmente proprio per questo ho un’impressione diversa.
— E quale sarebbe? — chiese con inatteso interesse.
Cercai di formulare le mie impressioni.
— Certo, non gettare polvere negli occhi. In quello che fa c’è una certa logica. Tutto è collegato. Inoltre, usa sempre lo stesso trucco. Non perde tempo e fatica per escogitare un trucco nuovo. Lascia di stucco il suo uomo con una qualche affermazione, e poi sta a sentire che cosa borbotta in risposta la sua vittima… Lui vuole sapere qualcosa, qualcosa della sua vita… più precisamente del suo destino. Qualcosa che gli è stata nascosta… — Tacqui e poi aggiunsi: — Eccellenza, in qualche modo è venuto a sapere che a lui è legato un mistero della personalità.
Ora tacevamo entrambi. Sullo schermo oscillava la calvizie lentigginosa. Sentivo che stavo vivendo un momento storico. Era uno di quei rarissimi casi in cui le mie deduzioni (non fatti da me raccolti, ma proprio deduzioni, conclusioni logiche) avevano costretto Sua Eccellenza a rivedere le sue idee.
Sollevò la testa e disse:
— Va bene. Va’ a trovare Ščekn. Ma tieni presente che più di tutto mi servì qui.
— Agli ordini, — dissi, e chiesi: — E per quanto riguarda Jašmaa?
— Non è sulla Terra.
— Ma no, — dissi. — È sulla Terra. Si trova nel «Campo di Jan» presso Antonov.
— È da tre giorni sul pianeta Higanda.
— Chiaro, — dissi. Doveva esser cosi. Che coincidenza! È nato lo stesso giorno di Abalkin, è anche lui un figlio postumo, anche lui compare sotto il numero 07.
— Va bene, va bene, — berciò Sua Eccellenza. — Non ti distrarre.
Lo schermo si spense. Riportai al suo posto il videofono e scesi in cortile. Là mi inoltrai con cautela attraverso i giganteschi cespugli di ortica e dalla latrina di legno del dottor Goannek uscii sotto una pioggia notturna sulle rive del fiume Thelon.