Anche Lydea si era svegliata all’alba, ma nella stanzetta senza finestre della cameriera non sapeva che ora fosse. A mettere fine al suo sonno erano stati i sogni. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva Domina Pearl che la spiava, e nel buio aveva l’impressione di udire il pianto di Kyel. Poi quei gemiti diventavano lenti e solitari singhiozzi, provenienti da una dell’infinita fila di porte allineate nel corridoio silenzioso. Così, stanca di correre a cercarlo dall’una all’altra, decise che per quella notte aveva dormito abbastanza. Distesa nel piccolo e duro letto pensò a Royce Greve e alla sua ben nutrita ma nervosa concubina, che si mangiava le unghie tra le lenzuola di seta in una delle grandi camere da letto piene di luce, con vista sui giardini e sul mare. Adesso era sepolta nel seminterrato del palazzo, su una scomoda branda, in una stanza simile a una cella d’alveare, e le sue strane unghie erano così dure che avrebbe potuto piantarle a martellate in un’asse di legno.
Attese, ormai completamente sveglia e preoccupata, finché udì qualcuno bussare alla porta. Andò ad aprire e trovò una brocca d’acqua calda, tè, pane e frutta. Si lavò e si vestì, bevve il tè, ma non riuscì a inghiottire un boccone di cibo, e poi rimase seduta sul letto finché sentì di nuovo bussare alla porta.
Quando aprì, si trovò davanti Ducon, che per qualche istante parve incerto e perplesso alla vista del suo nuovo volto.
La ragazza si portò una mano alla bocca. «Santo cielo! Cosa ti è successo?»
Ducon aveva una ferita larga un palmo su una tempia, un labbro tagliato e la bocca contratta in una smorfia, come se ogni movimento gli costasse sofferenza. Scrollò le spalle.
«La politica.» Cercò di sorridere. «Non preoccuparti.»
Lei si aggiustò meglio l’abito. «Sono presentabile? Mi sento come se dovessi salire sul patibolo.»
«Hai un aspetto molto ordinato e tranquillo, per una che sta per essere impiccata.»
Camas Erl non la riconobbe. Dall’espressione stupita dell’uomo, la ragazza capì che non si era aspettato di trovarsi davanti una completa sconosciuta. Al momento di fare le presentazioni ci fu un po’ d’imbarazzo, perché all’improvviso Ducon ricordò che dopo tutta quella fatica per darle un volto non avevano pensato a un nome.
«Nobile Erl, questa è Rosa», improvvisò in fretta. Chiedendosi se la ragazza avrebbe vissuto abbastanza da rivedere la taverna del padre, aggiunse: «L’assistente Rosa Spina».
«Maestra Spina.» Il tutore le rivolse un mezzo inchino.
In quei cinque anni doveva esser stato sepolto nella biblioteca del palazzo, pensò lei, perché non le sembrava di averlo mai visto. «Mastro Erl.»
«Ho chiesto a Domina Pearl il permesso di assumere un’assistente che insegni al giovane principe i rudimenti della scrittura, così avrò più tempo libero per le ricerche necessarie al mio libro, La Storia di Ombria. Io gli insegnerò aritmetica, lingue straniere e storia. Voi mi darete una mano anche in questo, all’occorrenza.»
Lei accennò di sì con docilità, rabbrividendo all’idea. «Come volete, mastro Erl. Anche se le mie conoscenze sono alquanto…»
«Sono certo che basteranno ai nostri scopi», la interruppe subito lui. «Nobile Ducon, tu saresti una distrazione per il principe, con il viso conciato in quel modo. Ti suggerisco di andare, prima che Domina Pearl lo porti qui. È meglio non darle motivo di pensare che tu e la maestra Spina vi conosciate.»
Ducon uscì dalla stanza. Lydea, col cuore che le batteva forte alla prospettiva di rivedere la Perla Nera, abbassò gli occhi e lasciò che Camas Erl la esaminasse.
D’un tratto lui domandò: «Sapete leggere e scrivere?»
«Mia madre mi ha insegnato», rispose lei, cauta. «Sapeva un po’ di aritmetica, abbastanza per contare i soldi.»
«È sorprendente.»
Stupita lei alzò gli occhi. «Cosa volete dire, mastro Erl?»
«È stata lei a darvi questo aspetto, non è così? La maga che vive nel sottomondo. Ditemi come posso trovarla.»
Lei esitò. «Mastro Erl…»
«Se finiremo nei guai con la Perla Nera, finiremo nei guai insieme. Ducon dovrà salvarci. Io ho parlato con la ragazza della maga… quella che dice di essere la sua figlia di cera.»
Lei trattenne il fiato. «Voi avete visto Mag? Di recente?»
«Ieri sera mi ha dato una nota da lasciare sotto la porta di Ducon, per fargli sapere che sta bene. L’ho conosciuta mentre cercava Ducon. Ha detto che la maga vive tra le rovine della storia di Ombria, e che mi avrebbe condotto da lei. Voi siete stata là?» Lei non lo negò, limitandosi a scrutarlo a occhi stretti, perplessa e a disagio senza sapere perché. Camas Erl non sembrava aver bisogno di una risposta, e con gli occhi accesi d’eccitazione al pensiero del passato della città, continuò: «Io ho una sola passione nella mia vita, ed è la storia di Ombria. Non avete mai sentito la storia della città-ombra?»
Quell’uomo non aveva paura, capì all’improvviso lei. Ecco cosa la metteva a disagio. In quel palazzo c’era una lotta di potere che stava mietendo vittime tra membri di fazioni rivali, e Camas Erl non aveva neppure un poco di sana paura per la sua vita.
Stavolta lui aspettava una risposta. Lydea ripensò alla sua domanda e disse: «Sì. Spesso la raccontavo a…» S’interruppe, prima di compromettersi. Sono rimbecillita come lui, si disse. Ma l’uomo parve non farci caso. «Sì, lo so», le rispose sottovoce.
«Voi sapete…» cominciò lei, stupita. Ma subito tacque, nel vedere lo sguardo dell’altro farsi vitreo. Si voltò.
La Perla Nera stava entrando, con Kyel. Teneva una mano su una spalla del bambino, ma i suoi occhi erano sull’estranea a colloquio con Camas Erl.
Lydea sentì che il sangue le defluiva dal volto. Con sollievo notò che Kyel non poteva vederla bene, anche perché camminava a capo chino.
Con uno sforzo ricordò a se stessa che la Perla Nera e Kyel erano la reggente e il principe, e dinanzi a loro s’inchinò profondamente, evitando lo sguardo scrutatore della donna.
«Mio signore, mia signora, questa è la maestra Spina», la presentò Camas Erl con modi tra bruschi e indifferenti. «Mio signore Kyel, lei vi insegnerà a leggere e scrivere.»
Lydea azzardò un’occhiata al bambino, con aria impassibile. Lui non l’aveva ancora degnata di uno sguardo e non rispose al tutore.
«Il principe non dovrà mai essere lasciato solo con la maestra Spina», decretò secca la Perla Nera, «anche considerato ciò che è successo ieri.»
«No, naturalmente no.»
«Ho raddoppiato le guardie di servizio a questo piano. Chiamatele qui, se dovete lasciare il principe. La ragazza non servirebbe a niente, se dovessero esserci dei guai. Presumo, infatti, maestra Spina, che voi non siate una spadaccina addestrata.»
Lydea s’inchinò di nuovo. «No, mia signora.»
«Smettetela di saltellare così quando vi parlo. Guardatemi.»
Lydea rialzò gli occhi, con riluttanza. Quelli neri e freddi dell’altra erano cambiati, notò, nel breve tempo trascorso dalla morte di Royce. Sembravano gli occhi di un predatore, pericolosamente feroci. Quella donna aveva sentito l’odore del sangue. Ora non si sarebbe limitata a scortare la concubina del defunto principe all’uscita; l’avrebbe semplicemente fatta gettare dalla finestra più vicina.
«Tu hai l’aria di non essere una stupida», disse Domina Pearl dopo un silenzio poco rassicurante. «Voglio fidarmi del giudizio di mastro Erl. E può essere un’idea saggia impedire che il principe si attacchi troppo al suo tutore. Tu lo istruirai sotto la supervisione di mastro Erl. Fuori dall’orario di lavoro non dovrai vederlo, né qui né altrove. Fuori da questa stanza, non dovrai esistere per lui.»
La donna le voltò le spalle e uscì. Lydea s’inchinò ancora. Kyel, libero dal peso della mano sulla sua spalla, andò al tavolo dove lo attendevano i libri, il calamaio e i fogli; sedette e guardò il suo riflesso nel piano di legno lucido.
Lydea si raddrizzò lentamente. Gettò uno sguardo incerto a Camas Erl. L’uomo inarcò un sopracciglio bianco in direzione del principe, e se ne andò a un tavolo lontano, così carico di pigne di libri e rotoli di pergamene che dietro di essi lui scomparve.
Lydea accostò una sedia a quella di Kyel. Il bambino non la guardò, anche se sbatté le palpebre quando si accorse con la coda dell’occhio che lei gli si sedeva accanto.
«Mio signore», disse dolcemente la ragazza, «vuoi mostrarmi quali lettere hai già imparato a scrivere?»
Lui prelevò un foglio bianco dalla pila, raccolse la penna d’oca e controllò che il gambo fosse appuntito. Lei gli aprì il calamaio. Lui intinse la punta e disegnò un uovo fornito di coda. Poi un altro uovo alla base di un’asta.
«Vuoi che ti mostri come si scrive il tuo nome, mio signore?»
Lui non rispose; si limitò ad aspettare che lei allineasse le lettere sul foglio. Lydea aveva l’impressione di avere sulla faccia una maschera fredda e indifferente, ma il suo cuore era un groviglio di emozioni, per il pallore del volto di lui, per il suo silenzio, ma anche perché l’incantesimo non stava funzionando come previsto. Il bambino non sentiva niente di familiare, dietro la sua voce calma e controllata.
Lei gli restava sconosciuta anche a così breve distanza.
Come posso raggiungerti? pensò la donna, disperata, mentre lui ricopiava doverosamente il suo nome. Come posso dirti chi sono? Come posso farmi vedere?
Parlami, disse il Re dei Ratti, mentre il principe di Ombria giaceva morente, e quelli che amavano il bambino avevano cominciato a sparire. Il Papero mormorò, con la gola stretta a quel ricordo: «Vuoi che ti racconti una favola?»
La mano del bambino si fermò. La penna rimase al centro della Y, immobile come se lui fosse sotto incantesimo. Sta aspettando, pensò lei. Aspettando. Se si fosse voltato a guardarla, la donna che lui aspettava sarebbe scomparsa, per lasciare al suo posto solo quell’estranea.
«Vuoi che ti racconti la favola del ventaglio?»
Lui aspettò ancora, con gli occhi sulla carta, mentre l’inchiostro si allargava in una macchia nera sul suo nome.
«Questa è Ombria, mio signore», disse lei. «La più antica città del mondo.»
Le labbra di lui si aprirono, dando forma in silenzio a una parola.
Infine lei udì la sua voce, debole, esitante, che raccoglieva lo spunto. «La più ricca città del mondo.»
«La più potente città del mondo.»
«Queste sono le navi», sussurrò lui. «Le navi di Ombria.»
«Questo è il grande e indaffarato porto di Ombria.»
Lui si stava voltando, con gli occhi spalancati, offuscati. «Questo è il palazzo dei governanti di Ombria… questo è il più grande…»
«Questa è l’ombra di Ombria.»
Lui la guardò. Lei sorrise, con labbra tremanti, e due lacrime brillarono negli occhi del bambino e caddero sul foglio come pioggia. Si piegò verso di lei, appoggiò la fronte sulla sua, e lei gli prese il viso tra le mani.
«Io sono il tuo segreto», sussurrò Lydea. «La tua segreta maestra Spina. Ricordi quando giocavamo con i pupazzi?» Il bambino annuì, contro di lei. Lo sentì tremare. «Io ero il Papero e tu eri il Falco.»
«E Re dei Ratti.»
«Sì. Solo che ora sono la maestra Spina. Tu mi vedrai soltanto qui, e non dovrai mai dire il mio nome fuori da questa stanza. Io t’insegnerò a leggere e scrivere.»
«Lei ti ha mandata via», sussurrò lui, con voce sottile come il fruscio della penna sulla carta.
«Sono tornata.»
«Lei ti troverà ancora.»
«Non saprà chi sono io. Perciò tu non dovrai dirglielo. Pronuncia il mio nome.» Lui glielo soffiò contro una guancia. «No, mio signore. Quello è il mio nome nell’altra parte della storia. Qui siamo nella città-ombra, e io sono la maestra Spina.»
Lui si scostò un poco. «Allora io chi sono?»
Lei gli accarezzò il viso, gli scostò una ciocca di capelli dagli occhi. «Nella città-ombra, tu sei il mio cuore.»
Fecero ben poco esercizio nell’ora che Camas Erl concesse per la calligrafia. Ma lui sembrò non farci caso. Si è drogato col passato, pensò Lydea, e quegli spettri sono ancora nei suoi occhi. Esaminò gli scarabocchi di Kyel senza vederli e mormorò: «Bene, bene». Poi, nelle ore che Kyel trascorse scrivendo numeri e lottando con la grammatica di un’antica lingua, i suoi occhi tornarono a velarsi. Col righello in mano, illustrandogli le opere e la vita degli antenati di Casa Greve, Camas Erl era appassionato e preso dal suo lavoro, ma frustrato dall’indifferenza dell’allievo.
Quando Domina Pearl venne a portarlo via, entrambi avevano di nuovo la stessa espressione con cui li aveva lasciati. Alla maestra Spina, seduta in un angolo con le mani in grembo, la donna non dedicò neppure uno sguardo.
«Mi domando», disse Camas Erl a Lydea non appena furono soli, «se voi sareste disposta a far una cosa per me. Domina Pearl ha detto che fuori da questa stanza voi non esistete, cosa che rivela un’imprudente mancanza d’immaginazione da parte sua. Quelli che crediamo di poter trascurare sono quelli che più ci sorprendono con le loro azioni. Voi avete una stanza; ora andrete là, e poi cosa farete?»
«Avrò degli incubi», rispose lei con voce piatta.
«Non lavorate a uncinetto, o cose del genere?» La ragazza lo guardò, incredula. Lui le mostrò il libro che aveva in mano. Era vecchio e malconcio, con una copertina in pelle sfaldata, la costolatura a pezzi e le pagine ingiallite fitte di parole. Sembrava sul punto di sgretolarsi come un barattolo arrugginito. «Dovreste leggerlo. E prendete anche questi con voi, e questi», disse. Le mise in mano il libro, dei fogli di carta, e sopra di essi aggiunse alcune penne e un calamaio. «Scrivete tutto quello che vi sembra importante.»
«Importante in che senso?» domandò lei, distrattamente. Sentiva già la mancanza di Kyel, e si preoccupava per lui, tormentandosi al pensiero di ciò che la Perla Nera avrebbe potuto fare per mantenerlo docile. Sarebbe stato così stordito da pensare che lei era stata solo un sogno? Avrebbe dimenticato la promessa e fatto il suo nome?
«La storia che stavate raccontando al principe. Quella della città-ombra.»
Lei guardò il libro; spostò nell’altra mano carta e calamaio, per poterlo aprire. Non sembravano esserci ombre sulle sue pagine; soltanto parole, fitte come pietre nel selciato di una strada, e apparivano tutte uguali. «Qui non sembra che ci sia una storia, non come le storie che io ho sentito.»
«Può esserci, e può non esserci.» L’uomo la guardò con i suoi strani occhi, gialli come quelli di un cane randagio. «Se ci trovate qualcosa, scrivete per me quello che avete visto. Non c’è tempo per rovistare in tutto.»
«Non c’è tempo?» ripeté lei, stupita. «Che cosa dovete fare, adesso?»
«Non c’è più tempo al mondo», ripeté oscuramente lui. «Per favore. Posso pagarvi.»
Lei si strinse nelle spalle. Raddrizzò il calamaio prima che le cadesse. «Non lo so. Vedrò fino a che punto posso arrivare. Potrebbe essere una cosa troppo complicata perché io la capisca.»
Gli angoli della sua bocca sottile si piegarono all’insù. «Voi capite molte cose, maestra Spina. Voi siete stata sulla cima del mondo col principe di Ombria e, sotto di esso, con la più vecchia maga della storia della città. Stavate per dirmi come posso trovarla.»
«Stavo per dirvelo?» mormorò lei, perplessa e a disagio per il suo comportamento. «L’ho cercata in qualche strada finché ho trovato un’insegna, ho ricordato un’ombra che avevo visto una volta… e ho aperto una porta.»
«E lei era lì», finì sottovoce lui. «Voi siete entrata nella storia più antica di Ombria.»
Ancora stupita, stentando a capire cosa l’uomo le avesse detto, Lydea portò quel disordinato mucchio di parole e di fogli e di penne nella stanzetta silenziosa che le era stata assegnata.
Lesse per il resto del giorno, e poi accese una candela per continuare a leggere anche di notte.