3

Terry guardava, incredulo. Qualcuno si mosse vicino a lui. Davis. Parlò con tono secco: — “La Rubia” potrebbe fare il carico completo con una sola retata, al massimo con due, direi.

Terry voltò il capo.

— Ma che cos’è? Cos’è che raduna in uno spazio così ristretto tutti questi pesci?

— La vostra è una domanda interessante — disse Davis. — Cercheremo di scoprire come avviene. E soprattutto, perché.

Si. allontanò sul ponte. Terry si avvicinò al parapetto, e pochi minuti dopo la lama luminosa di uno dei riflettori colpì l’acqua, muovendosi adagio avanti e indietro, lontano dalla scena incredibile. Dove il raggio arrivava, la superficie del mare appariva normalissima. Non un pesce. La striscia luminosa sventagliò sul mare senza rivelare niente di insolito, niente al di là del confine luminoso, dove il mare tornava a essere nero.

Accanto a Terry si levò la voce di Deirdre: — Questo proprio non ce lo aspettavamo! Vorrei prendere un campione d’acqua, mi date una mano?

Poiché la ragazza dimostrava di ignorare il suo atteggiamento del pomeriggio, lui non poteva certo mantenere un contegno freddo e ostile, soprattutto di fronte a un fenomeno del genere. Deirdre andò a prendere un secchio dal ripostiglio. Un’ondata balzò alta mentre lei cercava di riempirlo, bagnandole la mano, e la ragazza gridò. Terry la prese per le spalle e la tirò indietro. Il secchio sbatté contro la murata dell’“Esperance”, appeso alla corda fissata al parapetto.

— Che c’è?

— Pizzica! L’acqua pizzica come le ortiche. — Con un brivido, Deirdre si passò l’altra mano su quella bagnata. — Adesso è passato, ma prima, ho sentito un forte bruciore, proprio come se avessi infilato la mano in mezzo alle ortiche! O se avessi preso una scossa elettrica.

Terry tirò su il secchio e lo posò sul ponte, poi si sporse dalla murata e immerse la mano nella cresta di un’onda. Subito sentì sulla pelle la sensazione di mille punture d’ago, ma i muscoli non si contrassero come sotto una scossa elettrica. Una sensazione puramente epidermica.

Scosse il capo con impazienza, e tuffò le dita nel secchio posato sul ponte. Niente di insolito. Immerse di nuovo la mano in mare, e risentì le punture, a contatto dell’acqua. Fissò il mare luccicante di pesci frenetici, bloccati da qualcosa di misterioso in un cerchio ben definito. Il riflettore continuava a frugare le acque. L’“Esperance” si allontanava, lento, dalla zona luminosa. Terry tuffò ancora una volta la mano in mare e di nuovo provò quella sensazione di pizzicore. Attinse un altro secchio d’acqua. Ma quando vi immerse la mano non sentì niente, come la prima volta.

Il riflettore si spense di colpo, e per un attimo ancora se ne vide il riflesso rossastro. Poi fu il buio.

La voce di Davis impartiva ordini. — Un momento! — disse, brusco, Terry, e cominciò a parlare dell’acqua che pizzicava. Poi si rivolse alla ragazza: — Deirdre, spiegateglielo voi, io voglio mettere in mare un ricevitore subacqueo. Almeno registreremo su nuova scala il rumore dei pesci. Però… mi è venuta un’idea… Aspettate a dirigere verso il cerchio di luce.

Andò a prendere il ricevitore subacqueo e il registratore messo a punto nel pomeriggio. Mise in funzione il registratore poi calò il microfono fuoribordo. A tutta prima il rumore che scaturì dall’altoparlante fu fortissimo e indistinto. Terry abbassò il volume.

Ed ecco un frinire, dei brontolii, qualche fruscio. Le voci dei pesci, o almeno di certi tipi di pesce. Poi degli squittii acuti: le proteste delle focene spaventate. Ma su tutti gli altri suoni predominava un ronzio forte e monotono. Terry non aveva mai sentito niente di simile. Il suono aveva una frequenza di sessanta cicli, e volendone definire il tono lo si sarebbe detto sarcastico e rabbioso. Un suono “repellente” pensò Terry, un qualcosa di sgradevole. E di terrificante. Quel suono insinuava in chi l’ascoltava una sensazione di terrore allo stato puro.

Terry si drizzò. Davis e Deirdre erano venuti a sentire anche loro al buio, sotto le vele dell’“Esperance”.

— Ho un’idea — disse Terry adagio. — Attraversiamo il cerchio di luce: voglio registrare tutti i rumori del mare. Ho l’impressione che quel ronzìo abbia un suo significato preciso.

— Non è certamente un suono normale — commentò Davis.

Gridò un ordine. Il giovane al timone diede un giro alla ruota. Le vele si gonfiarono e l’“Esperance” cominciò ad avanzare dritta verso il cerchio scintillante, sempre più vicino ai margini della zona in agitazione.

Il registratore continuava a trasmettere le voci confuse, atterrite delle creature del mare e, come sfondo ai vari rumori, si sentiva lo sgradevole ronzìo. Come 1’ “Esperance” s’accostava al margine della zona il ronzìo andava via via aumentando di tono, sino a divenire un sibilo acutissimo.

Superato il margine, man mano che lo yacht avanzava nel cerchio luminoso, il ronzìo cominciò a diminuire. E proprio nel mezzo, nel più forte del luccichio, il ronzìo fu soverchiato dal tumulto sottomarino dei pesci. Terry toccò l’acqua con una mano. Il pizzicore era a malapena sopportabile.

Davis attinse vari secchi di acqua e in due trovò dei pesci. Adesso lo yacht, nella sua attraversata, si avvicinava al margine opposto del cerchio. Il ronzìo tornò ad aumentare di potenza fino a raggiungere l’apice.

L’“Esperance” superò il margine della zona e si ritrovò nel mare tenebroso. A poco a poco, mentre il battello si allontanava, il suono svanì…

— Ai margini il suono è più forte — commentò Terry, assorto. — Proprio come se ci fosse una barriera acustica per impedire ai pesci di scappare. Ho già visto dei pesci comportarsi in questo modo: quando viene calata in mare una sciabica.

— Ma qui non c’è nessuna sciabica, nessuna rete! — esclamò Davis. — Non abbiamo visto niente che li trattenesse.

— Ma abbiamo sentito — notò Deirdre. — Quel ronzìo. Forse è proprio quel ronzìo che li trattiene. Suo padre brontolò qualcosa. — Sarà… — disse. — Comunque, bisogna vederci chiaro. — E si allontanò verso poppa.


Poco dopo l’“Esperance” filò col vento favorevole e tornò nella posizione di partenza: fuori del cerchio luminoso. Terry vide le sagome nere degli uomini accanto al timone. Poi lontano all’orizzonte apparve un chiarore, stavolta in cielo… La luna si affacciò sul mare e prese a salire adagio fra le stelle.

Subito l’aspetto dell’oceano cambiò. Le onde malamente illuminate dal chiarore delle stelle non incalzavano più nel buio, e le ombre a bordo dell’“Esperance” presero forme distinte nella luce lunare.

— Una osservazione notevole, la vostra, Deirdre — disse Terry.

— Io avevo pensato alla pala, ma non ho osato parlarne perché mi sembrava una sciocchezza. Ma quando l’avete detto voi, è stato diverso.

— Ho il dono di far sembrare logiche le cose assurde — disse Deirdre. — O forse l’opposto… Ad ogni modo quel che sto per dire adesso è molto sensato: non abbiamo ancora cenato. Vado a preparare qualcosa.

— Non pretenderete che ci si metta a tavola in un momento come questo! — disse Terry.

— Tutto previsto — rispose lei. — Panini.

E scomparve sottocoperta. Terry rimase a guardare, mentre le sagome nere a poppa dello yacht cercavano di calcolare a occhio le distanze e le dimensioni della zona “pescosa”. Cosa tutt’altro che facile per via del movimento dell’“Esperance” e della scarsa luminosità.

Poco dopo, Davis si accostò al giovane.

— Milletrecento metri circa — disse a Terry, — venti più, venti meno. Non me l’aspettavo — aggiunse, aggrottando la fronte. — Ho fatto delle supposizioni sempre sperando di sbagliarmi. Ora comincio a pensare invece di aver visto giusto.

— Io non riesco ancora a fare nessuna ipotesi — rispose Terry.

— Ma ne farete! — ribatté Davis. — E come! Collegherete una cosa all’altra… Quella spuma larga mezzo miglio e alta nove metri sul mare…

— E nella quale è scomparso un veliero, come se nel mare si fosse aperto un baratro — interruppe Terry. Davis si voltò a guardarlo.

— Sul tavolo della cabina c’erano alcune fotografie e un ritaglio di giornale — spiegò Terry.

— Credo che qualcuno le abbia messe là proprio perché io le vedessi.

— Deirdre, probabilmente — disse Davis. — È decisa a trascinare anche voi in questa avventura. Ha deciso che siete un tipo intelligente… Sì, giovanotto, sommerete tra loro tutti i particolari a vostra conoscenza, compresi gli eccezionali successi de “La Rubia”, e ci lavorerete attorno. Poi…

— Alzò gli occhi. Una stella cadente solcò il cielo, si lasciò alle spalle una scia luminosa, scomparve. — Poi sarete tentato di includere anche le stelle nelle vostre ipotesi! E quando tirerete le somme vi sentirete turbato… come me. Fece una pausa.

— Avevate detto di voler essere sbarcato appena provato l’apparecchio. Spero che abbiate cambiato idea, o che la cambierete.

— Lasciamo stare il mio sbarco — disse Terry, a disagio. — Vorrei farvi invece un’altra domanda. Cosa sono le sfere riprodotte in quelle fotografie? Hanno per caso a che fare con i pesci?

— Così mi hanno riferito — disse Davis. — Sono di plastica. Una l’hanno scoperta su un pesce preso da un sergente della Marina statunitense. Altre quattro le hanno trovate fra i pesci messi sul mercato da “La Rubia”. Potrebbe anche trattarsi di uno scherzo, ma sono aggeggi un po’ troppo complicati, per questa ipotesi. Hanno cercato di aprirne uno, ma è andato in malora a causa della tremenda pressione interna. Le parti metalliche contenute nella sfera sono risultate di iridium. Le altre non sono state aperte ancora. Le stanno esaminando.

Un’ombra sbucò dal castello di prua. Nick. Si fermò. — Ho chiamato Manila chiedendo di controllare la nostra posizione — disse. — Siamo proprio nel punto dove si dirige “La Rubia” quando sfugge al controllo degli altri pescherecci. — Accennò al cerchio luminoso. — Mi pare più piccolo, ora. Davis guardò, e si irrigidì.

— Sì, pare anche a me — disse. — Controlliamo.

Si diresse a poppa. Deirdre salì con i panini e Terry la liberò del vassoio.

— Sigari, sigarette, caramelle, panini! — annunciò la ragazza, scherzando.

Davis stava di nuovo misurando l’estensione del campo luminoso e calcolando la distanza dall’“Esperance”. — Si è effettivamente ristretto — annunciò. — Adesso supera appena i mille metri.

— Oggi “La Rubia” è passata a due miglia da qui — osservò Terry. — Deve aver fatto un bottino magnifico.

Davis disse con una certa impazienza, come rivolto a se stesso: — Il cerchio è diminuito di almeno duecento metri nell’ultima mezz’ora! Questo deve pur significare qualcosa. Vorrei sapere che cosa sta per succedere…

Deirdre disse, adagio: — È come se avessero steso la rete grande… Al posto della rete c’è quel ronzìo. Cosa succede quando è ora di chiudere la rete?

Davis non rispose. Poi disse, in tono irritato: — Qui sembra che tutti siano più intelligenti di me! Tony, va’ a prendere le macchine, Nick, tu riferisci immediatamente se il cerchio luminoso continua a restringersi… Vorrei che tu non fossi qui, Deirdre!

I due giovani si affrettarono ad ubbidire. Soltanto Terry non aveva compiti speciali a bordo, se si esclude la storia del microfono e del registratore. Quindi, per far qualcosa, si chinò verso l’apparecchio e alzò il volume. Di nuovo si udirono le strane voci dei pesci sullo sfondo di quell’ossessionante ronzìo. Sentì dei tonfi e si rese conto che erano i passi dei suoi compagni che camminavano sul ponte: lo scafo trasmetteva il rumore all’acqua, e il microfono captava anche quello.

Tony salì sul ponte con una bracciata di oggetti misteriosi che male si distinguevano nel chiarore lunare. Ne posò due vicino al timone e passò gli altri ai compagni. In silenzio ne tese uno a Terry e uno a Deirdre.

— Cosa sono? — domandò Terry.

— Macchine fotografiche — spiegò Deirdre. — Montate su un calcio di fucile e munite di uno speciale flash. Si mira, si tira il grilletto, e l’obiettivo scatta contemporaneamente al lampo del flash. Con questi oggetti si può fotografare qualunque cosa di giorno e di notte.

— Ma perché… — incominciò Terry. L’arrivo di Davis lo interruppe.

— Sono preoccupato — disse Davis incerto. — Dobbiamo essere prossimi alla conclusione di un processo di cui non so nulla: né cosa sia né a cosa tenda. So soltanto che sarà la conclusione di parecchi fatti collegati assieme.

— Ho avvertito due o tre volte un nuovo tipo di suoni — disse Terry. — Come dei muggiti, ma deboli e lontanissimi, a lunghi intervalli tra l’uno e l’altro. Secondo me non provengono dalla superficie.

Davis fece un gesto indeciso, come se esitasse a parlare.

— Non è vero quello che pensi! — protestò Deirdre, prima che il padre aprisse bocca. — Non è assolutamente vero! Tutto questo riguarda solo il pesce. “La Rubia” è stata in questa zona un’infinità di volte. Noi non abbiamo messo in moto il motore, non abbiamo fatto rumori che potessero destare curiosità. Se dovesse capitare qualcosa a noi, sarebbe già capitato a “La Rubia”. È stupido allontanarsi adesso solo perché ci sono io a bordo!

Terry, tutto intento al registratore, sentì un brivido gelido per la schiena. La ragione gli diceva che era assurdo collegare i lontani muggiti che salivano dagli abissi con il frenetico agitarsi di pesci chiusi in un breve cerchio di luce, e concluderne che un mostro misterioso sarebbe arrivato per divorare le creature del mare. Niente giustificava l’idea. Era assurdo, insensato. Eppure Terry rabbrividì ancora.

— Il cerchio è di appena ottocento metri — disse Davis inquieto. — Tutti quei pesci non possono comprimersi in uno spazio ancora più ristretto! Doug si è calato in acqua con il respiratore, e dice che la colonna luminosa sprofonda fin dove arriva lo sguardo.

Terry alzò gli occhi.

— Si è calato in mare? Non si sentiva pungere?

— Sì, come se fosse in mezzo alle ortiche — rispose Davis, quasi fosse colpa di qualcuno. — Però appena uscito dall’acqua è cessato. Dev’essere…

Dal registratore uscì un muggito, più basso degli altri rumori e lontanissimo. Ma all’origine doveva essere spaventoso. Durò qualche secondo, poi tacque.

— Avrei dovuto registrarlo — disse Terry. — Si ripete ogni cinque minuti. Sarà per la prossima volta.

Davis si allontanò come se volesse dimenticare il suono e la decisione che desiderava prendere. Terry tornò a ripetersi, ostinato, che non c’era motivo per collegare quel suono con i pesci impazziti a mezzo miglio da lì. Eppure non poteva fare a meno di pensarci.

La campana di bordo suonò sette rintocchi. Deirdre disse: — Il cerchio luminoso si è ridotto ancora! È quasi la metà, adesso.

Terry premette il tasto del registratore e si rizzò per vedere meglio. In quell’attimo, Deirdre gridò: — Ascoltate! — Nel registratore si sentiva un suono nuovo, completamente diverso dal muggito di prima.

— Chiamate vostro padre — le ordinò Terry. — Arriva qualcosa!

Deirdre attraversò di corsa il ponte. Terry si spostò per manovrare il microfono che pendeva dalla murata dello yacht. E arrivò Davis. Parlò con voce aspra: — Qualcosa in arrivo? — domandò. — Sentite un rumore di macchine?

— Ascoltate — disse Terry. — Io cercherò di determinare la direzione.

Girò il cavo che reggeva il ricevitore subacqueo. Squittii e fruscii cambiarono volume man mano che il microfono ruotava. Il nuovo rumore, invece, come di qualcosa che fendesse le acque a grande velocità, non mutava. Terry fece fare un giro completo al microfono. Le voci dei pesci si affievolirono, quasi scomparvero, poi di nuovo aumentarono. Contemporaneamente variava l’intensità del ronzìo. L’altro suono restava costante. O meglio, sembrava aumentare, avvicinarsi, ma era lo stesso da nord, est, sud e ovest. Un rombo, come se un oggetto si muovesse in acqua a velocità spaventosa. Non un rumore di motori, ma qualcosa ugualmente lanciato con impeto attraverso l’oceano. E aumentava sempre di intensità.

— Non arriva da un punto cardinale — disse brevemente Terry. — Che profondità abbiamo in questo punto?

— Siamo ai margini della Fossa di Luzon — rispose Davis. — Otto, novemila metri. Forse dieci.

— Allora non può arrivare che dall’abisso — disse Terry. — Sta salendo.

Per un istante Davis non parlò. Poi, in tono aspro, disse: — Dal momento che ne avete parlato voi posso confermarvi che poteva essere solo così. — Quindi si volse e impartì brevi ordini, ai quali i ragazzi obbedirono di corsa. La prua dello yacht ruotò nel vento. Terry ascoltava : si sentiva un pulsare regolare che non era il ronzìo di un motore.

— I bazooka tengono in soggezione chiunque — disse Davis freddamente. — Se attacca, usateli. Ma prima cercate di scattare qualche fotografia.

La prua dell’“Esperance” si alzava e abbassava. Le vele erano nere contro il cielo stellato. Due dei giovani stavano appoggiati al parapetto di tribordo, con in mano dei lunghi tubi, che non si capiva bene che cosa fossero. Il vento frusciava fra le sartie e i terzaruoli sbattevano. Presso il parapetto di poppa, l’apparecchio di Terry emetteva, amplificati, i suoni trasmessi dal microfono immerso in mare.

Il frastuono della cosa in arrivo si faceva sempre più forte, superava ogni altro suono. Le onde si gonfiavano sotto la spinta di ciò che saliva alla superficie da abissi inimmaginabili.

Doug posò due armi vicino a Terry e a Deirdre e si allontanò. La ragazza teneva in pugno uno strano oggetto simile a un fucile con la canna del diametro di quindici centimetri, e molto corta. L’obiettivo vero e proprio era all’estremità della canna, piccola, simile a un mirino.

— Prima punteremo questi su qualunque cosa compaia — disse Deirdre calma, — e premeremo il grilletto. Poi prenderemo le armi e vedremo se sarà il caso di far fuoco. D’accordo?

Parlava rivolta al cerchio luminoso sull’oceano. In quella direzione c’erano Davis e il giovanotto al timone, poi Tony e Jug che impugnavano i tozzi bazooka. Più avanti, Doug aveva in mano la macchina fotografica, e un fucile posato accanto a sé.

Sembrava che fossero trascorse ore, ed erano passati appena pochi minuti. Niente di nuovo. La luna era bassa in cielo e un fiocco di nuvole brillava tra le stelle. Le creste delle onde si rincorrevano, e lo yacht rollava. A bordo gli uomini aspettavano con strane armi in pugno. Dal registratore veniva un rombo, un fruscio di acque smosse, sempre più forte, sempre più veloce.

Poi, al centro del cerchio luminoso fosforescente, si sentì come uno schianto spaventoso, dalle onde balzò in alto una colonna fosforescente, l’acqua ricadde e… qualcosa si librò in aria. Subito ‘si accesero dei bagliori bianchissimi, accecanti. Le macchine fotografiche erano entrate in azione, silenziose.

Allora Terry vide la cosa, là, a mezz’aria. Brandì la macchina e puntò. Premette il grilletto. Il lampo illuminò la cosa di luce vivissima. E di nuovo il buio.

Una forma a torpedine, sottile e lunghissima. Forse un essere vivente. Forse un oggetto metallico. Balzò a una cinquantina di metri, in alto, sulle onde, e ricadde nell’oceano sollevando uno spruzzo gigantesco. Solo in quel momento Terry pensò che di solito i panfili non sono armati di bazooka. — Non… non era una balena — disse Deirdre, con voce incerta.

All’improvviso il registratore ronzò. Di nuovo il suono di prima, quel ronzìo ossessionante di sessanta cicli che teneva prigionieri i pesci. Stavolta, dieci, venti, cinquanta volte più forte di prima. In acqua i pesci si dibattevano, impazziti e il mare si copriva di schiuma come se i suoi abitanti stessero tentando freneticamente di balzar fuori dalle onde che pungevano e bruciavano.

Poi, stranamente, quel brulichìo frenetico cessò. Il luccichio del mare s’affievolì e un istante dopo il suono ossessionante diminuì fino a diventare un mormorio appena percettibile.

Si alzò il vento e il mare si gonfiò.

‘La prua dell’“Esperance” si alzava e si abbassava. I suoni del trasmettitore, le voci del mare, erano sempre più deboli. Di nuovo si sentivano gli squittii e i fruscii dei pesci. Ma sempre meno forti, finché scomparvero, e rimasero solo i normali rumori, e il debolissimo ronzìo proveniente dal fondo.

Davis si avvicinò a Terry.

— I pesci non ci sono più — disse, con voce stanca. — Non si sono sparpagliati, sono scomparsi. Dove? Terry fece un cenno.

— Verso l’abisso. Volete una spiegazione possibile?

— Ne ho trovate anch’io alcune — disse Davis.

Arrivò Doug a ritirare le macchine usate da Terry e Deirdre.

— Si tratta di suoni che i pesci non possono sopportare — disse Terry, — e che li fa scappare lontano.

— Scapperei anch’io, se fossi in acqua — mormorò Deirdre.

— In acqua e in aria — riprese Terry, — un suono può essere diretto proprio come la luce. Un megafono dirige la voce in un dato punto, come fanno i riflettori per la luce.

— Già — disse Davis, con un tono tra lo scettico e l’ironico. — Perché no?

— Se la cosa fosse realizzabile in acqua — continuò Terry, — allora i pesci che si trovassero entro il raggiò sonoro sarebbero chiusi in una specie di rete a forma di cono. Immaginiamo che il cono sonoro si restringa, che le sue pareti si avvicinino sempre di più : il pesce si pigia nella rete quasi verticale, non fatta da fili di canapa bensì da un ronzìo insopportabile. Insomma, come se il mare fosse carico di elettricità e i pesci prendessero la scossa ogni volta che tentassero di oltrepassare un dato punto… Supponiamo adesso che qualcosa in cima al cono sonoro formi una specie di coperchio. I pesci non possono superare la barriera sonora né lateralmente né dall’alto. Quindi non hanno altra scelta che calarsi negli abissi.

— Chiarissimo — disse Davis, — però voi non ci credete di sicuro.

— Non riesco a immaginare che cosa produca quel suono e crei quella specie di trappola e non ne indovino nemmeno gli scopi, perciò non posso dire di crederci — rispose Terry.

Davis disse lentamente: — Vedo che cominciamo a intenderci. Rimarremo sul posto finché potremo, finché saremo sicuri che il fenomeno non è di natura straordinaria.

— Ho fatto qualche calcolo. L’acqua era resa quasi solida dai pesci : ce n’era almeno mezzo chilo in trenta centimetri di mare. — Forse anche di più — disse Davis.

— Quando il cerchio era esteso al massimo un migliaio di metri, come abbiamo calcolato, in cima al cono c’erano almeno quattrocento tonnellate di pesce, nello spessore di un metro. L’acqua era limpida: si vedeva benissimo la massa di pesce in profondità. Occupava cinquanta metri almeno.

— È vero — concesse Davis.

— Perciò, calcolando tutto lo spessore di cinquanta metri, si arriva ad almeno ventimila tonnellate di pesce ammassate insieme. Forse di più. E adesso ditemi — continuò Terry, — perché quei pesci vengono trascinati negli abissi? Non mi chiedo chi o che cosa lo faccia, mi chiedo il perché, lo scopo di tutto questo!

— Ci ho pensato e ripensato tante volte. E sarebbe meglio che non vi rivelassi le mie conclusioni — brontolò Davis. E si allontanò bruscamente.


L’“Esperance” rimase alla vela nei pressi del cerchio luminoso che adesso non si distingueva più dal resto dell’oceano. La posizione veniva via via corretta prendendo come riferimento il debole ronzìo: il registratore era tuttora in funzione.

Un po’ prima dell’alba il ronzìo s’interruppe di colpo. E ben presto non ci fu più niente di straordinario da osservare e da sentire.

Il sole si levò tra un trionfo di colori. Non una nuvola in cielo.

Doug salì in coperta, con un fascio di fotografie in mano. Aveva già sviluppato e stampato il materiale ripreso con i flash quando l’oggetto, o la bestia misteriosa, era balzato fuori dall’acqua. Le foto erano sette. In quattro si vedeva solo l’oceano deserto ripreso al lampo dei flash. Una inquadrava una colonna d’acqua che balzava ad altezza fantastica. La sesta mostrava l’orlo di qualcosa, proprio al margine del quadro.

Terry riconobbe la settima, quella scattata da lui. La fotografia era leggermente sfuocata, ma ciò che vi si vedeva non era né uno squalo, né un polipo, e neppure una manta. Era qualcosa di irreale, qualcosa creato chissà dove da chissà chi e chissà per quale scopo.

Deirdre esaminò l’immagine stando alle spalle di Terry. Forse quello era un essere vivente… Forse no. Era una “cosa”. Una cosa che sfuggiva a qualsiasi tipo di catalogazione di categoria terrestre. Stabilire a priori se si trattasse o meno di una entità vivente sarebbe stato comunque un arbitrio ascientifico.

— Terry: avete detto che non vi piacciono i misteri — commentò Deirdre. — Vi rincresce ancora di essere venuto con noi?

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