26 Il tempo e la mente

Incatenata al muro di una stanza apparentemente priva di porta, Mag guardava quella che sembrava una grossa falena dalle ali dorate sbattere incessantemente sul vetro della giara, sopra uno scaffale. La giara era chiusa con un tappo di sughero incerato; la falena avrebbe dovuto essere morta da un pezzo. Invece continuava a svolazzare avanti e indietro senza fermarsi mai, senza mai rinunciare a illudersi che la libertà fosse alla sua portata, e quella cieca testardaggine era una vista che Mag non poteva sopportare. Ma non poteva neppure evitare di guardarla. C’erano anche altre cose, alcune in ombra e altre luminescenti, che ogni tanto attraevano il suo sguardo, come il mucchio d’ossa in un angolo e le deformi creature fluttuanti in un’altra giara, che sembravano studiarla incuriosite. La stanza, priva di finestre e gravida di odori pesanti, era facilmente identificabile per lei. Si trattava del posto più segreto e meglio sorvegliato di Domina Pearl, il centro della sua ragnatela. Che la reggente le avesse permesso di vederla, era un fatto che Mag trovava molto preoccupante.

Qualche ora prima, Mag aveva assistito ai tentativi della donna di riattaccarsi addosso le parti del corpo che le erano state rubate dal vorticoso disegno a carboncino, mugolando un interessante miscuglio d’incantesimi e imprecazioni. Il meglio che aveva saputo fare era stato riavere una specie di carota nera per pollice, una foglia accartocciata per orecchio, e un sopracciglio bianco come la neve. Guardandosi allo specchio si era sputata in faccia. La sua saliva, colando sul vetro, lo aveva fuso. Poi si era voltata verso Mag, che sedeva per terra con un braccio che si stava intorpidendo, tenuto sollevato dalla catena fissata al muro.

«In quanto a te», aveva detto aspramente la Perla Nera, mentre lei la guardava con occhi inespressivi, «resterai qui a fare da esca. Io rifiuterò tutte le offerte che la tua padrona mi farà, finché sarà costretta a venire a cercarti. Allora l’avrà a che fare con me. Se invece non le importa di te, e non vorrà venire, allora tu diventerai la mia bambola di cera, nella mente e nel corpo. Ti userò contro di lei come lei ti ha usato contro di me. Questo insegnerà alla maga a non immischiarsi con un mondo cui non appartiene.»

Detto questo, se n’era andata. Mag l’aveva guardata con attenzione, ma era stato come se la Perla Nera fosse filtrata giù tra le tavole sporche del pavimento, o si fosse compressa in un bruscolino volando via attraverso una fessura dal muro. Mag si era alzata per far circolare il sangue nel braccio. Faey l’avrebbe salvata in qualche modo, presto o tardi. Questa la speranza a cui si era aggrappata, cercando di non domandarsi quanto presto? in che modo?

Quello che sembrava essere il letto della Perla Nera la distrasse per qualche momento. Era alla base del muro opposto: un cassone lungo quanto una bara, con un coperchio aperto, tondeggiante. L’esterno sembrava fatto d’ambra e di migliaia d’ali scintillanti di scarafaggi. Nell’interno e lungo il bordo, una strana sostanza aveva assunto la forma del corpo della Perla Nera, completa di ogni particolare del viso e delle impronte digitali sul lato del coperchio. La sostanza appariva porosa, spugnosa, come una crosta di pane color del sangue secco. Era quella strana cosa, intuì Mag, che durante la notte ringiovaniva la Perla Nera e le dava, a giudicare dalle esalazioni, quel particolare odore di biancheria sporca. Al centro del locale campeggiava un caminetto circolare sormontato da una canna fumaria della stessa forma; la grata d’acciaio sopra le braci sorreggeva un pesante calderone annerito.

Mag sedette sul pavimento e tornò a guardare con ipnotica intensità la bella falena dorata che lottava con la sua prigione trasparente. Se fosse riuscita a liberarsi, si disse, avrebbe potuto farlo anche lei; se la falena avesse trovato la porta invisibile nella giara, anche lei l’avrebbe…

In quel momento la Perla Nera apparve, sbucando dall’aria. Il volto era chiazzato e rigonfio, molto teso; le labbra erano scomparse. Ha l’aria di aver inghiottito un fulmine, pensò Mag, a disagio.

La donna si diresse a quello che sembrava un albero fuso nel ferro, dai cui rami pendevano come frutti dei grossi specchi. Ne girò rapidamente alcuni. Mag intravide immagini dell’interno del palazzo: un’elegante camera in penombra, dove figure nude si muovevano tra spiegazzate lenzuola di seta. La cucina, dove un cuoco mescolava un pentolone fumante e alcune inservienti pelavano e tagliavano vegetali, la biblioteca segreta dove giorni addietro lei era stata intrappolata. Domina Pearl sussurrò qualcosa, e su ogni specchio apparve il volto duro e inespressivo di una guardia.

«Sorvegliate tutti gli ingressi, anche alle cucine, e le scale dello scantinato. Impedite a quella donna di lasciare il palazzo. Quando la troverete, uccidetela, e portate il principe da me.»

Sta parlando di Lydea, pensò Mag, e si sentì accapponare la pelle. La Perla Nera girò su se stessa, si strappò via la parrucca dalla testa e la sbatté al suolo. Un piccolo pugnale e una fiala contenente un liquido verde ne rotolarono fuori. La donna fissò i capelli posticci, ansimando. Mag osservò la sua testa calva. Infine Domina Pearl si chinò a recuperare la parrucca, con un grugnito, e se la rimise. La collinetta di capelli neri sembrava così rigida che Mag si era aspettata di vederla andare in pezzi, ma non una ciocca era fuori posto.

Subito dopo la donna scomparve.

Spaventata e confusa, Mag scagliò tutti gli oggetti alla sua portata contro la giara, per spaccarla e far volare via la falena dorata, comprese le sue scarpe. Il vetro resistette a ogni colpo; l’ultima scarpa, rimbalzando di lato, mancò per un capello la reggente, che era di nuovo riapparsa, e andò a rotolare nel suo letto. La Perla Nera colpì la ragazza con una sberla su una guancia che le lasciò il segno del sigillo, poi raccolse la scarpa e la gettò nel mucchio delle ossa. Mag notò che nel letto della donna metà della suola si era fusa, e deglutì saliva.

Non poté capire esattamente come Ducon e Camas Erl avessero trovato il modo di entrare nella stanza segreta della Perla Nera, ma all’improvviso i due uomini furono lì, di fronte a lei. Il volto di Ducon aveva un’espressione dura e spaventata, depressa, come se fosse stato costretto a ingoiare un boccone amaro. Il boccone amaro, suppose Mag, era Camas Erl, riportato sano a salvo a Domina Pearl dopo i suoi vagabondaggi nella storia antica. La sua ipotesi era solo in parte veritiera, come apprese poco dopo. Ducon la guardò, accigliandosi alla vista del segno sulla sua guancia e della catena. Non disse nulla, ma lei lo vide farsi ancor più scuro in faccia.

Ducon consegnò a Domina Pearl un foglio grigio-tortora piegato e chiuso col sigillo di cera nera di Faey. La donna lesse e poi sbuffò, sprezzante. «Come mi aspettavo. Ha cominciato a patteggiare per riavere la sua bambola.»

«Voi cosa farete?»

«Non accetterò niente, e alla fine lei non avrà altra scelta che venire qui. È diventata troppo imprevedibile, abituata com’è a fare i suoi comodi, nella città sotterranea. La voglio qui, sotto il mio controllo, e al mio servizio. Mentre aspetto, farò i necessari cambiamenti alla ragazza.»

«Quale genere di cambiamenti?»

«È troppo curiosa», rispose secca. «Come te.»

«Permettimi di riportare la ragazza a casa sua», la pregò invece Camas Erl. Si era pettinato, ma la sua pelle era raggrinzita come quella di certe piante carnose della Perla Nera, e i suoi indumenti erano bagnati dalla cintura in giù. «Ho ancora molte domande da fare alla Maga. Il suo passato è straordinario. Risale agli inizi della storia di Ombria. Mi ha promesso…»

«Tu sei già rimasto assente troppo tempo», sbottò Domina Pearl. «Hai trascurato il tuo dovere, e per colpa tua la storia di Ombria potrebbe prendere una brutta piega. La tua maestra Spina ha rapito il principe.»

«Cosa?» sussurrò Ducon. Camas Erl, ammutolito, sbatté le palpebre come se non sapesse con quale scusa giustificare le sue menzogne.

«Quella traditrice è intrappolata nei passaggi segreti del palazzo, insieme a una banda di altri cospiratori, ma le guardie li hanno trovati. Tutti giovani figli di cortigiani, illusi di poter avere successo dove i loro padri hanno fallito. La maestra Spina non sfuggirà alle guardie, ma vedendosi alle strette chissà cosa potrebbe fare al principe…»

«Non gli farà del male», la interruppe in fretta Ducon. «Lei lo ama.»

Domina Pearl lo guardò senza espressione. «Tu conosci questa donna abbastanza da sapere che ha rapito il principe perché lo ama, invece che per conto di qualche fazione di congiurati? Io credo che sia soltanto una di loro, e che userà Kyel per ricattarmi.»

«La conosco, sì, e anche voi. È l’ex concubina di Royce Greve. La maga l’ha mascherata con un incantesimo, affinché in questo sanguinoso e decadente palazzo ci sia qualcuno capace di dare al bambino un po’ d’amore, invece di una dose quotidiana di droga…»

Mag non vide Domina Pearl muoversi, ma d’improvviso Ducon cadde in ginocchio dinanzi a lei, portandosi le mani alla gola come se soffocasse, bianco come un cencio.

«Stavolta quella sgualdrina non sarà così fortunata», disse sottovoce la reggente. «Morirà non appena la prenderanno, sotto gli occhi del bambino. E tu sarai ancora meno fortunato, perché ti lascerò vivere. Ma vivrai qui dentro, ubbidendomi come uno schiavo, senza mai poter lasciare questa stanza.» Gli diede le spalle, voltandosi verso il grande calderone, e saggiò la temperatura dell’acqua con un dito. «Per cominciare, adesso mi aiuterai a riportare questa bambola di cera al suo stato originale di cera informe.»

Ducon mandò un verso che stava tra un’imprecazione e un singhiozzo. Lei lo ignorò, e gettò uno sguardo al vecchio cortigiano che taceva, a capo chino. «E ora tu, sentiamo: fino a che punto conoscevi questa maestra Spina?» L’altro ebbe un gesto vago, incapace di difendersi da quell’accusa. «Non importa. Più tardi ti tirerò fuori la verità. Ora vai a cercare il principe, assicurati che i miei ordini siano eseguiti e torna qui col bambino. Tu dici che vuoi assistere agli sviluppi della storia: assisti a questo. E taglia i capelli a quella femmina, non appena l’avranno uccisa. Voglio usarli per la mia…»

All’improvviso si fermò, distratta dalla vista di una guardia apparsa in uno degli specchi. L’uomo mosse le labbra in silenzio, parlandole, con voce udibile soltanto a lei.

Ducon, momentaneamente libero dal potere che l’aveva attanagliato alla gola, si tirò in piedi, vacillando. Pallido e sudato guardò la donna, che dall’espressione sembrava piuttosto colpita dalle notizie che le venivano date. Mag la vide trattenere il fiato, ma neppure lei udì qualcosa. Domina Pearl sedette sul bordo del letto, accigliata. Per qualche istante, mentre si mordicchiava un labbro contemplando qualcosa che non aveva previsto, parve quasi umana.

Poi si voltò verso Ducon. «Il bambino è morto.»

Lui non riuscì a dire niente, come se quelle parole gli avessero intorpidito la mente. Scosse il capo, continuando a fissarla, e un tremito lo scosse.

«Lydea…» cominciò a dire la Perla Nera. Dovette tossire qualcosa di acido che aveva in gola. «Le guardie stavano per catturarla, all’ultimo piano del palazzo. Non avendo altro posto dove fuggire, si è gettata fuori da una porta aperta nel vuoto, col principe in braccio. Le guardie stanno cercando i loro corpi.» Ducon emise un suono inarticolato. Domina Pearl controllò un tremito nervoso all’angolo della bocca e si alzò. «Tu dovrai organizzare un altro funerale», disse a Camas Erl. «Qualcosa di adatto a un governante bambino. E consulta l’albero genealogico per sapere chi è in linea di successione dopo di lui. Non voglio dissapori o liti in questa casa.»

Ducon si appoggiò al bordo del calderone come per non perdere l’equilibrio, ma d’un tratto afferrò il massiccio oggetto e lo sollevò dalla grata, alzandolo sopra la sua testa. Per qualche momento barcollò sotto quel peso, poi girò su se stesso e lo scagliò. Il suo sforzo era stato così erculeo che perfino la Perla Nera rimase paralizzata dalla sorpresa, nel vedersi passare davanti quella massa annerita. E un attimo dopo il calderone piombò sul suo letto, che sotto l’urto devastante andò in mille pezzi; le ali di scarafaggio schizzarono dappertutto. Sbigottita dalla vista di quel disastro, Domina Pearl mandò un gemito lungo e acuto, come un gesso che strìdesse su una lavagna. Quel suono colpì Mag così sgradevolmente che dovette tapparsi le orecchie con le mani, facendo smorfie di dolore.

Ducon indietreggiò sotto l’impatto dello strano ululato, ma subito si afferrò all’albero di ferro degli specchi e lo rovesciò sui rottami del letto. Il suo volto contratto dalla rabbia apparve in tutti gli specchi, prima che si fracassassero al suolo.

Non contento di ciò, il giovane sollevò la grata, imbrattandosi le mani di cenere. Mag trattenne il respiro, perché la giara in cui svolazzava la falena dorata era giusto dietro la testa della Perla Nera. Ma la donna, sempre strillando come un’aquila, non diede a Ducon la possibilità di scaraventargliela addosso. Paralizzato dall’incantesimo feroce del suo sguardo, il giovane s’immobilizzò a metà del gesto e rimase lì, tremando sotto il peso della grata.

Lei gonfiò il petto per urlare ancora, o forse per sputargli in faccia la sua saliva corrosiva. Ma in quel momento, all’improvviso, la giara dietro la sua nuca si spaccò. Tutti si voltarono a guardare, salvo Ducon che sembrava, più che affatturato, intento a cercare la forza di gettare ancora qualcosa contro la donna. La falena volò via, e dopo aver spiraleggiato qua e là per la stanza trovò rifugio tra i capelli di Mag.

Lei sentì un senso di calore dietro gli occhi e in gola, per nessuna ragione salvo il fatto che la falena era libera ed era venuta da lei. La stanza però stava vibrando in modo strano, e il pavimento sussultava sotto i loro piedi. Oggetti d’ambra scintillarono e clicchettarono; le ossa ammucchiate in un angolo si mossero. Domina Pearl inciampò e si aggrappò all’albero di ferro, frugando selvaggiamente con lo sguardo tra i pezzi dei suoi specchi. I muri si scossero ancora, come se nelle viscere del palazzo o giù nelle fondamenta qualcosa di poderoso e inimmaginabile stesse muovendo i suoi primi enormi passi.

La grata sfuggì dalle mani di Ducon e con un angolo massiccio spaccò un mattone del pavimento. Le giare sugli scaffali sbattevano una contro l’altra, e il loro bizzarro contenuto oscillava. Uno scaffale gemette, quando i chiodi si piegarono nel legno; poi a un tratto si spaccò in due, facendo volare schegge di vetro e liquidi puzzolenti sulla schiena della Perla Nera. Lei sibilò un’imprecazione, guardando una fessura che si allungava sul soffitto.

«Lei ha detto che avrebbe fatto qualcosa», mormorò Camas Erl.

Domina Pearl lo fulminò con lo sguardo. La pelle del viso era tirata, come terracotta sul punto di sgretolarsi. La stanza intorno a loro si torceva e sussultava, dando a Mag l’impressione che i mattoni fossero denti vogliosi di masticarsi a vicenda. Seduta alle spalle della Perla Nera, la ragazza vide che Ducon e il vecchio cortigiano avevano alzato lo sguardo al piano di sopra, attraverso le crepe del soffitto, per vedere cosa stava succedendo.

«Che cos’è?» balbettò Camas Erl, allargando le braccia come per tenere lontani i confini della storia che gli si chiudevano attorno. «È lei? O è l’inizio?»

Domina Pearl scacciò con un gesto disgustato quelle farneticazioni, e nel movimento brusco perse un sopracciglio. «Perché, non lo sai? Non l’hai forse studiato per anni?»

«Sarà la fine?» ansimò lui, con espressione rapita sul volto pallido. I muri si scossero ancora, come se un gigante stesse cercando di aprire la stanza come una scatola. Una voce, più di vento che umana, o come il sibilo di un ciclopico rettile, echeggiò intorno a loro. Le sue parole sembravano quelle di un’antica lingua, solo per metà umana e del tutto incomprensibile.

Domina Pearl si chinò tra le schegge di vetro e d’ambra, e raccolse un frammento di specchio. Mentre lo girava inutilmente da una parte e dall’altra per vedere chi fosse a parlare, il suo orecchio raggrinzito si staccò e cadde. Con un grido si chinò a cercarlo, frugando tra le macerie. Camas Erl, i cui occhi gialli continuavano a correre da un muro all’altro, si scostò di un passo da lei.

La voce riempì di nuovo la stanza con la furiosa energia di una burrasca, ostile e minacciosa, pronunciando parole enigmatiche.

La Perla Nera sputò anche un dente o due, e se li mise in tasca. «Chi è quella donna?» domandò a Camas, con voce rauca. «Da che zona di Ombria viene?»

«Voi dovreste conoscerla», rispose lui, agitatissimo. «È sempre stata qui.»

Ducon tornò inaspettatamente alla vita. Le sue mani, ancora strette alla grata caduta, si abbassarono. Si guardò attorno tra le rovine della stanza e vide Mag, seminascosta da uno scaffale crollato. Poi una porta sbatté da qualche parte, oltre i muri, e lui s’irrigidì di nuovo. Tutti loro stavano cercando di vedere oltre il visibile.

La voce risuonò ancora, scrosciante come un’onda sulla scogliera. «Ridammi mia figlia!»

Il pollice raggrinzito della Perla Nera cadde, mentre si voltava con un grido furibondo. «Prenditela!»

Detto questo, svanì. Camas Erl, urlando qualcosa d’incoerente, per un poco oscillò tra storia e magia, poi la seguì in quella via di fuga che conosceva.

La falena volò fuori dai capelli di Mag, atterrò sul pavimento e si trasformò in Faey.

La maga aveva un volto improvvisato alla meglio, con la pelle iridescente e un occhio più piccolo dell’altro. Si scostò una ciocca di capelli color delle ali della falena, e toccò l’anello di ferro al polso di Mag. La catena si aprì; il braccio intorpidito ricadde. Debole come cera sciolta, la ragazza non poté muoversi da dove stava. La falena della giara continuava, nella sua mente, a trasformarsi in Faey, che era salita dal mondo di sotto per salvarla. Lacrime brucianti come il fuoco la accecarono, bagnandole il viso, e fuoco divennero le parole che cercavano di salirle in gola, finché non seppe più se il suo corpo fosse cera, o carne, o fiamma.

Sentì la voce di Ducon, rauca per la rabbia e la sofferenza. «Dove sono andati? Voglio vederla morta. Mi aiuterai?»

Faey sedette sul pavimento e mise un braccio intorno alle spalle di Mag. «Domina Pearl è già morta, dovunque vada», disse a Ducon. «Tu l’hai uccisa. Il suo corpo non può ricrescere senza il letto, e non avrà il tempo di farsene un altro prima di averne bisogno. Credo che lei sia un cadavere fatto resuscitare da una muffa, o da un fungo, qualcosa cresciuto in un terreno malato.»

«Le sue guardie hanno riferito che Lydea e Kyel sono morti, o scomparsi.» Il volto del giovane era contratto per la preoccupazione. «Per favore, tu puoi dirmi dove sono?»

«Da quanto ho visto io, sono usciti da una porta. Quella che tu hai disegnato molte volte, con l’arcobaleno sul montante. È là che devi cercarli. Cosa c’è oltre quella soglia? Tu lo sai meglio di me.»

Lui la guardò, incerto, tormentato da quello stesso interrogativo, ma non seppe rispondere. Un breve ansito gli scosse il petto, e poi scomparve come Camas Erl, oltre l’invisibile uscita della stanza della Perla Nera.

Mag si chiese se fosse andato fuori oppure dentro. «Dovremmo seguirlo», disse, a disagio. «Aiutarlo. Lei non è ancora morta, e le sue guardie sono dappertutto.»

«Posso tenerlo d’occhio anche da qui», la rassicurò Faey. «Io non ho bisogno di tutti quegli specchi per vedere.»

Mag si asciugò gli occhi con una manica. «Io ero venuta qui per cercare la mia vera madre in un carboncino da disegno. Ma non credo che vedere il suo viso mi avrebbe emozionato come vedere il tuo. Qualunque viso tu abbia deciso di metterti.»

Faey modificò le dimensioni dei suoi occhi e annuì, pensosamente. «In vita mia ho fatto tanti sbagli quante volte ho cambiato volto. Oggi abbiamo imparato qualcosa, tu e io. Quando ero convinta di sapere tutto ciò di cui avevo bisogno, tu mi hai insegnato a guardare oltre la magia, dentro il mio cuore.»

«Puoi insegnarmi a vedere senza gli occhi?»

«Hai già visto Ducon in quel modo», le ricordò lei. Ma si chinò a raccogliere un pezzo di specchio. «Ecco, usa questo. Funziona ancora. Pensa al tuo viso.»

Mag richiamò alla mente il volto di Ducon e guardò lo specchio. La cosa nelle fondamenta fece un altro immenso passo, che scosse l’intero grande edificio fino al tetto. Mag sussultò. Lo specchio tremò tra le sue mani, e l’immagine che vi si era formata ondeggiò come nell’acqua smossa. I muri sembrarono girarsi con l’interno all’esterno.

«Io credevo», disse la ragazza, preoccupata, «che fossi tu a fare questo sconquasso, là fuori. Che cos’è?»

«Sta succedendo», rispose oscuramente Faey. «Questo è un buon posto per aspettare che sia finito. È fuori dal tempo, così potrai ricordare meglio, dopo.»

«Aspettare che sia finito cosa? Ricordare cosa? Che cosa sta succedendo, di preciso, là fuori?»

La maga scrollò le spalle, corrugando le sopracciglia. «Non ne sono sicura. Ma sembra che questo succeda tutte le volte che io salgo dal sottomondo.»

Mag la guardò, ammutolita. La stanza segreta ruotava come una stella in un planetario, seguendo il suo immutabile sentiero attraverso la notte.

Загрузка...