L’eco del motore spinto al massimo venne rimandata dalle palme fitte della sponda. Pallidissima Deirdre distolse lo sguardo dall’acqua mentre alle loro spalle, nel punto in cui l’ultimo colpo di fiocina aveva liberato Terry dalla stretta del tentacolo, il mare veniva agitato convulsamente da un corpo gigantesco. Poi, dopo un tonfo e uno spruzzo altissimo, la creatura degli abissi senza luce sprofondò verso l’angolo più remoto della laguna. Il mostro si era lasciato sfuggire la preda e tornava a cercare il buio del limo.
— Hanno mandato su quel mostro dalla Fossa di Luzon per sostituire i pesci di cui li abbiamo privati — disse Terry puntando verso l’“Esperance”.
— La tua gamba… — balbettò Deirdre. — Sanguina!
— Già. Un paio di belle spellature — commentò Terry. — Niente di grave, comunque.
— Ma quella bestia non sarà stata velenosa?
— Il veleno è l’arma dei deboli — ribatté il giovane. — E non si può dire che quel coso fosse debole! Per stavolta mi è andata bene, però.
— Mi sarei buttata con la fiocina se tu non fossi riuscito a…
— Che non ti venga mai in mente di fare una cosa simile! — interruppe con forza Terry.
— Non potrei più vivere se… — Deirdre abbassò gli occhi senza finire la frase.
Terry spense il motore e il fuoribordo arrivò spinto dall’inerzia fin sotto lo yacht. Deirdre salì a bordo, prese una cima e assicurò l’imbarcazione. I soliti gesti come al ritorno da una normale gita.
— Vai a riferire quello che abbiamo scoperto — disse Terry. — Io voglio vedere se ci sono in giro altre bestie del genere.
— Non…
— Stai tranquilla — la rassicurò il giovane. — Mi servirò del ricevitore subacqueo. Deirdre lo guardò, con ansia.
— Ti prego! Sii prudente! — Gli si accostò e lo baciò d’impeto. Poi saltò sul molo e corse verso riva.
Terry preparò l’apparecchio per convogliare i pesci. Gli pareva di essere diviso in due persone diverse. Una continuava a pensare a Deirdre. L’altra non smetteva di preoccuparsi per quello che poteva succedere se davvero i bolidi non erano corpi celesti naturali, o se gli oggetti di plastica e i ronzii sottomarini erano dovuti a un’intelligenza talmente progredita da saper variare la velocità spaziale delle meteoriti per farle cadere in un punto prestabilito.
Controllò il nastro inserito nel registratore, calò fuori bordo l’apparecchio trasmittente, lo orientò in modo da dirigere il suono verso il centro della laguna, e mise sul massimo l’amplificatore per aumentare l’effetto sonoro. Poi azionò la leva che metteva in funzione l’apparecchiatura.
Di colpo l’aspetto della laguna cambiò. I pesci cominciarono ad agitarsi e dappertutto fu un brulicare di creature che tentavano inutilmente di sfuggire alla tormentosa sensazione provocata dall’onda sonora.
Nel punto in cui la creatura abissale aveva assalito Terry l’acqua ribolliva in maniera diversa come se una forza spaventosa stesse impegnando una terribile lotta contro il rumore ossessionante. La laguna divenne tutta bianca di schiuma, e per due volte Terry vide due enormi tentacoli sollevarsi nell’aria e ricadere a flagellare la superficie della laguna.
In nessun altro punto però accadde un uguale fenomeno. Quindi c’era un solo mostro.
Quando Davis e gli altri tornarono sul panfilo, Terry spense il suo apparecchio e provvide a spalmare di unguento le bruciature prodotte dalle ventose del polipo. Il giovane dovette rispondere a mille domande. Tutti volevano sapere i particolari della sua avventura.
— Sono stufo di dover esprimermi sempre per metafore, evitando di dire chiaramente quello che penso. Anzi, quello che pensiamo tutti! — sbottò a un tratto il giovane. — La verità è che sul fondo dell’oceano vive qualcosa di estremamente intelligente!
Si guardò intorno con espressione di sfida, e aggiunse: — Qualcuno di voi non ci crede, forse? Gli apparecchi-spia non trasmettono più informazioni perché abbiamo eliminato tutti i pesci che li portavano addosso. E allora il “coso” che sta nella Fossa di Luzon ha spedito nella laguna qualcuno che noi, poveri selvaggi ignoranti, non avremmo mai avuto il coraggio di affrontare. Ha pensato che quel polipo mostruoso sarebbe bastato ad atterrirci! Non conosce gli uomini! Ma noi ci faremo conoscere!
— Forse dovremmo informare quelli del “Pelorus” — disse il dottor Morton.
— A bordo ci sono dei biologi, e…
— No — interruppe Terry. — Ho un fatto personale con quel mostro. Avrebbe potuto uccidere Deirdre, ci pensate! E poi Davis ha già tentato una volta di mettere al corrente i vostri biologi, e si è fatto ridere in faccia. Vogliono delle prove, loro. E se anche gliele diamo le prove, resta da vedere se si degnano di esaminarle e di prenderle in considerazione. Quindi ce la vedremo da soli. Il problema è troppo importante per affidarlo agente che non ci crede in partenza.
— Sì, troppo importante — ripeté Deirdre. — Sappiamo ormai che le stelle cadenti non sono affatto stelle cadenti, e che giù nel fondo dell’oceano c’è realmente qualcuno o qualcosa di “intelligente”, di raziocinante. Be’, non possiamo spartire il nostro mondo con altri esseri che vengono dallo spazio anche se si interessano prevalentemente del mare. Bisogna combatterli finché non saranno spazzati tutti dal nostro oceano! Terry ha ragione!
— Veramente non ho sentito questo giovanotto esprimere le intenzioni che gli avete attribuito — ribatté Morton. — Però quel che avete detto è vero. E poi non mi va l’idea di un mostro marino installato nella laguna. Soprattutto se si dimostra così aggressivo! Ma per eliminarlo…
— A bordo dell’“Esperance” abbiamo due bazooka — interruppe Terry. Guardò Davis. — Se ve la sentite di arrischiare il vostro panfilo, possiamo tentare dia trascinare il mostro verso riva servendoci dell’amplificatore e del nastro registrato. Poi entreranno in azione le armi. Cosa decidete?
— Accetto senz’altro — rispose Davis.
— Benissimo. Allora, un uomo alle macchine e uno al timone — continuò Terry, assumendo inconsciamente un tono di comando. — Io mi occuperò del trasmettitore. Però vi avverto che se il mostro afferra lo yacht con le sue ventose, addio all’“Esperance”, e anche a noi. Qualcuno si offre volontario?
Nel giro di pochi minuti il panfilo si staccò dal molo. Aveva a bordo tutto il suo equipaggio tranne Deirdre che Terry e il padre avevano costretto a sbarcare. In più c’erano il dottor Morton e il miglior fotografo della stazione.
L’“Esperance” era pronto a dare battaglia. Davis intanto si ingegnava a fabbricare bombe a mano per sé e Morton.
Il sole era alto sulle loro teste, Prima di scegliere il posto da dove sferrare l’attacco, Terry fece qualche domanda a Morton sulla laguna. Infine si accordarono per spingere il mostro in una piccola insenatura dove sarebbe stato relativamente facile immobilizzarlo alzando al massimo i suoni dall’azione paralizzante. Allora l’avrebbero ucciso.
L’impresa era alquanto pericolosa. In fondo l’“Esperance” era un’imbarcazione di soli venti metri, assai più piccola del mostro. Se il batiscafo del “Pelorus” era stato attaccato e distrutto da uno di quei polipi, la forza della bestia doveva essere tale da poter affrontare e tenere testa almeno a un incrociatore. Però con l’uccisione del polipo si sarebbe compiuto un passo avanti verso la soluzione del grave problema.
Terry mise a punto il suo apparecchio in maniera che funzionasse con l’intensità e nella direzione voluta, e lo azionò.
Immediatamente si ripeté la scena di poco prima, con i pesci che balzavano impazziti fuori dall’acqua finendo persino sulla riva.
Poi in un punto l’acqua cominciò ad agitarsi in modo più convulso che altrove. Terry puntò verso quella direzione il fascio di onde sonore. Le contorsioni aumentarono. Il giovane alzò ancora il volume dell’amplificatore. Sott’acqua si scatenò un tumulto impressionante. I grossi tentacoli emersero agitandosi spasmodici, poi parve che il polipo fosse riuscito a sfuggire alla morsa dolorosa.
Il panfilo avanzò adagio. Terry spense un attimo l’apparecchio poi lo riaccese. Altre convulsioni, più verso riva, questa volta. Il mostro, creatura degli abissi, cercava di sfuggire al tormento di suoni e di luce, e si sentiva intrappolato, lui vissuto sempre in acque profondissime, in quello specchio d’acqua che assorbiva tanta luce da disturbarlo. Il suo rifugio era il fango del fondo, ma i suoni elettrizzanti lo costringevano a uscirne, e sopra, verso la superficie, la luce era intollerabile per lui. Terry lo inseguiva con il suo raggio. L’acqua continuava a ribollire. I tentacoli apparivano e sparivano. Per un attimo affiorò anche il corpo immenso del polipo che veniva spinto in acque sempre più basse, sempre più basse… La bestia non voleva finire dove la scarsità d’acqua gli avrebbe impacciato i movimenti, ma non poteva. Ormai era nella piccola baia scelta dagli uomini per essere il suo mattatoio, e si rifugiò nella parte più fonda. Poi i suoni ripresero di nuovo e lui balzò su di colpo. I tentacoli si agitarono sopra la superficie, e poi tutto il corpo a forma di torpedine uscì dall’acqua, inarcandosi, scosso da una furia tremenda.
Il mostro si buttò contro l’“Esperance”. Non poteva più nuotare, e si trascinava sugli otto tentacoli nell’acqua troppo bassa. Avanzava con uno sforzo disperato, afferrando e lasciando ricadere tutto ciò che incontrava sulla sua strada, teso verso il nemico.
Terry vide Nick e Jug aggiustare il tiro dei bazooka. Davis corse a prua armato di granate. E il polipo avanzava sempre, strisciando, mentre il ronzìo diventava a mano a mano più insopportabile.
Poi, a un tratto, con un muggito, il mostro cominciò ad arretrare. Era il muggito che Terry aveva sentito salire dagli abissi. Adesso il polipo cercava scampo sulla riva. Ruotò su se stesso e dall’acqua emersero gli occhi abbagliati dal sole fortissimo. Occhi enormi. Soltanto il polipo, di tutti gli invertebrati, possiede occhi paragonabili a quelli delle creature umane. Quelli del mostro fiammeggiavano d’odio. Poi spuntò il becco, come quello di un pappagallo, capace di frantumare l’acciaio. Si apriva e si chiudeva con uno schiocco spaventoso, proteso verso lo yacht. Uno dei tentacoli si levò nell’aria brandendo una grossa massa di corallo che volò verso il panfilo e ricadde a pochi metri dallo scafo.
— Sparate! — gridò Terry. — Sparate!
Nick e Jug fecero fuoco contemporaneamente. I proiettili colpirono il bersaglio ed esplosero con una detonazione appena percettibile. Il fuoco dei bazooka penetrò nelle carni della creatura mostruosa, e i tentacoli flagellarono l’acqua all’impazzata. Pareva che nella sua furia la bestia volesse distruggere l’intero universo.
I bazooka spararono ancora.
La battaglia si concluse all’ottavo colpo. Il corpo enorme si afflosciò, e il becco corneo smise di battere ritmicamente come se stesse sbranando il mondo. Solo i tentacoli armati di ventose continuarono a battere l’acqua ancora per qualche secondo. E anche quando smisero di levarsi nell’aria, continuarono ad essere scossi da tremiti convulsi. Poi, finalmente, la vita abbandonò l’essere mostruoso.
Soltanto allora gli uomini osarono accostarsi. Il corpo vero e proprio del polipo misurava un metro e mezzo di lunghezza. I maggiori esemplari catturati raggiungevano a mala pena i sessanta centimetri. Lo stesso Architeuthis Princeps, di tipo affine, arrivava a un metro e mezzo, ma compresi i tentacoli. Quello, invece, con i due tentacoli più lunghi, superava i dieci metri. Non era certo una creatura della laguna. Eppure si trovava lì.
Era quasi il tramonto quando gli ultimi palpiti della enorme massa di carne viscida si quietarono.
Terry non aveva nessuna voglia di cenare e restò a camminare su e giù per la veranda della stazione-osservatorio. Dall’interno veniva un rumore di voci e di piatti smossi. Fuori, la notte era calda e piena di stelle. Dalla scogliera giungeva fin lì il battere della risacca.
Deirdre uscì sulla veranda e gli andò accanto. Lo baciò.
— Ti fa ancora male la gamba? — gli chiese.
— Non lo so. Sono troppo occupato a pensare ad altro — rispose. — Due cose, soprattutto.
— Dimmene almeno una — invitò Deirdre, sorridendo.
— Vorrei sposarmi presto — rispose Terry.
— Davvero? E con chi?
— Dovresti averlo capito, ormai. Ma prima devo procurarmi un lavoro. Penso di ricominciare con le “especialidades electronicas y fisicas”, e allora…
— E l’altra cosa, quale sarebbe? — volle sapere Deirdre.
— Il mostro.
— Ormai l’avete eliminato! — esclamò Deirdre.
— Non sto pensando al polipo ucciso poco fa — spiegò Terry, — sto pensando a chi l’ha mandato qui nella laguna. Vorrei conoscere le sue intenzioni.
— Sei già riuscito a scoprire più di chiunque altro! Perché non ti riposi un po’, adesso? — protestò Deirdre.
— Non basta ciò che è stato fatto. Noi abbiamo appena smosso le acque. La creatura o le creature di cui ci stiamo interessando, hanno escogitato la storia dei pesci per avere informazioni sugli uomini: questo ormai è stabilito. E non dimenticare che uno dei banchi di schiuma ha inghiottito un battello completo di equipaggio!
— Sì, ma…
— Successivamente, noi abbiamo mandato giù la draga: e questo era un chiaro indizio di curiosità da parte nostra. In seguito, nello stesso punto è stato calato il batiscafo. Per scoraggiare le nostre ricerche, o per autodifesa, non so, la cosa ha distrutto l’apparecchio.
— La cosa, o “le cose”, Terry.
— Le cose, credo che sia più esatto — rispose Terry. — Eliminare i loro pesci-spia è stato un atto di insolenza da parte nostra, immagino. Il ronzìo all’ingresso della laguna ha taciuto per due giorni, e poi ha ripreso, e qui è arrivato quel polipo gigantesco. L’hanno mandato pensando che sapesse come difendersi da noi. Ma noi l’abbiamo ucciso. Ora che cosa affiorerà dagli abissi?
— Qualunque cosa ci mandino, saremo pronti a riceverla — commentò Deirdre, freddamente.
— Può darsi — mormorò Terry. — Un giorno tuo padre mi ha accennato a un apparecchio per studiare il profilo del fondo oceanico. Con qualche lieve variante quello strumento potrebbe esserci molto utile. Mi piacerebbe parlarne con i tecnici elettronici di questa stazione.
Dalla sala da pranzo venne un rumore di sedie mosse, e la gente cominciò a uscire, chiacchierando animatamente. Quel giorno a Thrawn non mancavano certo gli argomenti di conversazione.
Terry cercò gli specialisti in elettronica e spiegò loro le caratteristiche dell’apparecchio che gli serviva, informandosi se per caso qualcosa di simile non facesse già parte dell’attrezzatura dell’isola. Il suo funzionamento base era, in poche parole, lo stesso di un normale sonar, strumento che in Marina era già usato da parecchio tempo, solo che questo doveva anche essere munito di uno speciale congegno per trasformare in vibrazioni la carica elettrica che lo faceva funzionare. Vibrazioni che a un certo punto potevano diventare mortali.
Ne nacque una lunga discussione di carattere tecnico. Poi tre uomini accompagnarono il giovane nell’officina dell’isola, e insieme si misero al lavoro.
Tre ore più tardi un battello sconosciuto fece il suo ingresso in laguna. Era uno scafo piccolo e tozzo, con alberi bassi e bome massicce. Il rumore dei suoi motori Diesel copriva il rombo della risacca. Mentre entrava in laguna azionò un riflettore: il raggio illuminò il molo dove era attraccato l’“Esperance”.
Alcuni uomini della stazione corsero incontro al peschereccio che stava accostando.
Il capitano del battello, un tipo piccolo e tarchiato, si agitava sul ponte, sbraitando. Era chiaramente furibondo e voleva sapere che cosa diavolo avevano combinato “los americanos” per ostacolare la pesca de “La Rubia”. “Los americanos” volevano forse far morire di fame le mogli e i bambini dei poveri marinai de “La Rubia”? Lui avrebbe protestato presso le autorità filippine, avrebbe fatto conoscere a tutto il mondo di che cosa erano capaci “los americanos”! E urlava che bisognava immediatamente far tornare le cose com’erano prima!
Accanto a “La Rubia” un pesce balzò fuori dall’acqua tracciando una lieve scia luminosa. Anche gli spruzzi d’acqua che il pesce provocò ricadendo in mare erano fosforescenti. Il capitano del peschereccio smise di sbraitare per osservare la laguna. Anche sull’isola si accorsero che l’aspetto delle acque non era normale. Lievi bagliori azzurrognoli dicevano chiaramente che lì c’erano più pesci del solito: la laguna era improvvisamente diventata un’ottima zona di pesca. Certo bisognava fare attenzione per via delle rocce corallifere, ma…
Il capitano de “La Rubia” ricominciò a urlare. Il suo battello era andato come ogni volta nel posto in cui c’era tanto pesce, ma il giorno prima in quelle acque erano arrivati prima quello yacht e un’altra nave americana, e lui si era tenuto a distanza perché non voleva che “los americanos” scoprissero il suo segreto. Ma quando quegli altri due se n’erano andati, nella zona non c’era più pesce. Era scomparso anche quel ronzìo che sempre aveva accompagnato i buoni carichi de “La Rubia”. E adesso per le mogli e i bambini affamati dei suoi uomini non era rimasto niente! Adesso lui, capitano Saavedra, esigeva che loro ristabilissero le cose com’erano prima del loro intervento! “Los americanos!”
Davis avrebbe voluto dire qualcosa, ma il capitano “non smetteva di urlare e diventava sempre più teatrale nella sua collera.
Era inutile che “los americanos” negassero. Il ronzìo che accompagnava il pesce era sparito dall’oceano e adesso era nella laguna. E c’era anche il pesce, qui! “Los americanos” volevano tutto il pesce per sé! Ma i pesci sono di tutti, e soprattutto sono dei pescatori che hanno mogli e tanti bambini affamati! Quindi lui, capitano Saavedra, avrebbe pescato nella laguna, e voleva un po’ vedere chi glielo avrebbe impedito!
— Potete fare quello che volete — gridò in risposta Terry, che qualcuno era corso a chiamare perché rispondesse al capitano nella sua lingua, lo spagnolo: lingua che Terry parlava più correttamente degli altri. — Se volete vi metteremo in contatto con Manila, così potrete fare tutte le lagnanze che credete. Sono sicuro che gli altri pescherecci, i cui equipaggi con mogli e bambini sono già morti dì fame da un pezzo grazie a voi, saranno felicissimi di sapere finalmente dove va a pescare “La Rubia”! E soprattutto di sapere che questa volta non ha trovato pesce! Se invece volete pescare nella laguna, accomodatevi pure. Comunque, se volete ancora chiamare Manila, fatemelo sapere.
Poi, senza aspettare le reazioni del capitano Saavedra, Terry tornò all’officina, mentre Davis, Morton, e gli altri restavano a parlare con il comandante de “La Rubia”. Il capitano si calmò finalmente, e arrivò persino ad accettare di buon grado l’invito a pranzo per sé e per i suoi uomini. Così ritornarono tutti nella sala della stazione. Il capitano del peschereccio, divenuto cordialissimo, disse che avrebbe aspettato il mattino seguente per calare le sue reti perché non voleva correre rischi inutili con quei maledetti banchi di corallo, e dopo qualche bicchiere cominciò a spiegare i suoi metodi di pesca, senza più tirare in ballo né le mogli né i bambini.
Alla sua presenza gli uomini della stazione si guardarono bene dall’accennare al polipo.
Intanto, nel laboratorio vicino, l’apparecchio di Terry cominciava a prendere forma. Oltre a operare come potentissimo trasmettitore, lo strumento avrebbe avuto anche le caratteristiche di un’arma e sarebbe stato in grado di individuare il bersaglio a grande distanza.
Da solo Terry avrebbe impiegato un sacco di tempo a costruirlo, ma con l’aiuto dei suoi esperti assistenti e grazie ai fornitissimi magazzini di Thrawn, all’alba l’apparecchio era già pronto e installato a bordo dell’“Esperance”. Era stato sospeso a prua, montato in modo da poter ruotare in ogni direzione. Il tutto fu saldamente fissato alla tolda del panfilo.
Anche su “La Rubia” ferveva una grande attività. Il peschereccio si preparava a fare man bassa sul pesce della laguna. Infine le reti vennero calate in mare, e naturalmente si impigliarono nelle formazioni corallifere del fondo. Il capitano Saavedra riuscì a districarle, imprecando come un musulmano. Tentò ancora, col medesimo risultato e parecchi strappi nelle reti.
Poi da sud comparve un elicottero che ronzò sull’isola e si abbassò sulla stazione-osservatorio ripartendo poi per compiere un ampio giro sulla laguna e soffermarsi nel punto in cui il corpo del polipo affiorava quasi completamente dall’acqua, trattenuto con grosse corde fissate a paletti infissi sulla riva. Probabilmente dall’elicottero furono scattate delle fotografie. Uno dell’equipaggio si calò appeso a una corda, per vedere più da vicino l’incredibile polipo. Pochi minuti dopo l’elicottero tornava sulla stazione e atterrava.
“La Rubia” proseguiva nei suoi tentativi. I pesci erano numerosi, ma purtroppo lo erano anche i banchi di corallo, e le reti finivano in pezzi. Il capitano Saavedra dirigeva le operazioni di lancio e di recupero agitandosi e imprecando.
L’“Esperance” si staccò dagli ormeggi e puntò in direzione dell’ingresso al mare aperto passando accanto a “La Rubia”. Superati i due piccoli promontori lo yacht prese a rollare sotto l’impeto delle onde oceaniche. Lì non si poteva più scorgere il fondo. Terry mise in funzione il suo ricevitore sottomarino e ascoltò. In quel punto il giorno prima c’era il ronzìo. Anche durante la notte, quando era arrivata “La Rubia”, quel suono misterioso era chiaramente udibile, tant’è vero che quelli del peschereccio l’avevano sentito. Ma adesso non c’era più. Ora, dal ricevitore venivano soltanto le voci dei pesci, e lo schianto della risacca.
Deirdre, accanto a Terry, scrutava attentamente ogni espressione del giovane. Lui chiuse il ricevitore e si voltò a guardare il nuovo apparecchio che torreggiava a prua.
— Prima di usarlo — disse a Davis, — vorrei fare un giro in mare aperto. Può darsi che più al largo si risenta il ronzìo.
— Credo di aver capito cosa vuoi fare — esclamò Deirdre prima che il padre potesse aprire bocca. — La tua intenzione è di sorvegliare una zona d’oceano mentre “qualcosa” salirà in superficie. Poi la spingerai verso l’ingresso della laguna con il tuo nuovo apparecchio, e la cosa cercherà rifugio nelle acque basse. Avete già eliminato il polipo, e…
— Esatto — disse Terry. — Ho l’impressione che si ripeterà ciò che è successo quando abbiamo catturato tutti i pesci abissali: il polipo li ha sostituiti. E noi abbiamo ucciso il polipo. Ora…
A quattro miglia dalla riva ricominciò il ronzìo. Lo yacht individuò il cerchio delle onde sonore: se qualcosa stava risalendo dal fondo, non avrebbe potuto superare la barriera di quelle onde.
— La vostra teoria trova conferma — commentò Davis. — Come ci regoliamo?
Inconsapevolmente il proprietario dell’“Esperance” aveva ceduto la direzione dell’impresa a Terry, che altrettanto inconsapevolmente l’aveva accettata.
— Torniamo all’isola — rispose il giovane. — Mi è venuta un’idea pazzesca, ma che può funzionare. Vorrei provare il nuovo proiettore in acque basse nelle quali ci si possa immergere.
L’“Esperance” virò di bordo e puntò su Thrawn. Mare e terra avevano un aspetto piacevolmente normale sotto il sole splendente. Con un cielo così azzurro pareva impossibile occuparsi di cose preoccupanti quali il fondo marino e ciò che vi stava succedendo.
Terry aspettò che il panfilo fosse vicino alla barriera corallina per provare il nuovo strumento. Se funzionava, avrebbe avuto i dati precisi sulla conformazione del fondale.
Lo speciale sonar entrò in funzione e i dati trasmessi rivelarono la scarpata della montagna sottomarina di cui Thrawn era la cima. Le onde sonore scesero lungo i fianchi del monte seguendone i pendii fino alla Fossa di Luzon e proseguirono tracciando il profilo del fondo nel punto di profondità massima. L’indice dell’apparecchio segnalava cifre impressionanti. Ottomila metri. Poi, di colpo, ne indicò quattromila e cinquecento. Là c’era un enorme ostacolo che l’apparecchio rivelava con esattezza. E ce n’erano altri. Cose enormi nuotavano, o galleggiavano nelle tenebre. Non si trattava di balene. Le balene respirano ossigeno e non possono restare immerse a lungo, immobili tra il fondo e tremila metri di profondità.
Il sonar individuò parecchie di quelle misteriose masse in diversi punti e a differenti livelli. Tutte più grosse di una grossa balena. Salivano lentamente, poi pareva che si fermassero a riposare, quindi riprendevano a emergere per fermarsi di nuovo poco dopo.
Gli uomini dell’“Esperance” si volsero a guardare Terry, pallidi e impressionati. Lui si inumidì le labbra aride e guardò Deirdre.
— Rientriamo in laguna — disse, calmo. — Se decideremo di uscire ancora Deirdre resterà a terra finché non sapremo esattamente di che cosa si tratta. Non voglio correre rischi.
Il panfilo si rimise in moto.
Ciò che si muoveva nell’oceano poteva essere qualsiasi cosa: i bolidi precipitati dallo spazio, delle creature intelligenti, altri polipi immensi come quello già ucciso, qualcuno o qualcosa che saliva in superficie per assicurarsi che gli abitanti della Terra non interferissero più con quanto succedeva nelle profondità del mare diventato dominio di creature di un altro pianeta.