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Quattordici ore dopo, l’“Esperance” era pronta a salpare da Thrawn. Doveva portare a Manila gli strani congegni di plastica perché venissero esaminati nei laboratori scientifici. Non erano i primi oggetti del genere che finivano in mano agli specialisti, perché se n’erano già trovati cinque. Ma questi otto, di quattro tipi diversi, avrebbero dato nuovo interesse agli studi. Interesse acuito dal mistero che circondava ancora lo scopo di quei minuscoli apparecchi.

Prima della partenza salì a bordo il dottor Morton. L’astronomo aveva un suo particolare problema. Per il bolide della notte prima lui aveva previsto al minuto, e quasi al metro, l’ora e il luogo di caduta del corpo celeste, ed era stata la prima previsione del genere assolutamente esatta in tutta la storia dell’astronomia. Lui era stato l’unico a fare i calcoli esatti. Nessun altro astronomo della Terra c’era riuscito, e adesso il dottor Morton era tempestato di chiamate perché tutti volevano sapere come diavolo avesse fatto. In particolare chiedevano come aveva potuto calcolare che il bolide avrebbe perso trenta metri al secondo di velocità, non uno di più e non uno di meno, durante il suo giro attorno alla Terra. Era il dato che mancava agli altri astronomi, ed era esattamente quello che aveva permesso a Morton di fare una previsione esatta.

Morton pregò Davis e Terry di scendere un momento con lui nella piccola sala dell’“Esperance”. Terry esitò, e l’astronomo proruppe: — Non potete rifiutarvi di ascoltare i miei guai! Dopo tutto ne siete ampiamente responsabile.

Terry lo seguì a disagio. Non si spiegava le parole del dottor Morton sulla sua responsabilità. Lui non aveva mai parlato delle sue ipotesi sulle scoperte della spedizione. Del resto non ci voleva credere lui stesso, per quanto si fosse reso conto benissimo che qualunque altra spiegazione non si adattava agli ultimi avvenimenti.

— In sedici mesi — cominciò il dottor Morton con aria seccata, non appena furono nel saloncino, — abbiamo rilevato la caduta di sei bolidi nella Fossa di Luzon. È un fatto incredibile! Naturalmente non si può escludere una serie matematica di coincidenze anche se incredibili, ed è proprio per spiegarle che esiste la legge delle probabilità. Fino alla notte scorsa questa sembrava l’unica spiegazione possibile.

Davis annuì, con espressione strana.

— Ma adesso non ci possiamo più attaccare a questa spiegazione! — riprese il dottor Morton. — Il bolide della notte scorsa, l’esperimento di pesca fatto ieri, il cerchio di oceano luminoso, quei dannati aggeggi di plastica e i pesci abissali che vivono tranquillamente in acque basse! Per questi fatti non esistono spiegazioni ragionevoli, e non si può parlare di coincidenze!

— Temo infatti che non lo siano — ammise Davis.

— Non voglio nemmeno prendere in considerazione la spiegazione più ovvia — commentò Morton. — Eppure non si tratta più, a questo punto, di stabilire se una teoria è o non è assurda. Il problema è di stabilire se è vera.

Davis annuì, e Terry non trovò niente da obiettare. Al giorno d’oggi però si ha la tendenza a dare più importanza alla ragione che ai fatti, e Terry si sentiva riluttante ad accettare un’idea statisticamente improbabile.

— Sono in un mare di guai! — si lamentò Morton. — Ho calcolato che quel maledetto bolide avrebbe rallentato una volta entrato in orbita attorno alla Terra, e i miei calcoli si sono rivelati perfetti. Volete sapere come mi sono regolato? Ve lo dico subito! Ho calcolato di quanto avrebbe dovuto rallentare per cadere esattamente nella Fossa di Luzon. Di trenta metri al secondo. Manco a farlo apposta il bolide ha rallentato di trenta metri al secondo ed è finito nel bel mezzo della Fossa. Ora ditemi voi: come faccio a spiegare un ragionamento del genere a quei signori di Washington?

Terry sentì improvvisamente una grande simpatia per Morton. È già brutto dover discutere con se stessi su qualcosa di incredibile, ma il dottor Morton era in una situazione assai più delicata: per aver ingenuamente dichiarato i risaltati di un suo ragionamento non del tutto ortodosso, risultati rivelatisi poi giusti, doveva adesso spiegare come c’era arrivato. E non poteva farlo.

— Questa storia dovrà pur finire! — brontolò Morton, rabbioso. — Prima o poi scopriranno che non ho calcolato il punto di atterraggio in base ai dati relativi al volo, ma ho fatto esattamente l’inverso. Davis, per l’amor di Dio, fai qualcosa per salvare la mia reputazione! E voi…

— Cercherò di fare il possibile — promise Davis.

— Ho bisogno di avere le prove che i miei sospetti sono giusti o sbagliati, o correrò il rischio di rovinarmi! — esclamò Morton. — So che cos’hai in mente di fare, Davis. Ebbene, sbrigati a farlo! Qui alla stazione possiamo esserti di qualche aiuto?

Davis allargò le braccia in un gesto che rivelava quanto poco ci sperasse.

— Qualcosa potete fare — disse invece Terry. — Mandate qualcuno con una barca all’imbocco della laguna e ditegli che immerga un remo in acqua tenendo appoggiato l’orecchio all’impugnatura. Dovrebbe sentire il ronzìo, se c’è ancora. Stamattina c’era.

— Perché volete controllare? — chiese Morton, sospettoso. — Pensate che ci saranno cambiamenti?

— Può darsi — rispose Terry.

— Abbiamo catturato quasi tutti i pesci abissali della laguna, e forse facendo questo abbiamo interferito con… con la funzione di quegli aggeggi di plastica rivelando che quassù era successo qualcosa. Può darsi che si abbia una reazione. In tal caso il ronzìo dovrebbe cessare e ricominciare dopo un certo periodo. E allora, se la mia ipotesi è esatta, in laguna ricompariranno i pesci abissali.

— Temo che noi due avremo la stessa delusione! — commentò Morton. — Comunque darò disposizioni perché venga fatto questo controllo. Voi occupatevi del resto.

Il dottor Morton risalì sul ponte. Quando ci tornò anche Terry, lo scienziato si stava già allontanando lungo il molo.

Il panfilo salpò indisturbato. L’“Esperance” puntò sull’imboccatura della laguna sotto la spinta dei soli motori, poi vennero issate le vele. Appena lo scafo affrontò il mare aperto Jug si occupò di orientare il fiocco.

Il ricevitore subacqueo continuava a captare il misterioso ronzìo e a Terry venne in mente di calcolarne il punto di provenienza basandosi sull’intensità, la direzione e l’angolo di rifrazione dato dall’ostacolo della barriera corallina. A conti fatti, ammesso che fossero giusti, risultò che una linea retta, partendo dalla scogliera, avrebbe toccato il punto da cui proveniva il ronzìo a quattro o cinque miglia da lì e a una profondità di circa ottomila metri.

L’“Esperance” continuò la sua corsa, rotta sud-est, e il ronzìo a poco a poco scomparve. Terry lasciò il ricevitore in mare senza registrare, ma tenendosi sempre pronto nel caso in cui i suoni estranei avessero ripreso.

Non accadde nulla del genere. Il panfilo proseguì tranquillo sotto la spinta di tutte le sue vele in un oceano che non presentava niente di misterioso.

Poi Terry prese a chiacchierare con Deirdre, e il mondo diventò normalissimo, come se i loro discoli avessero di colpo allontanato ogni minaccia. I due giovani parlarono della loro infanzia, di ciò che avevano fatto e dei posti in cui erano stati.

Circa alle quattro del pomeriggio, dal suo posto di vedetta, e col classico tono del marinaio di professione, Nick gridò: — Qualcosa in vista!

L’intero equipaggio del panfilo corse alla murata per vedere una specie di zampillo lontanissimo. Lo yacht virò leggermente di bordo e poco dopo raggiunse un branco di balene in emersione. I grossi corpi scuri fendevano agilmente le onde, e Jug ne approfittò per sciorinare tutto quel che sapeva sui cetacei spiegando con ampiezza di particolari che dai getti d’acqua che quei mammiferi emettevano era evidente che si trattava di capodogli. Deirdre si interessò vivamente a un cucciolo che nuotava vicinissimo a un esemplare più grosso.

Proseguirono la loro corsa lasciandosi le balene alle spalle, mentre i quattro studenti si impegnavano in un’animata discussione sui mammiferi marini, sulle balene in particolare, sulla loro capacità di scendere a grandi profondità per poi risalire agevolmente a galla, e sulle loro preferenze in fatto di cibo. A quanto si diceva negli stornaci dei capodogli erano stati trovati tentacoli di polipi, di dimensioni enormi, addirittura un metro di spessore, il che implicava l’esistenza di polipi colossali. E questo provava che i cetacei erano scesi a grandissima profondità, perché solo negli abissi potevano esistere animali simili. Sulla pelle di certe balene erano anche state notate tracce di lotte, e si parlava addirittura di vere e proprie battaglie che sarebbero avvenute in superficie tra balene e polipi eccezionalmente grossi. Ma i naturalisti erano alquanto scettici in merito. A voler dar ‘credito alla storia di quelle lotte, bisognava pensare che i polipi, aggrediti sul fondo, fossero risaliti tenendosi aggrappati ai capodogli quando questi erano “riaffiorati in cerca d’aria. Comunque una cosa era certa: solo dei polipi di proporzioni gigantesche avrebbero dato battaglia ad una balena.

Terry ascoltava la discussione durante la quale ognuno espresse il proprio parere non necessariamente concorde con quello degli altri.

— Non vi metterete mai d’accordo, a meno che qualcuno di voi non si decida a munire una balena di macchina fotografica e di flash per fissare i momenti più interessanti delle sue avventure marine. Naturalmente ci vorrebbe anche un sistema per ricevere le immagini in superficie — disse. In fondo non era un’idea del tutto nuova. Valeva comunque la pena di pensarci sopra. E se qualcuno o qualcosa dal fondo dell’oceano avesse mandato qualcuno o qualcosa in superficie per…

Deirdre gli stava parlando e Terry, immerso nei suoi pensieri, si rese conto che la ragazza gli stava ripetendo qualcosa di già detto. Non l’aveva sentita, tutto preso com’era dall’idea di un apparecchio da mandare negli abissi perché trasmettesse alla base di partenza tutti i dati interessanti.

— Non mi ascoltate nemmeno! — protestò Deirdre. — Stavo parlando del batiscafo di Manila, che ormai dovrebbe essere pronto.

— E io stavo proprio immaginandomi a bordo di un batiscafo — ribatté Terry. — Temo che non ne sarei entusiasta.

Un batiscafo è una sfera metallica con pareti e oblò molto spessi, sospesa a un secondo pallone pieno di carburante. Viene calato a grandi profondità con l’ausilio della zavorra ed è dotato di motori elettrici che gli consentono una certa indipendenza di movimenti. Inoltre è munito di potenti riflettori elettronici che illuminano le acque intorno fino a una distanza di mille e anche mille e cinquecento metri. Per risalire viene liberato della zavorra. In tutto il mondo esistono soltanto tre apparecchi del genere.

— Non sono del tutto sicura che una simile impresa non vi attiri — commentò Deirdre.

Terry era di nuovo assorto nei suoi pensieri. Pareva fantastico pensare che i congegni di plastica trovati addosso ai pesci di profondità fossero usciti da mani u-mane. E d’altra parte ci voleva una bella fantasia per immaginare che servissero a inviare informazioni dalla superficie agli abissi oceanici. Inviare informazioni a chi? Per rispondere bisognava fare un’altra supposizione, altrettanto fantastica della prima, pensare cioè che nella Fossa di Luzon vivesse qualcuno assai curioso sugli usi e i costumi degli abitanti della superficie.

Terry mise un freno alla sua immaginazione. C’erano dei limiti che il giovane non voleva assolutamente varcare.

Deirdre scese in cambusa, e Terry rimase lì a cercare di convincersi che niente poteva essere più ridicolo delle conclusioni a cui era arrivato. Poco dopo venne servito il pranzo. Dopo cena Davis cercò, come al solito, di captare qualche programma di musica sinfonica, e Deirdre tornò a scomparire.

Più tardi, sul ponte dell’“Esperance”, Terry rimase solo con Nick il quale, sagoma indistinta nel buio, badava al timone. In qualche punto dello yacht uno degli studenti pizzicava la sua chitarra, e Terry s’immaginò Doug intenzionato a leggere le adorate poesie nonostante il baccano fatto dagli altri. Le vele sembravano nere contro il cielo, e il ponte del panfilo era ancora più buio del mare.

Nonostante continuasse a ripetersi che si trattava di pazzie, Terry non riusciva a togliersi dalla testa tutte le idee bislacche nategli nel cervello da qualche giorno. Inutilmente cercava di convincersi che se le sue ipotesi erano assurde non c’era alcun motivo per cercare prove a loro favore. Cercare delle prove, anche sperando che risultassero negative, avrebbe significato crederci almeno in parte. E lui non ci credeva perché era un essere ragionevole.

Prese in mano uno dei minuscoli apparecchi di plastica e portò il registratore vicino al parapetto, sottovento. L’apparecchio riproduceva fedelmente lo sciabordio delle onde e di tanto in tanto le voci delle creature marine. Lo yacht procedeva inclinato su un fianco, e se Terry si fosse sporto un poco avrebbe toccato l’acqua.

Finalmente si decise. Si sentiva un po’ sciocco, ma era fermamente deciso a tentare. Nei punti in cui le onde battevano contro la chiglia dello yacht apparivano lievi bagliori azzurrognoli. Quando Terry immerse la mano, l’acqua salì a lambirgli il polso e lasciò una traccia fosforescente.

Batté l’oggetto di plastica contro lo scafo. Uno, due, tre, quattro colpi. Poi sei, sette, otto. Di nuovo un colpo. Due, tre, quattro. Cinque, sei, sette, otto.

Il registratore incideva i colpi captati dal microfono subacqueo, e l’altoparlante ritrasmetteva ogni minimo suono in perfetta sincronia con i colpi.

Poi si levò, vicinissima, la voce di Deirdre.

— Non sono sicura che sia un bene — disse la ragazza.

Terry si raddrizzò con aria colpevole. — So che è una sciocchezza, ma mi vergognavo di ammettere che…

— Che battendo dei numeri con un apparecchio-spia speravate di avvertire “qualcuno” che noi avevamo trovato uno dei “suoi” apparecchi, che ne conoscevamo lo scopo, e che cercavamo di metterci in contatto con “lui” — completò per lui la ragazza.

Sentirsi ripetere da un altro le proprie ipotesi tanto ostinatamente rifiutate lo inquietò. Scosse la testa più volte con aria seccata.

— È ridicolo! — protestò. — Sono solo sciocchezze.

— Ma che potrebbero essere vere — ribatté Deirdre. — E se questa è la verità potremmo essere in pericolo. Chi ha costruito quegli apparecchi potrebbe non volere che noi si entri in contatto con lui. Non avete pensato che potrebbe essere deciso a difendere il segreto della sua esistenza eliminando chi ne viene a conoscenza? Non vi stavo spiando — aggiunse. — Ero di sotto e ho sentito i colpi.

Poi, senza aggiungere altro, Deirdre se ne andò. Terry vide oscurarsi per un istante la luce della sala di poppa mentre la ragazza scendeva. Di colpo si sentì invadere dall’orrore al pensiero che se le sue ipotesi erano giuste, lui aveva messo in pericolo la vita di Deirdre. Adesso non si sentiva più soltanto sciocco. Si sentiva anche colpevole.

Rimase a lungo in ascolto accanto al registratore, pronto a ricevere un’eventuale risposta ai suoi segnali.

Niente. Sempre e soltanto le voci del mare.

Il mattino seguente, durante la colazione, Deirdre si comportò come se nulla fosse successo e Terry si sentì peggio di prima.

Non si era ancora del tutto ripreso quando l’“Esperance” superò Cavite e Corregidor ed entrò nel golfo di Manila. All’ancora nel porto c’era una nuova unità, un battello massiccio, dall’aspetto solido, che Davis osservò con interesse.

— È il “Pelorus” — disse a Terry, mentre il loro panfilo passava accanto allo scafo per disporsi agli ormeggi. — È una nave idrografica ed ha a bordo un batiscafo. Andremo a farle visita. Dico a Nick di chiamarla per radio.

Raggiunse il giovane che armeggiava attorno all’ancora, lo sostituì in quel lavoro e lo mandò sottocoperta nella minuscola cabina radio.

— Scendete a terra? — chiese Deirdre a Terry.

— Non ho nessun motivo per sbarcare — rispose lui stringendosi nelle spalle.

La ragazza tirò un sospiro di sollievo. — Allora resterete con noi finché… finché le cose non saranno sistemate? Insomma possiamo ritenervi definitivamente uno dei nostri?

— Almeno… fino a quando non combinerò qualche nuova sciocchezza — rispose lui, disgustato di sé. — Comunque mi piacerebbe restare.

— La vostra era un’ottima idea! — protestò Deirdre. — Trasmettere una serie di numeri era veramente una trovata. La stupida sono stata io. Ero furibonda perché non mi avevate messo a parte del progetto. Se quell’idea fosse venuta a me ne sarei stata molto orgogliosa.

Nick risalì sul ponte e parlò con Davis. Subito il padre della ragazza si accostò ai due giovani.

— Il “Pelorus” manderà una lancia a prenderci appena avremo gettato l’ancora — annunciò.

— Hanno sentito parlare anche loro degli oggetti di plastica e vogliono vederli.

— Ci scommetto la testa che non crederanno né a quegli otto “cosi” né a noi — disse Terry.

— Su quella nave ci sono delle autorità riconosciute in fatto di misteri oceanici. Sanno tutto sugli oceani e sono probabilmente convinti che non ci sia niente da scoprire al di fuori di tutto ciò già scoperto da loro.

Al contrario del giovane elettrotecnico, Davis era pieno di fiducia. L’“Esperance” gettò l’ancora quasi nello stesso punto in cui era ferma quando Terry aveva messo piede a bordo per la prima volta. Mezz’ora più tardi arrivò la lancia del “Pelorus”. Deirdre andò con il padre. Terry preferì restare sul panfilo.

Un’ora dopo padre e figlia ritornarono. Davis era talmente furioso che quasi non riusciva a parlare.

— Secondo quei signori gli apparecchi di plastica sono solo uno scherzo, e il ronzìo è l’effetto di un branco di pesci in movimento! — disse, indignato, quando ebbe ripreso fiato. — Noi non siamo degli esperti e quelli dell’osservatorio di Thrawn sono solo astronomi e quindi non capiscono niente di ittiologia e di biologia. Conclusione: faremmo meglio a convincerci che non c’è possibilità di vita intelligente dove l’ossigeno è talmente scarso da essere quasi inesistente. Inoltre è assurdo che quei pesci abissali abbiano la vescica natatoria perforata per potersi adattare alle acque basse. E non parliamo poi dell’esistenza di pesci del genere in una laguna! Al massimo si sarà trattato di qualche pesce normalissimo, ma poco noto.

— E allora? — chiese Terry.

— Proveranno a immergersi con il batiscafo solo per usare una cortesia a qualcuno che non siamo certo noi! — rispose Davis. — Si immergeranno nel punto in cui abbiamo trovato il cerchio luminoso. E, bontà loro, non fanno alcuna obiezione al nostro desiderio di calare la draga prima del loro tentativo. Anzi, li interesserà molto verificare se la draga riemergerà! Sono così fuori di me che non so cosa farei!

Riprese fiato.

— Comunque è inutile restare qui. Meglio andare a Barca a prendere la draga che ormai sarà pronta e rimorchiarla subito nella zona dove la immergeremo. — E ordinò a Nick di levare le ancore.

— Dei bolidi avete parlato? — s’informò Terry.

— Ci mancherebbe altro! Mi avrebbero preso per matto! — esplose Davis. E si allontanò, ancora furibondo.

L’“Esperance” riprese il mare puntando a nord lungo la costa. A pranzo nessuno aveva voglia di parlare. A quanto ricordava Terry quella era fa prima volta che a tavola non sorgevano discussioni complicate. Davis era sempre di umor nero.

Più tardi Terry e Deirdre scambiarono quattro chiacchiere fra loro, evitando, di tacito accordo, argomenti che avessero attinenza con il mare, anche indirettamente. Parlarono di cose banalissime, ma il giovane trovava tutto interessante quando era con la ragazza.

Dopo un po’ Deirdre tornò alle sue faccende sottocoperta e lui rimase sul ponte, a fumare. Quando scese in cabina non si era ancora levata la luna.

Alle dieci del mattino seguente entrarono nel piccolo porto di Barca. Alle dodici i marinai locali avevano già rimorchiato fino al panfilo, e fissato alla sua poppa, uno strano “coso” lungo nove o dieci metri. All’una il ponte dell’“Esperance” era ingombro di un grosso sacco di tela accuratamente ripiegato e di sei blocchi di cemento nei quali erano fissati degli anelli. All’una e mezzo Deirdre, che era scesa a terra con una delle scialuppe del panfilo, ritornò con i rifornimenti e altri acquisti. Alle due l’“Esperance” riprese il mare.

Il grosso oggetto che seguiva lo yacht, a rimorchio, aveva una specie di albero centrale in legno che finiva in un tubo di ferro e mezza dozzina di alberi minori saldati all’estremità. Su questi alberi erano fissate spesse reti da pesca, e il tutto era tenuto a posto da pesanti gomene. C’era anche un gancio per fissare i blocchi di cemento all’albero principale.

— Si apre come un ombrello — spiegò Deirdre. — Per farlo immergere bisogna attaccare i pesi all’apposito gancio. Il sacco di tela viene poi infisso nel tubo metallico. Appena lasciata libera la draga affonda come un ombrello chiuso e rovesciato, ma appena tocca il fondo i pesi agiscono sugli alberi minori e lo fanno aprire. A questo punto esplode automaticamente una carica esplosiva contenuta nel tubo. È un esplosivo speciale il quale libera un gas che fa aprire il sacco e lo gonfia. Questa specie di pallone riporta lo strumento in superficie con le stecche aperte e le reti tese. Risalendo raccoglie tutto ciò che trova sul suo percorso. Man mano che la pressione diminuisce il gas esce regolato da una speciale valvola. Questo è solo un prototipo sperimentale, ma se il nostro tentativo riesce vi si possono apportare alcune modifiche adattandolo a diversi scopi.

— Sarà come svegliare ciò in cui non crediamo — commentò Terry. — L’esplosione sveglierà tutto ciò che esiste nelle vicinanze. Altro che i colpi battuti contro lo scafo dell’“Esperance”.

Deirdre sorrise, pensosa, e non disse niente.

Il pesante rimorchio rallentava la velocità dello yacht. Solo dopo il tramonto il panfilo arrivò nel punto stabilito: il punto dove la notte precedente avevano trovato le acque rigurgitanti di pesci impazziti. E poiché occorreva una perfetta visibilità per individuare subito il sacco quando la draga sarebbe risalita, venne deciso di aspettare il mattino seguente.

Poco prima dell’alba all’orizzonte apparvero delle luci: bianca in alto, rossa e verde ai lati. Si avvicinava una grossa imbarcazione. Poco dopo l’unità virò di bordo, diminuì la velocità e fu possibile riconoscere il “Pelorus”. Il giorno spuntò in un trionfo d’oro. Il “Pelorus” scintillava al sole. Dai fianchi del grosso battello era uscita una specie di enorme pesce con appesa sotto una sfera. Il tutto fu calato lentamente in acqua e rimase a dondolarsi sulle onde.

Per parecchio tempo non accadde altro. Poi la linea di galleggiamento dell’apparecchio aumentò leggermente. Stavano riempiendo di carburante il serbatoio: benzina, più leggera dell’acqua e praticamente refrattaria alla pressione.

A bordo dell’“Esperance” avevano azionato l’argano per accostare il rimorchio e sollevarlo sul ponte. Sotto il peso della draga il panfilo si inclinò notevolmente. I quattro ragazzi controllarono le reti e si occuparono del sacco. Davis sistemò la carica esplosiva nel tubo.

Poi dal “Pelorus” venne un impaziente ululato di sirene, e Nick scese nella cabina radio. Ritornò poco dopo.

— Ci informano che saranno pronti per l’immersione fra un paio d’ore — riferì. — Siccome temono che il nostro apparecchio interferisca con il loro, ci chiedono se possiamo immergere subito la draga in modo che risalga prima della discesa del batiscafo.

— Rispondi che la manderemo giù tra cinque minuti — brontolò Davis.

L’apparecchio dell’“Esperance” aveva un aspetto goffo, ma era funzionale. Cinque minuti più tardi la cima dell’albero centrale della draga si trovava a livello della superficie. — Via! — ordinò Davis.

Doug mollò il cavo che sosteneva la draga e l’apparecchio affondò lentamente. Dal registratore sincronizzato anche sull’ascolto, venne lo sciacquio delle onde, accompagnato di tanto in tanto da qualche borbottio. Venti, trenta minuti passarono senza che accadesse niente.

Poi arrivò l’eco di uno schianto: la carica esplosiva era entrata in funzione. Il registratore fissò su un nastro il rumore basso e profondo.

Il sole salì nel cielo e il vento aumentò. Le onde si inseguivano senza posa.

Molto, molto tempo dopo, il sacco di tela gonfio di gas riaffiorò. Dal “Pelorus” venne un colpo di sirena, e Nick tornò a scendere sottocoperta. Pochi minuti, e tornò a riferire.

— Avvertono di non lasciare la draga alla deriva. Adesso fanno immergere il batiscafo senza uomini a bordo per controllare che tutto funzioni. Non vogliono altri oggetti in mare.

— Digli che si ritengano baciati in fronte e che non si preoccupino — scattò Davis. — E che anche se siamo dilettanti, le cose basta dircele una volta sola!

L’“Esperance” si accostò al sacco galleggiante. Jug si sporse fuori bordo, e lo agganciò con un arpione. L’argano lo sollevò dall’acqua. I blocchi di cemento erano scomparsi, e il contenuto delle reti non offriva un bello spettacolo: un pesce con strane appendici frangiate, un Linophrine Arborifer, specie che vive a quattromila metri di profondità, giaceva tra le maglie dilaniato dalla diversità di pressione poiché la sua vescica natatoria non era stata perforata; un Opistkoproctus Grimaldi, un Gonostoma, un Myctophum, e tante altre creature, grottesche come i loro nomi scientifici, erano nelle stesse condizioni. Tutti pesci degli abissi fatti a pezzi dalla differenza di pressione.

— Questo aggeggio funziona — commentò Davis. — Quasi quasi avrei preferito far fiasco. Ricalate il tutto in mare mantenendo l’apparecchio accanto allo scafo. Ci libereremo di quei resti appena il “Pelorus” ce ne darà il permesso.

Passò altro tempo. Il batiscafo ormai era completamente immerso. Dalla superficie del mare spuntava soltanto la minuscola torretta attorno alla quale alcuni uomini si davano da fare.

Poi il grosso battello chiamò lo yacht. L’“Esperance” confermò che la draga era risalita e che sarebbe stata ormeggiata.

Il batiscafo iniziò l’immersione. Sullo yacht il registratore cominciò a fissare dei muggiti profondi che salivano dagli abissi.

Poco dopo i misteriosi suoni cessarono.

Due ore più tardi le onde andarono a infrangersi contro un oggetto alla deriva.

Il “Pelorus” diresse con prudenza in quella direzione mentre alcune lance del battello circondavano l’oggetto emerso. Il “Pelorus” fece manovra e i suoi uomini fissarono alla murata una grossa boa. Quasi nello stesso istante il vento cambiò increspando la superficie delle acque e all’“Esperance” giunse un forte odore di benzina.

— Dev’essere successo qualcosa — disse Davis. — Quelli stanno scaricando la benzina in mare. Allontaniamoci da questa puzza! L’“Esperance” si portò sopravvento. Dal “Pelorus” incominciarono a sollevare qualcosa dall’oceano. Il panfilo di Davis accostò per vedere meglio e passò a non più di cinquanta metri dal grosso battello proprio nel momento in cui dal mare emergeva il batiscafo.

La torretta era scomparsa, strappata via da una forza inconcepibile. La sfera metallica, dello spessore di dieci centimetri, era contorta e squarciata. Metà non esisteva più addirittura.

Il batiscafo, costruito per resistere a una pressione di dieci tonnellate per centimetro quadrato, era stato sventrato e distrutto. Qualcosa aveva addentato la sfera. Addentato !

Nessuno a bordo dell’“Esperance” fece commenti.

Arrivati a mezzo miglio dalla nave oceanografica, Davis disse con voce strana: — Mollate la draga. Non faremo altri tentativi. Qualcuno si incaricò di tagliare il sacco ancora gonfio di gas. Qualcun altro recise la grossa gomena che rimorchiava lo strumento. E la draga affondò lentamente. Non sarebbe riaffiorata mai più.

L’“Esperance” virò di bordo, puntando a nord. Nessuno parlava. Pareva che il panfilo volesse allontanarsi il più silenziosamente possibile da quella scena di distruzione: un gioiello della tecnologia terrestre, addentato!

Molto tempo dopo Deirdre domandò: — Avete fatto qualche ipotesi, Terry?

— Sì — rispose il giovane.

— Di che genere?

— Tanto io quanto vostro padre abbiamo voluto negare apertamente che la draga aveva il compito di far muovere ciò che provoca gli assembramenti di pesce in superficie per poi aspirarli verso il fondo. Mi sono dichiarato d’accordo con lui nel negare l’esistenza di una forza in grado di provocare un fenomeno del genere, ed entrambi ci siamo detti fino all’esasperazione che, non essendoci niente sul fondo, non avremmo provocato niente di eccezionale con il nostro esperimento. E così abbiamo mandato giù la draga, e poi il batiscafo…

— Ma…

— E adesso mi domando se il bolide caduto in quella zona due notti fa non abbia qualcosa a che fare con ciò che esiste in fondo al mare. Chissà che cos’ha pensato di quel bolide l’entità che vive negli abissi! — Terry fece una pausa, poi riprese:’ — E mi domando inoltre che cos’avrà pensato il bolide di ciò che ha trovato laggiù. Pensate che un uomo sano di mente non dovrebbe soffermarsi su idee tanto pazze?

Deirdre scosse la testa.

— Perché credete che mio padre s’interessi tanto a questa faccenda? — domandò la ragazza. — E perché i nostri quattro compagni collaborano con noi, e le stazioni di osservazione ci tengono informati, e il governo delle Filippine ha chiesto al “Pelorus” di compiere l’immersione con il batiscafo?

Terry la fissò.

— L’idea è troppo pazzesca per meritare il crisma dell’ufficialità, vero? — disse. — Ma troppo pericoloso sarebbe l’ignorare del tutto la cosa: è così? Siamo proprio sicuri che le meteore siano vere meteore?

— No.

— Grazie, Deirdre. Finora m’è sembrato tutto un indovinello, invece non lo è. E adesso temo che rappresenti invece una grossa minaccia. — Una pausa. Poi:

— Ho fatto una nuova ipotesi, Deirdre. Ho messo al suo posto l’ultimo pezzo del rompicapo, ma spero di aver sbagliato, Deirdre! Mi sento i brividi per la schiena solo al pensiero di aver ragione!

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